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Autore: Yuki Kushinada    19/03/2015    2 recensioni
[Lambo]: Lambo non aveva mai considerato Tsuna come un Boss, tanto meno come il proprio Boss, quanto più come un fratello maggiore.
Ma c’erano alcune giornate, alcuni momenti, in cui Tsunayoshi Sawada era veramente un Boss, al di là di ciò che a tutti loro piaceva credere.

[Ryohei]: Non serviva sapere quale fosse il peccato che si sentiva sulla coscienza, semplicemente, non stava bene con se stesso. La mafia non faceva stare nessuno bene.
[Takeshi]: Non fu nell’istante in cui il sangue gli schizzò sulla pelle in macchie che avrebbe poi lavato, macchie che sarebbero comunque rimaste, che il panico lo assalì nella consapevolezza di essere diventato un assassino.
[Mukuro & Chrome]: Non era una sceneggiata a beneficio della malavita, era un giuramento che riguardava esclusivamente loro tre.
[Hayato]: Gokudera Hayato, ex Guardiano della Tempesta della Decima generazione della Famiglia Vongola, deglutì a vuoto, ma non rispose. Sollevò la pistola e se la porse alla tempia.
Un Boss e un Guardiano. E una Famiglia che sa essere maledizione e conforto insieme.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lambo, Mukuro Rokudo, Ryohei Sasagawa, Takeshi Yamamoto, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'Autrice: Non senza vergogna, torno dopo un anno di silenzio.
A mia discolpa, avevo avvisato che ho tempi schifosi.
Nel frattempo mi sono laureata, ho girato l'Italia alla ricerca di un lavoro (ahimè come fisico e non scrittrice), ho trovato lavoro e il tempo si è ridotto drasticamente e la scrittura ne ha risentito.
Ma diciamo che ho faticato un bel po' con le storie a venire. La buona notizia è che le ho iniziate tutte, quindi un barlume di speranza che questa storia non resterà inclusa c'è.
Ma prima di passare ad un nuovo guardiano (in realtà non avrei avuto il coraggio di tornare a pubblicare senza avere almeno Yamamoto pronto, ecco perché oggi arrivo con due capitoli), ho deciso che con Ryohei non avevo finito.
Gli avevo dato poco spazio, porello. E soprattutto mi è capitata su facebook il frame con Ryo che dice la frase finale in corsivo nel futuro, per cui ho pensato che di quello bisognasse parlare.
Purtroppo non riesco ad incastrare contemporaneamente lui e Tsuna, quindi come nel capitolo di prima è più un due scene distinte.
E in realtà più che Ryohei la prostagonista è Hana, ma dettagli suvvia XD.




 

 

 

 

 

 

 

 

Vongola Decimo

~ Ryohei ~

~ Seconda parte ~

 

 

 

 

 

 

 

 

“Saskia continua a fare di testa sua e non mi ascolta.”

“E tu lasciala fare, significherà che le piace così” mormorò Hana Kurokawa in risposta al marito, senza averlo in realtà ascoltato nemmeno lei.

Quella notte, Ryohei non aveva non aveva la più pallida voglia di dormire e si vedeva. Erano ore che continua a bisbigliarle i suoi dubbi nelle orecchie. Peccato che i suoi bisbigli si allontanavano a mala pena dalle urla di una persona normale e quindi non riusciva a dormire neanche lei. Ma non per questo non ci provava lo stesso.

La sorella di Gokudera sosteneva che per amore si potesse anche morire, lei per amore stava diventando sorda.

Ancora non aveva capito come avesse fatto a sposarselo. Certo, era un gran bel ragazzo e lo conosceva da quando era bambina, magari si era anche innamorata da subito del suo istinto protettivo e di quel suo modo assurdo di essere così virile e delicato al tempo stesso. Ma la verità era che Ryohei Sasagawa urlava come una carampana e avrebbe chiesto il divorzio quanto prima, se non la faceva dormire per lo meno alle tre di notte.

“No è impossibile che le piaccia. La verità è che ha paura di studiare” scattò in quello che era chiaramente un urlo.

“Se ci sei riuscito tu, possono farlo tutti” biascicò sempre più addormentata e sempre più con la voglia di rimanere vedova.

