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Autore: edoardo811    18/03/2015    1 recensioni
[Anarchia: La notte del giudizio]
America 2025
La disoccupazione è ridotta al 3%, la criminalità è quasi inesistente e ogni anno sempre meno persone vivono sotto la soglia di povertà
[...]
"Questo non è un test. E’ attivo il vostro programma di emergenza che annuncia l’inizio dello Sfogo annuale sancito dal nostro governo. Possono essere utilizzate tutte le armi di classe 4 o inferiore, le altre sono proibite. Ai funzionari amministrativi di livello 10 viene concessa l’immunità. Al suono della sirena, ogni crimine, incluso l’omicidio, sarà legale per le successive dodici ore. Tutti i servizi di emergenza saranno sospesi. Il governo vi ringrazia per la vostra partecipazione."
La notte dello Sfogo, un'occasione annuale per potersi liberare di ciò che ci opprime e purificare le nostre anime. Quattro persone si ritroveranno nel posto sbagliato al momento sbagliato, riusciranno a sopravvivere?
Fic ispirata all' omonimo film.
[SOSPESA][MORTA]
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Violenza
Capitoli:
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Capitolo

III

Preparativi

 

Ore 18:10

Tempo rimasto allo sfogo annuale: 50 minuti.

Kevin riaprì lentamente gli occhi, mugugnando di dolore. La testa gli faceva un male pazzesco e gli pulsava terribilmente. Ogni movimento degli occhi gli causava dolore, anche solo pensare gli arrecava sofferenza. Ci mise un attimo per ricordare cos’era successo. Erano scesi da un’auto e lo avevano aggredito con delle mazze, poi era svenuto. Quando riuscì a mettere a fuoco con la vista, ancora annebbiata, si rese conto di trovarsi proprio in una macchina, con tutta probabilità lo stesso fuoristrada da cui erano scesi i suoi aggressori. Riconobbe subito l’artefice di tutto quello, che dal sedile del passeggero lo fissava con quell’aria di superiorità. Fece per muoversi, ma realizzò di essere bloccato. Guardò prima a destra, poi a sinistra e vide quei gorilla che lo tenevano bloccato per le braccia, le mazze da baseball adagiate sui tappetini ai loro piedi.

Nicols allargò il ghigno sul volto. «Ti sei svegliato, Berrier!»

Kevin era immobilizzato, ma nulla al mondo gli avrebbe impedito di far sparire quel sorriso dal volto di quel bastardo. Gli sputò in faccia, ma non prima di essersi assicurato di avere sufficiente catarro in gola. Nicols fece un verso di sorpresa e disgustato. Fu il turno di Kevin a sorridere, ma durò poco. Si becco due pugni in faccia dai gorilla che lo tenevano bloccato. Fece un verso di dolore quando le nocche di quei vermi gli scorticarono il volto. Avrebbe voluto dimostrare di essere più forte di loro e rimanere impassibile di fronte al dolore, ma non ci riuscì.

Nicols nel frattempo si ripulì dello sputo che fino a poco prima gli colava sulla guancia e digrignò i denti. Sferrò un pugno a sua volta a Kevin, facendolo gemere di nuovo.

Kevin cominciò ad irritarsi. Senza quei due a tenerlo bloccato, Nicols non sarebbe mai riuscito a colpirlo. Si credeva furbo a difendersi dietro ai suoi amici, quel buono a nulla. Sono tutti bravi a fare i gradassi quando hanno il culo parato.

«Non dovevi farlo Berrier, no, no, no...» incalzò Nicols strofinandosi ulteriormente la manica sulla guancia, per poi guardarla schifato. «Ma guarda te...la mia maglia firmata...sei un ragazzo morto Berrier...»

Un ragazzo morto. Quella frase fece sgranare gli occhi a Kevin. Mancava poco allo sfogo, oramai. In giro non c’era più nessuno, se non i folli che avrebbero partecipato all’evento. Il fuoristrada nero vagava solo per quelle strade deserte e desolate. Era inquietante vedere la loro città così silenziosa e vuota. E loro lo avevano appena rapito. Elaborò quelle informazioni e cominciò lentamente a giungere ad una conclusione.

