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Autore: MiyakoAkasawa    19/03/2015    1 recensioni
Fatti strani cominciano ad accadere nel mondo ma solo Evangeline sente che c’è qualcosa di sbagliato nella piuma trovata tra le mani di un cadavere; una piuma molto simile a quelle delle ali degli angeli che, morti, infestano i suoi sogni da settimane. E tutto è cominciato a causa sua, o meglio, all’anima demoniaca che è annidata nella sua da ancora prima che lei nascesse. I demoni si nascondono tra le ombre e presto molti altri sorgeranno direttamente dall’Inferno e Evangeline si troverà al centro di tutto: una guerra tra i demoni che vogliono riconquistare ciò che gli spetta, la Superficie, e la volontà di una ragazza che intende mantenere integro il suo lato umano a qualsiasi costo. Fortunatamente Evangeline potrà contare sulle forze angeliche: su Declan, anch’egli solo per una parte umano e per un’altra angelo, lo spirito di un angelo mandato direttamente dal Paradiso per uccidere Lucifero. Evangeline dovrà lottare contro la propria natura demoniaca oltre che contro i demoni che insorgono sempre più numerosi dall’Inferno, ma non sa che questi hanno molti mezzi per impossessarsi della sua anima e alla fine non tutto potrebbe andare come sperato...
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo I
Sogni

 
         Evangeline era seduta sul divano del suo salotto con le gambe rannicchiate di fianco a leggere un libro. La tv era spenta e in quel lato dell’appartamento regnava il silenzio. Fuori nevicava da ore e si era ormai formata una distesa compatta e bianca di neve. Era la prima nevicata dell'anno, arrivata forse un po' in ritardo siccome era gennaio inoltrato, ma i suoi effetti non tardarono ad arrivare: in strada non c'era anima viva. Tutto era silenzioso e bianco.
         Dalla stanza di fianco Evangeline sentì la voce di sua madre mentre apriva la porta e suo padre rispose: -Stai d'incanto, vedrai che farai un figurone stasera-.
         I suoi genitori dovevano uscire quella sera, andare ad una cena tra colleghi di lavoro. Evangeline odiava come sua madre si mettesse sempre in tiro ogni volta che doveva uscire. A parte quello era un bene che uscissero: sarebbe rimasta a casa da sola per un po' come le piaceva.
         Evangeline, per questo, poteva sembrare una ragazza tranquilla, semplice, ma in realtà nascondeva qualcosa nel profondo del suo animo che nessuno sapeva spiegarsi, lei compresa. Per essere una diciassettenne era molto sveglia e spigliata, sapeva sempre cosa dire e cosa fare in ogni situazione, anche nelle più scomode. Il problema era il suo atteggiamento menefreghista ed enigmatico per il quale molti ragazzi la evitavano e la giudicavano; gli amici li aveva ma nessuno di loro la conosceva realmente. I pochi amici più intimi si confidavano con lei appunto perché sapevano che potevano contare sul suo silenzio; in quanto a lei, invece, non parlava mai di nulla che avesse a che fare con la propria vita privata con nessuno. Nessuno sapeva con certezza che tipo di ragazza fosse nel profondo dell'animo, come i vampiri ti affascinava e ti spaventava al tempo stesso.
         I genitori di Evangeline, Curtis e Sarah Goodchild, entrarono in salotto entrambi vestiti eleganti parlottando tra di loro:
         -Curtis, tesoro, hai sentito la novità? Pare che Helen, la nostra vicina al piano di sopra, abbia tradito il marito con il suo capo ufficio-
         -Povero il marito allora Sarah-
         Evangeline vide suo padre lanciarle un occhiata in cerca di aiuto: certo che a volte sua madre diventava davvero una pettegola insopportabile. Lei lo ricambiò con un sorrisino appena accennato e ritornò al suo libro dicendo a mente: cavatela da solo sei tu che l'hai sposata, non io.
         -Evangeline, tesoro- ricominciò sua madre -noi adesso andiamo. Non andare a letto tardi, domani riprendi la scuola-
         -Lo so mamma, non me lo ricordare ogni volta-
         -Ci vediamo domani mattina. Buona notte Eve-
         -Buona serata-.
