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Autore: Kristah    22/03/2015    1 recensioni
Eccomi qui! A storia finalmente ultimata (finirla si è rivelato più difficile di quanto immaginassi). Come già esplicitamente detto nel titolo, saranno raccontati gli eventi del 1943 (l'anno della nascita ufficiale di Capitan America) dal punto di vista di uno dei personaggi più bad-ass: Peggy Carter. Non voglio dilungarmi troppo nei dettagli degli episodi descritti, ma ci saranno (ovviamente) parti tratte dal film e piccoli missing-moments che mi sono immaginata!
Last, but not the least: se la storia vi piace, lasciate una recensione, anche piccina! Non sapete che immenso piacere provo nel leggerle! :) - Inutile scrive che anche critiche sono ben accette, vero?
Detto questo...
Enjoy!
XX,
Kristah
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Howard Stark, Peggy Carter, Steve Rogers
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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19 aprile 
 
I giorni passarono e alla base nessuno aveva più notizie di Capitan America; nonostante Howard avesse cercato di tirarmi su il morale con una tazza di bollente cioccolata svizzera, avevo passato le restanti ore della notte a guardare il soffitto. Così era stato per i due giorni seguenti, finché il Colonnello Philips non mi fece una lavata di capo: mi rimproverò il fatto che, secondo lui, avevo lasciato imbarcare Steve in quella missione solo perché avevo una cotta per lui. Gli risposi che lo avevo fatto perché avevo fiducia in lui: era vero. Mi fidavo ormai ciecamente di Steve, come mesi prima mi ero fidata del giudizio del Dottor Erskine a riguardo di quel ragazzo. 
E poi, gli schiamazzi che non dimenticherò mai nella mia vita: Steve era tornato, con gli uomini della 107 e avevano rimediato anche un carro armato dalla grandezza non invidiabile. 
Se ci fossimo stati solo noi due, lo avrei schiaffeggiato per avermi fatto stare così in pensiero. Poi però lo avrei baciato, perché ne avevo una voglia terribile. E invece eravamo nel bel mezzo dell’accampamento; così mi limitai a dirgli che era in ritardo. Mi mostrò l’apparecchio che avrebbe chiamato Stark per andare a recuperarlo incredibilmente danneggiato. 
 
Italia, 1943 
“E’ tornato sano e salvo al suo nido, allora?” 
Nemmeno Peggy Carter sapeva come mai era finita a telefonare ad Howard Stark per rivelargli tutto quello che era successo quel pomeriggio; la ragazza si morse il labbro inferiore per resistere alla tentazione di urlare di gioia: “Peggy… Glielo devi dire” 
“Non… Non…” iniziò lei, senza sapere nemmeno che cosa dire. 
Fu Howard a venirle incontro: “Facciamo che io ti do un consiglio e se ti sembra una buona idea lo segui, altrimenti mi mandi al diavolo e amici come prima” 
Howard Stark usava da mesi la parola “amico” con il Tenente Carter: lei non si era resa conto che, alla fine, amici lo erano diventati davvero. 
“Non mi sembrerà mai una buona idea, Stark” 
Amici sì, ma passare a chiamarlo per nome no. 
Dall’altro capo del telefono si sentì una fragorosa risata: “La so lunga su come gli uomini vorrebbero che le donne si comportassero…” 
Peggy non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto: fortunatamente Howard non poteva vederla. 
“… E nonostante quel bel faccino da copertina satinata, Capitan America è un uomo” Peggy sentì un cigolio e si immaginò Stark mettere i piedi sulla scrivania senza ritegno alcuno: “Ti metti in ghingheri, ti vesti bene e ti presenti al bar dove escono tutti i militari. Fidati di me quando ti dico che resteranno tutti a bocca aperta, supersoldato in primis. Passi così tanto tempo tra di loro che hanno scordato che sei una donna. E forse lo hai scordato anche tu, un’altra volta” 
Odiava ammetterlo, ma Howard Stark non aveva tutti i torti. 
 
In un momento di pura follia, e dopo aver esagerato con il vino a cena, decisi, qualche giorno più tardi, di seguire il prezioso consiglio di Howard. 
La musica era allegra nel bar, gli schiamazzi dei soldati la coprivano quasi completamente; schiamazzi che cessarono lentamente non appena feci la mia comparsa: fui costretta a trattenere un sorriso orgoglioso; ero pur sempre una ventitreenne in una stanza piena di ragazzi. 
Mi diressi a testa alta verso il punto dove scorgevo l’inconfondibile capigliatura di Steve, perfettamente ordinata. 
Dio, ricordo distintamente che in quel momento ebbi la necessità di chiamare tutto il mio autocontrollo per evitare che le ginocchia mi cedessero quando Steve, quasi con la bocca spalancata dallo stupore, mi osservò attentamente con quei suoi dannati occhi blu. 
Ho rivissuto quella conversazione così tante volte nella mia testa… l’unico modo in cui avrei potuto essere più esplicita sarebbe stato se lo avessi baciato lì, davanti a tutti, di fronte al suo migliore amico che si era dato tanta pena per salvare. 
 
