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Autore: Dark_Water    16/03/2015    2 recensioni
AU.
Quando John uscì dalla camera da letto fu accolto da un leggero tintinnio di stoviglie con in sottofondo il chiacchiericcio delicato di due voci allegre e familiari.
“Sono felice che siate qui. Mi siete mancati.”
“Anche tu ci sei mancato. Ci voleva una rimpatriata dopo tutto questo tempo. Manca solo….”
Rory si interruppe forse troppo tardi,lasciandosi sfuggire un pensiero che come un alito gelido di vento si era insinuato tra loro spaccando l’equilibrio che avevano avuto fino a quel momento.
Nei millesimi di secondo immediatamente successivi, Rory si ritrovò un gomito della moglie piantato nel fianco, John invece con la mano ferma a mezz’aria, attraversata da un fremito che si diradò anche attraverso la forchetta che stringeva tra le dita lasciando cadere da essa un piccolo pezzo di bacon sul tavolo.
Amy/Rory - Clara/Doctor...Who?
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amy Pond, Clara Oswin Oswald, Doctor - 11, Doctor - 12, Rory Williams
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Non Brucia Solo La Pelle'
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cap.1

Capitolo 1

 

 

 

Si svegliò col lento ticchettio dell’orologio poggiato sul comodino accanto al letto, restando semplicemente immobile mentre gli ultimi residui del sonno scivolavano via dal suo corpo ridandogli un pigro controllo sulle sue membra intorpidite.

John si alzò dal letto scostando elegantemente le lenzuola, portandosi le mani al volto e lasciandole scivolare verso la testa, su nei capelli tirando indietro il suo ciuffo ribelle che, durante la notte, aveva deciso deliberatamente di coprirgli metà faccia; si diresse alla finestra per scostare con un delicato ma rapido gesto lo spesso drappo di velluto blu che fungeva da oscurante per la notte e lasciandosi irradiare completamente dal sole del mattino che si alzava allegro tra i palazzi del circondario. John sospirò,lasciandosi scappare un profondo sbadiglio prima di aprire la finestra e dirigersi verso il bagno.

 

Quando uscì dalla camera da letto fu accolto da un leggero tintinnio di stoviglie con in sottofondo il chiacchiericcio delicato di due voci allegre e familiari. Il tutto accompagnato da un’epifania di profumi che avevano fatto lamentare il suo stomaco vuoto in modo decisamente troppo poco elegante non appena gli avevano inebriato le narici. Bacon, uova strapazzate e sicuramente pan cake alla crema pasticcera. Il suo preferito.

Scese le scale, raggiungendo il soggiorno al pian terreno ed attraversandolo senza fare caso alle valigie ancora adagiate all’ingresso; una era aperta, con alcuni capi d’abbigliamento femminile che disordinatamente si sporgevano verso il pavimento senza cura alcuna di toccarlo ed un tubetto di dentifricio posato in cima a fermarne una eventuale caduta.

Raggiunse la cucina senza fretta, con un sorriso allegro sulle labbra che si allargò quando il suo sguardo si fermò sulla coppia seduta al tavolo intenta a fare colazione e ridere di chissà cosa.

“Buongiorno. La camera era di vostro gradimento, Signori Pond?”

La coppia si voltò verso di lui accogliendolo con un sorriso radioso, o almeno era quello che si disegnava sul volto di porcellana della donna dai lunghi capelli rossi. Sul volto dell’uomo biondo, sulle cui ginocchia era seduta lei, si formò un sorriso di scherno mentre lasciava ricadere il cucchiaio nella scodella di cereali con cui era intento a fare colazione e rispondeva:

“Williams. Signori Williams.”

La donna morse una fetta di pancake, lasciandosi scappare un risolino divertito mentre alternava lo sguardo tra i due, facendo accentuare il fastidio del marito.

“No. Pond. Assolutamente Pond. Amy e Rory Pond.”

Rispose John, sedendosi al tavolo e servendosi la colazione che, sicuramente, era stata Amy a preparare.

Rory sospirò, rassegnato al fatto che a portare i pantaloni in famiglia, per John, non sarebbe mai stato lui ma sua moglie.

“Sono felice che siate qui. Mi siete mancati.”

Le parole di John arrivarono rapide e sincere tra un morso ad una fetta di bacon ed un boccone di uova strapazzate. Ma se anche dette a bocca piena quasi distrattamente, avevano riempito di gioia i cuori dei suoi due amici.

“Però dillo con una faccia più allegra, brontolone. Ecco cosa ti succede a stare troppo tempo da solo, senza di noi. Diventi triste e noioso!”

John sorrise, mentre Rory ingoiava un cucchiaio di cerali e poi continuava.

“Anche tu ci sei mancato. Ci voleva una rimpatriata dopo tutto questo tempo. Manca solo….”

