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Autore: Acinorev    22/03/2015    9 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo ventotto - Differently

 

Melanie entrò in cucina quasi senza far rumore, osservando con gli occhi limpidi il tavolo apparecchiato per sette persone: la tovaglia color panna era macchiata da posate disposte in perfetto ordine, bicchieri allineati tra loro ed antipasti già posizionati al centro, a debita distanza l'uno dall'altro. Tutto era stato preparato con estrema attenzione – persino Fanny aveva impiegato dieci minuti buoni a piegare i tovaglioli in forme geometriche – tanto che Emma aveva più volte alzato gli occhi al cielo, chiedendo con nervosismo se fosse in arrivo la Regina Elisabetta in persona.
Ma anche Emma, sotto la sua farsa mal costruita, scalpitava per quella cena.
«È in ritardo», sbuffò infatti, al limite della sua resistenza, lavando l'ultima pentola e riponendola frettolosamente nel ripiano d'appartenenza: indossava un grembiule lungo e sporco di diversi ingredienti, che aveva lo scopo di proteggere i suoi jeans chiari ed il suo maglioncino celeste, selezionati con nascosta cura per l'occasione. Tutti i Clarke della casa, in realtà, sapevano quanto tempo avesse speso per scegliere l'abbigliamento più adatto, indecisa tra qualcosa di più o meno formale.
Melanie sbirciò l'ora sul proprio cellulare, avvicinandosi alla sorella lentamente. «Di ben tre minuti e mezzo», precisò, prendendola bonariamente in giro.
Emma sospirò sonoramente e chiuse gli occhi velati da un ombretto leggero, asciugandosi le mani. «Sono le otto, dovrebbe essere già qui», perseverò, sfilandosi il grembiule e voltandosi per scrutare la stanza: tutte le ore passate a cucinare e tutti gli utensili sfruttati erano stati cancellati alla vista da un'attenta pulizia, tanto che si sarebbe potuto pensare che ogni pietanza fosse stata ordinata e ricevuta già pronta.
«Ems, calmati», le consigliò Melanie, sorridendo incoraggiante. «Stai per avere una crisi isterica».
Lei le riservò uno sguardo irrequieto, ma determinato. «Senti chi parla», rispose. «Devo ricordarti le tre crisi isteriche che tu hai avuto quando Zayn è venuto a pranzo da noi per la prima volta?»
L'altra si lasciò sfuggire una debole risata nostalgica. «E non eri tu quella che non riusciva proprio a capire di cosa mi preoccupassi?» le fece presente, provocatoria.
«Sì, ma solo perché si parlava di Zayn», precisò Emma, sorridendo a sua volta. «Cosa sarebbe mai potuto succedere di tanto catastrofico? Il peggio a cui sarebbe potuto arrivare era il non alzarsi in piedi ogni volta che mamma entrava o usciva dalla stanza».
«Si chiama galanteria», intervenne il soggetto delle loro parole, comparendo in cucina con passi lenti. Aveva le labbra inclinate in un debole sorriso divertito, mentre si avvicinava a Melanie. Entrambi erano stati invitati per alleggerire l'atmosfera, nonostante Emma non riuscisse ancora a capire se fosse una cosa positiva o meno.
«Si chiama leccare il c-»
«Ok», la interruppe Melanie, per evitare di sviare il discorso. «Resta il fatto che anche tu non hai molto di cui preoccuparti: Harry non è uno stupido e sa come comportarsi. Andrà bene».
«Sarà divertente», aggiunse Zayn, alzando un sopracciglio per suggerire dell'altro.
«Attento a quello che fai», lo ammonì Emma, sicura che la propria agitazione sarebbe stata un ottimo pretesto per il suo divertimento. Oltre a doversi preoccupare per la riuscita della cena, doveva anche stare attenta a non assumere nessun comportamento che il suo futuro cognato avrebbe potuto rinfacciarle.
Il loro scambio di battute fu interrotto dalla voce di Ron Clarke, proveniente dal salotto. «Emma, vieni un attimo!»
La diretta interessata sospirò, chiedendosi di cosa avesse bisogno suo padre, ma non esitò a raggiungerlo: muoversi l'avrebbe distratta dal pensare, o dal dare in escandescenze. Lo trovò seduto comodamente sulla poltrona, con gli occhiali abbassati sul naso e l'attenzione su un giornale quotidiano: «Siediti», le ordinò distrattamente.
Emma corrugò la fronte, stranita. «Cosa c'è?» domandò, invece di dargli ascolto.
«Non ne posso più di vederti dare di matto», le spiegò, continuando a non guardarla e voltando una pagina: evidentemente aveva sopportato troppo a lungo la sua impazienza per l'evento. «La cena è pronta, è tutto pronto. Allontanati da quella cucina e siediti».
Lei represse uno sbuffo, ma mentalmente ringraziò suo padre per aver cercato di porre un freno alla sua agitazione: per tutto il giorno si era affaccendata per l'intera casa, decisa a fare del proprio meglio ed affettuosamente irritata al pensiero di come Harry avrebbe sorriso nell'accorgersi di tutti i suoi sforzi. Solo un ordine piuttosto irremovibile come quello di Ron Clarke avrebbe potuto riportarla più velocemente alla realtà delle cose.
È solo una cena.
«Non è ancora arrivato?» domandò Constance, tornando in salotto dalla sua stanza: aveva lasciato la cucina in mano a sua figlia, approfittandone per fare una doccia e per cambiarsi. Entrambe si erano date da fare, nelle ore precedenti, soprattutto perché Emma avrebbe sicuramente fatto un disastro senza la sua guida esperta. «Oh, be', in fondo sono appena le otto passate», si rispose da sola, sbirciando l'ora.
Zayn e Melanie li avevano raggiunti, prendendo posto su uno dei divani: con sguardi divertiti invitarono Emma a seguirli e lei stavolta non oppose alcuna resistenza. Tesa sul bordo del divano, osservò sua madre raccogliere i capelli di Fanny in una coda alta.