A quanto pare, però, avrei dovuto essere più esplicita dato il fatto che due giorni dopo il nostro trasferimento nella capitale britannica lo trovai appartato dietro alcuni scaffali con un soldato che aveva mandato la sua lingua in missione esplorativa nella bocca di Capitan America. 
Se quella sera al bar avevo dovuto trattenere l’istinto di baciarlo, quel giorno fui costretta a trattenere il mio istinto omicida; senza un grande successo. Ma del resto ero più che certa che lo scudo di Howard avrebbe funzionato. 
 
Laboratorio di Howard Stark a Londra, 1943 
 
L’ufficiosamente, ma non ufficialmente, Capitano Steve Rogers alzò lo scudo in Vibranio e si voltò verso il Tenente Peggy Carter. 
Mossa molto avventata. 
La donna lo fissò con uno sguardo truce, carico d’odio: accanto a sé aveva un tavolo di metallo pieno zeppo di pistole. Ne afferrò una. Tolse la sicura e sparò quattro colpi contro lo scudo. 
“Sì, penso che funzioni” si limitò a dire, prima di girarsi e andarsene. Sentiva due paia d’occhi stupiti che la guardavano. 
Una piccola parte del suo cervello ringraziò Stark per i suoi numerosi successi nel creare armi di difesa e di attacco; non sapeva se lo scudo avrebbe retto a tutti quei colpi. E solo Dio sapeva come sarebbe finita se avesse sparato all’eroe d’America. 
 
Poche ore dopo quell’increscioso incidente, che aveva fatto il giro della base, mi ritrovai Howard Stark alla porta: certo, si era lentamente guadagnato un posto nella mia vita ed era l’unico amico che avessi lì al fronte, ma questo non significava che fossi pronta a ricevere i suoi infiniti consigli d’amore ad ogni ora del giorno e della notte. 
 
Base militare americana a Londra, 1943
 
Il Tenente Peggy Carter aprì la porta nonostante indossasse solo la camicia da notte e la vestaglia; sbuffò nel vedere il ghigno di Stark: “Buonasera, Peggy. Come stai?” 
L’uomo sventolò davanti al suo naso una bottiglia di Whisky: “Ti ho portato un regalo. Mi fai entrare?” 
Peggy afferrò la bottiglia e chiuse con violenza la porta in faccia all’inventore: non aveva voglia di sentirlo blaterare inutilmente sul suo argomento preferito; Stark era diventato in breve tempo una bisbetica. 
Sentì bussare alla porta e l’inconfondibile voce di Stark seguì i colpi: “Peggy, aprimi! Non sono andato alla ricerca del miglior whisky per non assaggiarne nemmeno una goccia” 
“Vorrà dire che aprirò la finestra e ti passerò da lì il bicchiere” rispose con il marcato accento inglese, prendendo un bicchiere. 
“Peggy, o mi fai entrare tu o butto giù la porta” 
Si morse le labbra, trattenendo a stento una risata: Howard Stark non aveva la mole adatta per rendere quella minaccia reale. Peggy Carter si guardò bene dal dirglielo: Stark era una persona abbastanza suscettibile. 
Aprì la porta non senza maledirsi mentalmente. 
 
“Non sapevi se lo scudo avrebbe funzionato… Non lo sapevo nemmeno io” la ammonì Stark dopo essersi messo comodo con i piedi sulla scrivania della donna: Peggy non gli disse nulla, per quieto vivere. 
“Ho molta fiducia nelle tue capacità, Stark” 
Lui le rivolse uno sguardo severo, facendo roteare il liquido contenuto nel suo bicchiere. 
La frase che seguì era diventata il mantra dell’inventore: “Devi dirglielo” 
Peggy alzò gli occhi al cielo: “Ogni volta che ti sento, me lo dici Stark. Ma non ti stanchi mai?” 
“Peggy devi farlo prima che sia troppo tardi” 
“Intendi prima che qualcun’altra gli finisca tra le lenzuola” 
In una situazione che non fosse quella, Peggy Carter non si sarebbe mai e poi mai azzardata a parlare in quel modo: in primis, era una donna. E le donne non parlavano di sesso. Non così apertamente. E poi, motivo non meno importante, era un Tenente dell’esercito americano. 
Stark scosse la testa; l’ombra di un sorriso aleggiava sulle lue labbra: “Intendo prima che sia troppo tardi” ripeté, accentuando le ultime parole e facendo in modo che la donna capisse il sottotesto. 
Peggy non aprì bocca; fu Stark a rompere il silenzio: “Steve è un supersoldato, ma non è immortale, Peggy, lo sai anche tu…” 
Si alzò, chiuse la bottiglia e la spise in modo poco delicato tra le mani di Stark: “Penso sia ora che tu vada, Stark” 
Lui non disse nulla: si alzò con calma, si mise la giacca che aveva abbandonato sul letto e si avviò verso la porta seguito dalla ragazza. Quando lei la aprì per lui, si voltò e le diede un bacio sulla guancia: “Buonanotte, Peggy” 



 
Angolino autrice:
Me misera, me tapina! Sono stata così presa dallo studio che non ho avuto nemmeno cinque minuti per aggiornare la mia Fic! T.T
Ma non importa! Adesso sono qui (o almeno, ho trovato i cinque minuti!)
Ci stiamo lentamente ed inesorabilmente avvicinando alla fine (cosa che mi dispiace tantissssssimo!)
E... Niente, tutto qui!
Come al solito sarei felicissima di sapere cosa ne pensate della mia storiella!
Recensioni sempre ben accette, perciò!

XX,
Kristah.
 
  
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