         Li vide infilarsi i cappotti e avvolgersi le sciarpe intorno al collo, presero le chiavi dell'auto e uscirono prima sul pianerottolo e poi dal condominio, nella tormenta di neve, diretti ad un lussuoso ristorante in centro.
         In casa regnava il silenzio ora. Non c'era anima viva se non lei. Gli unici rumori che si sentivano erano il suo respiro, i passi degli inquilini al piano di sopra, lo sfregare delle pagine del libro sul suo grembo e il rintocco di un grande orologio a pendolo appoggiato alla parete di fronte a lei. Perfino dalla strada non si udiva nulla. A quell'ora e in quella parte della città era difficile incontrare qualcuno per strada, ogni tanto passava una macchina ma nient'altro di più.
         La famiglia Goodchild abitava nella periferia di una piccola città d'Italia, pericolosa soprattutto la notte quando ad ogni angolo c'era almeno un extracomunitario che spacciava ad un gruppetto di tossici pronti a qualsiasi cosa per rimediare una dose.
         Evangeline passava le serate a casa, di norma, ma a volte aveva bisogno di stare anche all'aperto e l'unico posto dove si potesse respirare aria “pulita” era ai giardini a pochi chilometri da casa sua. Ci andava di rado. Da sola. Da sola perché gli amici che frequentava alla sera si ritrovavano in qualche locale del centro e a lei non andava, mentre di quella zona di città conosceva tutti i giovani ma non le importava di parlare con nessuno di loro.
         Le stava salendo l'ansia, senza un motivo apparente. Forse era l'atmosfera che si era creata, il silenzio. Chiuse il libro e lo posò su un tavolino di vetro davanti al divano e solo allora si accorse dei giochi di ombre disegnati sulle pareti dalla luce dei lampioni in strada che filtrava dalla finestra. Andò in corridoio e si chiuse in camera da letto, nel suo rifugio. Non si vedeva niente a parte la strada attraverso la finestra. Cercò a tentoni il letto finché non lo trovò e si infilò sotto le coperte sperando che almeno quella notte sarebbe riuscita a dormire. 
 
         Un odore pungente di zolfo invadeva l'aria e fiumi di lava incandescente scorrevano in enormi crepacci del terreno arido e morto. Si vedevano in lontananza bagliori rossi e gialli, accecanti, e la temperatura che si percepiva sulla pelle era altissima.
         Evangeline era lì, sperduta in quella valle di desolazione. Seguì con lo sguardo uno di quei crepacci fino ad arrivare all'orizzonte, là dove vide imponenti montagne con vette alte fino al cielo. Non aveva ancora fatto caso al cielo ma quello non aveva l'aspetto di essere un cielo qualunque. Anch'esso era rosso e pareva bruciare in ogni punto. Enormi squarci neri lunghi chilometri lo attraversavano come se fossero ferite aperte e in ognuno di essi entrava un raggio di luce  che nasceva dal suolo e si perdeva al suo interno diretta chissà dove. Uno di quei raggi partiva proprio dai piedi di quelle montagne in lontananza e, se concentrava lo sguardo in un punto ancora più lontano, si potevano scorgere altre montagne simili a quelle, ce ne erano a centinaia.
         La ragazza, che cominciò a provare paura quando si rese davvero conto di dove si trovasse, continuò a fissare il cielo rosso finché non vide che, proprio sopra di lei, c'era un enorme palla di fuoco sospesa, come un sole troppo vicino al suo pianeta. La sua superficie sembrava bollire perché si gonfiavano enormi bolle che poi scoppiavano emettendo una forte luce accecante. Sembrava un sole che stesse sorgendo ma allora stesso tempo anche morendo.
         Evangeline sentiva di non essere al suo posto in quel luogo, aveva le gambe pesanti e sapeva che fino a quel momento si era sentita troppo poco spaventata per essere stato normale. Voleva avere più paura, avere l'impulso di scappare, ma non provava niente. Si limitava solo a fissare il paesaggio intorno a lei senza battere ciglio, poi, una nuova sensazione la invase. Era un odore diverso da quello di zolfo. Era odore di bruciato.