“Appunto!” le strillò nelle orecchie.

Lei ebbe un mezzo infarto e saltò dal letto, ma Ryohei se ne accorse a stento. In compenso, non gli era chiaro perché Hayato Gokudera, Guardiano della Tempesta della Decima generazione della Famiglia Vongola, avesse scagliato probabilmente un armadio contro la parete che separava le loro stanze.

“Quel ragazzo non si calma neanche di notte” commentò in risposta a quel fracasso senza accorgersi dell’occhiata omicida che Hana gli rivolgeva.

La ragazza si ributtò sul cuscino sperando che potesse aver pace almeno per qualche ora in quella notte.

“Insomma, ti pare normale che sia tornata sulla strada, quando io le avevo estremamente detto che deve diventare un’infermiera?”

Hana roteò gli occhi al cielo. ImbranaTsuna sotto sotto era sempre lo stesso, per cui era abbastanza convinta che non se la sarebbe presa troppo se gli avesse ucciso uno dei Guardiani, se gliene spiegava la causa.

“Dalle tempo” rispose comunque. “Non tutti accettano facilmente i cambiamenti. E se continui ad urlarle addosso cosa deve fare, la spaventi soltanto” gli spiegò ragionevole.

Il Guardiano del Sole non era il tipo che urlava in faccia ad una donna in verità. In realtà, secondo Fuuta de la Stella, il maggiore dei presunti fratelli di Tsunayoshi Sawada, Ryohei era l’affiliato della mala che più rispettava e proteggeva il gentil sesso. Uno dei motivi per cui l’aveva sposato. Il problema era che strillava e basta, in generale, ed aveva la strana capacità di riuscire a terrorizzare a morte il prossimo, con quei suoi modi eccessivamente estremi.

“Non posso darle tempo se lei lo passa a rovinarsi la vita. Un uomo degno di questo nome non può permetterlo, Hana!” urlò, motivato da quel sacro coraggio che lo illuminava praticamente ad ogni ora del giorno. Per lei fu il secondo infarto nel giro di dieci minuti. “Ieri ho dovuto passare tutta la serata a picchiare i clienti che si avvicinavano a lei, visto che non si decideva ad andarsene.”

“Questo sì, che non dovrebbe spaventarla affatto.”

“Infatti” rispose, deciso, non capendo l’ironia. “Ma quella ragazza ha una testa così estremamente dura!”

Hana sollevò un sopracciglio, nel dormiveglia. Ryohei che si lamentava che qualcun altro avesse la testa dura, era più assurdo del fatto che Sawada fosse diventato un boss della mafia. Non commentò, preferì non rispondere piuttosto che dargli modo di lagnarsi ancora per il resto della notte, magari riusciva a recuperare una mezzora di sonno.

Hanaaa!”

L’urlo con cui la chiamò le diede l’infarto definitivo e la svegliò del tutto. Probabilmente, svegliò anche tutto il palazzo, e Gokudera dalla camera accanto si mise urlare come l’invasato che era pure lui. Per quel poco che Kurokawa ne capiva di italiano sospettava che gli stesse bestemmiando i morti.

“Hayato! Dormi che è tardi! Un uomo ha estremamente bisogno di riposo!” starnazzò il suo uomo in risposta.

Dalla sequela di volgarità che ne venne fuori, ora era completamente certa che lo stesse facendo davvero.

“Perché hai urlato il mio nome in quel modo?” chiese ormai rassegnata al fatto che quella notte non avrebbe dormito.

“Mi devi aiutare, tu sei una donna, quindi magari ti darà più ascolto!”

“Ryo, non puoi aiutare chi non vuole essere aiutato, mettitelo in testa.”

“Non esiste neanche, no” rispose scuotendo la testa come un bambino che fa i capricci. “Lei ha bisogno di noi e noi abbiamo bisogno di lei.”

Il sopracciglio di Hana tornò ad assumere quella forma arcuata che si esprimeva molto più di quanto avrebbe potuto fare a parole. “Perché noi avremmo bisogno di lei?”

“Ci servono infermiere.”

