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Autore: shane_lilith_riddle    19/03/2015    5 recensioni
" -Come chiameresti ciò che abbiamo tra noi?- le sussurra, passandole le labbra bollenti sull'orecchio.
- Scherzo del destino- sibila Eris, allontanandosi veloce da lui, ma Ares la riagguanta con facilità, è un gatto che gioca col topo.
-No, no, no, sorellina, così la fai sembrare una cosa brutta-
-E non la è?-
-Oh, al contrario.- la contraddice, facendosi più vicino. Incatenandola al suo sguardo mentre si lecca le labbra.
-E' il mio gioco preferito.-"
Ares ed Eris, fratellastri, uniti da qualcosa di più grande del destino: un legame di sangue, incancellabile.
Segnati da due nomi che, nel mito, sono stati davvero quelli di due fratellastri portatori di sciagure, il dio della guerra e la dèa del caos e della discordia.
L'uno impossibile senza l'altro, e dei loro personaggi hanno ereditato i tratti. Impulsivi, impossibili, sprezzanti.
Inizieranno un gioco pericoloso, un gioco al massacro.
Genere: Dark, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Benvenute in questo nuovo capitolo, che si divide in due parti, una più introduttiva, l'altra densa di azioni! La canzone che ho ascoltato scrivendo questo capitolo, e che consiglio anche a voi di ascoltare, per calarvi meglio nella storia, è "Believe", degli Skillet, di cui vi lascio il link: https://www.youtube.com/watch?v=VunqEUuhNgI
Ebbene sì, Ares ed Eris avranno una loro colonna sonora per tutto il nostro viaggio, che esprimerà tutte le emozioni e sensazioni provate durante i vari capitoli, ora bando alle ciance, vi lascio alla lettura ;)




Black Box


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La cenere danza morente nell’ aria, per poi dissolversi in effimere volute di fumo.
-L’ultima sigaretta- pensa Eris, spegnendo nel posacenere lo scheletro esanime del mozzicone.
Un pensiero fatto e rifatto tante, troppe volte. Portato a termine mai. Soprattutto quando, come in quel momento, è nervosa.
Ha sempre odiato starsene sola in casa, quando non si sente un singolo rumore, quando anche uno spostamento d’aria può fare fracasso, quando lei e i suoi pensieri si ritrovano indisturbati, e la mente vaga, vaga, riportando a galla ricordi lontani che non vogliono saperne di affondare.
Lo odia.
Lo odia soprattutto se pensa che è il giorno del suo Compleanno, e quindi gli echi del passato si fanno più potenti, più pressanti. Escono da quell’ angolo polveroso nella sua testa, dove li confina con tutte le sue forze, e si divertono a torturarla un po’.
Il giorno in cui lui è andato via, il diciannove di Marzo.
Il giorno in cui ogni cosa è finita e cominciata.
-Tanti auguri a me- sussurra, spegnendo l’unica solitaria candelina che se ne sta sbilenca sulla torta semisciolta, nel tavolo della cucina.
Una torta rosa e viola, i colori che lei evita come la peste da.. quanti?
Ah, già. Diciotto anni.
E quella stronza di Irina-la sua matrigna, lo sa benissimo, o almeno dovrebbe. Come non capirlo? Una ragazza completamente vestita di nero, con indosso anfibi borchiati di certo non si aspetta la torta di Barbie Malibù, ma d’altronde, che cosa si aspetta?
Eris non lo sa, o forse lo sa anche troppo bene, ma ammetterlo è tutta un’altra questione.
Ogni anno lo stesso pensiero, lo stesso desiderio inespresso tra le palpebre socchiuse, mentre l’aria esce dai polmoni e la fiammella si spegne.
Che lui possa tornare, in quello stesso giorno, come tanto tempo prima è andato via.
Che il tempo scorra a ritroso, riportandole l’unica persona che per lei sia importata davvero.
Oppure, che torni indietro una volta per tutte, non facendoglielo incontrare mai.
E invece.. un altro fantastico anno in cui nulla sarebbe cambiato. Stessa giostra, stesse facce, stessa situazione famigliare del cazzo.
Stessi rimpianti.
Il trillo improvviso del campanello la scuote, facendola quasi cadere dalla sedia, facendola riemergere dalla matassa oscura delle sue elucubrazioni.
Eris getta uno sguardo all’ orologio da muro.
"Chi può essere alle tre del pomeriggio?"
Di certo non il postino, né suo “padre”,  la stro-Irina rientra verso le sei dal corso di yoga, e i suoi-pochi amici scrivono sempre prima di passare.
Quindi.. chiunque sia, non è un problema suo, decide tagliandosi una fetta di torta, avendo cura di usare il piattino del servizio buono di Irina, quello per le occasioni, quello per le persone importanti-mica come lei.
E di nuovo, il campanello. Stavolta il suono è più prolungato, quasi a volerle urtare i nervi.
Continua, si ferma, riprende. Insistente, ripetitivo.
-Arrivo!- grida alla fine, alzandosi spazientita, il piattino in mano e la bocca mezza piena. La torta troppo dolciastra le si appiccica al palato, le fa bruciare la gola.
Ma niente, ancora il campanello, sempre più insistente, che le spacca i timpani.
-ARRIVO, HO DETTO!-
Ma quando apre la porta, in canotta e a piedi nudi, e il rumore finalmente si placa, il suo sguardo spaiato incrocia un altro paio d’occhi. Uno nero come l’abisso, l’altro azzurro come il ghiaccio.
Lo sguardo penetrante di Ares la trapassa, la blocca, la viola. Non ha tempo neppure di respirare, Eris, che di colpo il boccone diventa pesante, e in bocca sente l’amaro.
La gola si blocca, impedendole di deglutire, il piattino le scivola dalle mani tremanti, ma lei non sente il colpo secco dei cocci che s’infrangono sul pavimento, né il tonfo macabro della torta, spiattellata a terra dopo una piroetta mortale.
Sente solo la voce di lui, tanto temuta e amata, desiderata e odiata. Inconfondibile.
-Buon Compleanno, Eris.-
 
