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Autore: Clexa_LoveBadass    16/03/2015    1 recensioni
"Adoro il rumore delle onde e la fresca brezza sulla pelle. L’acqua è calma, si muove con dolcezza. La luna splende alta e piena nel cielo, riflettendosi al centro del lago.
Ancora una volta sono scampato all’ira degli dei, tornando vincitore da un’impresa che tutti ritenevano impossibile. Invece io ce l’ho fatta e ho donato al mondo nuova speranza.
Sono addirittura finito sull’Olimpo, al cospetto di Zeus e delle altre divinità, che si sono complimentate con me.
Tutti sono felici, perché il pericolo è passato.
Tutti sono entusiasti… tutti, tranne me."
Così inizia la mia storia. E' una delle tante avventure che Percy e i suoi amici si ritrovano a dover affrontare. Però questa volta il pericolo non deriva da un mostro marino o da una divinità avversa. Come la mettiamo se il pericolo siamo noi stessi? O magari una parte della nostra personalità che ci è stata rubata? La situazione non vi è chiara..? Leggete la mia storia e capirete ogni cosa! ;)
(Percy&Annabeth,Percy&Rachel,altri)
Questa è la mia prima fanfiction,spero che vi piaccia! Sentitevi liberi di recensire,consigliare,criticare… e buona lettura!
-Avventura;Romantico-
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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*Narra Percy*
 
Da quel giorno in avanti, ogni volta che camminavo a meno di un metro di distanza da Rachel i ragazzi mi facevano l’occhiolino o mi spingevano nella sua direzione e le ragazze ridacchiavano. Era una situazione molto imbarazzante.
Non vidi più Annabeth, nemmeno durante i pasti. Probabilmente se ne stava tutto il giorno chiusa nella capanna a progettare macchinari tramite il computer che Dedalo le aveva regalato tempo fa. Non so come facesse a mangiare; una volta, a cena, rimasi seduto al tavolo per più di due ore, pensando che si recasse ai tavoli in ritardo, apposta per non vedermi… ma lei non arrivò.
Col passare dei giorni cominciai a notare sempre meno la sua mancanza; dopotutto, non dovevo darle false speranze andando a cercarla.
Rachel, invece, adorava la vita al Campo e non le dava poi così fastidio che molti ragazzi ci provassero con lei. Anzi, sembrava averci preso gusto! Spesso ricambiava i sorrisini o accettava di essere accompagnata fino alla capanna.
Forse a lei faceva piacere, ma io cominciavo proprio a essere stufo di trovarmi i suoi ammiratori fuori dalla porta, con enormi mazzi di fiori o lettere d’amore scritte su carta rosa shock! Una volta ne avevo letta una ed era così sdolcinata che mi aveva dato la nausea!
Una sera si presentò alla nostra capanna – per passare un po’ di tempo con la mia amica – Malcolm, un figlio di Atena, e non appena mi vide il suo volto s’indurì. Mi chiesi che problema avesse, dopotutto eravamo sempre stati buoni amici.
Comunque non ebbi la possibilità di chiederglielo, perché in quel momento arrivò Rachel e, dopo averlo ringraziato per la visita, lo congedò.
Rientrammo, mi sedetti sul bordo del letto – per fortuna ne avevano ordinato un altro per la mia coinquilina – e aspettai che lei si accorgesse delle mie occhiate fulminanti.
Dopo parecchi minuti esclamò << Ok, mi arrendo! Dimmi che c’è che non va, per favore! >> Si sedette accanto a me e mi fissò con aria interrogativa.
<< Dovresti averlo capito: mi sono stancato dei tuoi corteggiatori! >> le risposi, imbronciato.
<< Perché? Sono così gentili! >> sembrava davvero spaesata dalla mia risposta.
<< Oh sì, soprattutto quando ti scrivono che sei più bella di Afrodite o più delicata di una ninfa! >> risposi, pentendomene all’istante.
<< Hai letto le lettere che mi hanno scritto? >> strillò infuriata, scattando in piedi all’istante.
<< Ehm… giusto un paio! >> mormorai, facendomi piccolo piccolo.
<< Percy Jackson, come hai osato farlo? >> mi trafisse con lo sguardo, arrossendo per l’imbarazzo.
<< Dai, non prendertela! Non erano questo granché, troppo sdolcinate! >> dissi io, tentando di smorzare la tensione.
<< A me piacciono! >> rispose lei, con un tono di voce a dir poco acido.
“Ah sì? Bene, ora mi hai fatto davvero infuriare!” pensai.