Il discorso aveva senso: Sawada si era messo in testa di rivoltare completamente le leggi della mafia e del governo. Aveva passato i primi due anni da Boss a tentare di sventrare la mafia, per portare la legalità in Sicilia e in tutto il mondo. Un bel giorno, però, si era convinto che la politica era altrettanto ingiusta e corrotta, per cui aveva deciso di abbracciare completamente gli ideali del fondatore della Famiglia e fare dei Vongola un’istituzione che proteggesse la gente dalla violenza della malavita e dalle ingiustizie della legge.

In altre parole, nonostante il radicale cambio di posizione con l’ascesa del Decimo Boss, i Vongola erano criminali a tutti gli effetti agli occhi dello Stato ed erano una seria minaccia per chiunque nella malavita. Erano senza dubbio la Famiglia con più amici, ma allo stesso tempo quella con più nemici.

Sawada, Ryohei, gli altri Guardiani e le loro squadre rischiavano la vita ogni giorno per difendere gli ideali in cui credevano e non ne uscivano sempre illesi, per questo investivano nelle risorse mediche più che in qualunque altro campo. I Vongola potevano contare su un sistema ospedaliero e una equipe competente che faceva invidia a tutto il mondo.

Ryohei, per assurdo che potesse sembrare, era il medico privato di Sawada e della sua cerchia più stretta di persone fidate, nonostante i suoi trascorsi, e molte volte anche attuali, come boxer e l’attitudine a non ascoltare nulla di quello che gli si dicesse.

Tuttavia, nonostante la sua Fiamma del Sole fosse praticamente la panacea di ogni male, Ryohei non poteva fare tutto il lavoro necessario da solo. E non perché non ne avesse la competenze o la testardaggine, semplicemente i Vongola erano una Famiglia troppo numerosa e troppo sparsa per il mondo, perché lui potesse preoccuparsi di tutto e tutti.

Per questo, capiva l’esigenza del marito di avere una squadra medica sempre più numerosa.

“Ryo, so che sei preoccupato per la Famiglia, ma hai comunque undici nuove infermiere, con lei procedi con più calma.”

“Ma io non parlavo della Famiglia” la corresse prendendola in contropiede. “Parlavo di me e te. E a noi ne servono dodici.”

“Visto che né io, né tu, voglio sperare, siamo in punto di morte, allora non capisco che ce ne dovremmo fare.”

“Per i nostri bambini, ovvio.”

Più o meno quello fu l’istante in cui decise che dal giorno in avanti a seguire gli avrebbe messo dei sonniferi a cena. Non solo non la faceva dormire, ma le riempiva anche la testa di idiozie.

“Ryohei, noi non abbiamo e non avremo dei bambini.”

“Hana, ma cosa dici? Noi dobbiamo averne. Almeno tre.”

“No, Ryo, io non posso avere dei figli” ribatté esasperata.

In quell’istante fu Ryohei Sasagawa a rischiare l’infarto. Sua moglie era… Doveva parlarne quanto prima con Shamal. Con tutte le assurdità che affrontavano ogni giorno, era sicuro che avrebbero estremamente superato anche quella. O magari la Testa ad Ananas poteva fare qualcun altro dei suoi miracoli.

Ma la cosa più importante di tutte, era assicurarsi che sua moglie stesse bene. Era già capitato che qualcuno dei membri della Famiglia gli chiedesse un consulto per la propria moglie su un problema simile e, nei casi che aveva riscontrato fino ad adesso, se c’era una cosa evidente era che una donna che non poteva aver figli aveva bisogno di conforto, innanzitutto.

“Perché non me l’hai detto prima?” mormorò in un sussurro, serio come era stato poche volte al mondo.

“Ma cosa?”

Ryohei le prese le mani e la strinse contro il proprio busto coperto appena da una maglietta leggera di cotone nera. Quando atterrò sui suoi pettorali scolpiti e si sentì stringere da quelle braccia muscolose, Hana Kurokawa non poté fare a meno di pensare con un qual certo imbarazzo che in nessun posto si sarebbe mai sentita altrettanto al sicuro.

“Non devi vergognarti con me, Hana. Sei mia moglie e ti amo così come sei, non mi importa se sei sterile o meno” continuò con quel tono così carino che in qualunque altro momento l’avrebbe fatta sciogliere.

In quell’istante, però, Hana sciolse l’abbraccio, giusto per picchiarsi una mano in fronte.