«Non vorrai mica...uccidermi durante lo Sfogo?» domandò cercando di apparire sicuro, non riuscendoci. La sua voce tremolò lievemente, per via della paura.

Nicols rispose con un ghigno divertito e scosse lentamente la testa. «Oh, certo che no! Non mi sporcherei mai le mani con la feccia come te! Ma, come puoi ben vedere, le strade sono deserte, e siamo molto lontani da casa tua. Inoltre manca meno di un’ora all’inizio dello Sfogo. No, no, non ti ucciderò io...semplicemente, ti scaricheremo in centro città a meno di mezz’ora dall’inizio. Ti ritroverai a piedi e da solo e quando lo Sfogo comincerà ti ritroverai addosso ogni qualsivoglia di malintenzionato presente nella zona. Saranno loro a farti fuori. Geniale, non trovi?»

Kevin inorridì. Il piano di Nicols era dannatamente contorno e, sì, sotto certi punti di vista pefino furbo. Voleva sbarazzarsi di lui, ma non aveva il coraggio di ucciderlo di persona, così lo scaricava in centro in piena balia di quei pazzi truccati con la pittura di guerra. Ma quando realizzò di apparire davvero spaventato, suscitando il divertimento nei suoi aguzzini, si ricompose e cercò di mostrarsi sicuro. «Oh sì, davvero geniale. Mi sorprende che un coglione del tuo calibro abbia studiato un piano del genere...»

Un altro pugno e un altro gemito di dolore. Kevin abbassò la testa, mentre sulla sua guancia compariva un lieve ematoma.

«Hai poco da fare il furbo, Berrier. Ormai stai per giungere al capolinea.»

Kevin tossì e sputò di nuovo, sul tappetino della lussuosa auto.

«Ehi!» esclamò indispettito l’autista. «Non sputarmi sulla macchina!»

Kevin sollevò di nuovo lo sguardo gemendo e fissò dritto negli occhi il folle che lo teneva prigioniero. «Perché vuoi che io muoia? Dopotutto, tra noi sono solo volate parole e pugni, e tra l’altro ogni volta hai sempre cominciato tu! Uccidermi...non ti sembra una cosa un po’ eccessiva?»

«Ma infatti non sarò io ad ucciderti, lo hai già dimenticato?» domandò Nicols senza far sparire quello strano sorriso. Quel sorriso...folle.

A quel punto Kevin capì. Nicols era completamente fuori di testa. Probabilmente aveva qualche malattia mentale. Ma non per scherzo. In effetti, i suoi genitori gli avevano detto di non dargli troppa corda, che non era molto a posto. Credeva che glielo avessero detto semplicemente perché non volevano che si azzuffasse con lui e ritrovarsi in casini penali di conseguenza. A quanto pare erano seri. Si voltò verso i due che lo tenevano bloccato. Sperò che almeno loro potessero farlo ragionare. Invece sorridevano allo stesso modo di Nicols. Anche loro erano fuori di testa. L’autista pure. Tutti in quel cazzo di paese ormai avevano perso la sanità mentale. I nobili soprattutto. Con quella storia della purificazione, avevano fatto il lavaggio del cervello a tutti i loro figli e conoscenti. Ma cosa c’era da aspettarsi da una nazione che permetteva una cosa orribile come lo Sfogo?

Si sentì piccolo e impotente sotto gli sguardi folli dei suoi aguzzini. Lo avrebbero scaricato in centro e lo avrebbero abbandonato al suo destino. Nessuno l’avrebbe salvato. Nessuno gli avrebbe aperto la porta e fatto entrare. Nessuno sarebbe andato a prenderlo, per paura. Un sacco di gente finge di essere in pericolo per poi accoltellare i propri salvatori all’inizio dello Sfogo. Era solo. Il panico si insinuò dentro di lui e non riuscì più a calmarsi. Cominciò ad agitare le braccia, a scalciare a urlare e fare di tutto per liberarsi della loro presa, scendere da quella macchina e fuggire finché era in tempo. L’unico risultato che ottenne, furono dei sorrisi ancora più folli e divertiti da parte dei tre ragazzi, Nicols in particolare.

«E’ tutto inutile, Berrier...sei mort...»

