Capitolo
III
Preparativi
Ore 18:10
Tempo rimasto allo sfogo annuale: 50 minuti.
Kevin riaprì lentamente gli occhi, mugugnando di dolore. La testa gli faceva un male pazzesco e gli pulsava terribilmente. Ogni movimento degli occhi gli causava dolore, anche solo pensare gli arrecava sofferenza. Ci mise un attimo per ricordare cos’era successo. Erano scesi da un’auto e lo avevano aggredito con delle mazze, poi era svenuto. Quando riuscì a mettere a fuoco con la vista, ancora annebbiata, si rese conto di trovarsi proprio in una macchina, con tutta probabilità lo stesso fuoristrada da cui erano scesi i suoi aggressori. Riconobbe subito l’artefice di tutto quello, che dal sedile del passeggero lo fissava con quell’aria di superiorità. Fece per muoversi, ma realizzò di essere bloccato. Guardò prima a destra, poi a sinistra e vide quei gorilla che lo tenevano bloccato per le braccia, le mazze da baseball adagiate sui tappetini ai loro piedi.
Nicols
allargò il ghigno sul
volto. «Ti
sei svegliato, Berrier!»
Kevin era immobilizzato, ma nulla al
mondo gli avrebbe impedito di far sparire quel sorriso dal volto di
quel
bastardo. Gli sputò in faccia, ma non prima di essersi
assicurato di avere
sufficiente catarro in gola. Nicols fece un verso di sorpresa e
disgustato. Fu
il turno di Kevin a sorridere, ma durò poco. Si becco due
pugni in faccia dai
gorilla che lo tenevano bloccato. Fece un verso di dolore quando le
nocche di
quei vermi gli scorticarono il volto. Avrebbe voluto dimostrare di
essere più
forte di loro e rimanere impassibile di fronte al dolore, ma non ci
riuscì.
Nicols nel frattempo si ripulì dello
sputo che fino a poco prima gli colava sulla guancia e
digrignò i denti. Sferrò
un pugno a sua volta a Kevin, facendolo gemere di nuovo.
Kevin cominciò ad irritarsi. Senza quei
due a tenerlo bloccato, Nicols non sarebbe mai riuscito a colpirlo. Si
credeva
furbo a difendersi dietro ai suoi amici, quel buono a nulla. Sono tutti
bravi a
fare i gradassi quando hanno il culo parato.
«Non dovevi farlo Berrier,
no,
no, no...»
incalzò Nicols strofinandosi ulteriormente la manica sulla
guancia, per poi
guardarla schifato. «Ma guarda te...la mia maglia
firmata...sei un ragazzo
morto Berrier...»
Un ragazzo morto. Quella frase fece
sgranare gli occhi a Kevin. Mancava poco allo sfogo, oramai. In giro
non c’era
più nessuno, se non i folli che avrebbero partecipato
all’evento. Il
fuoristrada nero vagava solo per quelle strade deserte e desolate. Era
inquietante vedere la loro città così silenziosa
e vuota. E loro lo avevano
appena rapito. Elaborò quelle informazioni e
cominciò lentamente a giungere ad
una conclusione.
«Non vorrai mica...uccidermi durante lo
Sfogo?» domandò cercando di apparire sicuro, non
riuscendoci. La sua voce
tremolò lievemente, per via della paura.
Nicols rispose con un ghigno divertito e
scosse lentamente la testa. «Oh, certo che no! Non mi
sporcherei mai le mani
con la feccia come te! Ma, come puoi ben vedere, le strade sono
deserte, e
siamo molto lontani da casa tua. Inoltre manca meno di un’ora
all’inizio dello
Sfogo. No, no, non ti ucciderò io...semplicemente, ti
scaricheremo in centro
città a meno di mezz’ora dall’inizio. Ti
ritroverai a piedi e da solo e quando
lo Sfogo comincerà ti ritroverai addosso ogni qualsivoglia
di malintenzionato
presente nella zona. Saranno loro a farti fuori. Geniale, non
trovi?»