Rory si interruppe forse troppo tardi, lasciandosi sfuggire un pensiero che come un alito gelido di vento si era insinuato tra loro spaccando l’equilibrio che avevano avuto fino a quel momento.

Nei millesimi di secondo immediatamente successivi, Rory si ritrovò un gomito della moglie piantato nel fianco, John invece con la mano ferma a mezz’aria, attraversata da un fremito che si diradò anche attraverso la forchetta che stringeva tra le dita lasciando cadere da essa un piccolo pezzo di bacon sul tavolo. La bocca che si chiuse lentamente senza toccare cibo.

Negli apparentemente interminabili attimi di silenzio che seguirono sembrava che il mondo fosse rimasto sospeso, congelato in un solo momento senza tempo.

“John…”

La voce di Amy era come un eco lontano.

“John…”

Rory restava immobile. La mano di John lentamente discese verso il piatto, lasciando ricadere la forchetta.

“Amy…no.” Fu l’unica sottile ed incorporea parola che gli uscì dalle labbra improvvisamente inaridite, un semplice sussurro.

“Sono passati due anni…”

“Per favore…” Una richiesta semplice e disperata da parte di John.

“Amy… lascia stare.”

“No Rory!” La donna insistette, piegandosi con la schiena in avanti a sporgersi sul tavolo, in direzione dell’uomo seduto all’altro capo. “John… una telefonata. Sono passati due anni, per l’amor di Dio! Dovresti parlarle. Ed anche..”

“Amy. No. Basta.”

Un colpo secco sul tavolo. Il pugno chiuso e tremante. Era bastato a chiudere lì la conversazione.

 

Al ritorno dal lavoro, quella sera, John aveva trovato la casa ancora vuota. Un messaggio in segreteria lasciato da Amy lo avvisava che sarebbero rientrati più tardi del previsto perché la presa in carico del suo nuovo lavoro aveva richiesto più tempo del previsto e Rory l’avrebbe aspettata per rientrare insieme.

John aprì il frigo, cercandovi dentro chissà cosa e richiudendolo pochi istanti dopo senza aver preso nulla dal suo interno. Raggiunse il soggiorno, aprendo la sua ventiquattro ore per tirarne fuori alcuni documenti. Sprofondò sul divano dando uno sguardo distratto al progetto su cui stava lavorando già in ufficio prima di lanciare il fascicolo sul tavolino di fronte.

L’orologio segnava le 19:00, lo sguardo di John si fermò sul telefono mentre si portava una mano al viso contratto in un’espressione meditativa. Lasciò scivolare la mano fino al mento poggiando il gomito sul ginocchio. Sospirò pesantemente mentre il pensiero che Amy a colazione forse aveva ragione gli si insinuava nelle sinapsi.

Pochi istanti dopo, si era allungato verso il cordless e le sue dita digitavano un numero che mai aveva dimenticato, mai avrebbe potuto neanche volendo e, Cristo! Quanto aveva desiderato farlo!

Oltre il ricevitore sentì squillare a vuoto due, tre, quattro volte prima che una voce rispondesse.

“Pronto?”

Il suo cuore si fermò per un attimo, riprendendo poi a battere all’impazzata e facendogli male in un modo disumano. Il torpore in cui aveva vissuto gli ultimi due anni si stava dileguando, bruciandogli le carni dall’interno del petto ed espandendosi disperatamente in tutto il corpo. Pensava di aver superato il trauma. Ma in un solo attimo la fortezza di kevlar che si era creato attorno negli ultimi due anni era caduta su se stessa come fosse stato un castello di carte, la sicurezza che lo caratterizzava da sempre e che in questo lasso di tempo pensava di aver potenziato esponenzialmente si era infranta come un bicchiere di cristallo caduto al suolo.

Quella voce allegra. Cristo quanto gli era mancata!

“Clara..? Clara Oswald?”

La voce incerta, nelle sue orecchie non gli sembrava nemmeno gli appartenesse.

“Si. Sono io… Chi… parla?”

Per un attimo ebbe la sensazione che anche la persona dall’altro lato del telefono sembrasse incerta, un brivido gli attraversò la schiena credendo di avvertire chissà quale recondita emozione che, ondeggiante, si insinuava tra loro. O forse solo si illudeva di… chissà cosa!

“John…John Smith… hemm… sono…”

Clara lo interruppe:

“Ho riconosciuto il numero sul display.”

Ecco perché l’esitazione nella voce di lei che aveva avvertito all’inizio. Chissà cosa aveva pensato vedendolo, se aveva in dubbio di rispondere oppure no. Il cuore gli martellava nelle orecchie, pompando forse troppo sangue al cervello e rendendogli difficile formare pensieri coerenti ed altrettanto difficili da rendere quindi in parole.

“Eleven.”