_________________________
 
 
La sveglia le trapana il cervello, riportandola alla realtà. Eris apre gli occhi piano, la luce del mattino le ferisce la testa, il pigiama è completamente fradicio, incollato addosso a lei come una fastidiosa figurina.
Lo ha sognato, di nuovo.
Sprazzi di un brutto sogno, o un meraviglioso incubo, le baluginano in testa.
Eppure, stavolta ne sente la consistenza, quasi pulsante, palpabile sotto le dita, vivida.
Come se fosse stato reale.
Getta una rapida occhiata alla sveglia, le otto meno dieci ed è in ritardo come al solito, e deve costringersi ad uscire dal letto, i muscoli contratti quasi avesse corso i cento metri.
Si scosta le ciocche corvine appiccicate al viso, rivoli di sudore giocano a rincorrersi sulla sua pelle di porcellana viva.
E quella sensazione di concretezza non la molla un istante, quasi come un monito, un presentimento.
-Buon compleanno a me- sussurra, sotto la doccia, e l’acqua gelida le punge il corpo, la graffia, la morde. Ma va bene così, nulla riuscirebbe comunque a scaldarla, perché Eris è fredda dentro.
Tutti sono già usciti e la cucina è silenziosa come al solito, maniacalmente ordinata, quasi non fosse usata mai, come tutti gli angoli di quella maledetta casa.
Un post-it rosa troneggia sul frigo “Qui c’è la torta” recita la calligrafia perfettamente simmetrica della sua matrigna. Punto. Fine. Non ci saranno auguri per lei, perché è un semplice incidente. Nessuno si rallegra del fatto che nasca un incidente, come tante, troppe volte Irina ha ricordato al marito.
È già un miracolo che non sia stata spedita in collegio, tenersela in casa è stato un atto di buon cuore. Questo sì, che ha fatto salire la matrigna in graduatoria tra le casalinghe del vicinato, ognuna barricata nella propria casetta a schiera,esattamente identica a quelle di tutte le altre, perfettamente priva di carattere.
La torta è rosa e viola, senza scritte, solo una candelina sbilenca.
Dejavu.
Chiude il frigo mentre il presentimento le serra la gola, e un brivido freddo corre giù lungo la spina dorsale.
Non tocca la torta, rievocando in bocca il sapore dolciastro e pastoso del sogno, invece prende il cellulare in mano, cercando di distrarsi, scorrendo i messaggi sovrappensiero. Auguri su auguri, che cosa le augurino, Eris davvero non lo sa.
Getta un’occhiata preoccupata verso la porta, quasi aspettandosi di nuovo quello squillo insistente, invece non succede nulla, se non che è in ritardo e deve darsi una mossa. "Basta con queste stupidaggini, muoviti" si dice, cercando di scrollarsi di dosso a forza quella sensazione di disagio, raccoglie lo zaino logoro, le chiavi di casa, infila in bocca un biscotto e si precipita fuori, consapevole del mostruoso ritardo.
E inciampa contro qualcosa, nel portico, rischiando di cadere lungo distesa sul vialetto.
-Ma che caz..-
 È un pacchetto. Un pacchetto ammaccato, un pacchetto nero.
Si guarda intorno un momento, spaesata.
"Cos’è, uno scherzo?"
Poi, esitante, lo raccoglie, e se lo trascina dietro. Non ha tempo di fermarsi a pensare certe cose, almeno così si ripete per non andare in panico, per impedirsi di entrare nella confusione più totale, mentre correndo raggiunge le mura scolastiche, con i polmoni che bruciano, quasi scappasse da qualcosa.
 