Kevin inorridì. Il piano di Nicols era
dannatamente contorno e, sì, sotto certi punti di vista
pefino furbo. Voleva
sbarazzarsi di lui, ma non aveva il coraggio di ucciderlo di persona,
così lo
scaricava in centro in piena balia di quei pazzi truccati con la
pittura di
guerra. Ma quando realizzò di apparire davvero spaventato,
suscitando il divertimento
nei suoi aguzzini, si ricompose e cercò di mostrarsi sicuro.
«Oh sì, davvero
geniale. Mi sorprende che un coglione del tuo calibro abbia studiato un
piano
del genere...»
Un altro pugno e un altro gemito di
dolore. Kevin abbassò la testa, mentre sulla sua guancia
compariva un lieve
ematoma.
«Hai poco da fare il furbo, Berrier.
Ormai stai per giungere al capolinea.»
Kevin tossì e sputò di nuovo,
sul
tappetino della lussuosa auto.
«Ehi!» esclamò
indispettito l’autista. «Non
sputarmi sulla macchina!»
Kevin sollevò di nuovo lo sguardo
gemendo e fissò dritto negli occhi il folle che lo teneva
prigioniero. «Perché
vuoi che io muoia? Dopotutto, tra noi sono solo volate parole e pugni,
e tra
l’altro ogni volta hai sempre cominciato tu! Uccidermi...non
ti sembra una cosa
un po’ eccessiva?»
«Ma infatti non sarò io ad
ucciderti, lo
hai già dimenticato?» domandò Nicols
senza far sparire quello strano sorriso.
Quel sorriso...folle.
A quel punto Kevin capì. Nicols era
completamente fuori di testa. Probabilmente aveva qualche malattia
mentale. Ma
non per scherzo. In effetti, i suoi genitori gli avevano detto di non
dargli
troppa corda, che non era molto a posto. Credeva che glielo avessero
detto
semplicemente perché non volevano che si azzuffasse con lui
e ritrovarsi in
casini penali di conseguenza. A quanto pare erano seri. Si
voltò verso i due
che lo tenevano bloccato. Sperò che almeno loro potessero
farlo ragionare.
Invece sorridevano allo stesso modo di Nicols. Anche loro erano fuori
di testa.
L’autista pure. Tutti in quel cazzo di paese ormai avevano
perso la sanità
mentale. I nobili soprattutto. Con quella storia della purificazione,
avevano
fatto il lavaggio del cervello a tutti i loro figli e conoscenti. Ma
cosa c’era
da aspettarsi da una nazione che permetteva una cosa orribile come lo
Sfogo?
Si sentì piccolo e impotente sotto gli
sguardi folli dei suoi aguzzini. Lo avrebbero scaricato in centro e lo
avrebbero abbandonato al suo destino. Nessuno l’avrebbe
salvato. Nessuno gli
avrebbe aperto la porta e fatto entrare. Nessuno sarebbe andato a
prenderlo,
per paura. Un sacco di gente finge di essere in pericolo per poi
accoltellare i
propri salvatori all’inizio dello Sfogo. Era solo. Il panico
si insinuò dentro
di lui e non riuscì più a calmarsi.
Cominciò ad agitare le braccia, a scalciare
a urlare e fare di tutto per liberarsi della loro presa, scendere da
quella
macchina e fuggire finché era in tempo. L’unico
risultato che ottenne, furono
dei sorrisi ancora più folli e divertiti da parte dei tre
ragazzi, Nicols in
particolare.
«E’ tutto inutile,
Berrier...sei mort...»
«VAFFANCULO!»
sbraitò Kevin sferrando
una pedata in pieno volto al ragazzo, facendolo indietreggiare e
sbattere
contro il cruscotto.
«Ahia...» si lamentò
Nicols
massaggiandosi il naso, per poi accorgersi che stava sanguinando.
Fissò il
sangue che gli imperlava le dita prima sorpreso, poi furibondo.
«Tu...come hai
osat...»
«LASCIATEMI!» urlò
Kevin agitandosi
ulteriormente, ammutolendo Nicols e riuscendo anche a sferrare delle
gomitate
ai due che lo tenevano bloccato. «LASCIATEMI ANDARE BASTARDI!
LASCIATEMI!»
