Capitolo 2
In pratica - lo aveva informato – al ritorno dalle
vacanze di Natale lei e le sue due coinquiline si erano ritrovate sfrattate
dall’appartamento che condividevano, senza alcun preavviso. Non perché non
pagassero l’affitto, anzi lei era l’incaricata ai pagamenti ed era sempre puntuale
con le scadenze; ma a quanto sembrava il vecchio affittuario era morto e
l‘erede aveva deciso di impadronirsi personalmente della casa. Avrebbero potuto
sporgere denuncia e cercare di recuperare almeno la caparra… ma come potevano
delle semplici studentesse affrontare le grane che ne sarebbero seguite, le
spese legali ed allo stesso tempo studiare e trovare un nuovo appartamento?
Clara aveva arrangiato soggiornando in una pensione in
periferia, come tentativo di riprendere il controllo della situazione e
studiare un piano di riserva. Certo l’edificio in cui si era ritrovata era
fatiscente… ma in una cittadella universitaria di quei tempo era difficile
trovare un appartamento libero e le altre opzioni erano certamente più
terrificanti di un tetto umido e gocciolante.
Ogni volta che si incontravano, John le si era presentato
ben vestito e con i capelli ordinati, non seminudo o scompigliato come al loro
primo incontro. Anche in quel momento John era sicuro di apparire al meglio,
sebbene il breve sguardo di Clara fermo sul farfallino che si era messo per
l'occasione lo aveva turbato non poco. Cosa c'era che non andava stavolta? Era
il farfallino più bello che avesse nel suo cassetto dei farfallini e si
intonava con il completo fango che indossava!
Si rilassò quando lei sorrise e commentò con un semplice:
"Carino."
John le aprì la porta e la lasciò entrare in casa,
aiutandola con i bagagli e chiedendosi se la nota impertinente nella voce della
ragazza fosse reale o solo frutto della sua immaginazione. Di solito era bravo
a leggere le persone, ma con lei... dolce e impertinente al tempo stesso, non
capiva mai quando scherzava o diceva sul serio e si trovava a dover combattere
con quella strana sensazione di dejá-vù che la circondava. Una settimana non
era bastata a fargliela inquadrare e questo era... destabilizzante! Lo
scombussolava!
Mentre Amy accompagnava Clara per un tour veloce della
casa, John e Rory portarono le sue valigie nella camera che avevano deciso di
darle, tornando poi al piano inferiore.
Rory si sedette sul divano, John mise un tronchetto nel
camino per ravvivare un pò il fuoco.
"Allora John,cosa ne pensi? Alla fine Clara non é
proprio un'estranea. Amy mi aveva fatto preoccupare inutilmente..."
Rory sorrideva, mentre John lasciava vagare lo sguardo
per il soggiorno, un'espressione pensierosa sul viso.
"Quindi la conoscevi già anche tu?"
Rory corrucciò le sopracciglia, studiando John che
smuoveva la brace con l'attizzatoio facendo rinascere la fiamma.
"Un paio di volte abbiamo anche pranzato con lei
alla mensa universitaria..."
John si voltò verso di lui mostrando un’espressione quasi
offesa dicendo:
"E perché io non c'ero? Pranziamo quasi sempre
insieme e, casualmente, quando c'era lei io mancavo? Perché mancavo?"
Cos’era, avevano voluto tenergliela nascosta? Si era
sempre mostrato socievole e simpatico agli altri loro compagni di corso e con i
suoi stessi colleghi universitari che lo adoravano. Perché questo mistero
attorno a quella ragazza?
Rory sembrava spaesato,fissando l'amico con gli occhi
sbarrati e le labbra socchiuse:
"John... tu c'eri..."
"Cosa? "
"Si... avevi sempre la testa sepolta in un libro di
Tecnica delle Costruzioni o chissà quale altra materia ingegneristica che non
capisco… ma c'eri! Vi siete visti anche al pub in cui lei lavora il fine
settimana." Poi Rory si fermò un attimo a pensare prima di continuare:
"Ora che ci penso però. ..in effetti non vi abbiamo
mai presentati ufficialmente. Cavolo... ti é praticamente sempre passata di
fianco e non l'hai mai notata?"