John tacque, col respiro mozzato al sentire quel soprannome. Era il suo soprannome, quello che Clara usava per chiamarlo. Avvertì il sorriso di Clara in quell’unica parola anche se non poteva realmente vederlo. Lo sentiva nella voce. E tanto bastò a far rilassare in un sorriso anche le sue, di labbra.

 

 

Alcuni  anni  prima…

 

 

Clara Oswald si era fermata ad osservare il giardino innevato che le si mostrava davanti, portandosi la mano sinistra al mento e poggiando il gomito dello stesso braccio sul dorso della mano destra.

Strinse il labbro inferiore tra i denti mentre piegava il polso sinistro in avanti e rileggeva il foglietto che stringeva tra indice e pollice e sul quale vi erano alcune annotazioni.

Non vi era un cancello né reticolati a circondare la proprietà, ma la casa indipendente che le si mostrava davanti sembrava essere proprio quella descritta sula nota. L’indirizzo era sicuramente esatto, non poteva sbagliarsi. Ignorando la neve ed  il freddo pungente, aveva girato un po’ per il quartiere prima di rifermarsi nuovamente davanti alla stessa abitazione, sicura ormai che fosse quella giusta. A suggerirglielo, in particolare, erano quelle due statue di Angeli poste l’una di fronte all’altra ai lati del porticato in modo speculare: le ali ripiegate in posizione di riposo dietro la schiena dritta, la testa piegata leggermente in avanti a nascondere il viso tra le mani, quasi stessero piangendo, nascondendosi i volti l’un l’altro.

Non sapeva dire se quel particolare fosse semplicemente elegante e poetico o estremamente depressivo. Si fece coraggio, però, attraversando il piccolo viottolo, passando poi tra i due angeli col fiato sospeso e raggiungendo la porta. Lesse il nome sulla targhetta dorata posta sul fronte porta, riguardando nuovamente il foglietto che la sua compagna le aveva dato.

Dott. J. Smith

Si. Era la casa giusta.

 

**

 

“Ancora non ho capito perché siete a casa mia…si può spegnere questo stereo?”

John era seduto sul divano, con il tavolino cosparso di appunti e diagrammi ed un libro di Fisica.

Il fuoco del camino si irradiava verso di lui scaldandogli dolcemente la pelle. Il caldo lo aveva costretto a tenere addosso solo i pantaloni della tuta. Il sottofondo musicale appena percettibile di Mozart.

“In realtà, l’unica cosa anomala in tutto questo sei tu. E no. Il sottofondo musicale è rilassante!”

Amy si affacciò dalla cucina, con una fetta di pane tostato nella mano sinistra ed un coltello sulla cui punta sembrava esserci residuo di burro e marmellata nella mano destra.

“Perché? Cos’ho di strano?”

Rispose John, togliendo lo sguardo da un esercizio incentrato sui campi gravitazionali e passandoselo addosso distrattamente.

Rory era seduto sulla poltrona, un po’ più vicino al camino, con una coperta in pile a coprirgli le gambe ed un libro di anatomia umana in grembo:

“John. E’ metà Gennaio, fuori ci sono tre metri di neve e tu indossi solo i pantaloni della tuta.”

“Bè, è fuori che fa freddo. Dentro casa no!”

Rory sospirò, tornando a concentrarsi sui suoi studi ed ignorando il broncio infantile che John aveva messo sul viso in quel momento.

Erano cresciuti insieme, loro tre. Pochi anni di differenza avevano tra loro, John era il più grande ma avevano vissuto gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza sempre insieme come fratelli. Anche quando tra Rory ed Amy le cose si fecero più profonde, il loro rapporto non sembrava averne risentito anzi. Amy e Rory erano la sua famiglia. Fu questo a spingerlo, in età adulta e pronti per il college, ad offrirgli ospitalità a casa sua. Avevano accettato solo con l’intesa che avrebbero diviso le spese di casa e pagato una quota mensile a solo scopo figurativo, ma alla fine John li aveva convinti semplicemente a contribuire per le bollette e viveri di varia natura. In pratica, condividevano tutto.

“Darò in affitto la vostra camera se continuate a disturbare i miei studi. Mozart potrebbe passare, ma il profumo di pane tostato e marmellata… questo è un attentato alla mia concentrazione ed al mio impegno studentesco!”

Amy si lasciò scappare una risata dalla cucina mentre Rory chiudeva il libro e si alzava sospirando. Lanciò uno sguardo a John facendogli poi cenno con la testa di andare in cucina quando i loro sguardi si incrociarono. John sorrise e si alzò accennando un si con la testa.

“Ah. A proposito di affitto…” Si lasciò sfuggire poi Amy. “Mi ero dimenticata di avvertirvi… visto che c’e una camera libera… ho trovato un nuovo coinquilino.”

Mentre Rory si sedeva al tavolo e rubava una fetta di pane tostato dal piatto di Amy, John si fermò sulla soglia con uno sguardo confuso fisso sulla ragazza.

