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Autore: La Fe_10    21/03/2015    5 recensioni
Deglutì e sospirò.
«E mi sembra di vivere quella situazione un migliaio di volte nel sogno, ma...»
«Ma cosa?»
«Non lo so. Ogni volta che provo a rimettere insieme i pezzi mi sembra di perdere qualcosa. È solo una fatica inutile, una perdita di tempo.»
«Abbiamo tanto tempo da perdere qui, sa?»
«Credo che sia una storia lunga.»
Le labbra si stirarono in un sorriso mentre gli zigomi si alzavano facendogli assottigliare gli occhi in un sorriso che Sakura definiva sempre come degno dello Stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie, anche se lui si sarebbe paragonati di più ad una volpe ad essere sinceri.
Distese le gambe e allungò le braccia, per poi ripiegarle assumendo la posizione del mezzo loto così da avere un perfetto piano di appoggio per il suo block notes, anche se la matita giaceva ormai abbandonata incastrata sull'orecchio sinistro, mentre con il braccio destro si appoggiava al bracciolo della poltrona.
«Adoro le storie lunghe»
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La storia partecipa al contest "Il mio titolo, la tua storia".
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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All'ombra del salice

 

Iniziò a sfogliare l'agenda, tentando di organizzare i vari appuntamenti. Quello era sicuramente il lavoro più noioso della sua professione, non aveva dubbi al riguardo, ma se non voleva sentirsi sprofondare negli impegni, come era già successo più volte, doveva dedicarsi anche a quel tipo di occupazioni.

Probabilmente Sakura aveva ragione, si sarebbe dovuto trovare un'altra segretaria visto che la sua collaboratrice di fiducia era in maternità, anche se si sentiva restio ad affidare ad una estranea i suoi preziosi pazienti.

Il rumore delle nocche interruppe il filo dei suoi pensieri.

«Prego, avanti.» rispose confuso iniziando a sfogliare febbrile le pagine dell'agenda che sembrava seguire un ordine del tutto casuale da quando Hinata era a casa.

«Avrei un appuntamento» rispose una voce roca e bassa, quasi scocciata.

«Mi scusi, la mia segretaria è andata da poco in maternità e credo di aver smarrito il suo promemoria. Purtroppo non sono molto bravo in quel genere di cose»

«Spero che lo sia in tutto il resto allora.» ribatté la voce con un pungente retrogusto di sarcasmo. «Così dicono.» rispose l'uomo. «Prego, si accomodi sulla poltrona.»

«E io che pensavo che avesse il tipico lettino dei cartoni animati»

«Quello è nel retro, insieme alla camicia di forza e all'elettroshock, se vuole provvedo»

L'atmosfera di fece meno pensante mentre il paziente rideva sommessamente.

«Onestamente non so perché sono qui. Sono stati dei miei amici a trascinarmici di forza, maledetti, mi hanno incastrato. Letteralmente. Passare il venerdì sera da uno strizzacervelli non è proprio il massimo. Senza offesa.»

«Nemmeno per me lo è passare il venerdì sera con uno che pensa che sta andando in cura da un cartone animato e che mi chiama strizzacervelli nonostante lo sbattimento di prendere una laurea in psicologia prima e specializzazione in psicoanalisi poi. Senza offesa, ovviamente»

Poté quasi sentire il sorriso formarsi sulla bocca dell'altro, seguito da un leggero sbuffo e un "mmhm" di chi raccoglie la sfida. Poteva quasi immaginare i suoi occhi scuri chiudersi mentre espirava dal naso.

«Ovviamente»

«Bene, allora direi che è il caso di levarci questo sassolino dalla scarpa, non trova?»

«Finora non si è mai girato per guardarmi. Perché mi dà le spalle? Non dovrebbe valere solo per me?»

«Vedo che era attento durante i cartoni animati» rispose aprendo il blocco degli appunti e togliendosi le scarpe per poter incrociare le gambe sulla poltrona stiracchiandosi un po' e pronto a cominciare a scrivere.

«Dicono che sono uno che nota i particolari. Comunque non mi ha dato una risposta»

Non lo vedeva, ma a giudicare dal continuo scricchiolio delle molle non doveva trovarsi molto a suo agio.

«Si rilassi.» pronunciò con tono serio e professionale.

«Non mi piacciono le situazioni in cui non ho il controllo.» ammise l'altro.

«Ma lei lo ha. È venuto qui, si è seduto e ora parlerà con me, dicendo quello che vorrà dire. Più controllo di così.»

Poteva quasi immaginarlo mettersi la mano a coprire gli occhi, magari scoprendo un po' la fronte dalle ciocche scure.

«Mi avevano detto che era un tipo strano. Eccentrico.»

«E pensa che sia una brutta cosa?»

Il paziente ci rimuginò su, mentre l'orologio scandiva impietoso il passare dei secondi.

«No, credo che mi piaccia.» decise alla fine.

«Siamo fortunati allora. Perché è venuto a parlarmi?»

«Ho detto che credo che mi piaccia non che mi piace. Non mi piacerà fino a che non risponderà alla mia domanda.»

La mente non aveva la minima difficoltà ad immaginare quelle iridi nere lampeggiare di furbizia convinte di aver intessuto un buon inganno.

«Se questa seduta avrà risvolti positivi e lei non dovrà più venire a trovarmi, allora glielo dirò. Altrimenti credo che ci toccherà rimanere qui fino a domani mattina, e penso che non sia il massimo rimanere qui con uno strizzacervelli il sabato, vero?»

«Non c'è un vero motivo» incalzò l'altro quasi impaziente di sapere quel misterioso segreto piuttosto che di andarsene. «Sono stati i miei amici a mandarmi qui da lei, per questi sogni che faccio. Temono che possano farmi impazzire.»

«È tanto che non dorme?»

«Da un po', ma non abbastanza da avere ripercussioni nella mia vita. È che sono sogni strani.»

Lo psicanalista annuì iniziando a scrivere. «L'interpretazione dei sogni è il cavallo di battaglia della psicoanalisi. Sono più di uno?»

«No, è sempre lo stesso, o almeno così mi sembra. In realtà è molto confuso, è come se le immagini fossero immerse nella nebbia. Non mi sembra che nemmeno siano miei, assurdo, non pensa anche lei?»

«Mi spieghi meglio questo concetto»

Poté vedere il sorrisetto sghembo quasi compassionevole dipinto sul suo volto affilato, lo stesso sorrisetto bastardo che i cinici hanno davanti ad un bambino che non capisce come due più due possa fare quattro. Inspirò profondamente rintanandosi contro lo schienale della poltrona e tentando di sgombrare la mente.

Non gli era mai successo di provare uno spostamento così vivido e cosciente con una una persona con la quale parlava da poco meno di cinque minuti. I cinque minuti più lunghi della sua vita. In genere aveva sempre tenuto sotto controllo piuttosto bene le sue proiezioni mentali, non si spiegava quell'improvviso cambiamento.

Forse era perché gli assomigliava? Allungò la mano afferrano la bottiglietta dell'acqua e bevendo come se non lo facesse da giorni. No, non poteva assomigliargli.

«Sono io il protagonista, ma allo stesso tempo è come se fossi un'altra persona. Ha presente tutte le idiozie su reincarnazioni e affini? Ecco qualcosa di simile. È come se fossi io senza esserlo. È poi è tutto così pieno di nebbia. Alle volte sento delle urla, altre degli spari e poi c'è quest'occhio...»

«Me lo descriva.»

Un sospirò profondo invase la stanza e lui ebbe l'impressione che quel passaggio fosse particolarmente importante.