“Ryo, non sono sterile.”

“Ma hai detto che non puoi…”

“Non posso avere dei bambini, perché non li sopporto! A stento tollero te, mi ci vedi ad avere a che fare con una cosetta che strilla a tutte le ore del giorno? Lo ammazzerei nella culla!”

Hanaaa!” starnazzò nuovamente il suo nome facendole partire un timpano.

Neanche tre secondi dopo, sentì l’urlo di Gokudera e la sequela di bestemmie annesse che a questo giro, oltre che i morti, riguardavano anche tutti i vivi Sasagawa e parenti.

“Hana, noi dobbiamo avere dei figli” continuò ad urlare suo marito. E giurò che il Guardiano della stanza accanto avesse strillato in risposta qualcosa del tipo E fatteli uscire dal culo e muori. In quell’istante si trovò quasi a simpatizzare con quella bestia di Hayato Gokudera.

“Io non te ne partorisco, né te ne cresco” chiarì risoluta.

Hanaaa!”

Questa volta era preparata e riuscì a tapparsi le orecchie per tempo. Si aspettava di sentire l’ennesimo urlo anche dalla parete affianco, ma questa volta ciò che udì fu un trambusto, seguito dalla voce di Sawada ovattata attraverso la parete che dava al corridoio.

“Hayato, torna a letto!”

“Decimo, ma io lo devo ammazzare! Non può rompere così tanto il cazzo pure di notte!”

“Hayato.”

“Decimo, non mi interessa, la prossima volta che urla lo castro, così hanno risolto tutti i loro problemi!”

“Hayato!”

Perfetto. Ora tutti sapevano i fatti loro. Giacché era distratta a badare ai commenti che provenivano fuori dalla loro stanza, Ryohei ne approfittò per continuare la sua arringa.

“Hana, io voglio a tutti i costi una figlia!” urlò all’improvviso prendendola in contropiede. “E voglio che abbia i tuoi occhi e il tuo sorriso! E anche la tua forza! Voglio che sappia difendersi, che sia sicura di sé e che non abbia paura di nulla. E voglio anche un figlio, che dovrà prendersi cura della sorellina, delle sorelline anzi, e gli insegnerò a rispettare le donne più di ogni altra cosa, come fa un vero uomo! E tu gli insegnerai ad essere forte ed intelligente! E…”

Hana smise di ascoltarlo, nonostante stesse strillando come suo solito. Vedeva la sua bocca muoversi, ma le parole le arrivavano come ovattate. Perché Ryohei Sasagawa aveva i modi di un gorilla, ma la dolcezza e l’amore che trasudava ogni sua parola la lasciarono inerme e senza parole.

Era per quello che l’aveva sposato. Perché dietro quell’ammasso di muscoli, si celava l’animo più gentile e delicato che avesse mai conosciuto.

Si ritrovò a pensare che un bimbo non avrebbe comunque potuto strillare più di quanto facesse suo marito e per qualche stupido motivo sorrise.

“Io non mi alzo la notte a cambiare pannolini” chiarì con un’occhiata che si fingeva minacciosa.

Il Guardiano del Sole praticamente saltò di gioia. “Sarò io ad occuparmene allora, ma l’importante è che avremo dei figli!”

“Oh cielo, se ora si mettono pure a scopare, giuro che vado lì dentro e faccio una strage.”

“Hayato!”

“Dai, Hayato, lasciali fare. L’amore è sempre una bella cosa, no? E poi almeno urlano per qualche motivo valido.”

“Takeshi, non mettertici pure tu!”

Hana amava sinceramente Ryohei, ma quando si avvicinò per abbracciarla di nuovo gli tirò un pungo in un occhio e tornò a dormire maledicendo un po’ tutti quanti.

 

 

“Avanti.”

Nonostante Sawada fosse il capo di suo marito da circa dieci anni, non era abituata alla ossequiosa formalità che lo circondava. Sawada era venerato come un Santo, all’interno della magione, e trattato alla stregua di un re. Il suo studio era enorme, con un tappeto irrimediabilmente rosso che partiva dalla porta a due ante e arrivava fino all’antica scrivania in legno antico.