«Papà?» esordì infine, incapace di trattenersi.
Lui spostò gli occhi sulla figlia ed alzò un sopracciglio. «Hm?»
«Promettimi che sarai gentile», esclamò, facendo ridere Constance.
«Che richiesta stupida», commentò lui, altero. «Ovvio che lo sarò».
«E che non lo tratterai come un delinquente che ha intenzione di dannare la mia anima», aggiunse Emma, esagerando per poter chiarire meglio il concetto: Ron non era mai stato propenso ad accettare facilmente una relazione delle proprie figlie, sempre pronto a difenderle da pericoli inesistenti, geloso come pochi altri avrebbero potuto essere.
«Questo non può prometterlo», si intromise Constance, raggiungendolo e sedendosi sul bracciolo della poltrona. «Ormai è un vecchietto, non ha altri divertimenti se non quello di spaventare i vostri pretendenti. Giusto Zayn?»
Zayn sospirò divertito. «Non posso negarlo», ammise, ricevendo in risposta uno sguardo di ammonimento. «Non che lei sia vecchio», precisò infatti, sorridendo: ormai Ron pendeva dalle labbra del suo futuro genero, affezionato a lui come ad un figlio. Aveva impiegato diverso tempo ad accettarlo completamente, ma alla fine aveva dovuto arrendersi all'assenza di difetti da rimproverargli: la sua condotta irreprensibile e la sua devozione nei confronti di Melanie lo rendevano inattaccabile.
Ma Harry era diverso.
«Tratterò questo... Harry come merita, non preoccuparti», le assicurò il padre, tornando a leggere il giornale, mentre la moglie intavolava con gli altri una discussione sul clima previsto nei giorni a seguire. Emma lo osservò ancora per qualche istante, incerta: era la prima volta che affrontavano l'argomento, dato che Ron si era semplicemente limitato ad acconsentire alla cena senza dilungarsi a riguardo, e non sapeva cosa aspettarsi. Oltre ad essere esageratamente apprensivo, era molto probabile che provasse ancora un vago risentimento nei confronti della figlia: Miles si era integrato bene nella famiglia e suo padre gli si era avvicinato sempre più, apprezzando il suo atteggiamento formale e composto. Ai suoi occhi, Emma se l'era lasciato scappare e, come se non bastasse, l'aveva presto sostituito con un certo Harry: Ron avrebbe potuto mostrarsi piuttosto capriccioso a riguardo.
Il campanello suonò all'improvviso, facendola balzare in piedi.
Constance si affrettò ad aprire il cancello e la porta, precedendo Emma in qualsiasi movimento: questa si voltò verso l'entrata ed aspettò con il fiato sospeso, mentre tutta la famiglia si riordinava in silenzio.
Poco dopo, poté scorgere la figura di Harry superare in altezza quella di sua madre: quest'ultima lo salutò calorosamente, come se fosse un amico di vecchia data, e gli riservò persino due baci sulle guance, che destarono l'attenzione di Ron. Harry aveva i capelli sciolti, stropicciati in onde disordinate, ed indossava dei pantaloni scuri con una camicia nera: Emma sorrise nel vedere tutti i bottoni infilati ordinatamente nelle rispettive asole, persino quelli che lui era solito ignorare, lasciando scoperta la parte alta del petto.
Era bello mentre sorrideva a sua madre, mentre entrava in casa sua e si avvicinava alla sua famiglia.
Emma restò immobile, in attesa.
Osservò Fanny nascondersi discretamente dietro Melanie, mentre quell'ospite estraneo camminava lentamente e con fermezza verso Ron Clarke: «Lei deve essere Ron», esclamò, inumidendosi le labbra inclinate in un sorriso e porgendogli una mano. L'altro ricambiò il gesto – la sua mano era stranamente più piccola. «E tu devi essere Harry», rispose compostamente, togliendosi gli occhiali e guardandolo con attenzione: probabilmente stava già cercando qualcosa da non farsi piacere. «Il ragazzo di mia figlia», aggiunse con tono più sottile: ad Emma sembrò una minaccia.
Harry non accettò il colpo, forse nemmeno ritenuto tale. «Esattamente», rispose soltanto, voltandosi per un brevissimo istante verso di lei: le sue iridi verdi erano illuminate da qualcosa di rassicurante. «A proposito, si è calmata o sta ancora dettando ordini qua e là per questa cena? Non deve essere stato facile sopportarla per l'intera giornata», scherzò rivolto a Ron.
«Harry!» lo rimproverò Emma, imbronciando le labbra in un mezzo sorriso incredulo, ma anche in una lamentela orgogliosa. Per sdrammatizzare – se quello era il suo intento – avrebbe sicuramente potuto usare un altro intervento, magari uno che non comprendesse una presa in giro.
«Allora la conosci davvero bene», intervenne Constance, reduce da una risata silenziosa. Il marito non rispose, anche se la sua espressione si era ammorbidita: forse anche lui era stato tentato di sorridere – sicuramente d'accordo con le sue parole – ma aveva preferito mantenere alta la guardia.
«Credo proprio di sì», ammise Harry. «Pensi che ho dovuto spegnere il telefono: stava cercando di far impazzire anche me».
Un'altra stoccata.
«Bene», si intromise Emma, assumendo un'espressione vendicativa mentre gli altri apparivano piuttosto divertiti, «una volta appurato questo, che ne dite di iniziare?»
Constance la ignorò. «Harry, so che conosci già Melanie e Zayn», esclamò, indicandoli con un sorriso ed appoggiando delicatamente una mano sul suo braccio. «Ma voglio presentarti anche qualcun altro. Fanny, lascia stare tua sorella e vieni a salutare».
