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Autore: _Trilly_    19/03/2015    7 recensioni
Violetta, Angelica, Angie, Pablo, Leon, Diego, Francesca, Marco. Ognuno di loro ha un passato che vorrebbe cancellare, dimenticare. Si sa però, che per quanto si possa fingere che non sia mai esistito, esso è sempre là in agguato, pronto a riemergere nei momenti meno opportuni, portando con se sgomento e profondo dolore. Tutto questo perchè il passato non può essere ignorato per sempre, prima o poi bisogna affrontarlo. Ognuno di loro imparerà la lezione a sue spese.
Leonetta-Diecesca-Pangie
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Diego, Francesca, Leon, Pablo, Violetta
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un vento gelido sferzava contro i volti di Angie e Violetta, facendo ondeggiare le loro chiome e portandole per quello a rabbrividire. Tuttavia, il freddo era l'ultimo dei loro pensieri. Sedute su un telo in uno dei grandi parchi della città, le due sapevano quanto quella conversazione fosse importante e necessaria, oltre ovviamente che tanto complicata. Probabilmente non esisteva un modo per renderla più sopportabile e anche se ci fosse stato, Angie era fin troppo nervosa e tormentata per pensarci su. Come poteva dire alla sua nipotina quelle cose così terribili che inevitabilmente le avrebbero condizionato la vita? Già in quel momento mentre la osservava, si rendeva conto di quanto fosse smarrita, ferita, assente quasi, mai l'aveva vista in quello stato e la cosa le faceva paura. Poteva quella ragazza che già aveva sofferto così tanto nella sua vita, reggere una simile verità? Socchiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro. Era ora di dirle tutto, non poteva più tacere e né permettere che Marotti la manipolasse. “Violetta.” Poggiò una mano sulla sua e finalmente la ragazza la guardò, risvegliandosi da quella sorta di apatia in cui si era rifugiata fino a quel momento. I suoi occhi però erano spenti, privi di emozione, cosa che spaventò ancora di più la bionda. Cosa le aveva detto quel mostro per ridurla in quello stato? “Io non so cosa lui ti abbia detto, ma ti prego di permettermi di spiegare,” iniziò con un filo di voce. Violetta sospirò, ricambiando la stretta delle loro mani. “Mi ha detto di essere mio padre...lui e la mamma, loro... hanno tradito papà,” balbettò, con gli occhi lucidi. “C..come?” Angie sgranò gli occhi, sicura di aver capito male. Ecco perché sua nipote era così devastata, lui la aveva fatto credere che... Scosse il capo, non riusciva nemmeno a pensarci. Come poteva quell'uomo essere così squallido e disgustoso? Una lacrima sfuggì al suo controllo e lei la lasciò scorrere lungo la guancia, avvertendo un dolore sempre più insostenibile alla base del cuore. “è vero,” ammise a fatica. “Lui è il tuo vero padre, ma le cose non sono andate come ti ha detto.” Un lampo attraversò lo sguardo, fino a quel momento vuoto, di Violetta. “Che vuoi dire? Solo perché è tua sorella, non significa che devi giustificarla o...”
“Basta, smettila!” Esplose Angie, lasciandola a bocca aperta. “Maria non ha mai tradito German, lei lo ha amato fino al suo ultimo respiro. Su questo posso metterci la mano sul fuoco.” La ragazza la fissò, scettica. “Lo hai detto tu stessa, Marotti è mio padre.”
La Saramego si asciugò le lacrime con il dorso della mano, sforzandosi di riprendere la calma. Avrebbe dovuto immaginarlo che Emilio avrebbe costruito una sua versione distolta per poter manipolare Violetta, perciò non doveva sorprendersi tanto. Lui, nonostante fossero passati tanti anni, non era mai cambiato, era sempre lo stesso squallido uomo disposto a tutto per ottenere ciò che voleva e in quel momento voleva sua figlia. Angie però avrebbe fatto tutto ciò in suo potere per salvare sua nipote e non si sarebbe arresa finché non ci fosse riuscita. “Ti sei mai chiesta perché io e tua nonna fossimo tanto contrarie alla tua storia con Leon?” Violetta corrugò le sopracciglia, confusa. Proprio non riusciva a capire perché la zia le avesse posto quella domanda, in un contesto in cui c'entrava poco o nulla. “Leon ci ricorda tanto tuo padre, German,” spiegò la bionda, lasciandola a bocca aperta. “La famiglia Castillo e la famiglia Vargas non sono molto diverse tra di loro, un tempo facevano affari insieme e di certo non erano affari leciti. German ne era coinvolto esattamente come Leon.”