Il Professor Pasticca, docente di Matematica, oggetto di risate da parte di qualsivoglia alunno, causa il suo fantastico cognome, la accoglie con un’occhiata assassina da dietro le lenti spesse come fondi di bottiglia, passandosi una mano sulla pelata lucida.
-Bene,bene.. Lancaster! Dieci minuti di ritardo!-
E lei ha sempre fatto pena, in Matematica.
-Come sempre, la signorina si fa attendere.-
E lo ha sempre preso in giro, per il cognome.
-Cosa devo fare con te?-
Dunque tra lei e Pasticca non scorre esattamente “buon sangue”.
Dal basso del suo metro e cinquanta, l’ometto la squadra altezzoso, mentre Eris se ne esce con un sorrisetto impacciato.
-Andiamo, Prof! La Lancaster oggi fa gli anni!- ed ecco che la vocetta angelica di Beatrice la salva in colpo d’angolo.
Beatrice, si sa, è la preferita dal Professore, eccellente studentessa e amante della Matematica da sempre.
Difatti, Pasticca cambia repentinamente espressione, rivolgendo a Beatrice uno sguardo affettuoso.
-E va bene, va bene..- borbotta dopo un istante. –per domani la giustifica, e ora a posto.-
-Ti amo- mima Eris, sedendosi accanto all’ amica, mentre lei ridacchia divertita scuotendo i riccioli biondi.
Pare un angelo davvero, Beatrice, mentre sorride, con le fossette infantili, la pelle chiara e gli occhioni azzurri.
-Perché non hai risposto al mio messaggio, stamattina?- la rimprovera subito dopo.
Pare, appunto.
-Perdono, ero distratta-
-Da cosa?- ed eccola che indaga, ficcanaso come poche, poi gli occhi le cadono sul pacchetto ammaccato, poggiato sul banco.
-E quello?-
-Non ne ho idea. - sussurra Eris, torturandosi una ciocca di capelli corvini.
-Che vuol dire “Non ne ho idea”?-
-Che ci sono inciampata addosso stamattina, nel portico.- taglia corto.
-Scherzi?- Beatrice la guarda stupita, la boccuccia a cuore aperta in una “o” di sorpresa.
-Sono serissima.- la conversazione sta cominciando a darle sui nervi, soprattutto perchè sa dove l’amica andrà a parare.
-Niente biglietto?-
-NO.-
Difatti, come volevasi dimostrare, un secondo dopo Beatrice riprende il solito sorriso angelico, con lo sguardo di chi la sa lunga.
"Oh-oh."
-Non è come credi.- Anticipa Eris,quasi ringhiando, ben sapendo che ormai non c’è più nulla da fare.
-Ah,no?-
-Che succede?- ed ecco che interviene anche Chiara, dal banco di fronte.
-Proprio nul-
-che Alicia ha un ammiratore!!-
Alicia. Il suo secondo nome. Nessuno la chiama più Eris, ormai. Nessuno la identifica col suo primo nome, tranne lei stessa. È un nome che non vuole più sentire pronunciare, un nome che le ha portato solo guai.
Da quando.. da quando..
-Davvero?- le chiede Chiara, voltando la testa rossa, gli occhi verdi spalancati.
-Sì- continua Beatrice, imperterrita. –Ha pure il pacchetto nero,dai! Solo un ammiratore può conoscere la sua fissa per il nero.. non che ci voglia tanto..- conclude, lanciandole un’occhiata maliziosa.
"Ora la ammazzo."
E in quella il compagno di banco di Chiara, Christian, si volta.
I suoi occhi scuri scorrono inquisitori da lei al pacco.
-Non sai di chi sia?- la interroga con quella voce fredda, decisa.
-Non ne ho idea- risponde, sentendo l’improvviso quanto stupido bisogno di giustificarsi di fronte a lui.
-E se fosse una bomba?- se ne esce la rossa di punto in bianco.
-Ma che idiozia!- la rimprovera Beatrice, e mentre le continuano a bisticciare, lo sguardo penetrante di Chris non la molla un secondo, incatenandola con gli occhi.
-Okay, all’ intervallo la apriamo!!- scatta la bionda in un impeto di entusiasmo, alzando troppo la voce.
-SILENZIO!!- Tuona Pasticca, interrompendo l’imbarazzante conversazione e costringendo Christian a voltarsi, staccando controvoglia gli occhi color pece da lei.
Non ha mai apprezzato il professore quanto in quell’ istante, mentre l’ansia pare perforarle lo stomaco e il pacchetto occhieggia dal banco. Il presentimento di quel mattino si fa pressante, opprimente, il sogno le torna prepotente alla testa, impedendole di concentrarsi sulla lezione.
La scatola nera è lì che attende. Come i suoi sospetti, come i suoi timori. Perché sì, Eris ha un sospetto di chi possa essere, ma no, non ci vuole pensare. Non può essere la verità, la sua testa semplicemente si rifiuta di ammetterlo.
Si sistema composta sulla sedia, fingendosi presente, fissando il vuoto.
Sarà una lunga mattinata.
 

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Gli è venuto naturale guardarla spalancare la porta per dirigersi a scuola, come parecchie altre mattine ha fatto, appostato sotto la pensilina della fermata dall’ altro lato della strada, esattamente sotto il lampione bruciato.
Calarsi il cappuccio sulla testa, alzare il colletto del giaccone pesante, uscendo dal B&B dove ormai ha preso alloggio, ed affrontare il freddo pungente del mattino, giusto per vedere lei.
Nascosto, come un ladro o un criminale, come un pazzo.
Eppure, non riesce ad impedirsi di guardarla da lontano. Il modo di camminare, la fissa di aggiustare la spallina dello zaino, tutte banalità che sfuggirebbero a chiunque, ma non a lui.
Non a lui.
La verità è che vuole godersela, da lontano, ignara, mentre conduce la sua monotona esistenza, ancora ignorando che lui è lì, che la sua vita da lì a poco verrà stravolta come un calzino, giusto per il suo piacere personale.
Vuole godersi gli ultimi istanti, in cui la preda ignara non sa che sta per essere attaccata, che sta per essere sbranata.
E poi vuole guardarla in faccia. Vedere gli occhi sbarrati di chi crede di aver davanti un incubo, ma più di tutto vuole regalarle un brivido, un monito.
Vuole che annusi la minaccia nell’ aria, che senta che qualcosa sta per succedere, prima di avventarsi su di lei.
Per questo davanti alla porta le ha lasciato il pacchetto, il regalo.
Vuole che sappia, vuole che tremi.
Deve avere la consapevolezza di essere impotente.
Trattiene una smorfia di disappunto quando lei, aprendo il portone di fretta, inciampa malamente  sul pacco: si aspettava qualcosa più d’effetto. Invece, la sente imprecare, la vede raccogliere il regalo e scuoterlo, e poi portarselo dietro senza battere ciglio.
Si guarda un po’ intorno, però, lungo la strada. Quasi sentisse il pericolo attorno a lei.
Bene, molto bene.
Quando aprirà il pacco, a scuola, sarà molto peggio.
Capirà che cosa sta per succedere.
 