“Cosa? Non abbiamo bisogno di un coinquilino.”

“Oh, andiamo John! Le spese di casa aumentano e nessuno di noi ha un lavoro. Approfittiamo già della tua ospitalità risparmiando sull’affitto, ma non possiamo chiedere sempre soldi ai nostri genitori o… dipendere da te.”

Amy era seria questa volta, con lo sguardo corrucciato mentre spalmava del burro su una fetta un po’ troppo bruciacchiata.

“Sarebbe un’entrata sicura che ci permetterebbe di risparmiare soldi da usare per eventuali emergenze… so che avrei dovuto parlarne con te, ma…”

Rory intervenne dopo aver ingoiato un boccone:

“Ho capito cosa intendi, Amy. Ma metterci un estraneo in casa… non mi piace molto come idea. E credo neanche a John.”

 “Non è un estraneo. Frequenta i miei stessi corsi da quando ho cominciato l’Università, procediamo di pari passo e ci conosciamo quindi da… un anno e mezzo. Vi piacerà, fidatevi! E dovrebbe essere qui tra…”

Il campanello suonò, facendo voltare i tre verso l’uscio della cucina. Non potevano di certo vedere chi fosse da quella distanza e con le pareti ed il salotto da attraversare per raggiungere la porta. Ma il sorriso di Amy spinse entrambi i ragazzi a sospirare.

“Puntuale! Oswald ha spaccato il minuto, come al solito!”

 

Quando John aprì la porta il suo corpo sembrò gelarsi. Non per il freddo pungente che prepotentemente sembrava volersi spingere dentro casa e dissiparne il calore, ma per lo sguardo profondo, sebbene incerto, della moretta che gli si era presentata davanti. Il respiro mozzato mentre la fissava incapace di muoversi.

“Hemm… credo… di aver sbagliato casa.”

Lo sguardo di John ancora incatenato agli occhi sfuggenti di Clara; poteva leggere in quelle pozze profonde di fango l’imbarazzo di… cosa? John non sembrava capire.

“Oswald! Vieni dentro!”

La voce di Amy dall’interno persuase Clara ancora una volta che quella era proprio la casa giusta, convincendola a piegare leggermente la testa di lato e la schiena in avanti mentre con lo sguardo diretto oltre le spalle di John cercava il volto della sua compagna.

“Amy?”

John lasciò cadere le spalle quasi rilassate, mentre cercava di ritrovare la voce.

“Quindi… tu sei Oswald?”

Clara tornò con lo sguardo sul ragazzo alto di fronte a lei, notando quel ciuffo ribelle che era ricaduto chissà quando a coprirgli l’occhio destro.

“Si. E tu sei… nudo. Perché sei nudo?”

John si portò inconsciamente le braccia ad incrociarsi sul petto, le mani che si stringevano sotto le ascelle a voler quasi coprire il torace in una sorta di velato pudore. Ma la sua espressione imbronciata ammorbidì un po’ quella tesa di Clara mentre le rispondeva:

“Che domande… è casa mia! E’ non sono nudo, ho i pantaloni.”

“Come se facesse differenza. Posso tornare, se eravate impegnati in… qualcosa.” La risposta impertinente di Clara lo lasciò in silenzio, con un’espressione quasi sconvolta dall’insinuazione errata ed un calore improvviso che dalle guance si espanse fino alle orecchie.

“Cos..? No! No no no no!”

Cercò di rispondere per dissolvere il malinteso, tirando la schiena indietro e muovendo la mano destra in modo sconnesso e forsennato davanti al viso; cercò qualche altra cosa da dire mentre Amy finalmente lo raggiungeva sul posto e lo spostava bruscamente dall’ingresso. Vide la rossa tendere calorosamente una mano sorridente alla sua compagna di corsi, ignara del fraintendimento.

“John, fa freddo fuori, falla entrare!”

Mentre la Amy trascinava dentro casa la nuova arrivata, John si ritrovò a chiudersi la porta alle spalle e gli occhi puntati sulla schiena della moretta impertinente, con il corpo intorpidito e le guance arrossate. Se fosse per colpa del freddo o del caldo, non sapeva dirlo.

 

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Nota:

Ecco, una AU perchè... perchè si! Mi andava, punto! Per il momento metto rating giallo, ma potrebbe variare a rosso, chi sa. Spero che questo primo capitolo sia stato abbastanza interessante. O anche no. 
Ho una linea da seguire riguardo alla storira, ma non so quanti capitoli durerà, spero pochi, ma la porterò di sicuro a termine. Per il momento, comunque, avverto che l'unica coppia affermata in essa è Amy/Rory, per il futuro di altre ed eventuali.... sappiate che il diavoletto che è in me non ha pace xD è un avvertimento xD

   
 
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