Non voleva morire. Era un ragazzo, con
tutta la vita davanti. C’erano ancora un casino di cose che
voleva fare. Tipo
scopare, girare il mondo, provare nuove esperienze, scopare, guidare
una
Lamborghini, scopare... Tirò fuori una forza inaudita e
vendette cara la pelle.
Riuscì a liberare un braccio e a sferrare una gomitata sul
naso ad uno dei due
gorilla, poi morse la mano dell’altro, facendolo urlare e
sanguinare. Sferrò
altri calci, pugni, ginocchiate e gomitate, colpendo tutto quello che
gli
capitava a tiro. Volti, petti, gambe, braccia. Era diventato una furia
incontenibile.
«Porca puttana, fermatelo
incapaci!»
ordinò Nicols, poco prima di beccarsi un altro calcio e
venire spedito contro
il cruscotto un’altra volta.
Kevin saltò addosso ad uno dei due
aguzzini e cominciò a riempirlo di pugni in faccia.
L’altro lo afferrò da
dietro e lo trascinò via. Kevin si girò e gli
morse il naso di traverso, come
un cane rabbioso. Riuscì a sentire perfettamente
l’osso del suo setto tra i
suoi denti, poco prima che la sua bocca si riempisse del gusto
metallico del
sangue del poveretto. Arretrò di scatto con la testa e
cominciò a sputarlo via,
per allontanare quel saporaccio dalla bocca. Intanto il poveretto che
aveva
morso si stava tenendo una mano sul volto, ormai ricoperto da sangue
rosso
scuro e grumoso, quasi nero, urlando disperato.
Il gorilla numero due, quello che fino a
poco prima di era beccato dei pugni in faccia, raccolse la mazza dal
tappetino
e cercò di colpirlo, ma Kevin afferrò
l’arma improvvisata e cominciò a tirare,
per cercare di strappargliela di mano. I due cominciarono ad urlare e a
tirare
verso le rispettive parti, per riuscire a tenersi la mazza, fino a
quando
l’autista non inchiodò la macchina di colpo.
Gorilla n2 andò a sbattere contro
il sedile di fronte a sé. Kevin invece, che si trovava in
mezzo, si ritrovò
catapultato davanti. Accadde tutto in una frazione di secondo.
L’unica cosa che
riuscì a vedere, poco prima di schiantarsi contro di esso,
fu il parabrezza.
Sbatté violentemente la testa e svenne sul colpo.
Nicols si ripulì del sangue, ansimando,
imitato dagli altri due aguzzini. Non poteva neanche lontanamente
immaginare
che Berrier potesse essere così agguerrito.
«Figlio di puttana! Mi ha distrutto il
naso!» si lamentò Gorilla n1 tenendosi una mano
sul volto, solo che la sua
frase risuonò più come "...distrutto il VASO".
Nicols sorrise di nuovo. In parte
divertito dalla voce strana del suo compare, in parte vittorioso, per
avere di
nuovo Berrier tra le sue fauci. «Pazienza ragazzi,
pazienza...tra poco lo
abbandoneremo per strada, lasciandolo a morte certa, consolatevi con
questo!»
***
Ore 18:15
Tempo rimasto allo sfogo annuale: 45 minuti.
Dominick era di nuovo in camera da letto
dello zio, mentre si rigirava tra le mani la Magnum. La
esaminò a lungo. Ne
valutò il peso, la forma, le dimensioni. Era piuttosto
grossa e pesante e,
doveva ammetterlo, piuttosto ingombrante. Faticava a tenera sollevata
con una
sola mano. Se prendeva l’impugnatura con entrambe, allora non
c’era problema,
ma nella fretta di una sparatoria non sempre c’è
il tempo per impugnare una
pistola con entrambe le mani. Inoltre il mirino metallico
dell’arma non era dei
migliori. Era minuscolo, prendere la mira era quasi impossibile. Per
non
parlare del fatto del rinculo che i revolver in generale possedevano,
la Magnum
in particolare. Uno non abituato a sparare con quell’arma,
come lui, avrebbe
potuto ritrovarsi per terra a causa del contraccolpo dopo il primo
colpo
sparato. Senza contare il caricatore di soli sei colpi, che andavano
sostituiti
manualmente uno per volta. Aveva
un
mucchio di difetti quell’arma, adesso che ci faceva caso. Ma
ormai era tardi
per i ripensamenti. Hester se n’era andata, tra loro era
finita. Il danno era
fatto.