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-Prima il mio!- la incita Beatrice, sbattendo quei suoi occhioni da cerbiatta, che a scuola le sono valsi parecchi cuori infranti, e infilandole sotto il naso un pacchetto a fiori gialli.
-Fiori?-
-E dai, è solo la carta!- Prima che l’amica possa offendersi seriamente (e conoscendo Bea è molto possibile) Eris si affretta a stracciare l’involucro, per ritrovarsi tra le mani una maglietta dei Guns n’ roses.
-Eh?- il sorrisetto compiaciuto sulle labbra della migliore amica la fa scoppiare a ridere –Ok,ok, devo ammettere che è azzeccato- la rassicura, lisciando la maglietta.
Il fatto che Beatrice la conosca tanto bene le scalda il cuore, anche se Eris non lo ammetterebbe mai, considerando che aprirsi con le altre persone non le riesce per nulla facile.
Invece, da quando tre anni prima si è trasferita con la “famiglia” in quella che era la casa delle vacanze, la ragazza dagli occhioni e i boccoli dorati l’ha subito fatta sentire a suo agio, regalandole momenti di spensieratezza e serenità che le erano mancati da tanto, troppo tempo.
Poco importava che Eris fosse “la nuova”, o ancor meglio “la strana”, per qualche assurdo motivo, se è vero che gli opposti si attraggono, due persone come loro che apparentemente non avevano nulla da spartire si erano ritrovate a condividere un sincero e profondo affetto. Beatrice aveva sempre rispettato i suoi silenzi, il suo non parlare del passato, le sue stranezze e gli sbalzi di umore. Per contro, Eris si era sforzata di uscire a fare shopping, di ascoltare qualsiasi genere di crisi e pettegolezzo dell’amica, di farla divertire.
Per secondo arriva il regalo di Chiara, avvolto malamente in carta da pacchi marrone, che le strappa un sorriso. Quando lo scarta, Eris si ritrova tra le mani un abito di velluto nero, dalle maniche lunghe, in pizzo trasparente, con ricami di fiori.
-E questo?- Non le riesce di nascondere la sorpresa nella voce.
-Beh, mica puoi indossare sempre pantaloni!- Chiara le sorride, facendole l’occhiolino, per poi riservarle uno dei suoi soliti abbracci  stritolanti, da Boa Constrictor.
Chiara si è trasferita nella cittadina poco dopo l’arrivo di Eris, ai tempi, e accoglierla non è stato affatto difficile: con il suo sorriso sempre caloroso, i modi diretti, quei capelli rosso carota talmente ricci da essere ingestibili e il buffo volto costellato di lentiggini, è sempre stata riflessiva e di buon cuore, dispensatrice di ottimi consigli e soffocanti abbracci, incapace di giudicare gli altri.
Christian  invece si è aggiunto dopo, verso il quarto anno, quando è stato messo in una sezione differente perché col gruppetto di amici faceva troppo casino, e da allora non le ha lasciate più.
Non che Eris con lui abbia una gran confidenza, forse sarebbe meglio dire “intesa”, o meglio “attrazione”.
Si intendono nei gusti, nelle letture, nelle preferenze musicali, e si passano le sigarette in aula fumo.
Fine del discorso.
Non che a Eris siano sfuggiti quegli occhi così neri da dare il mal di testa, o il fisico asciutto, o quel modo tanto intimo che ha di studiarla, di osservarla, tanto da metterla a disagio.
C’è stata una conversazione una volta, la prima e l’unica in cui lui abbia mai mostrato cosa gli passa per la testa. –Potremmo avere di più che qualche tiro di sigaretta ogni tanto- le aveva semplicemente buttato lì, durante una delle tante pause in aula fumo.
-Vorrei poterti dare di più, ma non ho nulla in più da darti. Ciò che avevo, l’ho perduto.- aveva sibilato Eris, tra i denti, prima di sbattere la sigaretta per terra, e piantarlo da solo. Ed era la cosa più onesta che avesse mai detto di sé stessa. C’è qualcosa dentro di lei, che manca. È sempre mancato, da quando Ares è andato via, quasi l'avesse portato via con lui, qualsiasi cosa fosse. E ora Eris è.. incompleta.
Ad ogni modo, nessuno aveva più toccato l’argomento. Né lui, né lei di certo. Ma è perfettamente chiaro che Chris attenda solo l’occasione buona. D’ altronde, anche lui si è consolato presto, passando da una ragazza all’ altra, ben consapevole di poterselo permettere. Eppure, gli sguardi ambigui sono rimasti.
-Questo è da parte mia.- le mormora, fissandola come al solito, con quegli occhi che paiono voler indagare sulla sua anima, porgendole un pacchettino dorato.
Dentro, adagiata su un cuscinetto di velluto, una catenella d’argento con un plettro come ciondolo.
Eris la prende tra le mani, confusa. –Un plettro?-
-Il mio vecchio plettro.- le risponde, senza staccare gli occhi dai suoi.
-Ti ringrazio, è molto bella.- si ritrova a sussurrare, mentre le amiche fingono di guardare altrove.
-BEENEEE!- Irrompe Bea improvvisamente, come suo solito. –Ora, apriamo questo maledetto pacchetto!!-
E le infila sotto il naso la scatola nera, l’ultima rimasta, quella misteriosa.
Il senso di calore improvvisamente scompare, mentre Eris si ritrova a fissare la scatola,incerta-
E se..?
-BEH? Sveglia! L’intervallo è quasi finito!-
Okay, Beatrice sa essere irritante. Certe volte, semplicemente Eris vorrebbe stare sola con sé stessa. Tipo quella.
Invece, controvoglia,si obbliga a prendere la scatola, combattuta tra la voglia di sapere e quella invece di lasciare le cose come stanno, senza stravolgere il loro già precario equilibrio.
Alla fine, vinta dalla curiosità, apre la maledetta scatola.
E non sente più il vociare dei ragazzi a scuola, né i commenti dei suoi amici. È in una bolla, una bolla ovattata, mentre prende tra le mani il suo regalo. Un regalo che ha già visto, tanto tempo prima. Un regalo che significa solo una cosa.
-Un Mappamondo?- trilla Beatrice, ma Eris non la sente. Eris è lontana anni luce con la testa, in un posto che gli altri non possono vedere, in un luogo perso dentro la sua memoria, che credeva dimenticato.
Nel passato.
 