Lo stupore più totale attraversò lo sguardo della giovane. “Quindi papà...?”
“Si,” confermò la bionda. “Come Leon, anche lui si è innamorato di una brava ragazza ma aveva tanti scheletri nell'armadio. Tu non hai conosciuto tuo nonno, lui era esattamente come il padre di Leon, aveva accettato che suo figlio volesse cambiare vita per la donna che amava, ma Marotti no. Ti ha detto di essere nato dal secondo matrimonio di tuo nonno, giusto?” Quando Violetta annuì, lei proseguì. “Emilio era quello più coinvolto negli affari di famiglia e...e credo si fosse infatuato di tua madre, ma lei non lo ha mai ricambiato, mai.”
“Zia,” la interruppe lei, confusa. “Non capisco dove vuoi arrivare con questo discorso. Cosa...”
Angie la interruppe, scuotendo il capo. “Non pensavo che ne avrei mai parlato con qualcuno, ma dopo averlo detto a Pablo è giusto che anche tu sappia.” Tacque per alcuni istanti, specchiandosi negli occhi nocciola della nipote. “Violetta, tutti noi abbiamo in passato sottovalutato Marotti e la cosa ci si è ritorta contro, perciò ti prego, non permettergli di insinuarsi nella tua vita. Tutto ciò che ha toccato lo ha distrutto e non esiterebbe a farlo anche con te.” Violetta annuì, tirando su col naso. Era nervosa, spaventata da ciò che la zia poteva raccontarle, ma doveva saperlo assolutamente. Se c'era anche solo una minima possibilità di ripristinare l'idea che aveva di sua madre prima di parlare con Marotti, doveva tentare anche a costo di uscirne con il cuore a pezzi, tanto ormai ci era abituata. “Ti prego, zia, raccontami tutto.” Dio solo sapeva quanto la bionda avrebbe voluto scappare via ed evitare quella conversazione, rievocare quei ricordi le faceva troppo male, ma non poteva permettere che Marotti distruggesse il ricordo che sua nipote aveva di sua madre. Intrecciò la mano con la sua, lo sguardo fisso nel vuoto. “Forse Leon te lo ha detto, spesso quando uno di loro vuole uscire da quell'ambiente deve pagare una sorta di pegno e...Marotti lo ha preteso da tua madre.” Quasi con timore guardò la ragazza e ciò che vide nei suoi occhi, era la confusione più totale. “Un pegno? Zia, cosa...?” Si interruppe all'improvviso, incapace di aggiungere qualsiasi cosa. Nella sua mente non facevano altro che ripetersi quelle parole e a poco a poco assumevano un significato preciso, peccato che fosse anche il più terribile e impensabile, l'unico che mai aveva preso in considerazione. “Ti prego, dimmi che non l'ha costretta...dimmi che...” balbettò, avvertendo le lacrime scorrerle a fiumi lungo le guance. La verità non poteva essere quella, non poteva a basta. Gli occhi di Angie, a loro volta velati di lacrime, furono però più eloquenti di qualsiasi risposta e Violetta avvertì chiaramente la terra mancarle sotto i piedi, oltre a una sensazione di vuoto propagarsi in ogni cellula del suo corpo. “Ha minacciato di uccidere German e qualsiasi altra persona a cui tenesse,” soffiò la donna, in seguito a un singhiozzo. “Lei si è sacrificata per proteggere tutti noi. Violetta, noi volevamo tenerti al sicuro per questo non te lo abbiamo detto prima. Tua madre voleva solo che tu fossi felice, ignara di questo schifo,” singhiozzò ancora, sfiorando la guancia della nipote con una leggera carezza. Lei deglutì, poi si gettò tra le sue braccia. In pochi istanti, entrambe si ritrovarono a piangere, strette l'una all'altra. “Ora capisci perché io e la nonna non volevamo dirti nulla?” Le chiese Angie, continuando a cullarla a se. “è tutto così orribile e volevamo evitarti questa sofferenza. Tua madre avrebbe voluto così.” Violetta annuì, tirando su col naso e sforzandosi di fermare il corso delle lacrime. “Per questo aveva così paura di lui...poi tu e la nonna...papà...quell'uomo è un mostro.” Abbandonò ancora il volto contro il petto della zia, lasciandosi sfuggire altre lacrime. Come aveva potuto pensare male della sua dolce mamma? Come poteva essersi fatta abbindolare da Marotti in quella maniera? Che razza di figlia ingrata era? Lei avrebbe dovuto capire che le stesse mentendo, così come avrebbe dovuto comprendere il motivo del terrore di Maria in quella pagina di diario. Come aveva fatto a non arrivarci prima? Lei non era frutto di un tradimento, ma di un ricatto, di una molestia...la sua povera mamma aveva passato le pene dell'inferno per colpa del fratellastro di suo marito. Paradossalmente aveva trovato pace quando quel maledetto incidente aveva stroncato la sua vita e quella di German. Chissà quante volte Marotti l'aveva tormentata, quante volte lei aveva rivissuto quel terribile momento e quanto esso l'aveva condizionata. Il calvario che Maria aveva dovuto passare si poteva solo immaginare e ancora una volta Violetta si sentì in colpa, non solo per non averlo capito, ma anche per averla giudicata nella sua mente dopo la conversazione con Emilio. Non avrebbe dovuto dubitare di lei, né tantomeno lasciarsi manipolare da quell'uomo. Avrebbe dovuto chiederla ad Angie e Angelica la verità, loro erano la sua famiglia e le uniche che mai le avrebbero fatto del male. Che stupida ingenua era stata. Mentre se ne stava raggomitolata tra le braccia della zia, un altro pensiero attraversò la sua mente. Lei somigliava a quel mostro? A sua madre era mai accaduto di vederlo riflesso nei suoi occhi? E German? Come era riuscita a non crollare mai davanti al marito? Quanto poteva essere stata forte Maria Saramego?