Guardò l’orologio. Erano le
sei e
trenta. Mancava mezz’ora esatta all’ora X, le sette.
Sospirò e si rigirò di nuovo
l’arma tra
le mani. Si pentì leggermente di non aver comprato una M9 da
quei tizi che le
vendevano per strada. Quella pistola era molto più precisa,
leggera, con un
rinculo molto più contenuto, per non parlare del caricatore
da quindici colpi, molto
più capiente e veloce da ricaricare della Magnum.
Come faceva a sapere tutte queste cose
sulle armi? Semplice, si era informato molto nei mesi precedenti alla
vigilia
dello Sfogo. Sapeva tutto, di quasi tutte le armi. Nemmeno a scuola
aveva mai
prestato tanto interesse ad un determinato argomento. Conosceva tutti i
pregi e
difetti di pistole, fucili a pompa, fucili automatici, semiautomatici e
mitragliette.
Per esempio sapeva che l’Ak47 era
più
potente dell’M4, ma molto più impreciso. Sapeva
che l’M1014 era uno dei fucili
semiautomatici migliori in fatto di danno e portata, compensato
però da un
minuscolo caricatore che arrivava al massimo a sette colpi.
E sapeva anche che non disponeva di
nessuna di queste armi. E che invece, la fuori, c’era gente
che possedeva roba
dieci volte peggio.
Le notti dello Sfogo venivano in genere
riprese in buona parte dalle telecamere della città e
trasmesse in diretta
televisiva. Aveva visto gente con lanciafiamme, mitragliatrici a canne
rotanti,
granate, G36c, UMP45, P90, insomma, roba seria. E come se non bastasse,
quella
sera, oltre ai classici vandali truccati con la War Paint,
c’erano anche persone
con cani da caccia e veri e propri soldati, con corazze da Juggernaut e
mitragliatrici pesanti, come l’MK46. Insomma, durante lo
Sfogo poteva trovarsi
di tutto davanti. Non si sarebbe neanche sorpreso se si fosse trovato
di fronte
ad un carro armato. Tutto era possibile.
Perciò...perché lui, un
ragazzino di
appena vent’anni, neanche, male armato, non addestrato, solo
e senza uno
straccio di protezione, stava per uscire fuori, tra l’altro
causando una
rottura con la ragazza che amava? Follia? Stupidità? Forse.
Anzi, sicuramente.
Non ci voleva coraggio per uscire da soli quella sera. Ci voleva
follia. Senza
la follia, non si poteva fare nulla. Ma la motivazione principale era
sempre e
solo quella: vendetta.
Guardò di nuovo l’ora. Meno
venti minuti
all’ora X.
Dominick sospirò e si alzò
dal letto.
Mise la pistola nell’orlo dei pantaloni e uscì
dalla camera. Raggiunse la sala,
dove lo zio dormiva ancora, ignaro di tutto. Dominick lo
guardò schifato. Aveva
odiato quell’uomo dal primo giorno in cui era andato a vivere
con lui. E il
sentimento era stato reciproco. Era un ubriacone, un fannullone ed un
emerito
cazzone. Il pavimento intorno al divano era circondato da un fiume di
bottiglie
di vetro vuote e lattine di birra. Visto che stava russando a bocca
aperta,
Dominick avvertì chiaramente il suo alito pestilenziale
invadere la stanza e
soffocarlo. Se avessero avuto delle piante, sarebbero sicuramente
appassite.
Scosse la testa in segno di disappunto,
poi si voltò verso la porta. Tirò un profondo
sospiro e si avviò. Prese la
maniglia e la aprì, ritrovandosi a fissare il pianerottolo.
Ripensò a come
Hester era uscita da quella stanza, in lacrime. Si sentì uno
straccio. La
ragazza che amava, che era riuscita a fargli tornare il sorriso dopo
anni di
sofferenza e solitudine... Poi ripensò a come suo zio non
era parso minimamente
preoccupato dalla sua decisione di uscire e sentì montare la
rabbia. Davvero
non gli importava nulla del figlio di sua sorella? Sangue del suo
sangue?