Melanie si spostò di lato, lasciando scoperta la fuggitiva: lei sbuffò e camminò controvoglia verso Harry, tenendo lo sguardo fisso alla propria sinistra. «Ciao», bofonchiò svogliatamente, stringendo i pugni lungo i fianchi.
«Fanny», la riprese Ron, richiedendo più educazione.
«Non fa niente», lo rassicurò Harry, poi si rivolse alla ragazzina che gli stava di fronte: negli occhi una sfida simile a quella che Emma spesso sfoggiava. «Ricordo che quando avevi sei o sette anni saltellavi ovunque», le disse, provocandola volontariamente: difatti, Fanny assunse un'espressione confusa e stupita al tempo stesso. Probabilmente si stava chiedendo chi fosse quel ragazzo che pretendeva di avere ricordi di lei, o perché non riuscisse ad associarlo a nessuno che conoscesse.
Emma sorrise, divertita dai suoi modi di fare scherzosi.
«Andiamo, o la cena si raffredda», propose Ron, schiarendosi la voce e dirigendosi verso la cucina: evidentemente non gli era piaciuto il fatto che Harry – la persona per la quale doveva armarsi di protezione paterna fino ai denti – fosse legato non solo ad una delle sue figlie, non solo a due, ma persino alla terza. Era un notevole svantaggio.
Constance lo seguì parlottando di alcune pietanze e Fanny si dileguò in un batter d'occhio.
«Benvenuto in famiglia, amico», esclamò Zayn, sorridendo sinceramente per qualcosa che aveva già dovuto affrontare. Gli diede una pacca affettuosa sulla spalla e l'altro rispose con un leggero spintone.
«Qualche consiglio dalla trincea?» domandò Harry, tentando uno scherzo, ma lasciando finalmente trasparire un po' della tensione che aveva accuratamente nascosto di fronte agli altri.
«E privarmi di tutto il divertimento? Non ci penso neanche», rispose Zayn, dandogli le spalle per ridere sommessamente ed allontanarsi.
«Che stronzo», borbottò lui di rimando.
«Non c'è bisogno di nessun consiglio», intervenne Melanie, con la sua voce tranquilla. «Mia madre sarà al settimo cielo se tu mangerai tutto, e mio padre... Be', non è terribile come vuol sembrare».
Un sorriso incoraggiante ed anche lei se ne andò.
Emma sospirò profondamente, restando sola con la fonte di tutta la sua agitazione, che paradossalmente poteva anche essere la fonte del suo conforto. Harry si voltò verso di lei e fece un passo in avanti per averla più vicina. Schiuse le labbra per dire qualcosa, ma fu anticipato.
«Avevi detto che mi avresti preso in giro per l'arrosto, non anche per tutto il resto», lo rimproverò in modo infantile, incrociando le braccia al petto. Aveva davvero voglia di baciarlo.
«Non ho mai detto che ti avrei preso in giro solo per l'arrosto», precisò, portando una mano tra i suoi capelli. La voce bassa.
«Certo, hai tenuto il telefono spento per tutto il giorno: come avresti potuto dire altro?»
L'altra mano dietro la sua schiena.
«E perché sei arrivato in ritardo?»
Emma lo guardò negli occhi, cercando di ignorare il sorriso provocatorio che le stava donando.
«Non mi hai nemmeno salutata», lo accusò un'ultima volta, rilassandosi contro il suo corpo per prepararsi a ricevere ciò che implicitamente stava chiedendo.
Harry le sfiorò le labbra delicatamente, giocando con la sua resistenza. «Ciao», sussurrò sulla sua bocca, prima di baciarla con il respiro trattenuto: lei si premurò di trarre da quel contatto il coraggio che le serviva per continuare la serata, la forza di affrontare qualsiasi piega degli eventi, e si strinse a lui per averne ancora di più.
«Ho spento il telefono...» mormorò Harry sul suo collo, «... perché ero già agitato di mio, non potevo sopportare anche te».
Emma sorrise al soffitto, chiudendo gli occhi e godendosi i baci in cui quelle parole si erano trasformate. La rassicurava il fatto che anche lui avesse dei timori, per quanto avesse cercato di dimostrarsi completamente tranquillo e pronto: forse, con l'avvicinarsi della cena, anche la sua sicurezza aveva iniziato a creparsi, a cedere.
Si baciarono ancora, ma presto si arresero al loro dovere: Harry la prese per mano in un gesto ormai spontaneo, mentre entrambi muovevano i primi passi verso la cucina.
La famiglia aveva già preso posto: Ron e Constance a capotavola - anche se questa era momentaneamente impegnata a sistemare alcuni vassoi; Fanny, Melanie e Zayn ad un lato del tavolo; due sedie vuote che aspettavano i ritardatari sul lato opposto.
Ron si voltò non appena li udì arrivare, soffermandosi sulle loro mani unite: Emma vide le sue labbra incresparsi involontariamente e subito si ritrasse per imporre una distanza al corpo che la attraeva. Harry la guardò confuso, senza accorgersi del perché di quel gesto improvviso, ma nascose presto la punta di fastidio provata: si sedette accanto al capofamiglia, di fronte a Zayn, e lasciò che Emma si occupasse di altro.
Al centro del tavolo, incastrati tra i bicchieri e le bibite, erano disposti gli antipasti che Constance aveva tanto insistito ad includere nel menù: crema fredda di formaggio, pasticcini gallesi e bruschette con olio e pomodori; fudge al cioccolato e all'arancia – consigliati invece da Emma stessa – e bocconcini di donut con zucchero e cannella, proprio accanto ad alcune frittelle di mela al limone. Un ammontare di bontà che da sola avrebbe potuto saziare tutti i presenti.
«Le lasagne hanno bisogno di ancora qualche minuto», esordì Constance, sorridendo soddisfatta mentre prendeva posto. «Intanto assaggia pure uno di questi, Harry», aggiunse, porgendogli un pasticcino gallese. Lui non rifiutò, anzi, non fece alcun complimento prima di iniziare a testare qualsiasi pietanza su cui potesse posare lo sguardo: Emma lo studiava con attenzione e cercando di essere discreta, decisa a carpire qualsiasi reazione a gusti magari troppo intensi oppure ben serviti.