         Ecco che la paura le salì subito nelle gambe, in quella fornace un brivido freddo le risalì la schiena e le penetrò nelle ossa, il cuore cominciò a batterle come mai avrebbe pensato di poter fare. Fece un passo indietro e avvertì il rumore di qualcosa che si rompeva sotto al suo piede, come di un rametto quando viene spezzato dalla forza del vento.
         Si girò di scatto spaventata e vide l'orrore che era sempre stato dietro di lei. Era davanti ad un oceano di ossa e cadaveri. Evangeline gridò. Un grido isterico che le uscì dalla gola così forte che sentì le corde vocali irrigidirsi e ardere.
         Un urlo e poi il nulla.
 
         Evangeline si svegliò di colpo e si mise a sedere sul suo letto, avvolta dalle coperte e da una sensazione di paura folle. Sentì una goccia di sudore scenderle dalla tempia alla guancia e poi sparire nel suo pigiama. La sveglia segnava le quattro di notte, la stessa ora in cui si svegliava tutte le notti da tre settimane prima a quel giorno.
         Tutto era buio intorno a lei a parte la debole luce che arrivava dalla strada attraverso la finestra.
         È stato solo un sogno, solo il solito sogno si disse cercando di calmarsi. Va tutto bene, era solo un sogno. Ora sei sveglia e sei a casa.
         Ma non riusciva a rilassarsi; il cuore le batteva ancora nelle tempie e il respiro non si regolarizzava. Era stato diverso quella notte. Tutte le altre volte non si era mai girata alle sue spalle al sentire quel rumore di ossa che si rompeva. Non aveva mai assistito a quello spettacolo macabro di corpi privi di vita; avrebbe tanto voluto non averlo mai visto.
         Che significato può avere? Non lo sapeva e di certo non lo avrebbe chiesto a nessuno. Se lo sarebbe tenuto per sé come tutti i suoi problemi del resto. L'unica cosa di cui ormai era certa era che quel sogno non lo faceva per puro caso. Chi mai fa lo stesso sogno tutte le notti per settimane? L'unico modo per capirne il significato era continuarlo senza svegliarsi e un passo avanti quella notte lo aveva fatto. Ma come posso ora abituarmi a vedere quel campo pieno di morti e a quell'odore nauseabondo? Se lo sentiva nelle narici ancora adesso.
         Prese coraggio e si alzò. Il tepore del sonno che aveva sulla pelle scomparve in pochi istanti. Faceva davvero freddo in quei giorni, quasi si creava una nuvoletta di condensa a ritmo del suo respiro.
         Infilò pantofole e vestaglia. Fuori aveva smesso di nevicare ma il livello della neve era ancora più alto della sera. Fece attenzione a non fare rumore e a non andare contro i mobili della sua stanza, non voleva svegliare i genitori. Una volta le era successo e non la smettevano più di lamentarsi.
         Evangeline percorse il corridoio fino al bagno, quando accese la luce si accecò ma poté guardare lo specchio che rifletteva un volto pallido e assonnato. La sua pelle era sempre stata molto chiara e il volto allungato e scarno le davano un aria cadaverica. I capelli lunghi e neri corvini le incorniciavano il viso e mettevano in risalto i suoi occhi, grigi e freddi nascosti sotto lunghe ciglia nere e sopracciglia fini. La pelle del viso, di norma vellutata, era sudata e le labbra rosa e minute erano screpolate.
         Non era di bell'aspetto. Era una ragazza semplice, di quelle che nei corridoio della scuola passano inosservate, che poteva piacere come amica ma mai come la fidanzata di qualcuno.          
         Evangeline, dopo essersi guardata allo specchio, intontita dal sonno, si lavò la faccia con l'acqua talmente fredda che si svegliò di colpo. Sapeva che non avrebbe ripreso sonno prima di un ora e se si doveva alzare presto tanto valeva stare svegli.
 
         -Eve tesoro, ti sei addormentata sul divano?-
         La voce mielosa di sua madre la svegliò dolcemente.