«VAFFANCULO!» sbraitò Kevin sferrando una pedata in pieno volto al ragazzo, facendolo indietreggiare e sbattere contro il cruscotto.

«Ahia...» si lamentò Nicols massaggiandosi il naso, per poi accorgersi che stava sanguinando. Fissò il sangue che gli imperlava le dita prima sorpreso, poi furibondo. «Tu...come hai osat...»

«LASCIATEMI!» urlò Kevin agitandosi ulteriormente, ammutolendo Nicols e riuscendo anche a sferrare delle gomitate ai due che lo tenevano bloccato. «LASCIATEMI ANDARE BASTARDI! LASCIATEMI!»

Non voleva morire. Era un ragazzo, con tutta la vita davanti. C’erano ancora un casino di cose che voleva fare. Tipo scopare, girare il mondo, provare nuove esperienze, scopare, guidare una Lamborghini, scopare... Tirò fuori una forza inaudita e vendette cara la pelle. Riuscì a liberare un braccio e a sferrare una gomitata sul naso ad uno dei due gorilla, poi morse la mano dell’altro, facendolo urlare e sanguinare. Sferrò altri calci, pugni, ginocchiate e gomitate, colpendo tutto quello che gli capitava a tiro. Volti, petti, gambe, braccia. Era diventato una furia incontenibile.

«Porca puttana, fermatelo incapaci!» ordinò Nicols, poco prima di beccarsi un altro calcio e venire spedito contro il cruscotto un’altra volta.

Kevin saltò addosso ad uno dei due aguzzini e cominciò a riempirlo di pugni in faccia. L’altro lo afferrò da dietro e lo trascinò via. Kevin si girò e gli morse il naso di traverso, come un cane rabbioso. Riuscì a sentire perfettamente l’osso del suo setto tra i suoi denti, poco prima che la sua bocca si riempisse del gusto metallico del sangue del poveretto. Arretrò di scatto con la testa e cominciò a sputarlo via, per allontanare quel saporaccio dalla bocca. Intanto il poveretto che aveva morso si stava tenendo una mano sul volto, ormai ricoperto da sangue rosso scuro e grumoso, quasi nero, urlando disperato.

Il gorilla numero due, quello che fino a poco prima di era beccato dei pugni in faccia, raccolse la mazza dal tappetino e cercò di colpirlo, ma Kevin afferrò l’arma improvvisata e cominciò a tirare, per cercare di strappargliela di mano. I due cominciarono ad urlare e a tirare verso le rispettive parti, per riuscire a tenersi la mazza, fino a quando l’autista non inchiodò la macchina di colpo. Gorilla n2 andò a sbattere contro il sedile di fronte a sé. Kevin invece, che si trovava in mezzo, si ritrovò catapultato davanti. Accadde tutto in una frazione di secondo. L’unica cosa che riuscì a vedere, poco prima di schiantarsi contro di esso, fu il parabrezza. Sbatté violentemente la testa e svenne sul colpo.

Nicols si ripulì del sangue, ansimando, imitato dagli altri due aguzzini. Non poteva neanche lontanamente immaginare che Berrier potesse essere così agguerrito.

«Figlio di puttana! Mi ha distrutto il naso!» si lamentò Gorilla n1 tenendosi una mano sul volto, solo che la sua frase risuonò più come "...distrutto il VASO".

Nicols sorrise di nuovo. In parte divertito dalla voce strana del suo compare, in parte vittorioso, per avere di nuovo Berrier tra le sue fauci. «Pazienza ragazzi, pazienza...tra poco lo abbandoneremo per strada, lasciandolo a morte certa, consolatevi con questo!»

 

***

 

Ore 18:15

Tempo rimasto allo sfogo annuale: 45 minuti.