«È cattivo. Cioè, io so che è cattivo, è il male, letteralmente. Però non ne ho paura, non lo temo, anzi lo odio profondamente perché mi paralizza. Poi lo rivedo altre volte e mi sembra buono, bello. Mi sembra acceso dall'amore incondizionato. Fino a quel momento è come se fossi afflitto da un gran freddo, ma quando lo vedo e capisco che quell'occhio malvagio mi ama è come se sentissi un caldo avvamparmi nello stomaco. Mi sembra di essere in pace.»

Sicuramente non era la solita donna che sognava il mare e che si metteva la crema dopo la solita relazione andata male. Questo era pane per i suoi denti e, dopo anni, si sentì utile.

«Ci sono altri particolari?»

L'uomo annuì.

«C'è un ragazzo, alla fine. Non credo di averlo mai visto fino a quel momento, ma lo odio. Cioè, so di odiarlo. E di farlo intensamente. Vorrei che mi lasciasse solo in pace, che se ne andasse ma non lo fa. Ed è per questo che mi piace.»

«È una brava persona? Le somiglia?»

Lo sentì ridacchiare. «Non potrei immaginare qualcuno di più diverso. Mi sembra una sbruffone, uno che si crede chi sa chi, che ha tutte le risposte. Il problema di questo ragazzo è che sembra essere l'unico che mi capisca. E mi piace. Credo che mi piaccia, si, lo sa, in quel senso.» concluse borbottando imbarazzato. 

«Ha mai avuto storie con altri uomini?» domandò appuntandosi quel particolare.

«No, certo che no!» quasi urlò. «Io non sono gay, non lo sono mai stato. In generale non credo nell'amore, ma se dovessi stare con qualcuno starei con una ragazza di sicuro. È solo lui. Mi sembra unico al mondo, e per fortuna! Sembra un tale scocciatore. Non capisco perché mi dovrebbe piacere, in lui vedo solo difetti. Non credo che mi piaccia, non penso proprio.»

Che fosse un omosessuale represso? Eppure il dettaglio dell'occhio lo intrigava, non riusciva a dargli un significato ben preciso.

«C'è altro?»

«Piove. E io sono fuori. Il cielo è nuvolo e continua a tuonare e il vento mi fischia nelle orecchie. Sento tanto freddo, ma credo sia colpa della pioggia. E vedo questi rami che si continuano ad agitare, fanno quasi impressione e la cosa mi infastidisce. È come se questi rami mi facessero un torto e sento la rabbia montarmi dentro. Ero andato lì in cerca di una po' di pace, ma ottengo tutto il contrario e la cosa mi fa infuriare.»

Deglutì e sospirò.

«E mi sembra di vivere quella situazione un migliaio di volte nel sogno, ma...»

«Ma cosa?»

«Non lo so. Ogni volta che provo a rimettere insieme i pezzi mi sembra di perdere qualcosa. È solo una fatica inutile, una perdita di tempo.»

«Abbiamo tanto tempo da perdere qui, sa?»

«Credo che sia una storia lunga.»

Le labbra si stirarono in un sorriso mentre gli zigomi si alzavano facendogli assottigliare gli occhi in un sorriso che Sakura definiva sempre come degno dello Stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie, anche se lui si sarebbe paragonati di più ad una volpe ad essere sinceri.

Distese le gambe e allungò le braccia, per poi ripiegarle assumendo la posizione del mezzo loto così da avere un perfetto piano di appoggio per il suo block notes, anche se la matita giaceva ormai abbandonata incastrata sull'orecchio sinistro, mentre con il braccio destro si appoggiava al bracciolo della poltrona.

«Adoro le storie lunghe»

 

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«Accidenti, ma quanta roba ti sei portato, Ero sennin?!»

«Quella che serviva scansafatiche, e non provare nemmeno a svignartela come tuo solito!»

Naruto sbuffò afferrando l'ennesimo scatolone colmo di libri, tomi e riviste della dubbia moralità potandolo all'interno della tipica casa americana bianca a due piani, con tanto di steccato e rigoglioso prato verde degna del più classico dei telefilm.

«Mi spieghi cosa c'era di male nella città?»

«Smettila di lagnarti, sei un ragazzo o un bambino?» gli rispose dandogli un leggero colpetto sulla testa con uno dei suoi libri.

«Cambiare aria per un po' ci farà bene. La città iniziava a diventare monotona per la mia ispirazione. Qualche mese qui, in periferia in tutta calma, ci aiuterà.» si spiegò. «Ora vai a sistemare le tue cose di sopra»

Naruto afferrò uno scatolone sbuffando e salì le scale mentre Jiraiya osservava la sua schiena sparire un gradino dopo l'altro, così simile a quella di Minato.

Non aveva mia capito perché le cose dovessero andare così. Non aveva mai visto una coppia così felice come quella tra il suo allievo e Kushina, quando gli avevano detto di stare aspettando un bambino era stato felice come non mai per loro. Erano fatti l'uno per l'altra. Perché le coppie che litigano sempre durano per sempre e le coppie felice bruciano troppo in fretta?

Si ricordava ancora quell'orribile sera, quando scocciato si era alzato dalla sedia per rispondere al telefono. Aveva risposto male, pensava fosse il solito call center che tentava di appioppargli qualcosa. La cornetta gli era caduta dalle mani mentre il rumore stridulo delle sirene gli assordava i timpani. Kushina aveva avuto le contrazione e Minato l'aveva caricata in macchina per portarla in ospedale, ma un camion proveniente dalla direzione opposta aveva infranto i jersey e aveva invaso la loro corsia.

Si era precipitato in ospedale il prima possibile, senza capire perché di tutti avessero chiamato proprio lui, perché per quanto la situazione fosse ovvia, Jiraiya non poteva accettare una cosa del genere. Almeno non fino a quando non si ritrovò davanti ad un neonato che salutava il mondo con un vagito a pieni polmoni.

Minato era morta sul colpo, mentre Kushina aveva resistito fino all'ospedale per dare alla luce  il suo bambino, ma le sue ferite erano troppo gravi. Nemmeno una come lei, una forza della natura, come l'aveva definita lui scherzando con Minato, poteva sopravvivere a danni di una tale entità.

La sua mente sembrava quasi non comprendere le parole del medico mentre gli parlava di come la donna che qualche mese insisteva perché fosse lui il padrino di Naruto, proprio uno come lui, fosse morta.

Di certo non era il modello genitoriale ideale, ma non si era mai tirato indietro: si era rimboccato le maniche facendo del suo meglio per tirar su il ragazzo parlandogli il più possibile dei suoi genitori e gli sembrava di essere riuscito a far un buon lavoro considerate le sue abitudini.

Insomma, Naruto sembrava un ragazzo felice, pochi amici ma buoni, e aveva un carattere solare. Quello che era successo qualche mese prima però aveva ucciso la sua vitalità. Jiraiya sperava davvero che fargli cambiare aria per un po' potesse aiutarlo o almeno farlo distrarre dai suoi sensi di colpa, che lui trovava in ogni caso completamente immotivati.

«Ehi, Ero-sennin!» lo richiamò il ragazzo. «Ho finito, io vado a farmi un giro» gli annunciò Naruto uscendo.

«Si, va be- e non chiamarmi Ero-sennin!» gli urlò dietro.

Sperava davvero potesse riconquistare un po' di tranquillità lontano dalla città.