“Zia.” Sollevò di poco il capo, specchiandosi negli occhi della bionda. “Tu e la nonna quando lo avete saputo?” Angie allora le raccontò di quel giorno dopo il viaggio di nozze della sorella maggiore e poi in ospedale, quando era in fin di vita. “Per anni mi sono chiesta come abbia fatto Maria a sopportare un simile fardello. Io ne sono tuttora tormentata, tanto che la sera devo prendere sempre una tisana per riuscire a dormire e da quando siamo qui, le cose sono anche peggiorate.”
“Povera la mia mamma,” sussurrò Violetta, perdendosi a guardare le persone che passeggiavano per il parco a diversi metri da loro. “Cosa ha dovuto passare e tutto per colpa di quel mostro.” Angie annuì, scostandole una ciocca di capelli dal volto umido. “A volte avrei solo voluto procurarmi una pistola o un coltello e fargli assaggiare la nostra stessa sofferenza,” ammise, per poi tacere di colpo. Perché non pensava prima di parlare? Come le era saltato in mente di dire una cosa del genere di fronte a una Violetta ancora tanto vulnerabile? La ragazza però non disse nulla, al contrario scrollò le spalle e socchiuse gli occhi, facendo ondeggiare le loro mani intrecciate. “Tu credi che la pagherà mai per quello che ha fatto?” Buttò lì, scrutando la zia con la coda dell'occhio. Sapeva che denunciare un tipo come Marotti sarebbe stato inutile esattamente come lo sarebbe stato in passato, d'altronde non avevano prove concrete e poi sicuramente lui aveva tante conoscenze che lo avrebbero salvato o vendicato, ma un minimo di giustizia doveva pure esserci, no? Angie sospirò, circondandole le spalle con un braccio e attirandola a se. “Lo spero, è l'unica cosa che in questi anni mi ha permesso di andare avanti.” A quel punto lasciarono che il silenzio prendesse il sopravvento, continuando ad abbracciarsi e a lasciarsi sfuggire qualche lacrima carica di amarezza. Sentivano addosso quanto quella conversazione tanto temuta avesse inevitabilmente portato le sue conseguenze. Qualcosa era cambiato, sia Violetta che Angie se ne rendevano conto, così come sapevano che non sarebbe stato facile ricominciare come se nulla fosse accaduto e proprio per quello, necessitavano del sostegno l'una dell'altra, un sostegno che sapevano non sarebbe mai mancato. Insieme potevano farcela. Pablo lo ripeteva sempre durante le sue lezioni, Juntos somos mas e loro avevano a tutti i costi bisogno di crederci.