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8 Aprile 2011
 
-Odio questa maledetta materia.- aveva imprecato, forse per la millesima volta in quel pomeriggio. Erano già le quattro, due ore di studio e cosa aveva risolto? Nulla.
A cosa mai poteva servire la Geografia? Certo, Nord, Sud, Est, Ovest, i nomi degli Stati, le Capitali, fin lì poteva anche capirlo.
Ma studiare il Kenya, e la sua morfologia, idrografia, demografia, il clima, i confini, a cosa mai sarebbe potuto servirle nella vita?
Con un ultimo lamento aveva sbattuto malamente il libro sulla scrivania, per poi poggiarci la fronte, sconfitta.
Non sarebbe mai riuscita a ricordarsi tutte quelle cose, per una dannatissima interrogazione sugli Stati, dove nemmeno aveva potuto scegliere il suo preferito.
Per di più, il Professore era uno squalo. Con freddi occhi da rettile, la voce acuta, sempre pronto a correggere e punzecchiare non appena notava un velo di incertezza, la metteva irrimediabilmente in soggezione. Sarebbe stato un disastro.
-Terra chiama Eris, rispondi Eris!-
La voce allegra del fratello l'aveva distolta per un instante dal suo sconforto, ma aveva deciso di ignorarlo. Era davvero TROPPO allegro, e lei non era in vena.
-Devo muoverti con uno stecchino per vedere se sei viva?-
-Ah-ah, spiritoso.- aveva mugugnato, senza cambiare posizione.
-Beh, che succede?- il tono, da scanzonato si era fatto preoccupato, incerto.
- Geografia.-
-Geografia?-
-Interrogazione. Kenya. Domani.-
Lo aveva sentito ridere, sollevato. –Tutto qua?-
Con uno scatto fulmineo aveva alzato la fronte dal libro, per fronteggiare il fratello. –Tutto qua? TUTTO QUA? Saranno venti pagine minimo, e io odio la Geografia,  odio quel Professore! Quello mi fa bocciare, Ares, te lo dico io!- poi aveva scorso con lo sguardo il volto del fratello, per scendere lungo il corpo. Nessuna traccia delle tute sformate che usava per stare a casa. Piuttosto, una semplice maglietta bianca e un paio di Jeans.
-E tu esci, e mi lasci qui da sola.-
Era scoppiato a riderle in faccia, con quella risata sprezzante che lo caratterizzava.
 –Quanto sei melodrammatica a volte, Eris!-
-Possibile, ma davvero non lo reggo più. Sembra che mi abbia presa di mira. Odio quella materia.-
-Tu non odi quella materia, Eris. Sei tu che vuoi viaggiare il mondo in lungo in largo, ricordi?-
-Sì, ma..-
-Semplicemente, questo tuo Professore te la sta facendo prendere in antipatia.-
- Beh, questo sicuro..-
-Ecco, vedi? Semplice.- Aveva mormorato, con un sorrisetto e in tono pacificatore.
-Scusa, cosa sarebbe semplice?-
Se n’era andato senza risponderle, come faceva spesso, scendendo le scale due a due.
-COSA SAREBBE SEMPLICE!- gli aveva gridato dietro, ma Ares come sempre aveva risposto con una risatina, prima di uscire di casa.
-Il solito stronzo.- Aveva sospirato, prima di sbattere nuovamente la testa contro il libro, e in pochi secondi la stanchezza aveva vinto, facendola addormentare.
 