         -Ciao mamma- sussurrò appena, ancora mezza addormentata
         -Ti sei svegliata ancora stanotte? Un altro incubo?-
         - Si, sempre lo stesso- si lasciò ricadere sul divano.
         -Curtis, scendi presto, Evangeline ha avuto un altro incubo stanotte-
         -Sto bene mamma. Non ti preoccupare non è niente-
         Forse lei l'odiava il modo in cui la trattavano. L'assillavano per colpa di questi sogni e la trattavano come una bambina che aveva paura. Ma lei non aveva paura. Era cresciuta ormai e sapeva che un sogno non può fare davvero del male. Nemmeno i suoi di sogni. I più strani che avesse mai fatto.
         Poco dopo arrivò anche sua padre: -Evangeline tutto bene?-
         -Si papà. Va tutto bene- si stava alterando.
         Si alzò di scatto e andò dritta in bagno, ancora con le pantofole e la vestaglia addosso dalla notte prima.
         Sono solo sogni per l'amor del cielo, non c'è bisogno di preoccuparsi. Se gli dicessi quello che ho realmente sognato stanotte è la volta buona che mi portano da uno strizzacervelli.
         In effetti ci avevano già provato a convincerla a farsi vedere da qualche specialista ma a lei non importava. Uno psichiatra deve avere più problemi mentali di un matto perché possa capirlo.
         Si lavò faccia e denti. Indossò leggins e felpa e andò all'ingresso a mettersi gli anfibi.
         -Non fai colazione?- gli disse suo padre
         -Non ho fame, ho fatto uno spuntino stanotte-
         Prese lo zaino dalla camera, si infilò cappotto, sciarpa e cappello e uscì di casa senza degnarli di uno sguardo. Un'ondata di aria gelida le sferzò il viso e le bruciò il naso. Le guance le divennero subito rosse man mano che camminava affondando gli anfibi nella neve.
         Il cielo era ancora scuro. I lampioni accesi illuminavano la fermata dell’autobus poco distante da casa sua e la luna, quasi piena, era pronta a scomparire per lasciare il posto al sole nelle ore a seguire. Erano solo le sette di mattina e in quel periodo dell'anno la luce non sarebbe arrivata prima delle otto.
         Non nevicava più e il cielo era sereno e punteggiato da stelle ma il paesaggio che si vedeva intorno era solo bianco per la neve e grigio e spoglio come ogni città.
         Nella sua fermata c'erano già un paio di gruppetti di studenti che andavano a scuola in centro. Li conosceva quasi tutti ma non si salutarono nemmeno. Quando cinque minuti dopo l'autobus arrivò, tutti salirono di fretta per scappare dal freddo dell’inverno.
         -Buongiorno. Posso chiedere che fine ha fatto Dave?-
         -Non lo avete saputo? Tre giorni fa è stato trovato morto in un locale qui in città. Pare che ci sia stato un litigio con un gruppo di ragazzini armati-
         Evangeline non poté evitare di sentire la conversazione tra un ragazzo e il nuovo autista. Il vecchio Dave le stava simpatico, ogni tanto non faceva pagare il biglietto durante una delle sue corse e ora era morto. Non che gli importasse molto ma le circostanze erano strane. Cosa ci faceva un uomo come lui in un locale per giovani? Non era il tipo di persona da uscire alla sera, non con una moglie e un figlio appena nato. Si unì alla conversazione:
         -Ma è strano che una persona come lui sia andata per locali a cacciarsi nei guai-
         Il nuovo autista parlò:
         -Certo ci ho pensato anche io. Eravamo amici, credevo di conoscerlo bene ma a quanto pare non era così. Ho parlato con la moglie, è a pezzi, ma mi ha detto che all'ospedale durante l'autopsia gli hanno trovato strane ferite-
         -Che tipo di ferite?-
         -E’ stato trafitto dritto al cuore con un coltello ma non si capisce che forma abbia avuto questa lama-
         -Accidenti che storia- esclamò l'altro ragazzo. Certo era una storia curiosa. L'autista continuò:
         -Hanno ritrovato anche un altro oggetto: una piuma stretta nella sua mano-
         Evangeline si distrasse per un secondo guardando lo svincolo che prese l’autobus. C'era un uomo all'angolo delle strade, un barbone, che teneva in mano un cartello scritto a pennarello.     