Lo stemma della Famiglia Vongola era inciso praticamente ovunque, sul tappeto, gli stendardi sulle pareti laterali, la porta e la scrivania. La stanza, grande quasi come un appartamento, era per una parete ricoperta da ampie vetrate.

Una volta aveva sentito lamentarsi quella scimmia di Gokudera che sembrava tanto che ImbranaTsuna stesse invitando il mondo intero a sparargli addosso, in quel modo, ma l’altro si era limitato a replicare che se proprio dovevano rinchiuderlo in gabbia, voleva che il sole si vedesse bene.

Da quel punto in poi, Ryohei aveva trascinato Sawada fuori rintronandolo sul perché un giovane uomo dovesse passare ore all’aperto e soprattutto con un incontro di boxe. Da quel momento in poi era stato un delirio.

In ogni caso, la scrivania di Tsuna dava proprio di fronte alla vetrata centrale. In effetti, se qualcuno avesse voluto spararlo alla schiena, poteva riuscirci benissimo, ragionò un istante. Tuttavia, per quanto ne sapesse lei, nessuno aveva neanche tentato.

Davanti alla scrivania due poltroncine in velluto nero si preparavano ad accogliere i suoi ospiti. Già, perché nonostante fosse un po’ troppo pomposa, quella stanza era accogliente.

Forse era per il camino scoppiettante nella parete a sinistra, con di fronte tanto di tavolino e otto sedie. O il televisore a maxi schermo e i quattro divani sistemati strategicamente in modo che da lì si potessero vedere sia la TV che Tsuna, alla parete a destra.

Per quanto ne sapeva lei, i quattro mocciosi di Tsuna vivevano praticamente su quei divani, era strano vederli vuoti.

“Se te lo stai chiedendo, Reborn è con Takeshi, Lambo e I-Pin sono a scuola e Fuuta aveva degli impegni vari e sparsi. Insomma, è uscito con la ragazza ma non vuole dirmi ancora che sta frequentando qualcuno.”

“E tu come lo sai, allora?” le domandò ironica con un sopracciglio inarcato.

“Fuuta per me è come un fratello, è normale che sappia tutto sul suo conto” le rispose con un sorriso.

“Non ti facevo un tipo apprensivo.”

Tsuna le sorrise semplicemente e le indicò la poltrona di fronte alla scrivania, per invitarla a sedersi.

Non le disse che con gli anni aveva sviluppato – e in buona parte era stato Reborn ad inculcargliela – una sorta di mania del controllo e doveva sapere in ogni istante dove fossero i membri della sua famiglia e cosa stessero facendo. Non le disse neanche che due dei suoi uomini erano pagati esclusivamente per assicurarsi che Fuuta stesse bene e altri quattro perché stessero a guardia della scuola di I-Pin e Lambo.

Era così che aveva scoperto che quei due si erano messi insieme.

“Scusa per il baccano di ieri sera” biascicò Hana profondamente imbarazzata.

Tsunayoshi rise sinceramente. “Tranquilla, sono abituato anche a peggio.”

“Non oso immaginare.”

“Credimi, finché non riescono a svegliare Kyoya la situazione è ancora contenibile.”

Hana non commentò la naturalezza con cui Sawada chiamava per nome l’ex prefetto che aveva seminato il panico e la disciplina durante gli anni delle medie e superiori.

“A che ora hai il volo?”

Nonostante lei e Ryohei fossero sposati ormai da anni, Hana viveva ancora a Namimori, per cui la loro era a tutti gli effetti una relazione a distanza. Viaggiavano entrambi molto spesso, ma anche così passavano almeno metà dell’anno separati.

Contrariamente ad ogni aspettativa, era stato Ryohei a volerlo. Non voleva che Hana fosse coinvolta in nessun modo con la Famiglia e i suoi nemici, il loro era stato un matrimonio segreto cui avevano assistito solo gli amici e i parenti più stretti e la notizia non si era ancora diffusa.

Ryohei non indossava nessun tipo di fede nuziale o altro che avrebbe potuto far capire ai suoi avversari che aveva una moglie. Hana non aveva rinunciato all’anello però, e in fondo ne erano felici entrambi.