 

Naruto scalciò un sassolino mentre camminava con le mani in tasca. Ispirazione? Lo prendeva in giro? Quella non gli era mai mancata, Jiraiya inventava storie dal nulla, persino un pesce rosso poteva servire allo scopo per stuzzicare le fantasie dell'uomo! E non diceva tanto per dire: chissà cosa ne avrebbero pensato il suo editore nello scoprire che uno dei suoi soliti romanzetti rossi era stato ispirato dal suddetto animale che aveva vinto molti anni prima in una fiera. O meglio, dalla ragazza che teneva il banco. In generale avrebbe voluto sapere cosa avrebbero pensato le maggiori testate giornalistiche nello scoprire che uno dei più importanti scrittore del momento nel tempo libero pubblicava albi erotici di seconda categoria.

Ci sarebbe stato da ridere.

No, lui lo sapeva, era per quello che l'aveva portato via. Non capiva che aveva bisogno di rimanere più di ogni altra cosa? Non importava quanto facesse male, se lo meritava, lui non aveva capito, non aveva fatto abbastanza, il minimo che poteva fare era rimanere al suo fianco.

La mano si chiusero a pugno, le nocche sbiancarono mentre la mandibola si serrava dolorosamente e gli occhi iniziavano a pizzicare.

Andare per qualche mese in periferia non avrebbe cambiato le cose.

 

Senza nemmeno essersene reso conto le case avevano iniziato a diramarsi  la strada si faceva sempre più sterrata. Ma in che diavolo di posto lo aveva portato?

Continuò a camminare solo per inerzia, come se essere immobile significava rimanere in balia del suo senso di colpa, che, come un giaguaro, continuava a ghermire il suo cuore facendosi largo nel suo stomaco.

Il paesaggio continuava a cambiare e il verde cominciò a governare sempre di più lo scenario che i suoi occhi vedevano mentre la sua mente era sempre più persa nei suoi pensieri.

Ogni albero, ogni foglia sembrava uguale e camminare era l'unico anestetico che aveva trovato mentre quella scena continuava a ripetersi nei suoi occhi che improvvisamente furono investiti da una cascata di lacrime verdi che si imposero nelle sue iridi.

La chioma di quell'albero era imponente, perfettamente visibile anche a vari metri di distanza e le sue fronde, con la loro ritmica danza sembravano averlo risvegliato dal suo stato di trance.

Non se ne intendeva molto, ma era impossibile non riconoscere un albero del genere: doveva essere un qualche varietà di salice, probabilmente un normale salice piangente, anche se non ne aveva mai visti di così grandi. Quell'unico albero sembrava aver creato un'atmosfera completamente diversa: era come se il tempo si fosse fermato e i colori illuminati dal sole si fossero fatti placidamente luminosi mentre una lieve breccia smuoveva quella cascata unica nel suo genere. Gli occhi di Naruto si riempirono di quello spettacolo, iniziando a notare per la prima ciò che la circondava. Il cielo era terso e di un azzurro intenso, perfetto come di solito si vede solo nei quadri, quasi troppo pulito per essere davvero reale. La strada polverosa era segnata, eppure conviveva perfettamente con la piccola selva silenziosa che respirava alla sua destra e alla sua sinistra. E poi quel grandioso albero che sovrastava tutto, come per prendersi una rivincita per tutta la sua specie, disprezzata per la sua malinconia e condannata a vivere lungo ad argini corrotti e guasti. Si stupiva ancora che potessero esistere universi del genere così intatti nel ventunesimo secolo, dove il verde era un bene più unico che raro. Eppure era sicuro di non essersi allontanato così tanto.

 Una lieve brezza scostò ancora i rami permettendogli di scorgere il tetto scura di una casa. Spinto dalla curiosità di conoscere di trovarsi all'ombra di quella meraviglia della natura e di conoscere gli abitanti di quel piccolo eden i suoi piedi si mossero automatici seguendo la piccola strada polverosa.

Quel salice era ancora più imponente di quanto non lo fosse da lontano, tanto che solo a scorsi intravedeva la facciata bianca dell'abitazione che aveva un retrogusto antico, ma che a giudicare da alcuni piccoli dettagli, come la porta, oppure le finestre che sembravano essere appena state riparate.

Scosto delicato i rami mettendosi sotto la sua chioma che ricopriva tutto di una tenue luce verde, anche se, contrariamente a quello che si aspettava, avvertì subito una sensazione di gelo e desolazione attanagliargli il cuore e i brividi scendergli lungo la schiena, come se qualcuno gli avesse infilato un cubetto di ghiaccio nella schiena.

Il suo piede perse aderenza sull'erba, esattamente come succede ad un terreno poroso dopo giorni di pioggia.

Una chiazza cremisi aveva bagnato la suola della sua scarpa. Un'improvvisa folata di vento riempì le sue narici di un forte e inconfondibile odor di ferro mentre un rantolio raggiungeva i sui timpani forte come delle urla, mischiando realtà e ricordo.

Appoggiato con la schiena contro la corteccia dell'albero un ragazzo moro dalla pelle bianca come l'avorio ciondolava con la testa, gli occhi semi socchiusi e disperati che cercavano qualcosa e il respiro sempre più lento.

Rabbrividendo abbassò lo sguardo sui suoi polsi tagliati di netto, le dita che deboli lasciavano cadere una lametta nel fiume di sangue che scuriva i jeans scuri.

Naruto si paralizzò nel rivedere una scena simile, ma prima ancora che potesse pensare a cosa fare, si era chinato contro lo sconosciuto, le mani a stringergli la pelle lacerata.

«Ehi! No, guardami, no!» gli urlava in preda al terrore più pure nel vedere le labbra dell'altro perdere sempre più colore.

«Apri gli occhi, subito, non osare, non osare! Aprili, guardami!». Lo sconosciuto dischiuse le palpebre quanto bastava per vedere il suo volto e permettere a Naruto di intravedere le sue iridi scure farsi sempre più spente.

 

____

 

«Gliel'ho detto, è tutto così confuso, non è che ci sia qualcosa da raccontare.»

«C'è sempre qualcosa da raccontare, si fidi. Facciamo le cose con logica e ripartiamo dall'inizio, Magari con qualcosa di semplice, di immediato. Per esempio: prova qualche sensazione?»

Inspirò profondamente. «Mi sembra un'accozzaglia di cose diverse... freddo, verde, caldo, ferro... un attimo prima tuona, poi c'è il sole... a dire il vero non è che lo veda, so che è il sole, lo so e basta. Però è gelido.»

Lo psicanalista appuntava tutto sul suo blocco con la sua calligrafia disordinata.

«Odori?»

«Nulla in particolare» rise un po'. «È assurdo.»

«Cosa?»

«No, niente, non deve ascoltare»

«Mi paga per ascoltarla, ricorda? Almeno impieghi bene i suoi soldi.»

«Dolce solo. Solo dolce Blu. Se penso a quel gran freddo che sento penso alle parole " solo dolce Blu" e Blu, non blu, deve essere scritto con la maiuscola. Le sembro matto, vero? Una poesia di Rimbaud avrebbe più senso.»

L'uomo sorrise piano immaginando quanto all'altro dovesse essere costato dire qualcosa di così irrazionale.

«Tutto in psicoanalisi ha un senso»

 

__________

 

 

«No, no!» urlò ancora stringendo la presa sui polsi per cercare di rallentare l'emorragia. «Resisti, deve esserci qualcuno in quella casa, tieni gli occhi aperti maledizione!». Lo sollevò per la vita facendogli passare il braccio sotto l'incavo della ginocchia e correndo verso l'abitazione.

