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Autore: DodoLamb    17/03/2015    0 recensioni
L'amore è cieco secondo Cupido, ma per alcuni si trasmette proprio visivamente. Non si sa bene cosa sia l'amore, ed è per questo che scrivo. Scrivo per raccontare di me, di Luca (nome di fantasia) e per raccontare della nostra storia. Una storia tormentata, che vive costantemente colpi di scena tortuosi e dirompenti.
Genere: Malinconico, Romantico, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Mi avvicinai con totale disinvoltura. Speravo, anzi ne ero sicuro, che lui avrebbe ricambiato tutto ciò che sarebbe conseguito. Un bacio passionale, inatteso, struggente, focoso. Era ciò che mi aspettavo, ciò che sognavo notti su notti. Ed era ciò che, ovviamente, speravo capitasse. Ma erano sogni. Ed i sogni difficilmente si avverano, se non in rari casi. Tutto ciò che di più bello mi potesse capitare nella vita, già stava accadendo. E cosa avrei fatto in futuro, se non ricordare questo aulico momento? Avrei continuato a vivere di rimpianti, di ricordi di questo attimo fuggente, di questo bacio concesso all'insegna di Paolo e Francesca. Quasi come se volessimo imitarli, pensavo. Loro si innamorarono con il Lancillotto, mentre noi con la loro meravigliosa storia. Che poi, in fondo, meravigliosa lo era solo dal mio punto di vista. Il mio collo sembrava esteso quanto quello di una giraffa. Anche io avevo bisogno di concretizzare i miei sogni, di assaporare ogni tenera viscera dell’amore. Ma quello non fu il momento più adatto, anzi sicuramente non fu il momento giusto. Luca mi osservava teneramente, ma sembrava perso ed estasiato, quasi come se fosse stato anestetizzato. Mi guardava. Ed io lo guardavo. D’un tratto, prendendo un pezzo di carta, esclamò «Ecco, proviamo. Se io disegno un cuore, che senso ha? Perché l’amore esiste? No, no, il cuore non c’entra nulla con l’amore. L’amore è vile quanto il metallo». Provai un senso di disgusto che mai ebbi modo di gustare. Uno schifo totale. Inorridii. Non credevo che Luca potesse farmi questo scherzo, assolutamente no. Non avrei mai pensato che Luca non alludesse ad un bacio passionale, un bacio come quello di Teresa per l’Ortis o di Paolo per Francesca. No, nulla di tutto ciò. Rimasi sbalordito, mai nessuno riuscì a rendermi così estasiato dal cambiamento come Luca. Ero convinto che lui mi volesse. Ero certo che mi volesse, credevo che mi volesse. Ma, no. Voleva che gli spiegassi uno di quegli orrori che disegnava. Nemmeno un cuore riusciva a disegnare, però viaggiava sui massimi sistemi dell’amore. «Quando si dice pratica, è pratica però» mi venne da replicare d’istinto, esclamando,. Non riuscii a controllare il mio cervello, le mie corde vocali, il mio cuore. Ora capivo ciò che significasse essere un eroe romantico. Una persona tormentata, sempre delusa da tutto e da tutti. E persino in quelle circostanze in cui la meta sembrava l’elemento più banale da raggiungere. Luca mi guardò male, forse maliziosamente, accennando un timido sorriso, ed io continuai, sperando che non si accorgesse della figuraccia che improvvisai. «L’amore è vitalità, è la primavera. Amore è pace, tranquillità, serenità, benessere. Il cuore ci permette di vivere, è la nostra vitalità, la nostra pace, la nostra tranquillità» continuando «…niente, tutto qua». Le parole che dissi furono cariche di tristezza, quasi come se io stesso non credessi o non volessi accettare quanto dissi. «Ah, ho capito, va bene». La discussione cadette velocemente. Guardai il cellulare. Era una mia amica, la solita rompi palle che, nonostante tutto, ti salva sempre – senza nemmeno saperlo – dalle cose. «Che fai oggi? Ti aspetto alle 17.30 in Via Napoleone, così facciamo un giro…se vuoi!». Vidi l’ora. Erano già le 16.30. Un’ottima scusa per fuggire via. Luca era impegnato a parafrasare Paolo e Francesca, chissà se avrebbe mai capito quanto lo amassi. O cosa fosse l’amore, prima di tutto. Forse mai. «Uhm, senti, io dovrei andare ora. S’è fatto tardi, e dovrei tornare a casa». Non potevo di certo dirgli che me ne sarei andato per fuggire da lui, dal mancato bacio, che me ne sarei andato con una mia amica in giro per non pensarlo. Non avrei potuto sicuramente dirgli nulla di tutto ciò. «Di già? Ma è presto, dai, sono solamente le 16.30!» rispose tempestivamente Luca. «Sì, lo so, ma mia madre mi ha inviato un messaggio. E’ urgente, devo tornare, davvero» continuando «Ci sentiamo un altro giorno, se vuoi, va bene?». Sembrava che gli avessi detto quella solita frase che, all’uscita di un colloquio di lavoro, si è solito dire. «Va bene, le faremo sapere». Una classica frase per liquidare le persone senza demoralizzarle. Un po’ come se avessi voluto dire “non ti preoccupare della cantonata che ho preso, non ti preoccupare del fatto che io stia male per te in questo momento. Non ti preoccupare perché ci rivedremo”. Anche se, poi, forse, non ci saremmo più rivisti. «Dai, va bene, ci sentiamo un altro giorno. Anzi, aspetta, non è che mi dai il tuo numero?» «Sì, 3384542951». Mi accompagnò dalla porta, molto amichevolmente, e mi salutò. Il destino, sì. Colpevole di ogni cosa che non si possa spiegare. Ma, in fondo, il destino non ha colpe. Il destino non può prevedere tutto ciò che avremmo voluto che accadesse. Il destino è artefice delle sventure, ma anche e soprattutto delle fortune. Le fortune, sì. L’invidia è una di queste. Sentivo che Luca fosse ancora con me, fosse ancora parte di me. Perché così era e nessuno avrebbe mai potuto togliermelo.
   
 
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