Dominick era di nuovo in camera da letto dello zio, mentre si rigirava tra le mani la Magnum. La esaminò a lungo. Ne valutò il peso, la forma, le dimensioni. Era piuttosto grossa e pesante e, doveva ammetterlo, piuttosto ingombrante. Faticava a tenera sollevata con una sola mano. Se prendeva l’impugnatura con entrambe, allora non c’era problema, ma nella fretta di una sparatoria non sempre c’è il tempo per impugnare una pistola con entrambe le mani. Inoltre il mirino metallico dell’arma non era dei migliori. Era minuscolo, prendere la mira era quasi impossibile. Per non parlare del fatto del rinculo che i revolver in generale possedevano, la Magnum in particolare. Uno non abituato a sparare con quell’arma, come lui, avrebbe potuto ritrovarsi per terra a causa del contraccolpo dopo il primo colpo sparato. Senza contare il caricatore di soli sei colpi, che andavano sostituiti manualmente uno per volta.  Aveva un mucchio di difetti quell’arma, adesso che ci faceva caso. Ma ormai era tardi per i ripensamenti. Hester se n’era andata, tra loro era finita. Il danno era fatto.

Guardò l’orologio. Erano le sei e trenta. Mancava mezz’ora esatta all’ora X, le sette.

Sospirò e si rigirò di nuovo l’arma tra le mani. Si pentì leggermente di non aver comprato una M9 da quei tizi che le vendevano per strada. Quella pistola era molto più precisa, leggera, con un rinculo molto più contenuto, per non parlare del caricatore da quindici colpi, molto più capiente e veloce da ricaricare della Magnum.

Come faceva a sapere tutte queste cose sulle armi? Semplice, si era informato molto nei mesi precedenti alla vigilia dello Sfogo. Sapeva tutto, di quasi tutte le armi. Nemmeno a scuola aveva mai prestato tanto interesse ad un determinato argomento. Conosceva tutti i pregi e difetti di pistole, fucili a pompa, fucili automatici, semiautomatici e mitragliette.

Per esempio sapeva che l’Ak47 era più potente dell’M4, ma molto più impreciso. Sapeva che l’M1014 era uno dei fucili semiautomatici migliori in fatto di danno e portata, compensato però da un minuscolo caricatore che arrivava al massimo a sette colpi.

E sapeva anche che non disponeva di nessuna di queste armi. E che invece, la fuori, c’era gente che possedeva roba dieci volte peggio.

Le notti dello Sfogo venivano in genere riprese in buona parte dalle telecamere della città e trasmesse in diretta televisiva. Aveva visto gente con lanciafiamme, mitragliatrici a canne rotanti, granate, G36c, UMP45, P90, insomma, roba seria. E come se non bastasse, quella sera, oltre ai classici vandali truccati con la War Paint, c’erano anche persone con cani da caccia e veri e propri soldati, con corazze da Juggernaut e mitragliatrici pesanti, come l’MK46. Insomma, durante lo Sfogo poteva trovarsi di tutto davanti. Non si sarebbe neanche sorpreso se si fosse trovato di fronte ad un carro armato. Tutto era possibile.

Perciò...perché lui, un ragazzino di appena vent’anni, neanche, male armato, non addestrato, solo e senza uno straccio di protezione, stava per uscire fuori, tra l’altro causando una rottura con la ragazza che amava? Follia? Stupidità? Forse. Anzi, sicuramente. Non ci voleva coraggio per uscire da soli quella sera. Ci voleva follia. Senza la follia, non si poteva fare nulla. Ma la motivazione principale era sempre e solo quella: vendetta.

Guardò di nuovo l’ora. Meno venti minuti all’ora X.

Dominick sospirò e si alzò dal letto. Mise la pistola nell’orlo dei pantaloni e uscì dalla camera. Raggiunse la sala, dove lo zio dormiva ancora, ignaro di tutto. Dominick lo guardò schifato. Aveva odiato quell’uomo dal primo giorno in cui era andato a vivere con lui. E il sentimento era stato reciproco. Era un ubriacone, un fannullone ed un emerito cazzone. Il pavimento intorno al divano era circondato da un fiume di bottiglie di vetro vuote e lattine di birra. Visto che stava russando a bocca aperta, Dominick avvertì chiaramente il suo alito pestilenziale invadere la stanza e soffocarlo. Se avessero avuto delle piante, sarebbero sicuramente appassite.