«Non c'è nessuno.» sussurrò il ragazzo moro con fatica. «È casa mia. Vattene.»

Senza ascoltarlo, Naruto attraverso la porta lasciata socchiusa in tutta furia prendendo una strada a caso. Finì in cucina, dove strattonò la tovaglia facendo cadere per terra tutto ciò che c'era sulla tavola finemente apparecchiata e vi adagiò il moro, alla ricerca di qualcosa che potesse essergli utile.

La cosa migliore che trovò fu proprio la tovaglia immacolata. Preso dalla frenesia di fare qualcosa, afferrò un coltello tagliandola in strisce con a quali tento di pulire i tagli netti e precisi.

«Dannazione, ma si puoi sapere cosa  ti sei fatto?!» gli ringhiò contro sconvolto.

«Non sono affari tuoi» boccheggiò il moro con la testa riversa all'indietro e gli occhi quasi socchiusi. «Vattene. Vattene e basta. Lasciami in pace. Lasciami in pace» sussurrava come un mantra.

Il sangue che ne sgorgava sembrava quasi non avere fine, anche se le ferite non erano per niente profonde, anzi: sembravano superficiali, non avevano niente a che vedere con quelle di...

Notò una tazzina con un polvere bianca semi rovesciata sul pavimento avendo un'improvvisa illuminazione. Dopo averne assaggiato un dito, raccolse la tazza versandone una dose abbondante su entrambi i tagli con qualche mugugno contrario dell'altro che evidentemente non poteva che subire quel trattamento mentre Naruto strappava un nuovo lembo della tovaglia e li fasciava entrambe le mani.

I pezzi di stoffa si tinsero di un lieve ombra cremisi che fortunatamente si fermò subito, facendogli tirare un sospirò di sollievo.

Naruto sentì come se gli avessero levato un macigno sul petto e prese una sedia li vicino, mentre osservava il petto del ragazzo alzarsi e abbassarsi faticosamente.

I suoi occhi si soffermarono poi sul volto: le labbra che prima gli erano sembrate pericolosamente bianche ora erano più rosee, mentre anche la pelle cominciava a riprendere colore. Gli occhi erano ancora mezzi chiusi, ma poteva benissimo scorgere tra le ciglia scure due iridi nere come la notte e più lucide che mai che lo fissavano profondamente contrariate.

«Quale parte di "vattene" non ti era chiara, usuratonkachi?»

«Dovresti essere più riconoscente con chi ti ha salvato la vi- ehi aspetta, che fai?» tentò di farlo risdraiare mentre l'altro, tenendosi la testa con una mano, faceva per mettersi a sedere.

«Sei stupido? Straniero? Idiota? Ho detto: vattene!» lo spinse con la mano aperta sul petto facendolo notevolmente indietreggiare con un po' troppa forza di quanta e avrebbe dovuta avere un ragazzo nelle sue condizioni.

«Vattene o chiamo la polizia e...»

Il ragazzo fece per scendere dal tavolo ma venne colto da un giramento di testa, così Naruto gli cinse istintivamente i fianchi impedendogli di rovinare a terra.

«Non ti reggi in piedi. Ti do una mano.». Il moro sollevò appena gli occhi verso di lui, mentre sentiva il suo respiro affannato soffiare contro l'incavo del collo.

«Non ho bisogno di una mano.»

«Non dico che ne hai bisogno. Dico che ti darò una mano. Non era una domanda. Dov'è la tua camera da letto?» ribatté sostenendo lo sguardo.

«Di sopra» sussurrò con uno sbuffo arrendendosi. «La prima porta, a destra.».

Naruto annuì e lo trascinò su per le scale prima e nella sua camera poi.

Era una di quelle camere vecchie stile, forse un po' troppo seria per un ragazzo della sua età: era colma di libri, di tutti i generi e gli argomenti, cose se nella vita non avesse fatto che studiare. Nessuna foto faceva capolino dagli scaffali e l'unica traccia che persino quel moro scorbutico potesse aver avuto un'infanzia era un peluche di un gatto posto su una mensola sopra al letto.

Naruto lo aiutò a sdraiarsi sul letto e lo coprì con la coperta, attenuando subito i tremori che scuotevano il suo corpo, probabilmente un freddo determinato dal calo della pressione.

«Messo a letto da uno sconosciuto che vergogna.»

«Sarebbe stato peggio se fossi stato a letto con uno sconosciuto, no? E comunque possiamo rimediare: mi chiamo Naruto Uzumaki, piacere.» si presentò, senza però ricevere risposta alcuna.

«E dai, almeno il nome!»

«Non vedo perché dovrei» sottolineò l'altro. «Tanto non ti vedrò più: a che pro?»

Naruto lo fissò confuso. «Non vorrai...»

«Perché, a te che importa? A nessuno importa di me»

Il cuore di Naruto si lacerò a quelle parole. Era così che ci si sentiva? Era stato un pessimo amico fino a quel punto?

«Ti sembrerebbe così strano se ti dicessi che sì, mi importa?»

La sua bocca di stirò in un sorriso storto, quasi di scherno. «Farò finta di crederci. Ora vattene, o chiamerò la polizia»

«Sicuro di star-»

La mano dell'altro si alzò mentre abbassava ogni dito per ogni secondo che passava.

«Va bene, come vuoi. Ma non credere, tornerò domani.»

 

________

 

«Come descriverebbe quello che vede?»

«Come lo descriverei?» domandò con una punta di incertezza nella voce.

«Si, esatto. Ha presente come quando si incontra una persona per la prima volta? Ci sono sempre delle parole che abbiamo sulla punta della lingua, qualche termine con cui descriverlo. Per esempio, lei ha usato tanto la parola "confuso". Ci sono altre parole che userebbe?»

«Così?»

«Si, così, su due piedi.»

«Marcio. Eterno. Binario forse.». Se lo figurava benissimo stringersi nelle spalle chiuse nella maglia nera mentre lo diceva.

«Così, vada avanti.»

«Con cosa?»

«Quello che sente di dover dire, lasci scorrere, racconti»

Sospirò di nuovo. Sperò di non chiedere troppo per uno con il suo carattere.

«È giorno e suona il campanello. Io non aspetto nessuno, ed entra il sole. È così luminoso che quasi non riesco a guardarlo, e ha con sé una mela, però non la mangia. Anzi, sembra che proprio non sappia come fare, così sono io a dargli un morso. È così vicino che quasi sento la pelle andare a fuoco, ho una paura terrificante di potermi bruciare, anche se il suo calore è così piacevole. Poi il sole si rannuvola, diventa più opaco e come io apro bocca inizia a piovere. Ma il sole non se ne è andato, in qualche modo è come se mi tenesse i vestiti asciutti. È così vicino, così tanto, non so se posso sopportarlo.»

«Diciamo pure che ne ha di fantasia, eh?»

«Che ne dice dottor Thredson, siamo pronti per l'acqua gelata?»

Rise dell'affermazione. «Non fino a quando non diventa idrofobo o "vede le persone morte..."»

 

_________

 

Naruto aveva tanti difetti. Era rumoroso, molesto, adorava fare dei pessimi scherzi, ma soprattutto era testardo. Molto testardo.

Si ritrovò davanti alla casa, la porta lasciata ancora socchiusa. Roteò gli occhi: allora non doveva dispiacergli così tanto dopotutto.

«Ehi, ci sei?». Sbirciò in cucina, ma di lui nessuna traccia.

«Allora? Sai, nascondino non era il mio gioco preferito da piccolo» urlò. Ancora nessuno risposta.