Il silenzio scese tra loro mentre John si rendeva conto
di quanto sembrasse stupido. Trovando finalmente un senso anche a quella
sensazione di dejà-vù che avvertiva quando era con lei.
" Davvero tu non l’avevi notata? Insomma… è
carina!"
Rory sembrava scioccato. Sperava che John stesse
scherzando, ma l’espressione imbarazzata del suo viso gli chiarì che era serio
a riguardo.
John si voltò verso il camino, nascondendo il viso all'
amico e fingendo di rimettere l'attizzatoio al suo posto, sussurrando a se
stesso:
"...si... ed é impossibile!"
"Cosa hai detto?"
"Niente!"
***
La camera che le avevano preparato odorava di cuoio e
legno pregiato. Non vi erano segni distintivi che dimostrassero la sua
appartenenza a qualcuno, non sembrava nemmeno vissuta rispetto al resto della
casa. Eppure non odorava di chiuso, per nulla. Sulla mobilia in legno scuro non
vi era traccia alcuna di polvere, persino lo scaffale colmo di libri addossato
alla parete ad angolo tra il grosso armadio e la porta-finestra era lindo e
pinto. Clara vi si avvicinò passando distrattamente le dita sulle costine dei
libri, rendendosi conto finalmente che l'odore leggero di cuoio proveniva dalle
copertine di alcune edizioni limitate di opere della letteratura classica
latina. Lei, che studiava letteratura inglese, si ritrovò a chiedersi cosa ci
facessero quei tomi così rari e particolari nella casa di uno studente di
Ingegneria.
Troppo concentrata nella sua esplorazione, sobbalzò
quando sentì Amy entrare nella stanza con alcune lenzuola pulite.
"Ecco. Così cambiamo il letto e puoi cominciare a
sistemare le tue cose."
Clara le sorrise incerta, portandosi al centro della
stanza mentre la compagna adagiava le lenzuola pulite sulla sedia accanto alla
scrivania. Le lenzuola sul letto matrimoniale in realtà le sembravano già
fresche di bucato. Il materasso stesso non mostrava alcun segno di utilizzo,
rigido come se fosse stato appena comprato.
"Grazie. Amy... sicura che vada bene?" Chiese
titubante.
"Cosa?" Amy la guardò confusa mentre tirava via
il copriletto.
"Che io resti...insomma. Credevo si trattasse di
condividere un appartamento. Da quanto ho capito questa é praticamente casa
vostra."
Amy disfece completamente il letto, scostando col piede
le lenzuola con un piede in un angolo della stanza.
"É casa di John. Ma anche io e Rory paghiamo la
nostra quota per le spese di casa. Sempre meglio che stare in quella pensione
fatiscente in cui ti sei ritrovata. Quindi smettila con le tue manie di
controllo e per una volta lasciami fare. Ora zitta e aiutami."
Amy prese un lenzuolo pulito e con un rapido gesto lo
spiegò cercando di posizionarlo sul materasso. Clara non si sentiva a suo agio
con una situazione che sembrava sfuggirle di mano.
"Non sono una maniaca del controllo! É solo che
devo...adattarmi!"
La mora incrociò le braccia al petto , cercando
inutilmente di rigettare quella sensazione di disagio che non l'aveva
abbandonata da quando aveva messo piede in quella casa. Amy si lasciò scappare
una risata divertita mentre stendeva con le mani il lenzuolo per sistemarlo
adeguatamente sul materasso dal suo lato prima di alzare la schiena e dirle con
ironia:
"Quindi...ti faccio io il letto mentre ti adatti?"
Clara sospirò sciogliendo le braccia e portandosi una
mano alla testa guardando il disastro che la compagna aveva fatto con un solo
lenzuolo: il lato ruvido al rovescio,
gli angoli che non combaciavano con quelli del materasso e troppo lungo
sul lato sinistro da toccare il pavimento.