<< Beh, allora se ti stanno così simpatici, perché non vai da loro? >> le dissi tagliente.
Lei abbassò lo sguardo, con un’espressione triste sul viso.
“Forse ho esagerato…” pensai mordendomi il labbro inferiore e pentendomi all’istante di essermi arrabbiato per un motivo tanto futile.
Dovevo per forza risponderle in quel modo?! “Idiota.” mi dissi.
<< Ehi Rach… scusa, davvero… mi sono lasciato prendere dalla rabbia >> mormorai, desolato.
<< Solo dalla rabbia? >> chiese, guardandomi con occhi furbi e un grande ghigno si dipinse sul volto. Sapevo dove voleva andare a parare e, in fondo, perché avrei dovuto negarlo ancora?
<< Ok, forse c’è anche un pizzico di gelosia… >> ammisi, avvampando.
<< E come mai sei geloso… ?>> continuò lei.
<< Perché ci tengo a te… >> risposi con voce flebile, diventando sempre più rosso.
<< Ci tieni… e basta? >> insistette.
<< Ok, ci tengo parecchio… ti voglio bene, Rachel… >> confessai, con tutto il coraggio che avevo in corpo. Affrontare Crono sarebbe stato più facile!
Lei sorrise soddisfatta, << Quindi ammetti che ti piaccio? >>
Io annuì, ormai bordò in viso.
<< Bene, ce n’è voluto di tempo, eh? >> disse ridacchiando. << Comunque, per tua informazione, anch’io ti voglio bene… te ne ho voluto fin dalla prima volta che ci siamo visti! >> disse, arrossendo un poco. Tornò a sedersi al mio fianco, sul letto.
<< Fin dalla prima volta che mi hai salvato la vita, vorrai dire! >> aggiunsi io, sorridendo.
 << E’ vero, senza di me saresti morto molto tempo fa! >> esclamò, orgogliosa.
<< …Grazie ancora. >> dissi, fissandola intensamente negli occhi.
Lei si avvicinò lentamente, ricambiando lo sguardo. Mi ero già trovato in quella situazione con Rachel. Con la piccola differenza che, la prima volta, lei non mi aveva dato il tempo di reagire!
Ora, invece, avrei potuto fermarla e andarmene… ma non lo feci. Le sue morbide labbra si posarono sulle mie e chiusi gli occhi, dimenticando all’istante tutti i problemi. Pensavo solo ed esclusivamente a lei.
Il suo profumo di fragola e pesche m’invase il cervello, lasciandomi stordito.
Quando quel momento magico finì, però, le ombre tornarono a invadere la pace nel mio cuore.
Per il resto della serata faticammo a guardarci in faccia senza arrossire!
Finalmente, arrivato il momento di andare a dormire, potei pensare lucidamente.
A letto, faticai a prendere sonno e ne approfittai per riflettere. “E’ successo di nuovo… a questo punto cosa siamo Rachel ed io? Una coppia? O solo amici che si vogliono molto bene? Però, c’è qualcosa che non va. Non so perché, ma temo che questa situazione non durerà… ho un terribile presentimento.” poi mi addormentai, tormentato dai dubbi.
Stranamente non sognai, o forse non ricordo… comunque, fu una notte tranquilla.
Il giorno seguente, evitammo di parlare della sera prima. C’era una strana atmosfera nell’aria. “Ho ancora quella brutta sensazione…” pensai, nervoso.
<< Percy! Ehm… mi passeresti la spazzola? >> urlò Rachel.
<< Certo… >> e gliela portai, immerso nei miei pensieri.
<< C’è qualcosa che ti preoccupa? Te lo leggo negli occhi, hai la testa da un’altra parte! >> chiese lei.
<< No… è tutto ok… >> dissi, senza nemmeno guardarla.
<< Senti… non vorrei farlo, ma è importante, credo. Devi sapere che questa notte ho fatto uno strano sogno… >> disse, con tono preoccupato.
<< Di che si tratta? >> domandai, improvvisamente catapultato nella realtà.
<< Di… di Annabeth. >> mormorò lei.
Senza ragionare, l’afferrai per le spalle e le chiesi, con occhi spaventati, << Cosa ha Annabeth? Cosa le è successo? Che hai visto? >>
<< Percy, mi fai male! >> strillò lei, con le lacrime agli occhi.
Allentai la presa, poi feci un bel respiro e chiesi di nuovo, sforzandomi di stare calmo << Scusa. Ora, per favore, raccontami il tuo sogno. >>
<< Perché t’importa così tanto? >> urlò lei, arrabbiata e triste al contempo.