«Tua madre cucina davvero bene», le disse Harry qualche minuto più tardi, con la voce dedicata solo a lei. Stava masticando una frittella, sorridendo per la provocazione.
«Quelle le ho fatte io, infatti», rispose lei, rivolgendogli una smorfia. «Abbiamo fatto tutto insieme», precisò quindi, determinata nel volersi pendere i meriti che le spettavano.
«Ah, ecco perché qui manca un po' di-»
Prima che potesse finire la frase, Emma gli pizzicò una coscia sotto il tavolo, facendolo ridere silenziosamente.
«Allora, Harry», esordì Ron, attirando l'attenzione su di sé: il tavolo si ammutolì, lasciando spazio solo al tintinnio delle posate o dei bicchieri. «Cosa fai nella vita?»
Domanda innocua, pensò Emma, può andare.
«Da poco ho un appartamento tutto mio: trovare un lavoro per mantenerlo è stato difficile, ma proprio oggi mi hanno assunto per un periodo di prova in un'officina».
«Cosa?» esclamò Emma, quasi strozzandosi con la propria saliva. «Perché non me l'hai detto?»
Harry si strinse nelle spalle, calmo. «Sorpresa», disse soltanto, sorridendole.
Ron non diede loro del tempo per affrontare il discorso, anche se Emma riuscì comunque a dare dell'idiota al suo ragazzo. A bassa voce, senza essere sentita, ma lo fece. «È il tuo primo lavoro?»
«No, ho lavorato diversi anni a Bristol».
«Bristol, hm? Sei di quelle parti?»
«Nato e cresciuto a Bradford», rispose Harry, alzando lo sguardo su Zayn per un solo istante. «Mi sono trasferito lì solo momentaneamente, per lavorare».
«Quanti anni hai?»
«Papà, non credi di essere un po' troppo-»
«No, Emma, non credo».
«Ho ventisei anni».
«Allora immagino che tu non abbia intenzione di laurearti, arrivato a questo punto».
«Esatto».
«Potrebbe esserti utile: una laurea è una garanzia».
«Fino ad ora non ne ho avuto bisogno, anzi».
«Capisco. Da quanto tu e mia figlia vi frequentate?»
Emma serrò la mascella, deglutendo forzatamente.
«Non saprei dirle con precisione, a dir la verità», rispose Harry, senza scomporsi e gettando un'occhiata veloce ad Emma. «Ufficialmente, solo da quando la sua storia con Miles è finita, direi».
Non era una risposta adeguata. Per niente.
«Ufficialmente?» ripeté infatti Ron, assottigliando gli occhi. «Stai dicendo che vi siete frequentati anche mentre lei era impegnata? Emma, cos'è questa storia?»
«N-»
«Sua figlia non avrebbe mai tradito Miles», specificò Harry, sovrastando le proteste di Emma. «Ma sono piuttosto certo che i suoi sentimenti fossero presenti anche durante quel periodo».
Lei condannò la sua sfacciataggine, la sua smisurata sicurezza nell'affermare qualcosa del genere, per di più di fronte a tutta la sua famiglia: era un terreno pericoloso, soprattutto se suo padre era disposto a cogliere qualsiasi dettaglio a cui aggrapparsi per opporsi alla loro relazione.
L'atmosfera era diventata improvvisamente più tesa, contrastando con l'allegria di pochi minuti prima.
«Quindi devo pensare che tu abbia avuto un ruolo nella fine della loro storia».
«Papà, basta», gli ordinò Emma, già stanca di quel discorso. Era comprensibile che lui divagasse in ipotesi più o meno fondate, dal momento che non gli era mai stata concessa una visione completa di ciò che era realmente successo. Forse, se avesse saputo del tradimento, avrebbe cambiato atteggiamento e avrebbe smesso di accusare per difendere. «Io e Miles ci saremmo lasciati lo stesso, anche se-»
«Sì, credo di aver avuto un... Ruolo, se così vuole chiamarlo», la interruppe Harry: era deciso a sbrigarsela da solo, era evidente. Voleva confrontarsi con Ron riguardo ogni suo dubbio ed ogni suo interrogativo, senza badare ai tentativi di moderazione di Emma.
Ron sembrò innervosirsi ed Emma avrebbe potuto scommettere tutti i suoi averi sul perché: Harry era tanto spavaldo da risultare stonante agli occhi attenti di un estraneo. «Sembri andarne fiero», gli disse, con una punta di sottile diffidenza.
«Infatti è così».
Emma sospirò in silenzio, voltandosi verso sua madre per ricevere un aiuto: Constance le consigliò di non intervenire, mentre Melanie scuoteva la testa per darle la stessa dritta. Non capivano che quella discussione sarebbe potuta degenerare da un momento all'altro?
«Harry», lo chiamò quindi, sperando di mettere un freno alle sue intenzioni. Lui la ignorò.
«Miles rendeva felice mia figlia», perseverò Ron.
Harry si lasciò scappare un sorriso amaro, di chi sa ma non può dire: Emma ebbe paura di sentirgli pronunciare la verità, era terrorizzata da quell'idea.
Ma dovette ricredersi. «Chi dice che io non faccia lo stesso?» ribatté con fermezza.
Ron si irrigidì appena, sorpreso da una risposta che non poteva contraddire. Diede una veloce occhiata a sua figlia, come per trovare una conferma nei suoi occhi, e lei lo pregò senza parlare di non continuare oltre.
«Da quanto vi conoscete?» domandò invece lui, sviando di poco il discorso. Il suo interrogatorio – già preannunciato da Emma più e più volte – non era ancora finito.
Harry si schiarì la voce, bevendo un sorso di vino. «Da sei anni circa».
