Il maggiordomo
“Signorina Anna, cosa fa là a terra?”
“Nulla di cui ti debba preoccupare, Brandon.
Torna pure alle tue faccende”.
Anna non voleva spiegare apertamente al maggiordomo cosa stesse facendo,
nonostante fosse facilmente intuibile; ha sempre avuto l’impressione che tutti,
non solo i suoi genitori, cercassero di tenerla lontana da sua sorella usando
una serie di scuse patetiche a cui lei non aveva mai creduto. Questa volta
sarebbe andata fino in fondo, a costo di ammanettarsi alla maniglia di quella
porta. Avrebbe tenuto lontano chiunque avesse tentato di distoglierla
dall’obiettivo, a costo di risultare antipatica e sgarbata.
“Ma, principessa, dovrà pur fare colazione…”
“Puoi portarmela qua, ti ringrazio Brandon” disse
Anna, in un tono che non voleva sentire repliche.
“Certo, Altezza” rispose il maggiordomo, e si diresse verso le cucine.
Anna spostò lo sguardo dal maggiordomo - che si stava allontanando - alla
porta che aveva di fronte a sé.
Si alzò in piedi, si sistemò il vestito e si poggiò sul davanzale della
finestra, continuando ad osservare la porta della stanza della sorella.
“Buongiorno, Elsa. Sei già in piedi? Oppure dormi?”.
Appena finì di pronunciare quelle parole avvertì dei passi provenire dalla
stanza di fronte a lei; abbassò lo sguardo e vide, dallo spiraglio della porta,
un’ombra che si allontanava. Capì quindi che la sorella era rimasta dietro la
porta fino a quel momento.
“Bene, sembra di sì. Coff coff”. Un colpo di tosse. Probabilmente la notte appena
passata distesa sul pavimento gelido non aveva giovato alla sua salute…
“Che facevi là dietro? Stavi verificando che fossi ancora qui? Ebbene sì,
sono ancora qui, e non ho intenzione di andarmene. Non per il momento, almeno”.
Passò qualche minuto di silenzio, interrotto poi dall’arrivo del
maggiordomo Brandon che portava un vassoio in una
mano e un altro vassoio nell’altra.
“Ecco la vostra colazione, signorina. Sicura che non voglia gustarla più
comodamente seduta ad un tavolo, magari nella sua stanza?”.
“No, Brandon, qua andrà benissimo. Dai a me, ci
penso io” si sporse per prendere il vassoio, ma si bloccò quando
notò che ne portava due.
“Ehm… qual è il mio?” chiese Anna.
“Quello alla vostra sinistra, principessa” rispose.
‘Immagino che quest’altro sia di Elsa. Giusto, ovviamente deve mangiare
anche lei’ pensò la rossa mentre sfilava il suo vassoio dalla mano di Brandon. Ringraziò il suo maggiordomo, posò il vassoio sul
davanzale e si mise da parte ad osservare il maggiordomo che si avvicinava alla
porta della sorella.
“Principessa Elsa” chiamò Brandon, picchiettando
alla porta. “Le porto la colazione”.
Anna osservava, attenta.
Questa volta non poteva non aprire, a meno che non volesse rimanere a
digiuno. Pensandoci bene, probabilmente sarebbe anche stata in grado di farlo…
Ci furono attimi di silenzio, poi si udì il rumore della chiave nella
serratura.
La porta si aprì appena. Anna si sporse con la testa nel tentativo invano
di vedere qualcosa oltre la testa di Brandon, ma così
non fu.
Il maggiordomo si infilò velocemente dentro la stanza e la porta si
richiuse con uno scatto fulmineo.
Anna non provò nemmeno ad avvicinarsi, non sarebbe servito a niente; aveva
deciso che, almeno all’inizio, avrebbe atteso fino a che la sorella non si
fosse convinta a farla entrare di suo spontanea volontà. Entrare con la forza,
infondo, a che sarebbe servito? A nulla, assolutamente a nulla.