-Vedo che stai attivamente studiando.- Era stata la sua voce, un sussurro flebile contro l’orecchio, a riscuoterla dal suo torpore.
-Sei una pessima studentessa, Eris. Così non ci siamo.- La stessa voce arrogante, le labbra di lui che le premevano sul lobo, il fiato caldo contro il collo.
-Che ore sono?- aveva sbadigliato, sgranchendosi, cercando di ignorare quel brivido caldo che le era corso lungo la schiena.
-Sono le sei.-
-Due ore? Ho dormito due ore, cazzo.-
E Ares era scoppiato a ridere, di nuovo. –Sì, molto divertente-
-Beh, dovresti vedere la tua faccia ora, compreso il segno rosso in fronte, nel punto in cui hai dormito sul quaderno!-
-Ma tu non eri uscito lasciandomi nella merda?-
-Tz, tz, tz, che linguaggio scurrile! Si tratta così il proprio fratello che ti ha fatto un regalo?-
Detto questo, le aveva semplicemente poggiato un pacchetto tra le mani.
-Un regalo?- forse era stato il sonno, forse l’atteggiamento incoerente del fratello, ma Eris non riusciva davvero a collegare. –Non è il mio Compleanno.-
-Aprilo.-
Quando Ares si impuntava su qualcosa, non c’era verso di farlo desistere, così semplicemente, si era limitata a sfasciare la carta rosa confetto.
Era un piccolo mappamondo. Un mappamondo sorprendentemente accurato, con i monti in rialzo e i nomi delle Nazioni, dei fiumi, dei laghi, delle Capitali. Un piccolo aeroplano laccato di bronzo era assicurato tramite due perni, di modo che potesse correre lungo tutta la superficie della sfera, spostandosi in alto, in basso, a destra o a sinistra, pronto per farla viaggiare con la fantasia.
-Ares.. è.. è bellissimo..- aveva sussurrato. Sì, era un regalo prezioso. Non solo in sé, ma anche perché Eris sapeva benissimo da dove provenisse.
-Lo hai comprato al Bazaar, vero?-
Lui aveva annuito, con un ghigno soddisfatto. Il "Bazaar" era un posto per Eris semplicemente meraviglioso. Era sempre stato così, una sorta di “Bottega delle Meraviglie”, gestita da un vecchietto simpatico con dei baffoni in stile ottocentesco, e in testa sempre una bombetta.
Potevi trovare qualsiasi cosa, al Bazaar: vecchie riproduzioni di treni a vapore, soldatini, marchingegni a molla, Carillon, libri conosciuti e sconosciuti, orologi da taschino, oggetti e ninnoli provenienti da tutto il mondo, e soprattutto Mappamondi. Rifiniti, colorati, placcati in bronzo, in argento, grandi, piccoli, e meravigliosi. Eris si era incantata mille volte a guardare la vetrina, con le mani attaccate al vetro, in contemplazione. Tanto che alla fine, con l’uomo ci aveva anche fatto amicizia, e di tanto in tanto lo aiutava a rimettere in ordine qualche scaffale, a spolverare, e intanto lui le raccontava dei suoi straordinari viaggi fatti in gioventù, di questa o quell’ altra leggenda, delle varie usanze dei diversi popoli.
Così Eris aveva amato la Geografia, così aveva deciso, una volta adulta, di voler viaggiare.
Poi, però.. c’era stato quel Professore. Il dover imparare cose schematiche, il ripetere a pappagallo, le occhiate pungenti, le cifre che dovevano essere  esattamente riferite.. Eris non era mai stata una ragazza che amava entrare negli schemi. Le aveva spento la fantasia. Quella materia, gliel’ aveva fatta odiare.
Ma Ares la conosceva fin troppo bene, e sapeva quali tasti schiacciare. Sapeva farla sorridere.
Si era avvicinato, lasciando scorrere le dita sicure sul mappamondo. –Ora, vedi..- aveva mormorato, spostando l’aeroplano, -Se noi decidessimo di atterrare, per esempio, in Kenya..- e in quella l’aeroplano si era fermato sulla piccola Nazione, –dovremmo sapere quali sono i confini, quali persone possiamo trovare, e soprattutto che cosa ci aspetta!-
Poi, con due dita, aveva sollevato il bordo della Nazione, che si era aperta come uno sportellino, lasciando scoperta una piccola conca al suo interno. Dentro, la sagoma di un elefante.
Eris aveva trattenuto a stento un mormorio sorpreso.
-Ti sarà costato un sacco, questo affare!-
Lui aveva sorriso, lo sguardo furbesco di chi ne sa una più del Diavolo. –Ho avuto un piccolo sconto, raccontando al proprietario che la mia sorellina stava perdendo un po’ del suo entusiasmo a causa di un Professore indisponente, e lui ha detto: “Non sia mai che la nostra Eris venga scoraggiata dallo scoprire cose nuove! Certa gente non dovrebbe neppure avere la licenza di insegnare!”- imitando la voce del vecchio, Ares ancora una volta l’aveva fatta ridere.
Poi, semplicemente si era avviato verso la porta. Il regalo prendeva ancor più importanza agli occhi della ragazza, se rifletteva sul fatto che quei soldi erano proprio di tasca del fratello: infatti, ultimamente Ares si rifiutava di dipendere dai genitori, volendo coltivare da solo le sue passioni. Aveva trovato un lavoretto part-time in un piccolo studio di fotografia, e spesso alternava quello alla scuola, saltandola sempre più di frequente. Nemmeno a lui piacevano le imposizioni, specialmente quelle del padre: “Vai a trovarti un lavoro serio, finisci gli studi, chessò, avvocato, oppure architetto!” no, Ares voleva fare il fotografo. E con quei pochi soldi da poco guadagnati, le aveva comprato un magnifico mappamondo.
-Ares, grazie.- Lo aveva fermato, sulla porta. –Lo custodirò come la mia cosa più preziosa.-
Per un attimo, quando si era voltato a guardarla, aveva quasi avuto la certezza che una strana ombra gli fosse passata sugli occhi. Ma era stato solo un secondo.
-Fagliela vedere, a quel Professore!-  aveva ridacchiato, per poi lasciarla sola.
E così Eris aveva fatto, il giorno seguente e molti altri ancora. Aveva imparato a memoria molti altri Stati e si era persino procurata una piccola cartina, dove aveva segnato in rosso tutti i luoghi che le sarebbe piaciuto poter visitare. Aveva raccolto ritagli di giornale e fotografie di tanti luoghi, e creato una sua "scatola dei desideri".
Ma non era invece riuscita a mantenere la promessa data.
Infatti, il Mappamondo si era sfracellato qualche anno dopo, durante una discussione particolarmente violenta, una discussione in cui Ares era andato via.
Una discussione in cui tutto il suo mondo era caduto a pezzi.
 