"No. Faccio io."
Amy le fece la linguaccia prima di sorridere e dirle
scherzando:
"Ecco. Maniaca del controllo!"
La rossa raccolse le lenzuola dismesse, lasciando il
copriletto su richiesta di Clara. Dopotutto era pulito ed il colore grigio
scuro non le dispiaceva.
Quando Amy fu fuori, Clara aprì l'armadio a specchio con
l'intenzione di studiare il modo migliore di sistemarvi dentro i suoi vestiti.
Dall' esterno non l'avrebbe mai detto, ma oltre la spessa struttura antica in
legno scuro sembrava esserci uno spazio immenso che probabilmente non avrebbe
colmato con tutti i suoi abiti. L'interno profumava di lavanda e muschio, le
ricordava la brughiera e le piaceva.
L’armadio era vuoto, meno per una cosa che aveva attirato
la sua curiosità e che sembrava farla da padrona in quello spazio sconfinato:
un capo d'abbigliamento maschile appeso ad una gruccia sul fondo a sinistra.
Era una giacca nera alquanto elegante ma particolare con il risvolto rosso. Per
un attimo Clara si chiese se in uno dei cassettoni avrebbe trovato un cilindro
con un coniglio. Poi allungò la mano a passarla come una carezza sul tessuto;
era morbido e piacevole al tatto. Clara si sporse leggermente in avanti ed allo
stesso tempo avvicinò un lembo ella manica al viso, annusando: il profumo che
tanto le piaceva e che le solleticava dolcemente le narici veniva proprio da
quell’abito. Sorrise, appiattendo la giacca contro il lato interno dell’armadio
attenta a non stropicciarla. Aveva deciso di lasciarla lì.
***
Le settimane erano passate velocemente e Clara si era
sistemata giusto in tempo per la fine dei corsi ed avere quindi la tranquillità
sufficiente ad affrontare gli esami della sessione invernale. L’ultima lezione di
approfondimento era finalmente finita, ma quando Amy si voltò verso Clara restò
sorpresa a vederla con la testa china e la penna che ancora sfilava sulle
pagine del quaderno. La mora sembrava essere immersa in chissà quali pensieri
che le avevano tardato la messa in ordine degli appunti.
Amy restò immobile al suo posto, lanciando uno sguardo
alla lavagna cosparsa di annotazioni Shakespeariani sconnessi che quella pazza
della Professoressa Missy vi aveva tracciato con un gessetto di colore rosso
fuoco.
La rossa si chiese per un attimo cosa fosse accaduto se
ad uno dei corsi di questa schizzata ci fosse stato un daltonico…
“Ho quasi finito… scusami.”
Amy sospirò, portando le braccia sul banco e poggiandovi
la testa sopra rispose con un semplice:
“Tranquilla. Questo era l’ultimo corso da seguire. Adoro
il fine settimana!”
Amy non le proponeva di lasciar perdere con la promessa
di passarle i suoi appunti non per cattiveria, ma solo perché sapeva che quelli
di Clara erano decisamente più completi ed approfonditi dei suoi. A volte si
chiedeva come facesse la moretta a ricordare ogni singola parola uscita dalla
bocca dei professori ed a tramutarle in adattamenti più coerenti ed ordinati.
La classe era ormai vuota quando Clara aveva finito; Amy
digitava qualcosa sul cellulare.
“E’ Rory? Dovevate incontrarvi?”
La moretta pose il suo quaderno per gli appunti nella
cartella assieme alla penna, parlando con un tono quasi di scuse per averla
fatta tardare ad un eventuale appuntamento con il fidanzato alla fine delle
lezioni.
“Si.” Rispose Amy. “ Torna tardi perché deve seguire un
seminario di approfondimento sull’infermieristica infantile.”
Si alzarono dal posto per dirigersi verso la porta ed
uscire quindi dalla classe.
“Stasera lavori?”
Clara annuì con la testa, continuando:
“Passate al locale, se Rory non è troppo stanco. E dì a
John di non mettersi quel fez in testa… è sufficiente il farfallino a farlo
sembrare strano.”