<< Che razza di domande fai? Annabeth è una mia amica! Ora dimmi cos’hai visto, ti prego! >> non c’era tempo da perdere. Temevo che il sogno di Rachel potesse essere, in qualche modo, collegato al mio brutto presentimento.
Lei, piangendo, rispose << Era… era nel mezzo di una foresta. Sembrava che cercasse qualcosa… >> aveva lo sguardo basso.
<< Nient’altro? >> chiesi impaziente. Non avevo abbastanza indizi…
<< No, è stato un flash! È scomparso subito! >> rispose.
<< Ne sei certa? >> non sapevo se fidarmi di lei, in questo caso.
<< Non mi credi? Davvero pensi che potrei fare apposta a non aiutarti per gelosia? >> esclamò indignata. << Non ti facevo così, Percy Jackson! Sai che ti dico? Vai al Tartaro! >> e corse fuori dalla capanna, sbattendosi la porta alle spalle.
In parte mi dispiaceva, ma non avevo tempo per quello. Dovevo trovare Chirone, sicuramente lui sapeva qualcosa!
Mi catapultai alla Casa Grande, interrompendo una conversazione tra il vecchio centauro e il signor D. << Arrivi in un momento inopportuno, Johnson. >> Mi disse Dionisio – alias signor D, dio del vino, signor direttore del Campo – come al solito fingendo di non ricordare il mio nome.
<< Chirone, noi due dobbiamo parlare. >> dissi, senza degnare di uno sguardo la divinità.
<< Irrispettoso come sempre >> soffiò il signor D, per poi dileguarsi nell’altra stanza.
Fissai il centauro, in attesa di una risposta. Quest’ultimo finì di sorseggiare la sua cioccolata, posò la tazza e disse << Sapevo che questo momento sarebbe arrivato. >>
<< Dov’è Annabeth? >> chiesi, senza troppi giri di parole.
<< E’ partita tre giorni fa >> rispose, con la sua solita calma.
<< Partita? Le avete affidato un’impresa? >> chiesi, sempre più preoccupato.
<< Non è esattamente un’impresa organizzata dal campo. >> chiarì, poi aggiunse. << Diciamo che è stata lei a supplicarmi di lasciarla partire… così abbiamo deciso di considerarla un’impresa ‘personale’. >>
<< L’avete lasciata andare da sola? >> chiesi infervorandomi.
<< Ha chiesto esplicitamente di non essere accompagnata… e di non farne parola con te. >> mi rispose, forse sentendosi un po’ in colpa. Dopotutto, era sempre stato un tipo prudente, non faceva sciocchezze; ma in questa situazione…
<< Dannazione! >> urlai, sbattendo il pugno sul tavolo e facendo cadere la tazza, che andò in mille pezzi sul pavimento. << In che cosa consiste la sua impresa? Dov’è andata? >> ero fuori di me.
<< Mi dispiace, Percy, ma non posso proprio parlarne. >> disse con aria abbattuta.
<< Gliel’ha fatto giurare sullo Stige? >> non volevo darmi per vinto tanto facilmente… e la fortuna, per una volta, fu dalla mia parte.
<< No, ma… >> provò a controbattere. Se l’avesse giurato sullo Stige – il sacro fiume degli Inferi – non avrebbe potuto rompere la promessa e nemmeno aggirarla.
<< Allora me lo dica! >> esclamai io, << Sa bene che è in pericolo! Ha bisogno di aiuto, qualsiasi cosa stia facendo! >>
<< Percy, sono un centauro di parola. >> disse, scuotendo la testa, << Non posso ignorare la richiesta della signorina Annabeth. >>
A quel punto esplosi. Lasciai che tutta la rabbia che avevo in corpo si tramutasse in una forza imparagonabile. Si sentì un frastuono infernale e molti ragazzi uscirono dalle capanne per capire cosa stesse succedendo.
Chirone corse fuori dalla Casa Grande e, spalancando la bocca in una smorfia terrorizzata, guardò con orrore il lago che prendeva la forma di un’onda gigantesca.
L’acqua aveva risposto al mio comando e, se si fosse schiantata sul Campo, avrebbe distrutto ogni cosa.
Sentivo i ragazzi urlare, altri scappare in ogni direzione… ma nulla sarebbe rimasto in piedi, se colpito da quello tsunami.
Ero furioso, desideravo ardentemente lasciare che l’onda travolgesse tutto, per sfogarmi. “Tanto io non morirei.” pensai. Perfino la voce nella mia mente aveva un tono malefico.