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-Alicia? Alicia, mi stai ascoltando??- la voce di Beatrice, sempre più seccata, la riporta prepotente al presente.
-Sai chi può avertelo mandato?- Lo sguardo cade ancora sul piccolo mappamondo, una mano che, quasi dotata di volontà propria, fa scorrere l’aeroplanino fino in Kenya.
"Sai chi può avertelo mandato?"
Solo una persona, e nessun’altro. Solo lui può saperlo. Solo lui conosce l’importanza del Bazaar, per lei. È  un segreto che non ha condiviso con nessuno.
Lascia correre gli occhi vacui sul volto perplesso dell’amica.
-No. Non ne ho idea.-  sussurra, mentre la campana suona, segnando la ripresa delle lezioni.
E mentre tutti si siedono, sente gli occhi di pece di Christian su di sé.
"So che stai nascondendo qualcosa", sembrano sussurrarle, ed Eris distoglie immediatamente lo sguardo. Qualsiasi cosa lui abbia intuito o creda di aver intuito, lei di certo non gli racconterà nulla.
D’improvviso un pensiero la coglie, e con l’unghia fa leva sulla superficie del Kenya, portandola verso l’alto, svelando la piccola conca al suo interno.
Eppure, dentro non c’è una miniatura di elefante, come ricordava. Invece, c’è un biglietto.
Buon compleanno, Eris.
"Buon compleanno Eris"… La voce del fratello, nel sogno, le martella prepotente nella testa.
Ed Eris lo sente, quasi, lo vede, come fosse lì, come se aspettasse lei.
E capisce. Capisce che i sogni spesso non sono solo sogni, capisce la sensazione che ha provato fino a quel momento, realizza cosa sta per accadere.
Buon compleanno, Eris.
Mentre tutto si fa scuro, e la testa vortica, e mille lucciole impazzite sembrano schizzarle davanti agli occhi, sente la voce ovattata di Beatrice, chiamarla.
Buon compleanno, Eris.
E l’ultimo pensiero razionale, prima di abbandonarsi al buio, è solo uno, tanto chiaro quanto beffardo:
"Stai attenta a ciò che desideri."
 
 
La campana suona finalmente, una volta per tutte, segnando la fine delle lezioni per quella giornata, mentre una fiumana di studenti si riversa fuori dalle aule, per correre in strada.
-Alicia, tutto okay ora?-  fa un cenno con la testa Eris, la testa che invece sembra esplodere, il dolore accentuato dagli schiamazzi attorno a lei. –Menomale, sai.. quando hai avuto quel capogiro mi sono spaventata a morte..-
Eris fa un cenno alla migliore amica, giusto per zittirla, mentre i pensieri vanno a mille.
Perché lei lo sa, lo sente.
Sa che Ares è là fuori, ad attenderla. Sa che il suo più grande incubo e il suo grande sogno stanno per mischiarsi, ma non sa se sarà in grado di affrontarlo.
Bea continua a parlare, poco fuori dall’edificio, ma lei non ascolta. Cerca qualcosa, anzi, cerca qualcuno.
Ed ecco, poco distante dalla calca di gente, poggiato ad una moto sportiva che non saprebbe identificare, un ragazzo alto, con le braccia incrociate, con i capelli corvini, con un paio di jeans e un chiodo di pelle.
Con un paio di Ray Ban a specchio.
"È lui? No.. non può essere lui.. non può essere reale.."
Eppure, il ragazzo pare voltarsi nella sua direzione, e attraverso quelle lenti, sembra quasi che la stia fissando. Riesce a percepire i suoi occhi su di lei, pur non vedendoli.
Poi, d’improvviso porta una mano agli occhiali, levandoli in un unico fluido gesto.
E due occhi discordanti si inchiodano ai suoi.
Due occhi spaiati, sbagliati, etero cromatici.
Gli occhi di Ares.
E d’improvviso Eris sente il cuore in gola, Eris ha paura. Perchè mentre nel suo viso si dipinge un’espressione terrificata, in quello di lui si dipinge un ghigno sadico, malevolo.
Ed Eris scappa, Eris sfida la corrente di studenti che la spintonano, e si dirige all’uscita sul retro dell’edificio, non sente l’amica che la chiama, non sente nulla all’infuori del suo cuore impazzito nel petto, che le martella di fuggire.
Scende rapida le scalette del giardino sul retro, fino ad arrivare al cancello che da sulla strada, ma lì ad attenderla c’è un Ares se possibile ancor più fremente, incredulo, furente.
-Che cazzo vuoi da me!? VATTENE! VATTENE VIA!!- Ed Eris urla, stupita per prima da sé stessa, dalla sua reazione così poco incontrollata, dal fatto che fiumi di sentimenti le siano esplosi in gola dopo anni di silenzi e repressioni. Dal fatto di volerlo allontanare dopo aver sognato di rivederlo la mattina stessa, dopo averlo espresso come desiderio spegnendo le candeline. Perché è una reazione inspiegabile, ed è completamente incoerente. Ma quel ragazzo che la fissa come se dovesse divorarla non è il suo Ares, non è quello dei suoi ricordi, non è quello che ha sperato di riavere con sé. È un Ares arso dalla rabbia e dalla frustrazione, memore della loro litigata, è un Ares che la odia.
Per un attimo, lui stesso sembra spiazzato dalle sue parole, ma è appena un secondo, in un soffio le è di fronte, la sovrasta, la trapassa con lo sguardo.
-Sono qui per mantenere una promessa. – Ringhia. –Una promessa fatta in passato.- e la sua voce è roca, forte, è una minaccia, è una presa di potere.
-Non voglio ripensare al passato.. non.. non voglio..- singhiozza lei, cercando di scappare.
-DEVI.- la tira per un polso, e stringe, stringe troppo forte, la trascina verso di lui.
-Perché il passato è qui di fronte a te, e reclama pegno.-
-L-lasciami..- non vuole guardarlo, non vuole pensare, non vuole credere che stia accadendo sul serio.
-Te la ricordi, la promessa, Eris? Te la ricordi?- la strattona.
-No..-
-Sì che la ricordi. Tornare da te appena compiuti i diciotto anni. –
-NON VENGO CON TE, COME NON SONO VENUTA ALLORA!- lo vede serrare la mascella, e alzare di scatto una mano, quasi a volerla colpire. Invece, le lascia una carezza infuocata lungo il collo.
-Cosa credevi di fare, Eris? Pensavi di poter scappare da me?- la voce è più carezzevole ora, mentre le si avvicina.
Continua a stringerle i polsi, tanto che le mani prendono a formicolare.
-Basta, Ares.- lo prega, il volto sofferente ridotto ad una smorfia supplichevole, mentre ancora tenta di divincolarsi, invano.
-NO!- la stringe, la scuote, non molla. Eris alza gli occhi e può vedere la sua espressione riflessa sul volto di lui. Ares sta male quanto lei. Ares è vicino al punto di rottura. Cosa accada quando si rompe, lei davvero non lo sa, lo ricorda appena in un eco passata, ma non vuole ripensarci.
-Non ti lascio andare!-le urla, gli occhi spaiati arrossati dal principio di un pianto.
-Mi metto ad urlare sul serio, se non la smetti!- lo minaccia, con la certezza che un paio di persone per strada si siano già fermate a fissarli.
-Non mi interessa.- Scandisce Ares. E per un momento pare lo stesso bambino capriccioso di quando erano piccoli. –Non riuscirebbero a separarmi da te, nessuno ci riuscirebbe. Nessuno ci riuscirà più.- i suoi occhi brillano di disperata determinazione, mentre i capelli corvini giocano col vento. Fissa lei, solo lei, mentre parla. Lo sguardo non si sofferma mai sul paesaggio. Non gli importa di chi può vedere, a lui non interessa nient’altro.
Solo lei.
È così, è sempre stato così, fin dal principio. Per lui esiste solo Eris. Ed Eris sa che è sbagliato, lei ha sempre avuto paura di questo.
Eppure, proprio come quando era bambina, non riesce a non sentirsi affascinata. Non riesce-non vuole staccare gli occhi dai suoi, la imprigionano, quegli occhi, la catturano, la annullano in lui.
Questo è l’effetto che Ares ha sempre fatto, su tutti-in tutti.
Ed Eris si è ribellata solo una volta. Una piccola, stupida volta. E si è maledetta, oh sì, si è dannata, si è odiata per anni dopo quella volta. Dopo che lui.. lui se n’è andato via.
Ed ora che è un uomo, lì di fronte a lei, Eris non vuole che vada via. Nemmeno se la odia. Nemmeno se lo ha detto poco prima.
Che cosa, che cosa potrebbe mai succedere, se lei.. se lei..
 