«Senti, non mi va di fare giochi stupidi, rispondi cazzo!» gridò per tutta la casa salendo trafelato le scale e scattando nella sua stanza, trovandola ancora vuota.

«Non avrà ancora...» sussurrò impallidendo all'idea. Non un'altra volta, non un'altr-

Una mano sulla schiena lo spinse in avanti, facendolo cadere sul letto.

«Che maleducato: entrare in casa altrui senza essere invitato e fare tutto questo baccano. Sei proprio un usuratonkachi.»

Naruto si girò, osservando la figura del moro incombere su di lui, le braccia conserte sul petto chiuso da una maglia nera con un collo alto e largo.

«Io te lo avevo detto che sarei tornato, sei tu che non mi hai voluto dare retta. E comunque non mi risulta che cogliere le persone di soppiatto alle spalle e spingerle per terra sia molto educato.»

«Casa mia, regole mie. Se non ti vanno, sai dove è la porta». Il suo sopracciglio si era leggermente inarcato, come se tentasse di sfidarlo a restare, cosa che ovviamente Naruto non si fece minimamente sfuggire. «Credo che invece mi intratterrò qui per un po'»

«Affari tuoi» ribatté sdraiandosi sul letto e prendendo un libro dal comò, deciso ad ignorarlo, nonostante Naruto non avesse staccato gli occhi da lui nemmeno per un secondo.

«Che c'è?» sbuffò lui da dietro il libro, incapace di concentrarsi sapendo di essere osservato.

«Il tuo nome. Sono tornato, voglio sapere i tuo nome»

«Fottiti. C'è altro?»

Alzò gli occhi al cielo: adesso capiva perché era solo, con un carattere simile la tentazione di andarsene si era fatta impellente. Il flash del sangue lucido sulle sue mani gli attraversò gli occhi. Non avrebbe lasciato perdere.

«Avevi promesso.»

«Non mi pare proprio.»

«Certo che hai proprio un caratteraccio!»

«Dopo una rampa di scale, sempre dritto, Uzumaki Naruto.». La voce profonda e annoiata avrebbe dovuto dargli suoi nervi, eppure non poteva fare a meno di trovarla musicale. Il modo in cui aveva pronunciato il suo nome gli aveva stretto lo stomaco in una morsa dolorosa mentre la sua mentre bramava solo altri dettagli su quel tenebroso ragazzo.

«Hai tanti libri qui. Sai, devo fare una ricerca per la scuola.»

Il moro non lo degno di uno sguardo.

«Credo che ne prenderò qualcuno in prestito, aspettando che ti torni la voglia di parlare. Oppure quel gattino ti ha mangiato la lingua?» ironizzò accennando con la testa il peluche sopra al letto. Ancora nessuna risposta.

«Come vuoi... vediamo se riesco a trovare qualcosa.» concluse iniziando a dare una scorse veloce ai pesanti tomi sparsi sulla libreria.

 

Se c'era una cosa certa, era che Naruto non aveva mai fatto tanti compiti senza pause come in quel momento in tutta la sua deludente carriera scolastica. Tuttavia aveva preso quel silenzio come una sorta di sfida: alzarsi, anche solo per prendere un bicchiere d'acqua o andare in bagno era come ammettere la propria sconfitta: infatti il ragazzo non aveva mosso ciglio ed era rimasto immobile a leggere per tutto il tempo. La sua presenza era così inconsistente che quasi non lo sentiva nemmeno respirare. Avrebbe dubitato della sua esistenza se ogni tanto non avesse sbirciato con la coda dell'occhio il suo corpo asciutto, il petto che si alzava e abbassava placidamente e ritmicamente, con un ritmo del tutto diverso al giorno prima.

E poi non sapeva dov'era il bagno! Non gli andava proprio di chiedergli dove fosse per ricevere un altro silenzio come risposta.

Il cielo aveva iniziato a colorarsi di un tenue arancione, e per quanto gli scocciasse non essere riuscito a fare nemmeno un progresso con mister Simpatia, era giunta l'ora di tornare a casa. Non aveva voglia di dare spiegazione a Jiraiya. Di sicuro se avesse tardato come il giorno prima avrebbe cercato di indagare ed era l'ultima cosa che voleva: il moro era uno che ci teneva alla sua privacy e lui voleva aiutarlo, non credeva che rivolgersi a qualcuno, a qualche autorità magari, sarebbe stata la scelta giusta. In fin dei conti i tagli non erano profondi, probabilmente gli serviva solo qualcuno che gli stesse affianco.

E poi non voleva sprecare quella specie di seconda occasione che il destino sembrava avergli concesso per fare tutte le cose per bene.

Jiraiya non doveva scoprire nulla. Già il giorno prima se l'era cavata per il rotto della cuffia, attribuendo il suo ritardo all'essersi perso, e gli era sembrato un miracolo che non avesse notato le macchie di sangue sulla sua maglia, ma l'uomo non era mai stato troppo sveglio per quei dettagli, non quanto lo era di fronte ad una bella e prosperosa ragazza. Era stato fortunato, ma preferiva non tirare troppo la corda.

«Senti, si è fatto tardi, ora devo andare, ci vediamo domani, ok?»

E poi era lui il testardo? Incontrava nell'altro un duro avversario, doveva ammetterlo.

«Va bene. Buona notte allora, a domani» si rassegnò a non ottenere risposta. Ripiegò i fogli sulla quale aveva buttato giù qualche idea e rimise a posto le penne e la scrivania di cui si era appropriato e si avviò verso la porta.

«Sasuke» disse.

«Cosa?» si girò Naruto sorpreso nel sentire la sua voce.

«Sasuke. Il mio nome. E odio le cose dolci.»

Naruto sorrise. «E io odio il sangue!» gli rispose facendogli una linguaccia. «A domani, Sasuke»

Non ne era certo, ma gli parve di sentire un leggero "va bene". Di certo non si era perso l'immagine del ragazzo che si mordeva le labbra, come se avesse passato l'intero pomeriggio a decidere cosa fare.

Questa volta ce l'avrebbe fatta.

 

Sasuke non aveva per nulla un carattere facile. Era stronzo, un bel po' stronzo. Era superbo, supponente, cinico e voleva sempre avere ragione. La persona perfetta con la quale passare il tempo insomma.

Eppure ogni tanto mostrava dei lati diversi di lui, positivi, come se in realtà si sforzasse di rappresentare tutto ciò che di negativo ci può essere in una persona. Gli dava dell'asino per la scarsa qualità dei suoi elaborati, ma non si faceva problemi a rileggersi tomi su tomi pur di aiutarlo, non si lagnava mai dei suoi racconti, anzi ne sembrava interessato e inoltre aveva un senso dell'umorismo tutto suo. In più era uno spettacolo vederlo a che fare con ambiti nella quale era un perfetta frana, come la cucina, ad esempio.

Un altro difetto del grande Sasuke, nemmeno a dirlo, era la tecnologia, per la quale condivideva non solo un'ignoranza sconfinata, ma anche un odio piuttosto viscerale. Così quando Jiraiya gli annunciò che sarebbe partito per qualche giorno appropriarsi del suo portatile era stato un attimo.

«Sasuke!» urlò appena entrato nella casa. «Ti ho portato una cosa!»

«Rumoroso come sempre» gli sussurrò una voce alle spalle. Sasuke era appoggiato alla parete, con il solito sorrisetto furbo in faccia e la solita espressione di superiorità. Presto gliela avrebbe fatta sparire.

«La pianterai mai di prendermi di spalle?»