«Così tanto?» commentò Constance, sinceramente sorpresa: entrambi i genitori non sapevano che lui fosse lo stesso Harry che tanto avevano disprezzato, credendo che avesse traviato la mente di Emma spingendola a rubare dei soldi in casa propria. All'epoca, lei non aveva mai raccontato molto sulla propria relazione, anzi, non aveva mai raccontato niente: si era protetta con la riservatezza, mentre i suoi quindici anni la obbligavano a vivere quelle emozioni come in un sogno segreto.
«E come vi siete conosciuti? Andavate nella stessa scuola?» continuò Ron, deciso a scoprire di più.
Harry sorrise, probabilmente a causa dei ricordi: una risposta sincera avrebbe comportato qualcosa come “Sua figlia ha spudoratamente cercato di rimorchiarmi ad una festa”, ma Emma sperava con tutta se stessa che la sua sincerità avesse un limite di decenza.
«No, io andavo nella scuola di Zayn e Melanie. Ho conosciuto Emma tramite amici di amici», spiegò, mentre la sua gamba sinistra si avvicinava a quella di lei.
«Quindi hai aspettato per sei anni che mia figlia si fidanzasse, per renderti conto di provare qualcosa per lei?»
«Papà!»
«Ron, non esagerare», lo ammonì anche Constance.
«In realtà non è la prima volta che io ed Emma ci frequentiamo», affermò Harry, resistendo a quelle accuse. «Poco dopo esserci conosciuti abbiamo iniziato ad uscire insieme».
«E poi cos'è successo?»
«Non eravamo compatibili».
«Ora invece lo siete?»
«Più di prima».
Per qualche istante la cucina restò nel silenzio più totale: solo Fanny aveva perso di interesse nella discussione, preferendo occuparsi di una bruschetta decisamente più invitante. Emma si sentiva letteralmente esausta: non riusciva a capire se quello scambio diretto di battute potesse essere un bene o un completo disastro. Non voleva che continuasse, voleva solo mangiare in tranquillità e non avere un peso sullo stomaco.
«Hai detto che siete stati insieme circa sei anni fa», ripeté Ron, corrugando la fronte come se fosse stato immerso in pensieri profondi, sospetti.
Constance dovette capire prima di tutti ciò che stava per accadere, quindi tentò di temporeggiare o distrarre l'attenzione. «Le lasagne devono essere pronte», esclamò, con accentuata impazienza. «Harry, non ti ho nemmeno chiesto se ti piacciono», continuò, alzandosi per avvicinarsi al forno.
«Sono una delle sue cose preferite», rispose Emma al suo posto, senza distogliere lo sguardo da suo padre.
«Non sarai lo stesso Harry?» domandò infatti, all'improvviso.
«Lo stesso Harry?» ripeté lui, confuso dall'aumentare della tensione.
«Papà, mi passi il vino?» tentò Emma, ma senza ricevere alcunché in cambio.
«Che razza di memoria ha?» mimò Melanie con le labbra, sospirando appena.
«Ron, vieni ad aiutarmi con i piatti, per favore».
«Lo stesso Harry per cui mia figlia ha rubato trecento sterline in casa nostra», continuò imperterrito il capofamiglia, ignorando chiunque altro.
Harry non si aspettava un tale ritorno al passato, lo dimostrò corrugando la fronte ed aspettando qualche istante prima di parlare: guardò Emma e poi serrò la mascella, mentre lei gli posava una mano sulla gamba, senza sapere se per ammonirlo o incoraggiarlo.
«Sono passati sei anni, non c'è davvero bisogno di parlarne», intervenne, con la vana speranza di mettere da parte quell'argomento. Improvvisamente, avrebbe preferito tirar fuori il tradimento di Miles, piuttosto che essere testimone di un processo nei confronti di Harry.
«Invece io ho sempre sperato di poterne parlare con lui», la contraddisse il padre, assumendo un'espressione nervosa.
«Cosa vuole sapere?» lo spronò Harry, senza sottrarsi a quella situazione, anzi, andandole incontro privo di timori. Constance si riavvicinò al tavolo, senza le lasagne.
«Come ti è venuto in mente, per esempio, di lasciare che Emma facesse qualcosa del genere!»
«Non le ho consigliato io di prendere i soldi da casa vostra».
«Ah, no? E perché dovrei crederti?»
«Perché è la verità».
«A cosa ti servivano i nostri soldi?»
«Non mi servivano i vostri soldi: a quei tempi io e mio padre avevamo gravi problemi finanziari».
«Quindi la cosa più semplice era chiedere ad una quindicenne di-»
«Glielo ripeto, io non le ho chiesto niente».
«Adesso smettetela!» li interruppe Emma, agitandosi sulla sedia. «Basta!»
«Emma!»
«Emma!»
La voce di Ron e quella di Harry tuonarono su di lei nello stesso momento, intimandole di non intervenire. Lei spalancò gli occhi, sia per l'impotenza che le piegava l'orgoglio, sia per il modo in cui quei due si erano trovati d'accordo spontaneamente, nonostante le loro infinite differenze. Il suo corpo si tese sulla sedia, mentre la madre le posava una mano sulla spalla per confortarla.
«Io non ho mai chiesto niente del genere ad Emma», riprese Harry, con la voce decisa e graffiata. «Anzi, lei stessa può dirle come io abbia reagito quando mi ha portato quei soldi. So perfettamente che è stato un gesto sbagliato, Emma non avrebbe mai dovuto farlo, e so anche che sua figlia è già stata punita abbastanza per questo: prendersela con me non ha senso, in questo momento».
Ron lo fissò in silenzio, altero nella sua posizione: stava lottando contro se stesso, con l'istinto di cacciarlo di casa e quello di credergli.