Diego varcò la porta che conduceva alla piscina al chiuso dell'albergo, mentre un accenno di sorriso increspava le sue labbra. Tra le mani reggeva un sacchetto di carta, su cui era inciso il nome di un noto bar del posto. Francesca era lì, seduta su una delle sedie di plastica che costeggiavano la piscina, impegnata in una fitta conversazione al cellulare con Camilla. Da quando Violetta e Angie erano tornate, la Castillo era chiusa in un mutismo profondo, nemmeno una parola di ciò che si era detta con Marotti e con la zia era stata proferita, cosa che aveva suscitato una certa preoccupazione in tutti loro, soprattutto nella Cauviglia. Diego la vedeva nervosa, agitata, inquieta e più volte aveva tentato di convincerla ad aprirsi con lui, ma non c'era riuscito. Con Camilla invece parlava sottovoce freneticamente, sembrava un vero e proprio sfogo, anche se da quella distanza non riusciva a capire cosa dicesse. Prese un profondo respiro, poi avanzò di qualche passo, appoggiandosi con la schiena contro uno dei tavoli di plastica accanto alla porta e nascondendo il sacchetto dietro di lui. Lo sguardo nel frattempo saettava sulla ragazza, scrutandone ogni particolare. I lunghi capelli corvini erano raccolti in una treccia sulla spalla sinistra, alle orecchie portava dei piccoli orecchini d'oro. Continuamente si torturava l'orlo della camicetta a fiori che indossava e si mordeva il labbro inferiore. Era tormentata, ogni suo gesto lo confermava e sperava davvero che l'idea che aveva avuto per risollevarle l'umore funzionasse. Non era un grande esperto in materia, da quando stavano insieme si era spesso sentito un idiota e aveva avuto bisogno di molti consigli, quelli di Leon e Violetta in primis, ma ora per la prima volta se l'era cavata da solo e temeva seriamente di fallire. E se Francesca lo avesse ancora una volta allontanato?
“Diego.”
Sussultò, rendendosi conto che la ragazza fosse in piedi a pochi passi da lui, sorpresa. “Da quanto sei qui?” Lui scrollò le spalle, abbozzando un mezzo sorriso. “Qualche minuto. Volevo passare un po' di tempo con te, ma eri al telefono e perciò ho preferito aspettare.” Lei annuì, riponendo il cellulare nella tasca dei jeans. “Non mi va di parlare di Violetta o di quell'uomo, te l'ho già detto,” mormorò, facendo per superarlo, ma lui le prese il polso costringendola a voltarsi. “Non volevo parlare di loro, ma di noi. Sembra che tu abbia innalzato un muro e non riesco ad abbatterlo.” Francesca lo guardò dispiaciuta, poi però annuì. “Hai ragione,” ammise con un filo di voce. “Il fatto è che non ho mai avuto tanta paura in vita mia e...sapevo che la verità potesse essere terribile, ma non credevo lo sarebbe stata così tanto...Diego, io mi sento così inutile, impotente. Vorrei aiutare Violetta, ma non so come...” Tirò su col naso, tentando di contenere le lacrime, ma i suoi occhi scuri erano già lucidi. Diego le prese le mani e la tirò a se, facendole poggiare il capo contro il suo petto. Ecco cosa tormentava Francesca, si sentiva inetta di fronte al dolore della sua amica, come aveva fatto a non capirlo? “Ehi, va tutto bene,” la rassicurò, accarezzandole il capo. “So cosa provi, anche io vorrei fare qualcosa, ma al momento non possiamo fare nulla. Possiamo solo aspettare.” Lei non disse nulla, limitandosi a stringersi maggiormente a lui. “Cosa c'è in quel sacchetto?” Chiese però all'improvviso, mentre un sorriso carico di curiosità le increspava le labbra. Diego si voltò di scatto, afferrando la busta di carta e nascondendosela dietro la schiena. “Mmm...una sorpresa,” sogghignò. “Ma te la faccio vedere solo se mi fai un sorriso.” Francesca si accigliò, poi lo accontentò aprendosi in un grande sorriso. A quel punto lui le porse il sacchetto, che lei aprì emozionata. Subito un profumo delizioso le invase le narici. Erano due grandi brioche al cioccolato e sembravano appena sfornate. “Un tipo mi ha detto che sono le più buone della città.”