«Sei tu che ad essere un casinista senza speranza. Comunque cosa mi hai portato?»

Naruto sorrise tirando fuori dalla borsa il portatile. «È un notebook! Andiamo in camera tua ti faccio vedere!» rispose trascinandoselo su per le scale.

Seduto sul letto, il moro esaminava l'oggetto con gran interesse. «Wow, deve esserti costato un occhio dalla testa, sembra piuttosto nuovo. Ultima generazione?» gli chiese aprendo lo schermo e la tastiera con cura. «In realtà ha qualche anno, è stato un vero affare!» rispose mentre armeggiava con i cavi per attaccarlo alla corrente.

«Strano, non carica. Hai pagato la bolletta, Sasuke teme?»

Gli rispose con un'occhiataccia quasi infuocata. «Certo che sì.»

«Ok, ok, sarà il trasformatore ad essersi rotto.» asserì scettico. Per fortuna lo aveva caricato a casa.

Quando lo accese si divertì ad osservare la luce stupita negli occhi dell'altro, come quella di una bambino che non solo riceve quelle che vuole a Natale, ma che vede pure il vero Santa Claus in persona. Continuava a spostarsi da un programma altro meravigliandosi un po' per tutto, come per la risoluzione, per i colori, per le icone... persino il touchpad gli sembra un invenzione immensa. A volte si stupiva di quanto fosse retrogrado.

Perso nell'osservare le sue espressioni sorprese non si rese conto che aveva aperto la cartella dei lavori di Jiraiya. E di certo non quella dei suoi bestsellers.

«È così che passi il tempo, ne Naruto? Non avrei mai detto che tu fossi questo tipo di persona...».

Naruto si allungò leggendo qualche riga sullo schermo per poi arrossire completamente.

«No, quella non è roba mia!»

«Dicono tutti così» sostenne con tono serio mentre la bocca già si piegava in una risata nel vedere l'espressione impanicata del biondo.

«Chiudi, chiudi! Certe cose di Ero sennin non le voglio proprio sapere!»

«Qui parla di gente che si bacia, che si tocca... uh, ecco il pezzo clue!» rise ancora.

«E tu avresti il coraggio di darmi del pervertito?! Chi mi dice che magari non hai fatto anche alcune delle cose che sono scritte lì?».

Sasuke si rabbuiò improvvisamente e chiuse la schermata. «Chi io? Io non sono il ragazzo perfetto da presentare a mamma e papà, per niente. Io non sono una persona, per così dire...» deglutì a vuoto. «Desiderabile.»

«Sasuke...»

«E nemmeno quello della quale si vorrebbe la compagnia. Tutti evitano persino la mia casa. Alle volte mi chiedo cosa tu ci faccia ancora qui. Devi essere un matto per farlo. Ogni tanto mi chiedo cosa ti abbia spinto a chinarti su di me quel giorno invece di lasciarmi crepare come un cane.»

Gli tirò un pugno sulla testa. «E pensare che ti vanti di essere quello intelligente, tra i due... Scemo, non dovresti dire certe cose.»

«Cosa ne puoi sapere tu del sentirsi così?»

Alle volte intavolare con Sasuke una discussione era inutile: voleva sempre avere ragione e tante volte l'aveva davvero, ma aveva il brutto vizio di giocare sempre con le carte coperte. Si sbilanciava pochissimi e raccontava della sua vita ancor meno. Quella era una discussione seria, e sapeva benissimo che non sarebbe andato da nessuna parte se non avesse messo qualcosa di lui sul piatto.

«Forse hai ragione. Non so cosa significa essere depressi, per tutta la vita ho cercato di non abbattermi, nonostante tutto. Però so cosa vuol dire vedere una persona star male, e distruggersi e quando pensi che si stia riprendendo, che forse davvero tutto possa andare bene per una volta, che sei riuscito a inculcargli nella testa un po' di senso e invece un giorno vai a casa sua lo trovi in un lago di sangue» quasi gli venne da ridere.

«E tu pensi di essere stato un buon migliore amico e invece hai sbagliato tutto, non ti sei accorto di quanto lui stesse male... Quindi no, non voglio sentirti dire mai più una cosa del genere, tu sei un mio amico e non voglio che ti accada niente di male.»

Sasuke lo fissò serio con i suoi occhi scuri come la pece.

«Ed è...»

«No, non per fortuna. Però ha perso molto sangue, davvero troppo. I medici ipotizzano addirittura alcuni deficit mentali e molti dubitano che fossa tornare ad usare la mano destra. Il fatto è che se avessi fatto di più, magari tutto questo non sarebbe successo. Se fossi stato più attento con Gaara, magari...»

«Non è stata colpa tua.» lo interruppe sdraiandosi all'indietro e piegando un braccio per tenersi la testa. «Alcune volte le persone devono fare i conti con il proprio passato, con i propri demoni, e semplicemente non ce la fanno. Poi ci sono quelli come me, i reietti. Con questi non ci si può fare niente, la loro fama li precede e la società li emargina. Sono sicuro che tu avrai fatto tutto il possibile per Gaara. Ma ci sono situazioni per la quale non si può fare niente e basta.»

«Credi di essere solo un sostituto? Una seconda chance? Sono felice di essere arrivato in tempo, ma non lo faccio mica solo per rimediare. Non voglio vedere qualcuno morire.»

«Perché, l'avresti fatto se avessi saputo tutta la vicenda? Ti saresti avvicinato? Resteresti qui, come nulla fosse?»

Ecco, ci era arrivato, la chiave di svolta. Do ut des. E se gli era costato rivivere quei giorni dolorosi, voleva sapere cosa si celava dietro a quel cupo ragazzo, cosa gli aveva fatto assumere una prospettiva tanto cinica e pessimista.

«Mettimi alla prova.»

Sorrise in maniera quasi macabra, in un'espressione degna di un film dell'orrore.

«Ultima chance: sicuro di voler sapere tutta la storia?»

 

_________

 

 

  «Poi tutto ad un tratto il sole viene quasi oscurato da una luna color sangue. Lo so, è ridicolo: come fa un satellite a oscurare una stella? Eppure è così! E la sua luce è rossa come quell'occhio malvagio che vedevo di tanto in tanto, ma impallidiva di fronte a blu, di fronte al sole. Invece tutto ad un tratto lo sottomette con una presenza inaudita, che stride come le unghie sulla lavagna. Mi fa così paura che vorrei scappare e nascondermi, ma non posso, non riesco nemmeno a muovere un muscolo. E vorrei lottare, davvero! Ma non posso, mi sembra di vivere per secoli all'ombra di quella luce desolante e orrida.»

Aveva iniziato a parlare sempre più velocemente, come se volesse saltare quella parte, ma sapesse di non poterlo fare.

«E poi...»

«E poi?»

«E poi è arrivato il sole, e mi sono lasciato annegare nella sua luce.»

 

___________

 

«Avevo un fratello una volta. Eravamo una famiglia felice sai? Papà aveva un'impresa, mamma gli dava una mano di tanto in tanto, ma di solito stava a casa con noi. E poi c'era Itachi. Lui era un vero genio: era il cocco della famiglia, un ragazzo esemplare, non aveva mai toppato, non aveva mai sbagliato nulla, il figlio modello, al contrario del sottoscritto che era sempre troppo poco. Sarebbe andato a Yale, era già dentro in pratica. Aveva anche rinunciato ad altre prestigiose università, quella gli piaceva. Altri avrebbe ucciso per accedere ai posti che gli erano stati offerti, e lui li snobbava. Del resto poteva permetterselo.