«È stata solo una mia idea, Harry non c'entra assolutamente niente», rincarò Emma, piegando il tono di voce in una sorta di preghiera. Non aveva minimamente pensato alla possibilità che quella storia tornasse a galla: aveva passato il tempo a preoccuparsi di cose ben più futili, senza toccare i problemi più concreti. Si chiedeva cosa avrebbe fatto suo padre, se avesse saputo del passato di Harry, del tentativo di furto che aveva macchiato la sua coscienza: per diverso tempo aveva creduto fosse stato Zayn a commettere ogni particolare che le persone gli attribuivano, ma Melanie era riuscita – con infinita pazienza e perseveranza – a fargli credere alla sua innocenza, aiutata anche dalle nuove voci in città, che avevano spostato l'attenzione su qualcun altro. Fortunatamente, non era mai stato fatto nessun collegamento ad Harry, o sarebbe stata davvero la fine.
Ron distolse lo sguardo dai due ragazzi, bevendo le ultime gocce di acqua nel proprio bicchiere. «Allora, queste lasagne?» domandò, decretando una tregua.
 
L'atmosfera si era notevolmente alleggerita: Emma si ritrovò ad essere grata della presenza di Melanie e Zayn, che con i loro ricordi adolescenziali riuscivano a far trasparire la reale essenza di Harry, obbligando Ron a vederlo come un semplice ragazzo di ventisei anni: non si era ancora tranquillizzato, ma sorrideva sempre più, anche se in silenzio e senza dare grosse soddisfazioni.
«Io non ti ci voglio al mio matrimonio con quei capelli», scherzò Zayn.
«Allora dovrai fare a meno del tuo testimone», replicò Harry, alzando un sopracciglio per furbizia. Emma a volte si dimenticava di quel particolare.
«Louis andrà più che bene anche da solo», si intromise Melanie, arrossendo sia per il vino bevuto sia per l'audacia di provocare Harry: dopo tutti quegli anni, era ancora in grado di metterla in soggezione. La sorella minore riusciva persino ad esserne gelosa.
«Pic-Melanie, non si dicono le bugie», replicò lui, sorridendole consapevole: sapeva benissimo quanto lei fosse felice di vederlo accanto a Zayn nel giorno più importante della sua vita, non era in grado di mascherare quella verità.
Zayn prese la parola appoggiando i gomiti sul tavolo. «Piuttosto, cercate di restare insieme almeno fino a quel giorno, voi due. Non voglio situazioni imbarazzanti».
Emma rise debolmente, scuotendo la testa, mentre Harry si voltava per osservarla. «Vedremo cosa possiamo fare», disse scherzosamente, posando un braccio sullo schienale della sua sedia ed accarezzandole la spalla con delicatezza: non riusciva a non toccarla, a non sfiorarla anche solo distrattamente. E lei traeva vita da quei brevi contatti, ma allo stesso tempo notava suo padre perdere sempre di più la pazienza: avere a cena un pretendente era un conto, vederlo addosso a sua figlia ne era un altro. Probabilmente era abituato a Zayn, che per innata riservatezza si concedeva il corpo di Melanie solo quando erano da soli o in particolari circostanze. O si era abituato a Miles, che la toccava, sì, ma con maggiore discrezione. O ancora – possibilità ben più plausibile – era semplicemente Harry a metterlo a dura prova.
Per questo motivo, e per evitare qualsiasi altro pretesto per una nuova discussione, si allontanò dalla mano di Harry.
«Emma, è ora del roastbeef», esordì Constance, notevolmente più rilassata, grazie al buon andamento della cena. «Aiutami a sparecchiare, così possiamo servirlo». Lei la seguì velocemente, forse anche per sfuggire allo sguardo accusatorio di Harry, e si affaccendò intorno al tavolo per rimuovere i piatti ormai vuoti: anche Melanie si unì a loro.
«Santo cielo», sussurrò sua madre, una volta raggiunto il lavandino, «hai visto come ti guarda?»
«Chi?» domandò Emma, posando meno delicatamente un piatto per fare rumore.
«Harry, chi altro? Potrebbe far arrossire anche me».
Lei si voltò nella sua direzione spontaneamente, trovandolo ad osservarla senza alcun imbarazzo. Distolse lo sguardo velocemente. «Non mi guarda in nessun modo», disse, cercando di sminuire quel particolare: come aveva potuto pensare che solo lei potesse accorgersi di quelle iridi intense?
«Allora te ne sei accorta, pensavo fossi cieca», mormorò Melanie alle loro spalle, rivolta a Constance. «Scommetto che anche papà se ne è accorto», aggiunse, sorridendo.
«Oh, sicuramente: ha avanzato le lasagne, deve essere davvero sconvolto», precisò la madre, ridendo piano per non dare nell'occhio.
Emma non poté mettere a tacere la propria vanità di donna, quei sentimenti che solo Harry poteva raggiungere. «Volete piantarla voi due?» tentò, nascondendo il volto stranamente arrossato. «Pensate ai vostri, di uomini», continuò, rivolgendo ad entrambe una smorfia dispettosa ed allontanandosi con il secondo: era fiera di quel piatto, roastbeef in crosta di sale con pudding, una ricetta che lei non avrebbe mai e poi mai deciso di tentare, se Constance non l'avesse incoraggiata.
 
Quando Emma uscì dal bagno, sobbalzò per la sorpresa: nell'ombra del corridoio, infatti, non si sarebbe mai aspettata di trovare Harry, appoggiato al muro con le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Cosa fai qui?» gli domandò, chiudendo la porta ed avvicinandosi a lui. «Devi andare in bagno?»
Harry fece un passo verso di lei, senza sorridere. «No», negò.
L'attimo dopo, le intrappolò i fianchi nelle proprie mani, baciandola senza alcun pudore: il sapore del dessert appena mangiato, quella torta di mele tradizionale, tingeva di dolcezza movimenti e respiri che invece apparivano crudi e privi di controllo. Harry sembrava famelico, indispettito.