“Wow,” commentò lei, stringendo a se il sacchetto e inspirandone il profumo. “Amo le brioche, potrei vivere di esse. Grazie,” aggiunse, sorridendo dolcemente e schioccandogli un bacio sulla guancia. Lo prese poi per mano e lo condusse verso la piscina, indicandogli il grande canotto dove era avvenuta la loro prima volta. Dopo essersi scambiati uno sguardo complice, si sdraiarono su di esso e recuperarono dal sacchetto le invitanti brioche. Iniziarono a mangiarle con gusto, mentre qualche goccia di cioccolato colava inevitabilmente sulle loro mani. Se Francesca tentava di ripulirsi con un fazzoletto, Diego ridacchiava progettando un nuovo gioco per farla innervosire. Diventava ancora più carina quando si arrabbiava e poi così si sarebbe distratta almeno qualche minuto dal tormento di non poter aiutare Violetta. Si girò su un fianco, poi senza pensarci troppo le sporcò il naso di cioccolato. “Diego!” Esclamò lei, sconvolta. “Ops,” ghignò il ragazzo, facendo per sporcarla ancora, ma fu ricambiato con la stessa moneta con uno schizzo dritto in faccia. Da lì partì una vera e propria lotta a suon di risate e cioccolato e terminò solo quando rischiarono di finire in acqua. “Che disastro,” rise Francesca, notando i loro volti e i loro vestiti tutti macchiati. Lui ridacchiò, racimolando dei fazzoletti per pulirsi. “Forse cadere in acqua non sarebbe stato così male, siamo tutti appiccicosi.” Si guardarono per alcuni istanti, poi scoppiarono a ridere. “Sei carina anche così,” mormorò Diego all'improvviso, sollevandole il mento con due dita e specchiandosi nei suoi occhi scuri. “Anzi, forse lo sei ancora di più.” Fece sfiorare i loro nasi, addentandole poi il labbro inferiore. “Mmm...profumo di cioccolato, gustosa,” soffiò maliziosamente, prima di coinvolgerla in un bacio appassionato. Francesca gli allacciò le braccia al collo, ricambiando il bacio e attirandolo ancora di più a se. Si stavano ancora baciando, quando avvertirono chiaramente qualcuno schiarirsi la voce. Imbarazzati, si voltarono di scatto verso la porta, mettendo a fuoco la figura di Marco. Il ragazzo a sua volta sembrava a disagio, ma poi abbozzò un sorriso. “Ehm, non volevo disturbarvi. Dobbiamo terminare di fare le valigie, papà ha detto che partiamo tra un paio d'ore.”
“Oddio!” Francesca saltò subito giù dal canotto, allarmata. “Ho ancora un sacco di cose da mettere a posto e devo anche farmi una doccia.” Diego la raggiunse prontamente, non potendo fare a meno di ridere. “Sembriamo delle esche per formiche.”
“Tutta colpa tua, sei un selvaggio,” ribattè lei divertita, raggiungendo Marco accanto alla porta. “Hai parlato con Violetta?” Lui scosse la testa. “è rimasta tutto il tempo in camera con mia madre.” La ragazza si limitò ad annuire e dopo aver salutato i due, corse in camera lasciandoli soli.
“Lei ti rende felice.” Diego, che stava recuperando le ultime cose, si bloccò di colpo alle parole del fratello. “Hai una luce negli occhi che non ti ho mai visto prima,” continuò il minore, avanzando verso di lui e dandogli una pacca sulla spalla. “E anche Francesca, si vede che ti ama tanto.” L'altro annuì. “E io amo lei. È la cosa migliore che mi sia mai capitata.”
“Si,” concordò Marco con un sorriso malinconico. “È una ragazza speciale.” Si perse poi a guardare un punto indefinito ai suoi piedi e Diego comprese chiaramente che suo fratello provasse ancora qualcosa per l'italiana. “Marco, mi dispiace...non avrei dovuto parlare di lei...” iniziò, ma il ragazzo lo interruppe scuotendo il capo. “Sono io che l'ho nominata e se l'ho fatto, è perché inizia a fare meno male, davvero.” Il fratello corrugò le sopracciglia, guardandolo attentamente. “Non devi mentirmi e nemmeno sentirti costretto a farmi da confidente, sappiamo entrambi quanto faccia schifo come persona.”
“Non è così,” ribattè Marco. “Voglio davvero costruire un rapporto con te e ripeto, se fino ad ora non ci siamo riusciti è per colpa di entrambi.” Diego gettò nella spazzatura i fazzoletti sporchi di cioccolato, gesto più che altro per prendere tempo. Nonostante tutto, continuava a pensare di aver sbagliato molto più di suo fratello e il fatto che ora Francesca stesse con lui lo confermava. “Hai finito di colpevolizzarti?” Sbottò il minore all'improvviso, costringendolo a voltarsi verso di lui. “Lo sapevo fin dall'inizio che non avrebbe funzionato tra me e lei, ci sei sempre stato tu nel suo cuore.”
“Marco,” provò, ma l'altro lo interruppe. “L'unica cosa che mi interessa adesso è recuperare il rapporto con mio fratello. Le ragazze vanno e vengono, il legame di sangue resta. Proviamoci, Diego, proviamo a far funzionare le cose.” Diego lo guardò per alcuni istanti, poi annuì. Se l'ultima volta era mancato il coraggio, in quel momento fu la cosa più spontanea del mondo stringersi in un forte abbraccio. Mai avrebbero pensato che sarebbe accaduto o che ne avrebbero tanto sentito il bisogno, forse dopotutto quella città non era solo fonte di dolore; per Marco e Diego rappresentava un'occasione, quella di ricominciare tutto daccapo e di essere finalmente ciò che non erano mai stati l'uno per l'altro... dei fratelli.