Amy scoppiò a ridere, mentre camminavano nel corridoio in
cui si attardavano solo gli ultimi studenti in viaggio verso casa.
“Per il fez posso provvedere, ma per il farfallino non
prometto niente.”
“Se riesci a convincerlo anche solo per il Fez puoi
prendere i miei appunti.”
Clara le sorrise. Amy finse un saluto militare. Entrambe
sapevano che John era imprevedibile e che la mora era troppo buona: gli appunti
glieli avrebbe passati comunque.
Quando Rory tornò a casa erano le nove di sera ed era
stanchissimo. Addosso aveva l’odore pungente di antibiotico e disinfettante, ne
era quasi nauseato. Gli avevano detto che si sarebbe abituato, ma dopo tre anni
di studio e tirocini di fine corso cominciava a dubitare che sarebbe mai
accaduto. Almeno faceva ciò che gli piaceva.
Posò la giacca sull’appendiabiti e si fece strada in
soggiorno. Amy era sul divano seduta con le gambe incrociate, un libro sulla
letteratura vittoriana in grembo ed un saggio sull’influenza della censura
letteraria sulle opere del tempo tra le mani. Un incarico apparentemente facile
che le dava una discreta libertà di stesura, ma altrettanto facilmente poteva
spingerla fuori tema.
Non si era accorta di Rory, concentrata a cancellare
forsennatamente un pezzo di tre righe che non la convinceva. Lanciò poi la
penna e parte del saggio sul tavolino di fronte a lei ed appallottolò il foglio
di carta con la correzione prima di lanciarselo alle spalle.
“Hei! Potevi uccidermi!”
Amy si voltò verso di lui poggiandosi col corpo contro lo
schienale; sporse il labbro inferiore in avanti, con le sopracciglia corrucciate.
Sembrava una bambina, ma Rory sorrise avvicinandosi e, prendendole il viso tra
le mani, le diede un bacio. Le labbra della ragazza si rilassarono
immediatamente e si dischiusero per permettere al ragazzo un accesso più
profondo. Subito dopo, le mani di Rory erano sulla sua schiena e le braccia di
Amy attorno al collo di lui a tirarlo con se sul divano. Le mani della rossa
salirono lungo la nuca dell’uomo ad intrecciare le dita tra i capelli biondi,
spingendo la testa con una certa urgenza più vicino a lei quando le labbra di
Rory le percorsero la mascella e si fermarono sul collo.
“Puzzi di ospedale…”
Rory girò la testa quel tanto che bastava per guardarle
il viso.
“Tirocinio. Vado a farmi una doccia.”
Fece per alzarsi, ma Amy lo fermò stringendo la presa su
di lui ed allargò le gambe in modo da accogliere i fianchi di Rory contro i
suoi.
“Fermo dove sei.” Le mani della rossa si spinsero lungo i
fianchi di lui tirandogli via la camicia dai pantaloni, le dita si insinuarono
sotto la stoffa sfiorandogli i fianchi e provocando un suono gutturale nella
gola dell’uomo prima di raggiungere i bottoni della camicia e aprire i primi
due.
“Amy…”
Rory provò a protestare, ma i fianchi di Amy si spinsero
maliziosamente contro di lui provocandone una reazione imbarazzante alla quale
bisognava porre rimedio il prima possibile.
“Amy… chi c’è in casa?”
Amy sorrise maliziosa:
“Clara lavora. John è in camera sua, credo dorma.”
Rory non aveva bisogno di sentire altro, prima di alzare
appena il busto e sfilarle, se non proprio strapparle di dosso, maglia e i
pantaloni. Le sfiorò i seni con le dita mentre si adagiava nuovamente tra le
sue gambe, spingendo volontariamente i fianchi contro quelli di lei e
provocandole un gemito incontrollato. C’era ancora la biancheria a tenerli
divisi.