-Una piuma hai detto?- ritornò con la mente sull'autobus.
         -Sì, una piuma. Lunga e nera, ma era troppo grande per essere di un qualche uccello qua in città-.
         Quella conversazione lasciò Evangeline pensierosa. Non si accorse nemmeno di essere davanti al suo liceo. C'erano i ragazzi, i veterani di quinta e i primini; gli insegnanti con le loro valigette e borsette che entravano di corsa diretti agli uffici e i bidelli che parlavano tra di loro e si lamentavano del proprio lavoro.
         Era ancora presto ma faceva freddo così entrò. Nessuno la notò a parte un ragazzo, Cameron, il bulletto più grande che se le prendeva sempre con lei.
         Lo vide appoggiato alla parete circondato da altri tre ragazzi che ridevano alle sue battute:
         -Ma chi si rivede, la mia cara Goodchild, è da tanto che non ci vediamo-.
         La sua voce e il suo atteggiamento le davano sui nervi:
         -Gli stronzi come te non li guardo neanche-
         Le si avvicinò, le mise un braccio intorno alle spalle e la strinse fino quasi farle male.
         -Su non parlare così al tuo amico Cameron, lo sai che non gli piacciono le ragazze scontrose-
         -Adesso cominci anche a parlare in terza persona? Se fossi in te mi farei vedere da qualche psichiatra-
         -Perché non andarci insieme, ci divertiremo-.
         Continuando a stringerla se la trascino dietro fino a percorrere tutto il corridoio.
         -In che classe sei oggi? Ti ci accompagno io-
         -Posso benissimo andarci da sola. Anzi, sarebbe meglio, lo sai che non ti sopporto-.
         Le lanciò un sorrisino idiota e si rivolse agli amici rimasti più indietro: -Oggi è più scorbutica del solito-.
         Loro risero e Evangeline non seppe dire chi di loro quattro era il più idiota.
         Erano davanti alla porta che conduceva in un altro corridoio quando sbatté la ragazza contro all'uscio lasciandola senza la possibilità di divincolarsi. Lei lo fissò dritto negli occhi con tutto il disprezzo che aveva dentro:
         -Non ti vergogni a trattare così una ragazza più piccola di te? Ma è vero che stupida, sei talmente ritardato che queste cose non le capisci, dopotutto sei al quinto anno e hai solamente ventitré anni-
         -Stammi bene a sentire Goodchild. Attenta a come mi parli. Vuoi farmi passare per quello idiota ma non è così facile. Io ho la mia reputazione e i miei amici, tu invece chi hai? Devi sentirti onorata ad essere presa di mira da me-. Faceva tanto il prezioso ma poi tornò serio con il suo sguardo che cominciava ad incuterle un certo timore -dico davvero: tu chi hai Goodchild? Dove sono gli amici, le persone che ti stanno vicino e ti coprono le spalle? Non ne hai, sei da sola-
         -Ho molti più amici di quanti tu creda Cameron e comunque sia di quello che pensi tu non me ne importa niente-.
         Gli tirò un forte strattone e riuscì finalmente a divincolarsi -E vedi di lasciarmi in pace oggi che non sono dell'umore adatto-.
         La guardò divertito -Tranquilla che si nota- i suoi amici ridacchiarono ancora. Tirò loro un occhiataccia, spalancò la porta e se ne andò.
         Intorno a lei c'erano grandi gruppi di ragazzi che si salutavano e parlavano tra di loro. Intere classi riunite e lei era da sola, ma ancora per poco. Salì le scale fino al terzo piano e vide la porta della sua classe, l'ultima del corridoio.
         Appoggiato allo stipite della porta c'era una ragazza dai lunghissimi capelli castani ricci che si muovevano leggeri ad ogni suo movimento, occhi verde smeraldo che spiccavano sulla sua carnagione chiara e un visino così dolce da far innamorare ogni ragazzo. Il suo corpo slanciato era perfetto e al vederla si dimenticò la brutta conversazione appena avuta con Cameron. Quando c'era Hellawe Sullivan, la sua migliore amica, tutto era più divertente.
