Capitolo II – Conte Becket (83
anni)
Sto qui seduto sulla mia poltrona di velluto rosso, davanti al fuoco scoppiettante. Mi accendo un sigaro, adoro fumare. Sento il fumo entrarmi nei polmoni, mandando quelle fitte allucinanti che mi fanno perdere il controllo. Se tenessi alla mia vita scaglierei questo pezzo di sofferenza che stringo tra i denti nel fuoco, ma non m’interessa, so che mi manca poco tempo, lei è già qui.
-…vuole un sigaro?
Offro uno dei miei gioielli alla
figura accanto a me. Siede sulla poltrona vicino alla mia, porta un lungo
mantello nero e tiene appoggiata sulla spalla la falce.
- no…
Rabbrividisco notevolmente al
suono di quella voce gutturale, fredda, spasmodica ed ansante, ma cerco di
contenermi e di non farlo vedere. Sono un signore di gran classe io, non posso
assolutamente mettere a disagio i miei ospiti!
Appoggio la scatola sul piccolo
tavolo davanti a noi e do un’altra tirata al mio fumo sadico.
-…quanto tempo mi rimane?
Mi sistemo il cilindro, indosso
i miei vestiti migliori, se devo morire muoio da uomo elegante.
- poco…
Non si muove, è seduta su
quella poltrona da non so quanto tempo. Il cappuccio scuro che tiene calato sul
viso mette in mostra soltanto un lembo di pelle nivea.
-…non pensavo che la morte
fosse così…reale. Pensavo che fosse soltanto un fatto biologico…ma alla
fine è meglio così, almeno non muoio solo come temevo, ma ho qualcuno con cui
parlare.
Tossisco, rantolo e arranco
cercando di spingere nuovo ossigeno nei miei polmoni.
-…sempre meno tempo…
Mi tengo una mano sul torace
ansimante che sento come compresso.
-…lo so amico mio, lo so…non
puoi immaginare che brutta cosa che è la mia malattia…
Stiamo per un poco in silenzio e
io guardo le fiamme tramutarsi in bracieri.
-…vorrei tanto aver dato più
amore a mia figlia, ora non mi lascia più vedere mia nipote per rivalsa…è
bellissima si chiama Meredith…
Sento una stretta al cuore.
-…vedrai che qualcosa succederà,
dopo…
Mi volto verso di lei.
-…dopo la mia morte?…
- Si
Mi rilasso sulla poltrona e
faccio spaziare sul mio volto un sorriso stanco.
- Allora portami via subito, non
c’è altro da aspettare…
Lancio il sigaro tra le braci
ormai quasi spente.
-
No, devo rispettare i tempi…
Attendo in silenzio.
Ora vedo che si sta movendo,
ecco si è alzata. È enorme, altissima imponente, terrificante…sta brandendo
la falce…sento la paura primordiale crescere in me. Non voglio guardare.
Chiudo gli occhi e resto in
attesa.
Una bambina stringeva nel
piccolo pugno un mazzo di gigli e guardava con gli occhi sbarrati la foto del
nonno incisa nella lapidE. Sua madre si teneva a leggera distanza dal ritratto
di quel viso austero che tanto l’aveva fatta soffrire. Teneva la testa china
per nascondere alla figlia le lacrime amare che le stavano bruciando il volto.
-…Mamma io mi ricordo che i
gigli erano il suo fiore preferito…
La piccola depose il mazzolino a
vicino all’ epitaffio ed accarezzò la foto con le piccole dita amorevoli.
-…mi sarebbe piaciuto passare
più tempo con lui…
La signora prese la mano della
piccola e la spinse delicatamente via da quella tomba che le urlava ricordi e
rimpianti.
-…anche a me sarebbe
piaciuto…ora andiamo…
La fanciulla volse un’ultima
volta il viso verso quella lapide.
-…lui ci voleva bene…e ti
chiede scusa…
La donna si bloccò e sgranando
gli occhi si voltò a guardare la foto.
-…Meredith…ma perché lo
dici?
-…me lo ha appena detto lui…
La bimba iniziò a saltellare
verso il cancello d’uscita del cimitero, facendo svolazzare il pesante
vestitino nero. La signora Becket rimase un attimo sola con il padre.
- anch’io ti chiedo scusa…
Un leggero vento le mosse il
ciuffo che le ricadeva al lato del viso.
Si voltò e raggiunse la figlia.