Tra baci, carezze poco caste ed i successivi sospiri, non
si accorsero del rumore appena percettibile della porta d’ingresso che veniva
chiusa dall’esterno; ma almeno ebbero il buon senso di finire tra le lenzuola
del loro letto ciò che avevano cominciato.
***
Non c’era molto lavoro al Clever Boy quella sera, ma buona
parte dei clienti erano studenti universitari che in periodo d’esami erano
rintanati nelle loro case a studiare come matti.
Dietro al banco bar Clara stava colmando un boccale di
birra scura il cui aroma di caffè le pungeva le narici.
“Beamish… quella all’aroma di caffè. Ma se deve essere
scura, io preferisco una Chimay. Forte, ma il retrogusto di caramello la… addolcisce!”
Clara fermò il rubinetto evitando che la schiuma
fuoriuscisse dal boccale giusto in tempo, voltandosi sorpresa verso il suo
nuovo interlocutore. Non lo aveva visto arrivare, ma la sorpresa svanì dal suo
volto lasciandolo rilassare in un’espressione tranquilla.
“John!” Lei sorrise, sporgendosi vero di lui, lui si
lasciò contagiare e le baciò una guancia.
Clara consegnò il boccale al cliente al banco, tre
sgabelli più in là di John prima di tornare da lui.
“La Chimay è buona. Ma è belga. Ti facevo più il tipo da
birra Svedese.”
John fece una smorfia, raddrizzandosi sullo sgabello:
“Naaa, per favore! Sono per lo più bionde e a me
piacciono le brune. Anche le rosse, ma le brune sono più decise!”
Clara restò in silenzio pesando le parole di John prima
di poggiarsi con i gomiti sul bancone e sporgersi appena verso di lui per
sistemargli il farfallino:
“Stiamo parlando ancora di birre o di ragazze? Ci stai
provando con me per caso, dicendomi in modo velato che ti piaccio in modo
diverso da Amy?”
John si pietrificò, sentendosi infiammare le guance: un
calore improvviso che gli colorò di rosso il viso fino alla punta delle
orecchie mentre scattava sul posto e cercava di giustificarsi:
“Cos.... no… cioè… voglio dire… non intendevo… Oh!
Clara!”
La ragazza scoppiò a ridere mentre lui si sistemava
imbarazzato e confuso il colletto della giacca. L’espressione imbronciata
sebbene sapesse che Clara lo stava soltanto prendendo un po’ in giro, come al
solito.
“Va bene campione, questa birra te la offro io.” La
ragazza si diresse alla spillatrice e riempì un boccale di una qualche birra
scozzese bruna e la offrì all’uomo in segno di pace:
“Carino il farfallino. Nuovo?”
Le parole giuste al momento giusto fecero sorridere John,
trasformando la sua espressione imbronciata in quella di un bambino felice di
mostrare il suo giocattolo nuovo.
“Si! Amore a prima vista, non ho resistito!”
“Amy e Rory?” Chiese la ragazza vagando con lo sguardo ai
tavoli all’interno del locale.
“Sono a casa, erano stanchi. Io invece avevo voglia di
uscire.”
Clara lo guardò non convinta.
“Stavano pomiciando sul divano e sei scappato.”
“Esatto.”
Entrambi scoppiarono a ridere, con lo sguardo complice e
la stessa immagine sdolcinata ed a tratti anche inquietante che per un attimo
attraversò la mente di entrambi.
Nei trentacinque minuti successivi, Clara aveva avuto il
suo da fare con lo spillare le birre per i clienti nuovi e lavare boccali, così
che John ebbe tutto il tempo di ordinare patatine, finire la sua birra ed
ordinarne una seconda. Quando Clara tornò da lui il locale si era un po’
svuotato e si era meritata una pausa, accompagnando John ad un tavolo in
disparte adattato per lo staff e sedendosi con lui.
Parlarono del più e del meno, di come procedesse lo
studio, di quanto fossero difficili i calcoli strutturali per il prossimo esame
di John, della loro vita prima dell’università. La cosa che li accomunava,
però, era la più improbabile ma anche la più triste: entrambi orfani di madre.