«Fermo», sussurrò lei sulla sua bocca, nonostante il proprio corpo chiedesse il contrario.
Non fu ascoltata.
«Dobbiamo tornare di là», riprovò, portando le mani tra i suoi capelli.
Lui le morse un labbro. «Perché non vuoi che ti tocchi?» le chiese, andando dritto al punto: troppe volte era stato rifiutato con nonchalance per essere tollerabile.
Emma gli respirò sul viso, mentre le loro bocche cercavano di resistere alla tentazione di unirsi di nuovo. «Mio padre è geloso, molto geloso», provò a spiegare, nonostante sapesse che non sarebbe stato abbastanza.
«Ed io voglio toccarti», precisò, sfiorandole il naso. «Anche se c'è tuo padre».
Non poteva dargli torto, perché lei provava lo stesso desiderio: si era dovuta sforzare parecchio per non cedere al proprio istinto, durante l'intera cena. «Non voglio farlo innervosire ancora di più», si giustificò allora. «La storia dei soldi l'ha già turbato abbastanza».
«Per me non è un problema», ammise Harry, premendola ancora di più a sé.
Lei sorrise appena. «Qualsiasi cosa io dirò a te non andrà bene, vero?»
«Perspicace», rispose lui, attento provocatore. Il suo ghigno soddisfatto si spense sulle sue labbra.
«Dovrai fartelo andare bene, invece», continuò Emma, determinata. «Almeno per stasera».
Ebbe il tempo di scorgere nei suoi occhi in penombra una punta di stizza, un capriccio non consentito, prima di divincolarsi dalla sua presa e scappare in cucina.
 
Tutti riuniti in salotto, la stanza era avvolta da un pacato chiacchiericcio. Le due coppie erano pronte ad uscire, per continuare la serata in un pub in centro e per smaltire qualsiasi tensione avessero dovuto affrontare nelle ore precedenti.
Fanny si avvicinò ad Emma, forse pronta a proferire una delle poche parole della serata. «A volte è simpatico», disse soltanto, senza esporsi eccessivamente, ma abbastanza da rendere chiara la propria posizione. La sorella maggiore le sorrise, scompigliandole i capelli che aveva sciolto da quella scomoda coda alta, e l'altra scappò via subito dopo, in modo da non dover salutare Harry.
«È stato davvero un piacere», esclamò Constance, sinceramente soddisfatta della serata. «Torna quando vuoi», aggiunse, sorridendo ad Harry: non solo perché aveva mangiato tutte le sue pietanze senza alcuna esitazione, ma anche perché si era dimostrato determinato e coraggioso nell'affrontare Ron Clarke, lasciando all'attenzione di tutti il suo legame con Emma.
«È stato un piacere anche per me», rispose lui, notevolmente più a suo agio: i suoi comportamenti non erano più finalizzati a mantenere la calma e a nascondere l'inevitabile agitazione, ma si erano sciolti e fatti più sinceri, cristallini.
«Io non sono facilmente influenzabile come mia moglie», intervenne Ron, statuario. «Quindi fai attenzione».
«Oh, andiamo, Ron! Ammettilo: questo ragazzo ti piace», rise Constance, accarezzandogli la schiena e guardandolo con una conoscenza che non poteva essere compresa dall'esterno.
Harry osò. «Certo che gli piaccio», precisò. «Altrimenti non mi avrebbe sopportato per tutto questo tempo».
Ron si sforzò di non sorridere, tanto da sembrare buffo. «Infatti è ora che tu vada via», lo salutò, senza macchiare di alcuna durezza quelle parole.
«Buonasera, allora», si congedò lui, sorridendo con i denti scoperti, mentre Constance si chiedeva dove fosse Fanny.
Emma aspettò di essere in macchina, per tirare un profondo sospiro di sollievo: aveva vissuto gli ultimi minuti con superficialità, salutando i propri genitori ed aspettando che tutti facessero lo stesso, senza una particolare attenzione. Stava scalpitando per potersi finalmente rilassare e questo le impediva di concentrarsi sulle proprie azioni: ma nell'auto di Harry, con un vago odore di fumo e con il suo corpo accanto, senza che nessuno potesse spiarli, poteva chiudere gli occhi e sorridere.
Harry uscì dal parcheggio l'istante successivo, accedendo la radio per riempire il silenzio ed una sigaretta per riempirsi i polmoni. Guidò per qualche minuto senza parlare, ascoltando Emma canticchiare a bassa voce e litigare con il regolatore del condizionatore: nessuno dei due sembrava in grado di dire qualcosa, come se avessero avuto bisogno di tempo per ricostituirsi o semplicemente godersi quell'intimità. Dovevano raggiungere Melanie e Zayn, ma si fermarono prima.
«Non è qui il posto», constatò Emma, corrugando la fronte nel guardare fuori dal finestrino. Era una via a senso unico, piuttosto isolata e buia, che correva tra due palazzi alti e datati.
«Facciamo una piccola sosta, hm?» rispose Harry, afferrandola da un polso ed invitandola a sedersi su di sé, al posto del guidatore.
«Aspetta», squittì lei, sbattendo un piede contro la carrozzeria interna dell'auto. «Ahia», si lamentò ridendo, subito dopo, quando diede una gomitata al finestrino per potersi mettere a cavalcioni su di lui. Sorrideva apertamente, stupita dal suo impellente bisogno di averla accanto, e lui faceva lo stesso, forse pregustando ciò che bramava e che presto avrebbe ottenuto.
«Ora non c'è tuo padre», sussurrò Harry, così piano da essere quasi inudibile a causa della radio ancora accesa. «Cosa farai?» domandò malizioso, portando le mani sul suo addome e poi sulla sua schiena.
Emma non si tirò indietro a quel gioco provocante, perché non poteva rimandare oltre quel momento. Si avvicinò al suo viso, alla sua bocca, ma non lo toccò. «Tu cosa vuoi che faccia?»