Leon fece tintinnare i cubetti di ghiaccio nel suo bicchiere più e più volte, mentre seduto comodamente su un pregiato divano in pelle nera, attendeva. Prima di decidere il da farsi si era interrogato a lungo, considerando i pro e i contro e alla fine si era ritrovato lì, convinto che fosse l'unica cosa giusta da fare. Forse se ne sarebbe pentito, forse le conseguenze sarebbero state devastanti, ma a lui non importava. Il fine giustificava i mezzi in ogni caso ed era pronto a pagare qualsiasi pegno, non era di certo il tipo che si tirava indietro lui.
“Che diavolo ci fai tu qui?”
La porta si spalancò all'improvviso, rivelando l'elegante figura di Emilio Marotti. “Come hai fatto ad entrare?” Leon ridacchiò, riponendo sul tavolino di cristallo il bicchiere ormai vuoto. “Mi delude. Dovrebbe saperlo che non esistono posti dove un Vargas non possa entrare.” L'uomo contrasse la mascella, pronto a ribattere qualcosa, poi però ci ripensò e chiuse la porta, raggiungendolo con pochi passi. “Vedo che ti sei già servito,” commentò, riempiendosi un bicchiere di whisky e indicando con un cenno quello riposto poco prima dal ragazzo. Vargas si passò la lingua sulle labbra, facendola in seguito schioccare sotto il palato. “Ho notato la credenza dei liquori e non ho resistito. Spero non le dispiaccia,” aggiunse con un sogghigno.
“Affatto,” ribattè l'altro, anche se dal suo sguardo era evidente che la cosa lo avesse infastidito. “Come mai sei venuto?” Riprese, sedendosi sulla poltrona alla sua sinistra, anch'essa rivestita in pelle nera. Sembrava così tranquillo, rilassato, forse solo un po' curioso e la cosa accrebbe ancora di più la rabbia di Leon. Come poteva comportarsi in maniera tanto disgustosa e poi fingersi un'anima innocente? Lo detestava con ogni fibra del suo essere e avrebbe solo voluto strangolarlo. Aveva però imparato a sue spese, che solo chi aveva pazienza e un gran sangue freddo ne usciva vincitore e proprio per quello, abbozzò un sorriso tirato. “Forse può immaginarlo, si tratta di Violetta,” spiegò, scrutando attentamente la reazione dell'uomo. Egli si irrigidì, ma in un attimo camuffò il tutto con un sorriso. “Oh, la mia nipotina. È una ragazza davvero in gamba,” commentò, scolandosi un lungo sorso di liquore. Ancora una volta Leon avvertì il desiderio di aggredirlo. Stava lottando con tutto se stesso per mantenere la calma, ma se lui continuava con quell'atteggiamento, non avrebbe resistito a lungo. “Curioso,” mormorò, prendendo la bottiglia di whisky, ormai piena per metà e riempiendosi il bicchiere fino all'orlo. Consapevole di avere addosso lo sguardo dell'uomo, si concesse un lungo sorso, per poi continuare. “A quanto si dice in giro, lei non è semplicemente uno zio per Violetta, o sbaglio?” Emilio sbiancò paurosamente, tutta la sicurezza che aveva ostentato fino a quel momento svanì di colpo. Leon Vargas sapeva la verità, ne era sicuro. In quel momento in quegli occhi verdi l'uomo vedeva riflessa ogni sua singola colpa, cosa che prima di allora gli era accaduta solo con il nonno del ragazzo. Era un Vargas fino in fondo, non c'erano dubbi. Chissà come c'era finito con una brava ragazza come Violetta, stentava a credere che Angie e Angelica non si fossero opposte, considerati poi i precedenti con lui, Maria e German. “Violetta è sua figlia, non è così?” Riprese il giovane, contraendo la mascella. L'uomo chiuse gli occhi e sospirò, cercando di riprendere il controllo. “Se lo sai già, perché me lo chiedi?” Sbottò, non potendo evitare di far trapelare un accenno di stizza. Leon ruotò gli occhi, sorridendo divertito. “Sentirselo dire ha tutto un altro significato. Quello che non capisco è come può Maria Saramego essere finita con uno come lei. Senza offesa, ma non è che ispira molta fiducia,” gli fece notare, sollevando un sopracciglio. Emilio sorrise. “Potrei farti la stessa domanda. Cosa ci trova Violetta in te? Sei un delinquente della peggior specie e chissà quanti scheletri nell'armadio hai.” Il giovane non si scompose, al contrario il suo sorriso si accentuò. “Ha ragione, non sono un santo e mai lo sarò, ma sto facendo del mio meglio per rimediare. Lei può dire lo stesso?”