“Quindi… tuo padre si è risposato tre anni dopo la morte
di tua madre e a diciotto anni sei andata a vivere da sola. La sua nuova moglie
non deve affatto piacerti.”
“Oh… la odiavo! Non riuscivo a capire come mio padre
potesse essersene innamorato. Era l’esatto opposto di mia madre. Lei era
meravigliosa. Dolce, premurosa, mi spingeva a conoscere il mondo ad ogni passo
insegnandomi però che ogni cosa andava affrontata con il dovuto rispetto e
precauzioni.” L’espressione di Clara mentre parlava di sua madre era di pura
adorazione. “Adesso però… Linda mi è indifferente. Quando a Natale torno a casa
non faccio più caso alle sue battutine pungenti sulla mia prolungata crisi adolescenziale oppure ai suoi commenti su quanto
sia inadeguata la mia voglia di indipendenza e quanto inutile sia studiare
letteratura perché ci sono corsi di
studio migliori e più redditizi per il futuro.”
“Ma tuo padre con lei sembra felice ed è per questo che
ingoi il rospo e vai avanti evitando gli scontri. Nel frattempo stai esplorando
il mondo; non come vorresti, ma come tua madre ti ha insegnato. La tua
impertinenza è solo una forma di autodifesa.”
Le parole di John la colpirono, costringendola a stare
zitta e sospirare. Infine iniziavano a capirsi.
Le labbra di Clara si piegarono in un leggero sorriso
mentre il suo sguardo era malinconico.
Incrociò le braccia sul bancone e vi poggiò sopra la
testa, guardando distrattamente la schiuma densa sulla parte alta della sua
bionda irlandese.
“Tu invece… come mai vivi da solo?”
“Ci sono Amy e Rory con me. Ora anche tu.”
Rispose John evitando il suo sguardo ed immergendo le labbra
nel secondo boccale ormai mezzo vuoto.
“Sai cosa intendo. Ma se non vuoi parlarne…” Rispose
semplicemente Clara.
John fissò lo sguardo su di lei, poggiando il boccale sul
tavolo. Sospirò e si passò la mano sul volto, tirando indietro il ciuffo che
gli copriva metà fronte.
“Ecco… quando mia madre morì avevo dodici anni. Non è
stato facile affrontare la cosa per me, tantomeno per mio padre. Non mi faceva
mancare nulla, si è sempre occupato dei miei bisogni ed era presente nei
momenti critici, mi ha cresciuto
praticamente da solo. Ma col passare del tempo restava sempre più spesso al
lavoro e trascurava tutto il resto. Un giorno, avevo quindici anni, decise che
dovevamo trasferirci, che la casa in cui vivevamo per lui era un tormento.
Avrei potuto ribellarmi, ma lo capivo. In quella casa c’era ancora il profumo
di mia madre, la sua presenza, la sua voce ed il suo viso. Mio padre doveva
averla amata tantissimo per non riuscire a superare il trauma della sua morte.”
John si prese una pausa, portando la mano destra al mento, il gomito puntellato
sul tavolo, poggiandovi sopra il peso
della testa. Clara gli prese l’altra mano stringendola appena tra le sue in un
tentativo di confortarlo. Gli diede il coraggio di andare avanti.
“Trovammo questa nuova casa, in una nuova città, in una
posizione strategica che mi permettesse di raggiungere facilmente la scuola.
Mio padre pensò anche al mio futuro universitario. Le cose però per lui non
cambiarono. A volte avrei voluto che la sua vita prendesse una svolta, che
incontrasse una donna che avrebbe potuto renderlo un po’ meno triste. Non è mai
successo. Cioè… una svolta nella nostra vita c’è stata; ma non come avrei
voluto per lui, comunque. Decise di partire come ufficiale medico per non
ricordo quale territorio di guerra. Lo sento di tanto in tanto ma… non torna
mai a casa. Sono anni che ci incontriamo di sfuggita prima che riparta per
chissà dove.”
Clara poggio la testa contro la spalla di John,
stringendogli il braccio tra le sue.