Ed ecco che Ares riconosce uno spiraglio d’incertezza, dentro gli occhi impenetrabili che tanto ama, che tanto odia. E lui fa ciò che gli riesce meglio, ci si insinua, si infiltra, ne approfitta.
E proprio mentre Eris è avvolta nella confusione, la attira a sé, di colpo. La testa di lei che va a cozzare contro il suo petto, e le sue mani la avvolgono, la bloccano come le spire di un serpente.
Tuffa il volto tra i suoi capelli, Ares, una massa lucente di un nero corvino, e non la sente ribellarsi-lei non vuole ribellarsi. Sta cedendo.
Cerca il suo orecchio, e avvicina le labbra, quasi a sfiorarle il lobo, riprendendo il discorso precedente, di cui lei tanto sapientemente gli ha fatto perdere il filo: -Nessuno può separarci, Eris. Nemmeno tu.- ci infonde tutto il suo disprezzo, tutta la sua rabbia, tutto il suo dolore, tutto il sentimento, in quella frase. Perché vuole darle il colpo di grazia. Vuole distruggerla, e farla cedere del tutto, vuole.. forse vuole sedurla.
Perché non ha trovato pace senza di lei, vuole essere per lei ciò che lei è stata in tutto quel tempo, vuole condurla alla follia, come è folle lui di lei.
Vuole essere per lei il serpente, sì, il serpente con Eva.
E sussurrarle parole che la cacceranno dal Paradiso.
 
Un brivido la blocca, la scuote. Come sempre, è caduta vittima della sua malia, e lo odia per questo. Lo odia.
Eppure, sentire di nuovo il suo odore.. Dio, il suo odore..
Sempre lo stesso, quasi non fosse mai andato via. Basta ad inghiottire anni di vuoto, di assenza. Non contano più, non esistono. Forse non sono mai esistiti.
E come può, come può tutto questo non lasciarla sfinita, senza fiato, senza energie?
Lui non è più uomo e lei è di nuovo bambina, e come da bambina si  aggrappa a lui per non cadere.
Lentamente, Eris risponde all’abbraccio, gli graffia le spalle con le unghie, lo sente ansimare.
E un senso di completezza la avvolge. Sono di nuovo loro, di nuovo insieme, con i loro vuoti, che insieme si riempiono.
Anche se Eris sa che stanno cadendo entrambi, che stanno precipitando, che stanno iniziando un gioco al massacro, che si farà male, che è solo l’inizio, non le importa di perdere il cuore. Non le importa di scivolare nel baratro, non le importa di sfracellarsi, purché sia con lui.
E così, il circolo comincia di nuovo.
 


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Eccovi altre foto dei due protagonisti!

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Ringrazio di cuore chi ha messo la storia nei seguiti preferiti e ricordati, siete tantissimi!! :) In ordine: Aching heart, Chiara_86 , emi2193 ,mama98 , orny81 ,p86aola, TheVampireDiaries4ever, _Cheshire_Cat_, marvelmax85, mimi_cullenEleos99 e un grazie speciale a Eleos che mi ha anche lasciato una magnifica recensione! vi invito a lasciarmi un parere per farmi sapere se vale la pena di continuare oppure no, dipende tutto da voi! ^^
In caso, medito di riaggiornare il 28! Un bacio a tutti :*
  
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