         -Evangeline, sono qui, muoviti-
         Le gridò attraverso il corridoio.
         -Hella arrivo-
         Le andò incontro e la vide parlare a qualcun altro in classe che lei non poteva vedere. Di sicuro era Nathan Scarlett infatti quando raggiunse Hellawe, vide anche lui: un ragazzo altissimo, sempre abbronzato, un fisico a vedersi perfetto, biondo e con grandi occhi color nocciola. Non poteva essere definito “figo” forse a causa del suo naso un po’ troppo spigoloso, però era abbastanza carino da interessare alle ragazze. Evangeline aveva sempre pensato che i due, lui e Hellawe, sarebbero stati una coppia perfetta ma non le avevano mai dato ragione.
         -Ehi Eve, come stai?-
         I tre amici si abbracciarono
         -Va tutto bene. Ho solo sonno, avevo preso l’abitudine di alzarmi tardi la mattina-
         -Non dirlo a me. Vieni qui-
         Le due amiche si abbracciarono ancora.
         -Voi invece cosa mi raccontate?-
         Nathan parlò per primo -Abbiamo perso la partita l’altro giorno-
         Poi fu il turno di Hellawe: -Io invece ho conosciuto un ragazzo Eve, sabato sera, devi vedere quanto è bello. Viene qui a scuola, è del quinto anno e si chiama Dean. All'intervallo te lo faccio conoscere-
         -Wow, è così carino?-
         -Si devi assolutamente vederlo-
         -Puoi giurarci-
         -Che noia i vostri discorsi da ragazze- intervenne Nathan
         -Sono cose che non puoi capire- le rispose l'amica -Come io mi annoio quando voi ragazzi parlate di auto-
         -Davvero sono così noiosi quei discorsi- disse Evangeline -Non cambiano mai sono sempre uguali-.
         Evangeline entrò in classe e vide che ancora mancavano metà delle persone. Salutò di fretta Jacob, Colin e altri; vide Phiriel e Hope, le due zabette che non riusciva a sopportare che la guardarono con quell'aria da superiore; e poi salutò tutti gli altri che le ricambiarono il saluto con un semplice accenno. Gli unici veri amici che aveva erano quei due ragazzi. Erano gli unici che tenessero realmente a lei; per quanto riguarda gli altri erano solo semplici compagni di classe. Non stava antipatica a nessuno ma non era neanche così in buon rapporto da scambiare qualche chiacchiera in più oltre a quel che centrava con la scuola.
         Appoggiò lo zaino e la giacca sul banco vicino alla finestra che i due suoi amici le avevano tenuto e si affacciò fuori. Gli spazzaneve erano passati ma avrebbe ricominciato a nevicare a breve. I nuvoloni bianchi erano belli carichi. La loro classe offriva una vista giardino sul retro della scuola. Era tutto bianco. Molti ragazzi erano fuori a fare a palle di neve fregandosene che tra pochi minuti sarebbe cominciata la lezione. Tutto avrebbe ripreso il suo corso come era sempre stato, come quando i sogni ancora non tormentavano Evangeline. Ma non ci volle pensare. Con la mente era già seduta sul muretto che confinava il giardino della scuola con la strada dove si sarebbe seduta all'intervallo con i suoi amici, a scherzare senza inutili preoccupazioni.
         Pochi minuti dopo cominciò la lezione.
 
         La campanella delle dieci che preannunciava il primo intervallo finalmente suonò. Ci voleva un momento di pausa dopo due ore di lezione veramente pesanti.
         All'improvviso nel corridoio si sentì la voce di decine di studenti che spezzarono il silenzio che si era creato. Anche Evangeline chiuse i libri e uscì dalla classe infilandosi il giaccone, pronta ad andare finalmente all'esterno a parlare. Si era decisa a raccontare tutto quanto a Nathan e a Hellawe. Forse era la cosa migliore da fare, sapeva di poter contare su di loro, l'avrebbero capita.