Si voltò, prese il vassoio e con la delusione sul volto si sedette sulla
coperta in cui aveva dormito, a terra.
Cominciò a spalmare il burro su una calda fetta tostata quando il rumore
della maniglia che si abbassava le fece alzare lo sguardo verso la porta di
fronte a lei.
Brandon uscì, ma nella fretta
inciampò sul tappeto del corridoio, spintonando appena la porta che si aprì
ancora di più. Questo fatto inaspettato fece passare allo scoperto Elsa agli
occhi di Anna, che inaspettatamente si ritrovò ad osservare la più piccola, a
pochi metri da lei, con uno sguardo spaventato, come se avesse appena commesso
un errore imperdonabile.
Anna, che era rimasta a guardare la scena con ancora la fetta tostata in
una mano e il coltello dall’altra, puntò anche lei gli occhi su quelli della
bionda. Notò la paura di Elsa, e questo la lasciò perplessa. Perché aveva così
paura di incontrarla, di incrociare il suo sguardo? Cosa poteva averle mai
fatto per farle avere così paura di lei?
Dall’altro lato, invece, Elsa notò la tristezza, l’incertezza e lo
sconforto dietro lo sguardo della sorella, e sentì il cuore spezzarsi. Sarebbe
crollata se non avesse messo subito fine a questa scena così spiacevole.
“Sono estremamente dispiaciuto principessa, il tappeto…”
“Non preoccuparti, Brandon, non è successo nulla.
Grazie per la colazione” e con uno scatto, Elsa richiuse la porta dietro le
spalle del maggiordomo, che nel frattempo aveva ripreso l’equilibrio.
Anna abbassò lo sguardo. Più che risposte stava trovando altre domande,
domande e ancora domande.
“Lei ha bisogno di qualcos’altro, signorina?” le chiese il maggiordomo.
“No. No, sto a posto, grazie”. ‘Avrei bisogno di risposte’, pensò la
ragazza.
Il maggiordomo con un inchino salutò la principessa e se ne andò. Anna
riprese a spalmare la marmellata sulla sua fetta tostata, con più lentezza di
prima, immersa nei suoi pensieri.
“Sai…” parlò, rivolgendosi alla sorella “... non
mordo mica. Potevi anche salutarmi” concluse.
Aspettò una contro risposta dall’altra parte che sembrava non voler
arrivare, così fece un sospiro e riprese a parlare “Credo sia ovvio che non
parlerai, perciò… Va be’,
buon appetito. Coff Coff”.
Di nuovo un colpo di tosse. Anna non ci fece molto caso e addentò la sua fetta
tostata, ormai piena di marmellata.
Elsa, dall’altra parte, si era seduta sulla sedia del tavolo dove era
apparecchiata la colazione, ma a tutto stava pensando meno che a mangiare.
Incontrare lo sguardo di Anna, ascoltare quelle parole così sincere, quello
sguardo, era stato un altro colpo al cuore. Una piccola bufera di neve cominciò
a vorticarle intorno, ma lei nemmeno ci fece caso. Anche il tè che le aveva
portato il maggiordomo ormai era diventato un blocco di ghiaccio.
Pensò a quanto avrebbe resistito, quanto avrebbe permesso ancora al suo
senso di colpa di torturarla.
Mai come in quel momento si sentì così in trappola.
Appoggiò le braccia sul tavolo e vi ci rannicchiò la
testa, lasciando che calde lacrime le sgorgassero dagli occhi, buttando fuori
tutta la rabbia verso quel potere che l’aveva resa prigioniera.
NdA
Wow, sono davvero passati due mesi dal
primo capitolo °-°?
Come passa in fretta il tempo!
Devo dirvi la verità, la storia non è
completa; quando mi viene l’ispirazione scrivo 2, 3, 20 righe…
perciò scusatemi se vi farò aspettare un po’ da un capitolo all’altro!
Vi ringrazio per la pazienza, per aver
recensito e anche solo per aver letto la storia <3.
Un abbraccio,
Enya