<< Percy! >> urlò il centauro dall’esterno. Io non mi girai nemmeno, continuando a fissare i cocci della tazza sul pavimento. L’onda si faceva sempre più vicina.
<< Fermati, ragazzo mio! >> pregò Chirone, << Se quell’onda dovesse colpirci… sarebbe la fine per tutto il Campo! >>.
“Che me ne importa?” pensai.
<< Ragiona, non lasciarti trasportare dalla rabbia! >> insistette lui.
“Io capisco benissimo… che hai bisogno di una bella lavata…” e lasciai avanzare pericolosamente l’onda.
<< Annabeth non lo vorrebbe! >> esclamò. Ora giocava la carta del senso di colpa.
“Che importanza ha? Se muore, non potrà comunque tornare al Campo.” risposi mentalmente.
L’acqua arrivò a pochi metri dal centauro, lasciandolo senza via di fuga. << Va bene! >> urlò, << Ti dirò tutto ciò che so, lo giuro sullo Stige! >>. Si sentì un tuono temporalesco: il patto era stretto e non poteva essere infranto.
Mi sembrò una proposta ragionevole, così lascia che l’onda si ritirasse, tornando ad essere un innocuo laghetto.
Chirone sospirò di sollievo, rientrando nella stanza. Era stato piuttosto difficile placare l’ira che c’era in me… ma era bastato il pensiero di Annabeth al mio fianco, al sicuro, per calmarmi.
Il centauro si sedette, scrutandomi con diffidenza. Cominciò a parlare, misurando attentamente le parole, come se fossi una bomba a orologeria e potessi esplodere da un momento all’altro. << Annabeth stava… sta molto male, Percy. >> spiegò con aria preoccupata. Vedendo la mia faccia terrorizzata, aggiunse in fretta << Non intendo dire che è malata o cose simili! Sta male ‘dentro’… quando è venuta a parlarmi… non so, sembrava diversa. Aveva uno sguardo vuoto, una voce debole e gli occhi rossi, come se avesse pianto ininterrottamente per giorni. Non l’avevo mai vista così. >> disse con voce tremante, come se il solo ricordo gli desse i brividi.
<< Continui… >> mormorai.
<< Mi disse che aveva preso una decisione. Una decisione molto importante, e che nulla le avrebbe fatto cambiare idea. Spiegò che aveva deciso di partire e che aveva solo bisogno della mia approvazione. Voleva fare le cose per bene, secondo le regole del Campo, ma piuttosto che ripensarci era disposta a scappare… >> raccontò tristemente.
<< Qual è l’obiettivo della sua impresa? >> chiesi impaziente.
<< Deve trovare Mnemosine, la dea della memoria. >> spiegò.
<< Perché? >> chiesi, sempre più vicino alla verità.
<< Non dovrei dirtelo… ma non posso evitarlo. Vuole chiedere alla dea di cancellare parte dei suoi ricordi… >> confessò, scrutandomi. Sapevo cosa stava per rivelarmi, ma non potei fare a meno di sperare di sbagliarmi. << Vuole dimenticarti, Percy. Vuole chiederle di cancellare ogni ricordo che ha di te dalla sua mente. >> concluse lentamente.
Annuii. Lo sapevo, me l’aspettavo. Però fu comunque un brutto colpo. << Lei sa dove si trova questa dea? >> chiesi, con voce flebile.
<< Si trova nella foresta dell’Amazzonia. Per la precisione, in un luogo mai raggiunto dagli umani: il centro esatto di quell’enorme distesa d’alberi. >>
<< Annabeth lo sta cercando… Rachel l’ha vista in sogno vagare per la foresta. In quella visione, però, Annabeth si era persa e non aveva idea di dove andare. >> dissi.
<< Cos’hai intenzione di fare, Percy? >> mi chiese, anche se ovviamente conosceva già la risposta.
<< Andrò a cercarla. Parto immediatamente. >> risposi, senza pensarci due volte.
<< Sicuro che sia la cosa migliore da fare? >>.
<< Non posso perderla. >> tagliai secco la conversazione. Corsi fuori e, portandomi due dita alle labbra, fischiai.
Blackjack – il mio fidato pegaso nero – arrivò volando e atterrò poco distante. Gli saltai in groppa e urlai << Alla foresta Amazzonica! >>.
Abbassando lo sguardo, vidi il Campo diventare sempre più piccolo e… in mezzo al prato, una massa di capelli rossi mi fissava. Con un cenno della mano, salutai Rachel un’ultima volta, prima di sparire nell’immensità del cielo.
   
 
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