Quella vita era stressante per tutti e due, Tsuna era certo che solo l’amore profondo che nutrivano l’uno per l’altra riusciva a farli andare avanti. Proprio per questo Ryohei era il guardiano che mandava più spesso in Giappone o a cui concedeva una vacanza ogni quando poteva. Essendo però il loro medico personale, non avveniva poi così tanto spesso.

Il Decimo dei Vongola non poteva negare di sentirsi la coscienza sporca quando pensava a loro. Per colpa sua, la loro felicità era costantemente messa a dura prova. Aveva proposto a Ryohei di far vivere Hana con loro e gli aveva offerto la sua protezione, ma il Guardiano era incredibilmente testardo e preferiva sapere sua moglie al sicuro.

Inoltre, in questo modo, sapeva anche che sua sorella non era da sola e aveva un pretesto per andare a trovarla. Tsuna non era granché convinto di quella decisione, ma rispettava la sua scelta. In fondo, anche lui aveva lasciato sua madre a Namimori, ma aveva portato con sé i suoi tre fratelli perché erano già troppo invischiati nella mafia per poter avere un’infanzia serena senza necessitare protezione.

“Ho rimandato il volo, penso di restare un’altra settimana se non ti spiace.”

“Casa mia è casa tua. Per quel che mi riguarda, puoi trasferirti qui tutta la vita.”

“Forse prima o poi dovrò farlo.”

Tsuna sorrise ma non commentò, aspettò che fosse lei a spiegarsi.

“Ieri hai ascoltato tutto, no?”

“Solo qualcosa. Era difficile sentire bene con Hayato che ne urlava di tutti i colori” ridacchiò.

“Ryohei vuole dei figli.”

“Non mi stupisce. Lui adora i bambini.”

“Pure troppo. E vuole che io insegni loro ad essere forte” chiarì con un tono scettico che fece quasi rotolare a terra di risate Vongola Decimo.

D’altronde, entrambi sapevano benissimo che Ryohei Sasagawa era l’uomo capace di abbattere con un pugno una montagna. E non era un modo di dire. Se avesse avuto anche solo la metà degli istinti omicidi del Guardiano della Nebbia, probabilmente i due avrebbero potuto combattere alla pari.

Ma Kyoya era una belva assetata di sangue e Ryohei, al contrario, era semplicemente troppo buono. Si faceva carico dei problemi di tutti, voleva difendere i più deboli anche a costo della propria salute e voleva una famiglia da proteggere e da amare.

Lui combatteva proprio per questo. Lo aveva anche detto una volta quando ancora si scontravano con Byakuran: per la felicità delle persone che amiamo e che forse ameremo. La mafia non era riuscito ad abbattere la sua fede, né tanto meno la capacità di amare. Era stato dopo aver accettato il ruolo di Guardiano e averne comprese tutte le pericolosità, d’altronde, che si era dichiarato ad Hana.

Ryohei credeva nella missione di Tsunayoshi, era davvero convinto che tutti insieme potessero creare un modo migliore, un mondo nel quale far crescere i suoi figli. E Tsuna avrebbe fatto qualunque cosa, qualunque, pur di non tradire quella fiducia.

Nonostante la sua prestanza fisica incredibilmente fuori dal comune, però, Ryohei era convinto che tra i due fosse Hana quella forte. Hana era decisa, sicura di sé, non aveva paura di essere la moglie di un mafioso, né a dire a chiunque quel che pensava. Se fosse nata nel loro mondo, avrebbe tenuto testa a Bianchi o Lal Mirch, Tsuna ne era certo.

Hana riusciva a rendere Ryohei mansueto come un agnellino – un agnellino con corde vocali impressionanti, in realtà – sapeva farlo ragionare quando non ne aveva la minima voglia, sapeva tirarlo fuori dall’angoscia che accompagnava il marcio della malavita.

“Beh, si fida di te” commentò Tsunayoshi, un po’ imbarazzato all’idea di essere diventato il confidente di Kurokawa.

“Posso essere sincera con te?”

“Certo.”

“Ho paura. Un conto è tentare di nascondere un matrimonio, ma nascondere un figlio? Non voglio un figlio che cresca senza un padre e a Namimori, se gli accadesse qualcosa, io non basterei a difenderlo. Ma se vivessimo qui, crescerebbe nella mafia.”