Scosse la testa in segno di disappunto, poi si voltò verso la porta. Tirò un profondo sospiro e si avviò. Prese la maniglia e la aprì, ritrovandosi a fissare il pianerottolo. Ripensò a come Hester era uscita da quella stanza, in lacrime. Si sentì uno straccio. La ragazza che amava, che era riuscita a fargli tornare il sorriso dopo anni di sofferenza e solitudine... Poi ripensò a come suo zio non era parso minimamente preoccupato dalla sua decisione di uscire e sentì montare la rabbia. Davvero non gli importava nulla del figlio di sua sorella? Sangue del suo sangue? L’unico ricordo che avesse di lei, oltre alle fotografie? Schifoso verme. Si voltò un’ultima volta verso di lui gli rivolse un’altra occhiataccia. Quanto avrebbe voluto approfittare dello Sfogo e piantare una pallottola anche nella sua, di fronte. Ma non lo avrebbe mai fatto, in segno di rispetto verso sua madre.

Dom distolse lo sguardo e tornò a fissare il pianerottolo ricoperto di piastrelle bianche e luride. Tirò un profondo sospirò ed uscì.

Si mise le mani in tasca e incassò la testa tra le spalle mentre scendeva le scale.

Poco dopo camminava per strada. La città era buia e completamente deserta. Era innaturale tutta quella calma. Erano le sei, perciò un po’ di luce c’era ancora, ma sarebbe scomparsa nel giro di poco tempo. All’inizio dello Sfogo, all’incirca. Avevano studiato tutto a tavolino, i nuovi padri fondatori. Raggiunse la macchina, che aveva parcheggiato poco lontano dall’alloggio. Vi salì sopra e l’avviò. La vecchia e decrepita Chevelle dei genitori, altro ultimo loro ricordo, si avviò con il suo solito rombo semi morente. Poco prima di partire, aprì il vano portaoggetti e vi prese una fotografia, impolverata e sbiadita. La ammirò a lungo, sentendo le lacrime uscire di nuovo dai suoi occhi. In quella foto c’era lui, un paio di anni prima, insieme ai suoi genitori, sorridenti davanti ad un alberello. Lui non era cambiato molto. Era solo cresciuto, diventato molto più alto, uno e ottanta circa, i suoi capelli si erano fatti molto più ribelli e indomabili. E non aveva ormai da anni quell’espressione vispa che invece aveva in fotografia. Alla sua destra c’era suo padre, Sebastian, un uomo praticamente identico a lui, in fatto di capelli, occhi e corporatura. Alla sua sinistra c’era sua madre, Trisha, una donna molto bella e gentile, con occhi color ambra, capelli caramello e sempre raccolti in una coda. Il suo sorriso poteva illuminare le giornate più buie e tempestose e la sua bontà d’animo avrebbe potuto far convertire il più spietato dei criminali. Da lei aveva ereditato gli stessi zigomi belli e delicati e quell’aria da "cucciolo" con la quale aveva fatto breccia nel cuore di Hester. Si ritrovò a sorridere senza nemmeno accorgersene ripensando alla sua bella dai capelli rossi, poi ricordò cos’era successo e si incupì di nuovo.

Sospirò per l’ennesima volta logorato dai ricordi tristi e nostalgici, pensando a quei bei momenti trascorsi con i suoi genitori e con Hester, che mai sarebbero tornati. Quanto avrebbe voluto poter presentare la ragazza a sua madre e suo padre, vivere insieme a tutti loro, come una vera famiglia felice. Un sogno irrealizzabile, che non era nemmeno fattibile quando stava ancora con Hester. Posò la foto nel vano e la richiuse, cercando anche di nascondere lì dentro i ricordi per non farsi più logorare da loro. Accese la radio, per avere un po’ di compagnia nel viaggio a seguire. Avviò la compilation degli Offspring che teneva nella chiavetta USB collegata allo stereo e non si mise all’ascolto dei canali normali, visto che a quell’ora non avrebbero fatto altro che parlare dello Sfogo.

Con You’re Gonna Go Far Kid in sottofondo, canzone che calzava a pennello in quel momento, una pistola carica nei pantaloni e il desiderio di vendetta, il ragazzo  si avviò verso la sua meta.

Ripensò al detto che diceva: "Non conta la destinazione, ma il viaggio."

In quella circostanza, non c’era nulla di più sbagliato.

 

   
 
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