Harry riuscì a baciarle il collo, nonostante i suoi tentativi di sfuggirgli, e le mormorò qualcosa all'orecchio. «Tante cose piuttosto volgari».
Lei rise in un tacito consenso, udendo una risposta che era esattamente ciò che anche lei stava pensando, e si lasciò accarezzare con impazienza: si tolse la giacca ed Harry poté posare le mani insaziabili sul suo seno, poté alzarle la maglia per poggiare la bocca sulla sua pelle nuda, mentre Emma lo abbracciava e lo stringeva a sé, respirando tra i suoi capelli.
Quando lo sentì sorridere, cercò i suoi occhi e portò le mani sulle sue guance, rabbrividendo appena per la fine del contatto. «Sto facendo tutto io», la rimproverò lui, schiarendosi la voce ed imponendosi maggiore serietà, come a voler nascondere qualcos'altro.
«Perché continui a sorridere?»
«E tu perché continui a parlare?» la distrasse Harry, baciandole la bocca per impedirle di rispondere. Emma non poteva cedere spazio alla razionalità, alla curiosità: riusciva solo ad assecondare le sue labbra, a gemere nella sua bocca e a riscaldarsi con il suo respiro. Iniziò a muoversi sul suo bacino, per un'aspettativa che la stava logorando, e lui ansimò sulla sua mandibola.
Stavolta fu lei a sorridere.
Ed Harry la imitò subito dopo.
Non sapevano se continuare a consumarsi o se guardarsi con le labbra piegate ed i cuori leggeri.
«Lo stai facendo di nuovo», mormorò lei, con il petto quasi nudo premuto contro di lui.
«Che cosa?»
«Stai sorridendo».
«Sembra che tu non mi abbia mai visto sorridere».
«Forse non ti ho mai visto sorridere così».
Harry le morse un labbro, abbandonandosi subito dopo contro lo schienale del sedile. Aveva un'espressione indecifrabile, un respiro troppo profondo per essere semplicemente dovuto all'eccitazione. Spostò una mano sul suo viso, scostandole una ciocca di capelli dalla fronte ed osservando ogni tratto del suo volto.
«Non hai l'impressione...»
Si fermò.
«L'impressione che stavolta potrebbe andare diversamente, tra di noi?»
Il cuore di Emma vacillò a quelle parole, tremando per il loro significato.
Gli occhi che aveva di fronte la osservavano con cautela, come se fossero spaventati da una verità che avevano visto scivolare via così facilmente: aspettavano con ardore una conferma, un motivo per sperare che , era davvero così.
«Sta già andando diversamente», rispose in un sussurro, altrettanto timoroso ed altrettanto fiducioso. Come poteva credere diversamente, quando i suoi sentimenti le urlavano quella consapevolezza? Quando Harry, con la bocca arrossata e la voce ancora macchiata dei discorsi con suo padre, la metteva al corrente delle proprie speranze?
Un altro sorriso, ed Emma glielo strappò dalla bocca con un bacio irrequieto ed estatico.
Percorse ogni centimetro della pelle che la sua giacca le concedeva, insistendo affinché se ne liberasse: e quando fu accontentata, sotto le voraci carezze delle sue mani, continuò a baciarlo senza sosta e senza respiro, sbottonando la camicia nera e succhiando il principio della sua clavicola destra.
«Ricordami di fotografare questo punto», lo pregò con la voce rotta, mentre Harry infilava una mano nei suoi pantaloni e la faceva gemere.
«Per una mostra?» indagò lui.
Emma sorrise sulla macchia rossastra che restò sulla sua pelle a testimoniare il suo passaggio. «Per il mio portafoglio».




 


Ebbene sì, alla fine ce l'ho fatta!!
Mi dispiace del ritardo, ma come ho più volte ripetuto il mio tempo scarseggia e lo ammetto, anche la mia ispirazione non è stata proprio abbondante. Colgo l'occasione per dire che un conto è dimostrare impazienza per l'aggiornamento, un conto è pretendere tutto e subito, senza sforzarsi di comprendere che dietro questi capitoli c'è una persona con una vita, degli impegni e dei bisogni. Non mi sembra di essermi mai sottratta ai miei "doveri" di autrice, quindi me la sento di sorbirmi le paternali. Nemmeno a me fa piacere non riuscire a scrivere, quindi "sgridarmi" non serve a niente, se non a farmi passare la voglia di aggiornare.
Detto questo, passiamo direttamente a questo capitolo! Tutti lo aspettavate ed io spero di non avervi delusi! Ho cercato di riportare tutte le cose fondamentali, perché non potevo scrivere tremila pagine hahah Quindi fatemi sapere se aveste preferito altri aspetti o meno!
Ron è un osso duro, ma Harry sa come tenergli testa: non si tira indietro di fronte alle sue provocazioni, anzi, diciamo che entrambi sono due testoni. La storia dei soldi doveva uscire fuori, perché sarebbe stato improbabile se se ne fossero semplicemente dimenticati. Il passato di Harry invece rimarrà tale! Per il resto spero che tutte le altre dinamiche vi siano piaciute (sì, Harry ha finalmente trovato un lavoro: non poteva continuare a vivere di rendita. E sì, sarà lui il testimone di Zayn!)
Per quanto riguarda la parte finale, ho voluto darvi un assaggio di ciò che Harry sta provando: me lo sono immaginato davvero come un bambino felice, tutto sorridente ed accaldato ahahha Voi cosa ne pensate? Credete che le cose andranno diversamente tra di loro? Ormai mancano solo più due capitoli alla fine della storia, cosa vi aspettate? Mi farebbe piacere sapere su cosa fantasticate per Emma ed Harry, cosa vi aspettate dal loro futuro :)

Grazie mille per tutto come sempre!

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

 
     (Emma che si prepara per la cena e manda foto a Pete con frasi disperate)


  

 
  
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