Tsuna capiva benissimo quella preoccupazione. Era il motivo principale per cui lui stesso non voleva figli. Tre dei suoi Guardiani erano nati nella mafia, gli altri, lui compreso, ne avevano fatto parte quando ancora frequentavano la scuola media.

Una parte di lui era pronta a sconsigliarle di proseguire con quella che poteva definire solo una follia, ma a suo avviso Hana e Ryohei vivevano una situazione già fin troppo complicata.

Ripensò ai suoi fratelli. Fuuta era stato l’obiettivo di tutte le Famiglie mafiose per le sue capacità, ma non aveva mai abbracciato un’arma e adesso, che era all’università, superava ogni esame con il massimo dei voti. Si stava costruendo da solo il proprio futuro, il supporto che gli dava Tsuna era quello che gli avrebbe dato un qualunque fratello, non un boss mafioso.

I-Pin era stata educata a diventare un serial killer sin dalla nascita e il potenziale che la ragazza possedeva superava di gran lunga la maggior parte delle persone che conosceva. Ma Tsuna non le aveva mai incaricato di mettere in atto le sue doti di sicario, anzi l’aveva tenuta il più lontano possibile dal campo di battaglia. Sapeva che la ragazza, superata la cotta furiosa in favore di Lambo, si allenava costantemente con Hibari, ma non aveva mai maturato la mentalità da assassino, né la voglia di vivere una vita come mercenario. Un bel giorno gli aveva annunciato che voleva lavorare onestamente per guadagnarsi da sola da vivere e continuare a studiare. Tsuna non poteva essere più felice e, nonostante in realtà continuasse a saldare i suoi conti a sua insaputa, assecondava in pieno la sua decisione.

Lambo era quello che gli dava più grattacapi, sostanzialmente perché Lambo era il suo Guardiano del Fulmine, se lo avesse dimesso da quel ruolo, le Famiglie avversarie lo avrebbero visto come l’elemento debole e pertanto torturabile. Il fatto che Lambo appartenesse originariamente ai Bovino di certo non aiutava, da quel punto di vista. Non in una società in cui il tuo cognome contava più di quello che avevi fatto in tutta la tua vita.

Lambo non poteva crescere lontano dalla mafia, e la verità era che non voleva nemmeno farlo. Era ancora in fasce quando aveva iniziato a giocare con le armi e aveva sviluppato fin troppo presto un legame morboso prima per Reborn, poi per lui.

In realtà, più che affetto, da bambino pretendeva di essere riconosciuto da Reborn in qualità di mafioso come tutti gli altri. A ventisei anni, Tsunayoshi capiva benissimo che Reborn gli aveva negato quella soddisfazione per proteggerlo, più che per punirlo. Da quando però aveva iniziato a vivere come se fosse suo fratello, a Lambo non interessava più essere un mafioso, ma essere indispensabile per Tsuna. Purtroppo, grazie all’intervento dell’uomo che si faceva chiamare suo padre, Lambo era diventato Guardiano, e così il ragazzino si era convinto che più forte e distruttivo diventava, più sarebbe stato utile alla Famiglia.

Nonostante glielo avesse detto in ogni modo che gli venisse in mente, non riusciva a fargli capire che per lui Lambo era indispensabile a prescindere. Così come lo erano I-Pin e Fuuta. Quei tre erano l’unica parvenza di innocenza rimasta nella sua vita. Sapere che stavano bene e che erano lontani dalla violenza gli era necessario come l’aria che respirava.

Il fatto che nessuno dei tre avesse mai ucciso o riportato una ferita mortale da quando era diventato Boss era il suo successo più grande.

Dobbiamo combattere. Per un futuro radioso, per le persone che forse ameremo.”     

“Come?”

“E’ quello che disse una volta Ryohei, quando eravamo disperati contro Byakuran. Credo parlasse di te, quella volta, sai. Lui voleva cambiare il futuro perché voleva andare incontro al suo.”

“All’epoca io e lui ci conoscevamo a stento” rimarcò Hana con un sopracciglio inarcato.