         Era già in corridoio quando sentì la voce di Hellawe: -Eve non ricordi cosa ti ho detto prima? Devo farti conoscere quel ragazzo-
         -Ah sì, scusa Hella, me ne ero totalmente dimenticata-
         -Sei sicura di stare bene?- la guardò un po' preoccupata
         -Sì, va tutto bene, ero solo sovrappensiero- Perché tutti si preoccupavano per lei? -Ho un così brutto aspetto?-
         -No, è solo che hai le occhiaie-
         -Sarà perché dormo poco-
         -Dormi poco? Ma eravamo in vacanza-
         -Sono andata a letto tardi, tutto qui-
         Hellawe le lanciò un'occhiata torva -Tu non me la racconti giusta-
         -Hellawe davvero, va tutto bene, non è niente di importante. Basta farmi domande-.
         Le due stettero in silenzio per tutta la strada che mancava alla classe di quel famoso Dean. Hellawe sapeva che quando Evangeline le parlava così non era per cattiveria ma lo faceva perché voleva semplicemente essere lasciata in pace, voleva tenersi i suoi problemi per sé. Dopo quattro anni che si conoscevano, ancora non aveva trovato un modo per farle sputare il rospo. Evangeline era sempre stata strana; ancora ricordava come era stato buffo il loro primo incontro e a quel pensiero rise tra sé e sé e si ricordò quanto volesse bene a quella ragazza dai capelli neri come la notte, la pelle troppo chiara anche in estate e il suo strano modo di vestire.
         La classe era la seconda a destra del secondo piano. Quando le due ragazze arrivarono videro, però, una folla di gente tutta intorno ad un punto al centro del corridoio. C'erano decine e decine di studenti e professori e le due ragazze non riuscirono a vedere niente di ciò che stava succedendo.
         -Hellawe, prova a cercare Dean. Magari sa cosa succede-
         -Sì, certo. Ma dici che c'è da preoccuparsi?-
         -Non ne ho idea-
         Hellawe prese il cellulare e chiamò il ragazzo che poco dopo apparì da dietro la folla e venne loro incontro. Era davvero un bel ragazzo. Altissimo e con due braccia muscolose che sembravano scoppiare dentro alla  maglietta. Capelli cortissimi neri, labbra sottili, occhi marroni e un tatuaggio che spuntava sul collo un po’ visibile e un po' nascosto.
         Fu lui a parlare per primo: -Ciao piccola- salutò Hellawe con un bacio sulla guancia poi si rivolse all'amica con una stretta di mano: -Ciao sono Dean, piacere di conoscerti-
         Il suo era un accento pienamente americano
         -Evangeline, piacere-
         Poi fu il turno di Hellawe: -Dean cosa succede là in mezzo? Non si riesce a vedere niente-
         -Praticamente un ragazzo si è sentito male-
         -Ma è svenuto? Cosa gli è successo?-
         Hellawe era turbata. Prendeva sempre troppo a cuore queste situazioni.
         -Due ragazzi l’hanno visto fissare qualcosa e gridare e poi ha perso i sensi ma ormai si sarà ripreso-
         Quel ragazzo per essere americano, a parte il suo accento che lo tradiva, parlava un italiano perfetto.
         La folla si diradò poco dopo e le ragazze poterono finalmente vedere il poveretto. Si stava rialzando da terra aiutato da un paio di professori per portarlo subito in infermeria. Aveva i muscoli della faccia completamente rigidi, era pallido e camminava trascinandosi come se fosse stato ferito ad una gamba.
         Evangeline andò incontro ad una ragazza lì vicino: -Scusami, sai perché quel ragazzo è svenuto?-
         Ci pensò un attimo: -No, quel ragazzo è in classe con me ma non l’ho mai visto in quello stato. Sembrava scioccato da qualcosa ma io non ho visto niente, magari era solo fatto-
         -D'accordo grazie-
         -Di niente-
         Lasciò quella bionda e tornò da Hellawe e Dean:
         -Cosa le hai chiesto?- fece lei
         -Niente di importante-
         Per ultimo fu Dean a prendere la parola: -Ragazze io devo andare. Piccola ci sentiamo oggi- le diede un altro bacio sulla guancia -Ciao tesoro-
         -Ciao Dean-
         E se ne andò lasciando le due amiche da sole.
  
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