Però da qualche tempo aveva cominciato a comportarsi in modo strano. Si isolava, era diventato asociale, spesso lo beccavo ad appiccare dei piccoli incendi. Una volta aveva rischiato anche di mandare a fuoco la casa.

Dovevo aspettarmelo, no? E invece non ho fatto niente. Niente.

Era notte e stavo dormendo, iniziai a sentire il rumore di mobili che si spostavano, poi un vaso cadere in frantumi. E infine urla. Scesi di corsa, la sua camera era aperta, non c'era nessuno e lo vidi.»si fermò.

«Dovevi vederlo, lo sguardo spiritato di un matto. Tra le mani stringeva ancora il coltello.»

Sasuke parlava perso nel vuoto, Naruto non osava interromperlo.

«Hai idea di quanto sangue abbia un corpo? Cinque litri occhio e croce. Li aveva squartati, Naruto, li aveva aperti in due. E c'era solo sangue, sangue dappertutto.»

«Dov'è successo?»

«Nel salone.»

Ora capiva perché di tutte le stanze che quella casa aveva  ne aveva viste solo due.

«Sasuke...»

«No, aspetta viene il meglio. Ero così arrabbiato. Lo odiavo, volevo fare qualcosa. Così corsi in cucina e presi un coltello. Era lungo e affilato. Quanto avrei voluto conficcarglielo cuore, come aveva potuto?»

«Sasuke» lo chiamò ancora.

«Ma non ci sono riuscito, L'ho mancato, ci crederesti? Lo capisci? Io sono peggiore di mio fratello perché non ho nemmeno avuto il fegato di fare quello che aveva fatto lui, non aveva avuto il coraggio di vendicarli! L'ho mancato!»

«Sasuke!» ma ormai era perso nel suo delirio.

«E nessuno è venuto per me! Io ero solo quello da evitare, il pazzo fratello minore che per qualche motivo non era stato portato via! C'è chi dice che sono stato io ad organizzare tutto per l'eredità, come se me ne importasse qualcosa! Dicono che la mia famiglia è marcia, tutti hanno cominciato ad evitarmi. E allora resisti alla solitudine finché non ce la fai più e non vuoi far altro che morire. Perché sei solo un assassino come tuo fratello, e non certo il ragazzo ideale da portare a casa, né il fidanzato da mostrare, ne nemmeno qualcuno che vorresti baciare o amare!»

«Piantala!» urlò Naruto afferrandogli la testa tra le mani. «Non è colpa tua mia hai sentito? Non potevi farci niente, sono loro ad essere idioti, a non capire, non è colpa tua! Non avevi altra scelta, dovevi difenderti e non devi permettere loro di stabilire chi sei! Tu sei tu, sei Sasuke, e non c'è niente che non vada in te.»

Gli sorrise amaramente, e Naruto sentì di detestare profondamente quell'espressione sul suo volto.

«La verità non cambia. Io resterò sempre solo.»

«Non è vero.». Preso dallo stesso istinto che quasi un mese prima lo aveva spinto a sollevarlo da terra e trascinarlo in casa, Naruto si protese in avanti e lo baciò.

Non c'era stato nulla di premeditato, non aveva mai nemmeno pensato a Sasuke a qualcosa di diverso se non che al moro che aveva trovato all'ombra di un salice piangente,  ma le sue labbra avevano un sapore unico. Prima fredde come il ghiaccio, poi bollenti come il fuoco: da un semplice contatto fra un paio di labbra serrate in un attimo avevano cominciato ad assaggiarsi, muovendosi in un'armonia incredibile se pensava che non aveva mai baciato nessuno in vita sua. Si era sempre immaginato goffo e nervoso, invece era tutto perfetto e passionale, con in un film di terza categoria.

«Sei indesiderabile per tanti motivi. Sei uno stronzo, un superbo arrogante so tutto io sempre pronto a prendermi in giro, incapace di cucinare e di avere a che fare con la tecnologia. Ma Sasuke, non per questo.»

Gli respirava addosso nervoso mentre teneva la fronte contro la sua, gli occhi serrati.

«Ora ce la faccio, ok? Mi sono costruito il mio equilibrio. Poi sei arrivato tu, e hai messo in discussione tutto. Se ti faccio entrare, se te lo faccio fare... andrò in pezzi se mi ferirai, lo sai? Non ti chiedo di non farlo. Ti chiedo solo di non farmi più male di così. Perché credo di non poterlo sopportare da te.»

«Sei indesiderabile per tanti motivi. Ed è proprio per questo che sei unico e vai bene così»

E ripresero da dove avevano lasciato sempre emettere più un fiato mentre sentiva che Sasuke si abbandonava totalmente contro di lui.

 

Non aveva alcuna voglia di andarsene, ma quella sera, proprio quella specifica sera, Jiraiya gli aveva chiesto di tornare prima a casa.

La solita iella.

«Ehi, Ero sennin! Sono a casa!»

«Avevi ragione: è proprio uguale a Minato.». Appoggiata al tavolo c'era una donna dai lunghi capelli biondi raccolti in due code e i furbi occhi color nocciola, anche se la caratteristica che spiccava di più della sua figura era sicuramente il seno prosperoso.

 

La donna si chiamava Tsunade ed era una veccia amica, nonché ex interesse amoroso di Jiraiya, che sembrava volerci provare ancora dopo anni. Così si era ritrovato incastrato in una noiosa cena a base di ramen e ricordi, fino a che un particolare attirò la sua attenzione.

«Sono venuta qui perché nessun altro voleva il posto. Nell'ospedale è ricoverato un noto assassino di queste parti, che gode della fama di essere particolarmente violento: pensa, è sempre stato spostato di carcere in carcere e sempre in celle di isolamento. Un vero attacca brighe. Doveva essere condannato a morte per il duplice omicidio dei genitori, ma a causa di un cancro terminale al cervello è stato ricoverato. Non credo che gli resti molto, ma la sua fama incuteva un bel po' di timore.»

«Ehi, Baa-chan.» si risolse a lei per la prima volta durante l'intero pasto. «Come si chiama?»

«Itachi credo, il cognome non ricordo.»

«Credi sarebbe possibile incontrarlo? Sai per una ricerca a scuola...» si scusò il ragazzo.

 

Tsunade annuì perplessa dalla richiesta, mentre Jiraiya fissava incredulo il suo figlioccio che pareva voler fare qualcosa per compito.

 

___________

 

 

«E poi il sole sparì e fu solo pioggia. Pioggia, ferro e disperazione»

 

 

_________

 

 

Naruto si diresse con un groppo in gola in quella casa che ormai gli sembra un incubo. Come era potuto accadere?

Le cose non sembravano avere un senso logico. Anche il salice, che prima trovava così bello aveva un aspetto lugubre.

 

«Sono stato a casa tua. Davanti c'è un salice.»

«Sai cosa dicono dei salici? Dicono che mettano in relazione il mondo dei vivi e dei morti.»

 

«Ehi, c'è qualcosa che non va?»

«Dobbiamo parlare Sasuke»

 

«Non parlare di mio fratello come se lo conoscessi! Non sai niente, niente della mia famiglia!»

«E allora spiegami! Lui si incolpa ancora, dagli un po' di pace!»

«I debiti avevano fatto impazzire nostro padre! Voleva ucciderci! Non voleva infangare il nostro buon nome, non voleva che cadessimo in disgrazia! Ho provato a bruciare le carte, a coprirlo. Mamma e Sasuke non dovevano sapere. Ma non potevo permetterglielo! Mi sono difeso!»