L’unico ricordo che avesse di lei, oltre alle fotografie?
Schifoso verme. Si
voltò un’ultima volta verso di lui gli rivolse
un’altra occhiataccia. Quanto
avrebbe voluto approfittare dello Sfogo e piantare una pallottola anche
nella
sua, di fronte. Ma non lo avrebbe mai fatto, in segno di rispetto verso
sua
madre.
Dom distolse lo sguardo e tornò a
fissare il pianerottolo ricoperto di piastrelle bianche e luride.
Tirò un
profondo sospirò ed uscì.
Si mise le mani in tasca e incassò la
testa tra le spalle mentre scendeva le scale.
Poco dopo camminava per strada. La città
era buia e completamente deserta. Era innaturale tutta quella calma.
Erano le
sei, perciò un po’ di luce c’era ancora,
ma sarebbe scomparsa nel giro di poco
tempo. All’inizio dello Sfogo, all’incirca. Avevano
studiato tutto a tavolino,
i nuovi padri fondatori. Raggiunse la macchina, che aveva parcheggiato
poco
lontano dall’alloggio. Vi salì sopra e
l’avviò. La vecchia e decrepita Chevelle
dei genitori, altro ultimo loro ricordo, si avviò con il suo
solito rombo semi morente.
Poco prima di partire, aprì il vano portaoggetti e vi prese
una fotografia,
impolverata e sbiadita. La ammirò a lungo, sentendo le
lacrime uscire di nuovo
dai suoi occhi. In quella foto c’era lui, un paio di anni
prima, insieme ai
suoi genitori, sorridenti davanti ad un alberello. Lui non era cambiato
molto.
Era solo cresciuto, diventato molto più alto, uno e ottanta
circa, i suoi
capelli si erano fatti molto più ribelli e indomabili. E non
aveva ormai da
anni quell’espressione vispa che invece aveva in fotografia.
Alla sua destra
c’era suo padre, Sebastian, un uomo praticamente identico a
lui, in fatto di
capelli, occhi e corporatura. Alla sua sinistra c’era sua
madre, Trisha, una
donna molto bella e gentile, con occhi color ambra, capelli caramello e
sempre
raccolti in una coda. Il suo sorriso poteva illuminare le giornate
più buie e
tempestose e la sua bontà d’animo avrebbe potuto
far convertire il più spietato
dei criminali. Da lei aveva ereditato gli stessi zigomi belli e
delicati e
quell’aria da "cucciolo" con la quale aveva fatto breccia nel
cuore
di Hester. Si ritrovò a sorridere senza nemmeno accorgersene
ripensando alla
sua bella dai capelli rossi, poi ricordò cos’era
successo e si incupì di nuovo.
Sospirò per l’ennesima volta
logorato
dai ricordi tristi e nostalgici, pensando a quei bei momenti trascorsi
con i
suoi genitori e con Hester, che mai sarebbero tornati. Quanto avrebbe
voluto
poter presentare la ragazza a sua madre e suo padre, vivere insieme a
tutti
loro, come una vera famiglia felice. Un sogno irrealizzabile, che non
era
nemmeno fattibile quando stava ancora con Hester. Posò la
foto nel vano e la
richiuse, cercando anche di nascondere lì dentro i ricordi
per non farsi più
logorare da loro. Accese la radio, per avere un po’ di
compagnia nel viaggio a
seguire. Avviò la compilation degli Offspring
che teneva nella chiavetta USB collegata allo stereo e non si
mise
all’ascolto dei canali normali, visto che a
quell’ora non avrebbero fatto altro
che parlare dello Sfogo.
Con You’re
Gonna Go Far Kid in sottofondo, canzone che calzava a
pennello in quel
momento, una pistola carica nei pantaloni e il desiderio di vendetta,
il
ragazzo si
avviò verso la sua meta.
Ripensò al detto che diceva: "Non conta la destinazione, ma il viaggio."
In quella circostanza, non c’era nulla
di più sbagliato.