“Parla chiaro, di cosa mi stai accusando?” Abbandonata qualsiasi forma di autocontrollo, Marotti scattò in piedi, agitando freneticamente le braccia. “Non ho tempo da perdere con i tuoi giochetti, perciò lasc...”
“Ha costretto Maria a concedersi a lei perché non ricambiava i suoi sentimenti. L'ha ricattata, lo ammetta,” lo interruppe Leon, alzandosi a sua volta. “Ha minacciato di uccidere German e chiunque altro della sua famiglia e ha fatto anche in modo che restasse incinta.” L'uomo si irrigidì, ma non battè ciglio quasi la cosa non lo riguardasse. “Sono tutte sciocchezze, non sai quello che dici. Io e Maria ci amavamo,” sentenziò tranquillamente, cosa che fece scoppiare a ridere il ragazzo. “Non secondo le informazioni che ho raccolto in giro.” Facendolo sembrare un gesto incurante, si sfiorò la tasca dei pantaloni, cosa che a Marotti non sfuggì. “Tu non sai niente.”
“Se ne è così sicuro, perché sembra tanto preoccupato?” lo derise Leon, continuando ad accarezzarsi lo scomparto dei jeans. “è incredibile quante informazioni si possono ottenere quando sono pagate profumatamente.” Emilio deglutì, voltandogli poi le spalle e avvicinandosi alla credenza dei liquori, su cui fece adagiare la fronte e i palmi delle mani. “è vero,” ammise dopo lunghi minuti di teso silenzio. “Ho costretto Maria a concedersi a me e ho fatto in modo che rimanesse incinta. IO L'AMAVO, L'AMAVO!” Aggiunse, fuori di se. “Per lei esisteva sempre e solo German, non capiva quanto contasse per me. Ho pensato che se avessimo avuto un figlio nostro, lei avrebbe scelto me e invece... anche quando sono andato da lei con quel test del DNA, ha continuato a rifiutarmi e ha detto che la bambina fosse di German, ti rendi conto? Ha minacciato di dire la verità al marito, a mio padre e chissà a chi altro, allora sono tornato a Venezia e ho tentato di dimenticarla e di rifarmi una vita, ma è stato inutile. Quando German mi ha detto che era qui in Italia con lei e Violetta, ho pensato che fosse una grande occasione per me e...ma non sono arrivato in tempo! Ero in Spagna per degli affari e quel maledetto aereo ha avuto un ritardo, un ritardo! Erano già andati via quando sono arrivato, ho perso l'occasione di vedere mia figlia e la donna che amavo e non potevo accettarlo, così li ho raggiunti a Buenos Aires. Maria mi ha rifiutato ancora e...era sempre più diffidente e spaventata. Non riuscivo a sopportarlo. Perché non poteva amarmi? Perché non potevamo formare una famiglia? Si, ero stato crudele con lei, ma lo avevo fatto per amore. Tu puoi capirmi, no? In fondo veniamo dallo stesso ambiente, per noi è...”
Si interruppe di colpo, impallidendo paurosamente. Alle sue spalle non c'era solo Leon, ma anche Pablo e quest'ultimo reggeva tra le mani una videocamera. Entrambi avevano un sorrisetto soddisfatto stampato in faccia. “Cosa? Come? Che sta succedendo?” Balbettò Marotti, sconvolto. Gli avevano estorto una confessione con l'inganno, il ragazzo e Galindo, lo avevano fregato. “Ero nascosto in bagno,” disse il marito di Angie, spegnendo la videocamera. “Sapevamo di non avere prove per denunciarti e così ce le siamo create.” Leon annuì, dando all'uomo una pacca sulla spalla. Emilio però non si infuriò come si aspettavano, al contrario scoppiò a ridere, una risata fredda e crudele. “Avete dimenticato chi sono io? Se mi denunciate, i miei amici mi tireranno fuori e ve la faranno pagare.”
Vargas e Galindo si scambiarono un'occhiata, poi il giovane sorrise. “Se i suoi amici sapessero che ha toccato una donna, non penso che sarebbero così collaborativi. Sappiamo entrambi che per quelli del nostro ambiente le donne non si sfiorano nemmeno.”