«Perché non hai mai detto niente?! Perché non ti sei scagionato? Perché non glielo hai detto?»

Itachi sorrise. «Voleva uccidermi. E voleva bene a mamma e adorava papà. Preferivo mi odiasse piuttosto che rovinare l'immagine che aveva di loro. Andava bene così.»

 

«Tuo fratello è morto.»

Sasuke rise. «Non è possibile. È appena un anno che è in prigione, Naruto non sparare cazzate.»

«Andiamo in salone.»

 

«Perché non gli hai mai detto niente? Perché non l'hai chiamato qui? Lui ti adorava. Ti adora ancora adesso.»

«Sei tu il folle. A che pro chiamarlo? Sasuke ormai...»

 

 

Naruto spalancò le porte su una sala mezza distrutta, mentre la casa ormai cadeva in rovina.

«Cosa? Come? Quando è successo?»

«I giornali dicono che la casa è in vendita. E che è disabitata dagli anni '90. L'ultimo proprietario era un giovane di diciassette anni.» disse piangendo incredulo delle parole che gli uscivano automatiche dalla bocca.

«Si chiamava Sasuke. E un giorno si taglio le vene, nel giardino, davanti al salice.»

«Piantala, menti, menti! Io non sono morto, me lo ricorderei altrimenti! Mio fratello...»

«Aveva superato i trenta! Sasuke, come lo spieghi? Perché io non lo so!»

«Vattene, vattene, lasciami in pace!»

E come spinto da un vento violento si ritrovò fuori dall'edificio fatiscente, mentre, con la testa sottosopra osservava il salice ormai spoglio e malato.

 

 

_________

 

 

Naruto sentì le sue guance bagnarsi e nel suo stomaco si annidò un'angoscia così profonda che non si era nemmeno accorto che il moro aveva finito di parlare.

Il moro, ma qual moro? Possibile che avesse subito un controtransfert così violento? Lo vedeva, vedeva gli occhi scuri, il sorriso sghembo, persino la maglia i vestiti, l'odore! Kakashi lo aveva avvertito che era una pessima idea, ma lui aveva voluto fare di testa sua, riportando a galla quel lutto doloroso.

Era riuscito a infrangere tutte le regole della psicoanalisi, erano passate più di due ore da quando avevano iniziato. Non doveva più rivedere quel tizio.

«Allora cosa ne-»

«Deve cambiare psicanalista. Se ne vada. La seduta è gratis.» tuonò gelido tentando di arginare il dolore dovuto da quella pagina inspiegabile della sua vita.

L'altro rimase di stucco. «Bene, ottimo. Tempo sprecato. Voi psicoanalisti siete da psicoanalizzare, soprattutto uno come lei. Bravo ma eccentrico? "Dica quello che le viene in mente"? Usuratonkachi, ecco cosa mi viene in mente. E non mi chieda che cosa significa, ma sicuramente è un insulto!»

 

Naruto si alzò di scatto, vedendoli, vedendosi per la prima volta. Occhi scuri, pelle chiara, capelli color pece. Non era possibile.

L'uomo uscì di corsa e lui lo inseguì.

Del resto come poteva decidere cosa era possibile e cosa no?

«Aspetta» gli urlò.

«Cosa?»

«Ci voglio provare. Con te intendo. Lei ha una mente affascinante e... non lo so, lo chiami colpo di fulmine, faccia lei.»

Non poteva lasciarsi sfuggire quella chance.

«Lei è matto.»

«Forse. Ma le chiedo solo un caffè. E le darò un interpretazione del sogno. Non vuole sentire tutta la storia?»

L'uomo sbuffò.

«Sono matto se dico che sono curioso?»

«Saremmo matti insieme.» gli sorrise rassicurante.

«Uzumaki. Naruto.» gli tese la mano presentandosi.

 

«Uchiha, Uchiha Sasuke.»

 

E anche se tante cose non se le spiegava, proprio non voleva lasciarsi sfuggire quella seconda possibilità, per quanto assurda che fosse.  

 

 

 

 

Note dell'autrice:

Salve a tutti!

Prima di tutto vi propongo un piccolo gioco: riuscite ad indovinare i legami tra i sogni e il racconto? Sono aperta ad ogni ipotesi, non siate timidi!

Ecco inoltre alcune note che mi sembrano importanti al fine di comprendere meglio la storia! Si lo so, siete tutti intelligentissimi e non ne avete bisogno, sono io ad essere paranoica. ma meglio in più che in meno no?

-In tutto il testo sono presenti dei riferimenti alla psicoanalisi Freudiana. I miei studi su di essa sono limitati e di certo non ho mai partecipato ad una seduta, così ho immaginato l'approccio. Nel testo si usano vari meccanismi di difesa, come: spostamento, negazione, razionalizzazione, sublimazione, proiezione e altri. Una menzione in particolare va al controtransfert, ovvero il rischio che l'analista sposti sul paziente certe caratteristiche del proprio vissuto. Questo accade solo in ambito sentimentale/affettivo dal momento che lo psicanalista vede sempre il paziente. Naruto prova quest'approccio del tutto inventato, quindi il controtransfert fisico che prova è del tutto irreale, è una mia fantasia e nella realtà il controtransfert così come è presentato non si può verificare. Tutti i sogni narrati sono un tentativo di trasporre ciò che è successo in chiave onirica. Le regole di cui Naruto parla riguardano le regole delle sedute, quindi approccio, setting e tempo, che lui ha infranto. 

- Per i tagli e le ferite. La polvere bianca è zucchero, che dovrebbe avere proprietà antisettiche. Il taglio profondo delle vene può inoltre compromettere nervi e tendini della mano implicando in alcuni casi disabilità parziali o permanenti

-Discorsi diretti e parlato. Il modo in cui parla Sasuke, alle volte accostando termini con poco senso, è un tentativo di rendere il processo delle libere associazioni ed è pertanto voluto. In alcuni casi ho scelto un linguaggio non proprio corretto e anche un pochino volgare per rispecchiare meglio il parlato.

- Incongruenze. Nel testo ci sono delle incongruenze, legate soprattutto al personaggio di Sasuke per sottolineare che c'è qualcosa che non va. Ovviamente sono volute e c'entrano con il fatto che... si be lo sapete!

- Corsivo. È ciò che i personaggi di Naruto e Itachi si sono detti nel loro incontro. Ho deciso di non importarlo integralmente perché comunque la storia è narrata dal punto di vista di Naruto e quindi secondo me ciò che ricorderebbe di più dell'incontro è ciò che ha scoperto e non l'incontro in sé.

 

 

Spero che la storia vi sia piaciuta! in tal caso qui sotto c'è uno splendito riquadro bianco che altro non aspetta di essere riempito con i vostri fondamentali giudizi, sia negativi che positivi (perchè  c'è anche qualche giudizio positivo... vero?)

Se vi piace come scrivo, potete sempre andare a dare un'occhiata alla mia raccolta di song, che tratta di un bel po' di personaggi, oppure a una what if che avevo scritto, sempre tema sasunaru, come volete! Sentitevi liberi anche di contattarmi come più vi aggrada!

Un'altra piccola informazione di servizio: la storia partecipa al contest "Il mio titolo, la tua storia" indetto da 9dolina0 sul forum di efp (link:frreforumzone.leonardo.it/d/11013812/Il-mio-titolo-la-tua-storia/discussione.aspx)

Bene gente, that's all folks! Spero che vi sia piaciuta e che passare di qui non vi abbia annoiato e aspetto i vostri pareri.

Baci, 

La Fe_10

 

  
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