“Già, ma aveva scoperto che prima o poi sareste finiti insieme e fu quella la causa della sua risolutezza: lottava per avere un giorno la possibilità di amarti. Non ti conosceva davvero ancora, non sapeva come sarebbe andata tra di voi, se sarebbe durata, e non gli interessava nemmeno. Voleva un futuro in cui potesse almeno provarci ed ha fatto esplodere la Fiamma del Sole.”

Quella storia delle Fiamme era stato curiosamente Hayato Gokudera a spiegargliela, in una delle poche conversazioni civili che avevano avuto. Ryohei si limitava a dire che fossero la forza di un vero uomo, Sawada non aveva mai veramente voglia di parlare di armi e combattimenti e Yamamoto se ne usciva puntualmente con qualche idiozia filosofeggiante del tipo Beh, volere è potere. Ma, in sostanza, era la determinazione la chiave del loro potere.

“E io credo che possiamo farlo ancora” continuò Tsuna, distraendola.

“Cosa?”

“Lottare per creare un futuro per le persone che forse ameremo. Per i figli che forse deciderai di avere.”

Il suo primo istinto fu quello di gettare una risposta sarcastica. Ceeerto, sarebbero sicuramente riusciti a distruggere la mafia, anzi a renderla un posto felice e allegro che tutti i bimbi del mondo avrebbero sognato di conoscere. D’altronde avevano la garanzia di ImbranaTsuna e del branco di scimmie che lo seguivano come se quella marea di cazzate avesse un senso!

Hana era troppo abituata a figurarsi Sawada come il ragazzo impedito e sbadato che aveva avuto per compagno di classe. Eppure, si zittì quando lo guardò negli occhi e scorse la luce d’arancio che gli illuminava lo sguardo.

Tsuna si alzò, girò intorno alla scrivania e si sedette accanto a lei. La prese per mano e afferrò il tagliacarte che recava sul manico lo stemma della Famiglia. Non capì che voleva fare neanche quando le incise velocemente una ferita sul palmo destro e non ne fece una gemella sul proprio.

Le afferrò la mano facendo combaciare le due ferite.

“Per la cronaca, non sono il tipo che dà ad importanza a queste cose, ma non dirlo a Reborn. Tuttavia, se vuoi che lo faccia al modo della mafia, posso farlo.”

“Di che stai parlando, Sawada?” chiese alterata, senza riuscire a nascondere un’ombra di paura nella voce alla stranezza di quella situazione. Tentò di ritrarre la mano, ma Tsuna glielo impedì.

“Hai paura che la mafia possa distruggere la tua vita e quella della tua famiglia semmai vorrai fartene una. E temi che non potremmo farci niente, per impedirlo. Beh, Hana ti sbagli. Ti prometto un mondo dove non dovrai più nasconderti, dove non dovrai avere paura e dove potrai avere dei bambini.”

“Mi hai letto nella mente o cosa?” chiese guardandolo di traverso, e non credendo più di tanto a quelle parole.

Tsuna si limitò a sorriderle. Aveva imparato tanto da Reborn.

“Sul mio sangue,” cominciò invece, tenendole la mano e guardandola fermamente negli occhi “sul mio onore, sul nome di Vongola Decimo, i tuoi figli saranno i miei figli. Chi farà del male a te o a loro, avrà fatto del male a me e alla mia Famiglia. E non sarà perdonato.”

In quel momento, Hana si accorse che la persona che le teneva la mano, mescolando il suo sangue con il proprio, non era il ragazzo che aveva fatto per anni una corte impacciata a Kyoko, senza mai dichiararsi, o non riusciva a fare due scalini senza inciampare nei propri piedi, ma era il maggior esponente di una delle più grandi, storiche, famose e sanguinarie Famiglie al mondo. Il suo nome suscitava terrore in ogni angolo della Terra praticamente, nessuno avrebbe voluto mai averlo per nemico. In fondo, nessuno aveva mai tentato di spararlo alle spalle.

E per una volta lo vide senza i pregiudizi del passato, come se lo avesse incontrato in quel momento per la prima volta. Non era un ragazzino impedito quello, era un uomo adulto, vestito come un Boss, trattato come un re e venerato come un Santo.

“Trasferisciti pure qui in pianta stabile, se vuoi. Non hai nulla da temere.”

Iniziava a capirne il perché.

  
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