Per alcuni istanti Marotti non disse nulla, poi iniziò a correre verso la porta, ma quando la spalancò si ritrovò di fronte due poliziotti. “Lei non va da nessuna parte, è in arresto,” disse uno dei due, mentre l'altro lo immobilizzò per poi ammanettarlo. “Ora la portiamo in centrale, ha molte cose da dirci.” L'uomo tentò di ribellarsi, urlando frasi sconnesse, ma gli agenti riuscirono a tenerlo a bada, facendosi consegnare da Pablo la videocamera. “Avete fatto un ottimo lavoro. Abbiamo prove sufficienti per tenerlo dentro molto a lungo.” Galindo annuì, stringendo la mano ai due poliziotti. “Finalmente sarà fatta giustizia.”
“Aspettate.” Avevano quasi varcato la porta, quando la voce di Leon li costrinse a voltarsi. “Cosa c'è, ragazzo?” Chiese il primo agente. Lui non rispose, lo sguardo fisso su Marotti. “Marcisca all'inferno,” sbottò, cogliendo tutti di sorpresa e colpendolo con un violento pugno in pieno naso. Se l'uomo non finì a terra, fu perché era sostenuto dai poliziotti. Il sangue nel frattempo, iniziò a scorrergli lungo il mento. “Leon!” Lo rimproverò Pablo, mentre il giovane si massaggiava le nocche indolenzite. “Sei impazzito?” Si scusò poi con i poliziotti e trascinò Vargas fuori dalla camera. Leon si sedette sui gradini di pietra che costeggiavano l'ingresso del hotel e Galindo lo affiancò, facendogli una mezza ramanzina, ma lui non lo stava ascoltando. Non faceva altro che pensare a Marotti, allo stupore che gli aveva attraversato lo sguardo quando lo aveva colpito e poi quel sorrisetto fastidioso. Che accidenti aveva da sorridere? Era stato incastrato e si era anche beccato un pugno, perché allora rideva? Gli era sembrato quasi che dietro quel sorriso e quello sguardo ci fosse nascosto un messaggio.

Tu puoi capirmi, no? In fondo veniamo dallo stesso ambiente.

No, lui non era come Marotti, lui era diverso. Non avrebbe mai fatto a Violetta quello che lui aveva fatto a Maria. Eppure le loro famiglie erano molto simili, erano cresciuti con gli stessi valori. In un attimo gli tornò in mente la conversazione con Angelica nel suo giardino. L'anziana donna lo aveva messo in guardia, temeva che la nipote potesse incappare nello stesso destino della figlia. Leon Vargas ed Emilio Marotti, erano davvero così simili? Credeva di essere migliore, di poter davvero rendere felice Violetta, ma ora le paure che aveva avuto precedentemente erano tornate a ripresentarsi. E se, come German, anche lui avesse avuto un Marotti nella sua famiglia che avrebbe potuto fare del male a Violetta?
“Leon?” Pablo lo scosse diverse volte e a quel punto non potè più ignorarlo. “Se non lo avessi colpito tu, lo avrei fatto io,” sorrise l'uomo, lasciandolo a bocca aperta. “Ho sbagliato a giudicarti, sei un bravo ragazzo in fondo.” Sembrava così convinto delle sue parole e Leon non potè fare a meno di chiedersi se non stesse sbagliando. Galindo era un uomo intelligente, non gli avrebbe mai detto quelle cose se non fosse stato convinto, no? Quasi gli avesse letto nel pensiero, Pablo gli circondò le spalle con un braccio. “In questi mesi hai dimostrato a tutti noi di meritare l'amore di Violetta, perciò benvenuto in famiglia, Leon.” A quel punto lo abbracciò, gesto che gli fece sgranare gli occhi, ma allo stesso tempo gli riscaldò anche il cuore. Lo zio di Violetta, uno dei suoi principali oppositori lo aveva accolto in famiglia. Incredibile. Sorrise, ricambiando l'abbraccio. Avrebbe fatto di tutto per meritare quella fiducia, era una promessa.




Ciao a tutti! :P
Con questo capitolo si conclude in un certo senso la questione delle rivelazioni. Vilu finalmente apprende la verità su sua madre e ora vuole solo giustizia. Diego si sta dimostrando un buon fidanzato, sostenendo e distraendo Francesca e poi abbiamo l'atteso abbraccio tra lui e Marco awwwww :3 infine Leon e Pablo con un tranello fanno confessare Marotti, che finalmente viene arrestato olèèèèè e non dimentichiamo che Galindo ha anche accettato il nostro Vargas in famiglia! *__________*
Vi ringrazio tutti di cuore per sostenermi sempre :3 a prestissimo,
Trilly


 
  
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