“Certo che siamo un disastro, io e te.”
John sorrise, poggiando la guancia contro la sua tempia.
“Naaa. Siamo dei bravi ragazzi. Non facciamo male a
nessuno, non ci droghiamo, non ci ubriachiamo…”
Clara si staccò appena per guardarlo e rispondere
ironicamente.
“Sull’ultima questione permettimi di dissentire.” Ed
indicò i due boccali di birra davanti a lui “Inoltre… io sono praticamente scappata di casa...”
John sorrise, scuotendo la testa.
“Non sei scappata. Sei diventata indipendente. È
diverso.” Clara non rispose. Il suo silenzio improvviso sorprese John, ma la
sua espressione rilassata gli faceva capire che in qualche modo lo ringraziava.
“A che ora stacchi?” Alla fine le chiese.
Clara sospirò, portandosi la mano al viso e poggiando il
gomito sul tavolo.
“Giorno di paga. Aspetto la chiusura.” Sospirò, scostando
la sedia e facendo per alzarsi: “E devo tornare al banco bar.”
“Allora aspetto con te e rientriamo insieme.” Rispose
John, scostando anche lui la sedia e facendo cenno di alzarsi con lei in un
gesto galante.
“Non è necessario. Ti annoierai se non ti addormenti
prima sul tavolo: si farà tardi!”
“A maggior ragione, insisto.”
Clara sospirò, ma si arrese. Amava la sua indipendenza,
ma tornare a casa da soli a notte inoltrata un po’ meno e la compagnia di John
non le dispiaceva.
“Perfetto. Avremo modo di parlare dell’affitto durante il
rientro, allora.”
John la guardò confuso. Aveva pattuito con lei che
avrebbero diviso le spese di casa come già faceva con Rory ed Amy, ma la
ragazza a quanto pare non ne era ancora del tutto convinta. Diceva che si
sarebbe sentita un ‘ospite’ e non una coinquilina e non le piaceva approfittare
della situazione.
“Clara…” John sospirò.
“John…”
Quella ragazza era impossibile!
“Devi sempre avere l’ultima parola, vero?”
Clara si strinse nelle spalle mostrando un sorriso
innocente. John scosse la testa lasciando cadere le spalle:
“Undici”
“Cosa?”
“Undici”
Clara lo osservò disorientata prima di continuare:
“Si. Ho capito… ma undici
cosa?”
“Sterline. Non voglio l’affitto, dividiamo le spese e mi
basta. Se però proprio insisti a volermi pagare questo benedetto mensile,
allora facciamo così: undici sterline l’undici di ogni mese. Per restare in
tema, alle undici precise! Se tardi o anticipi non prendo nulla!”
Clara pesò le parole di John, mutando la sua espressione
da turbata a sollevata dedicandogli un sorriso sereno. John era incontrollabile
quasi il più delle occasioni, ma stavolta lei sembrava averla avuta vinta.
“ Va bene. Undici sterline l’undici di ogni mese. Alle
undici del mattino o di sera?”
“E’ indifferente. Sei tu il capo!”
Da quel particolare della loro vita Clara aveva coniato
il soprannome giusto per John. L’undici di ogni mese, alle ore undici
(indipendentemente dal fatto che fosse giorno o sera e sempre in base agli impegni
della giornata) consegnava a John una
busta con dentro le sterline pattuite ed un bigliettino con su scritto ‘Eleven’.
A volte Clara semplicemente gli saltava alle spalle
abbracciandolo e dandogli un bacio sulla guancia mentre ripeteva allegra quella
parola. Entrambi erano tranquilli e contenti della complicità che un’unica
parola gli aveva fatto conquistare. E non poco contribuiva anche il fatto che,
con quelle undici sterline, John riusciva sempre a trovare un regalo adatto da
portarle il giorno dopo. Il primo, indimenticabile regalo, fu una targhetta da
affiggere alla porta della camera di Clara che riportava la scritta: Ragazza
Impossibile.
Clara pensava di avere il controllo, ma forse era
l’imprevedibile John ad averlo.