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Autore: Acinorev    31/03/2015    14 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo ventinove - Click

 

Un mese dopo

Emma inciampò distrattamente a causa dei tacchi alti, recuperando subito dopo l'equilibrio ed accertandosi che nessuno l'avesse vista: sospirò profondamente, inumidendosi le labbra e passando le mani sul proprio addome, per eliminare eventuali pieghe del tubino celeste che indossava.
In piedi accanto alla parete, dispensava eleganti sorrisi a chi le si avvicinava per scambiare poche e gentili parole: controllò l'ora ancora una volta, mentre i minuti passavano ed Harry continuava a non vedersi. Sapeva della possibilità che arrivasse in ritardo, ma sperava di non doverlo aspettare oltre l'accettabile: era sinceramente felice del nuovo impiego di Harry, ma era difficile apprezzarlo fino in fondo, quando il suo capo gli imponeva orari intollerabili ed una mole di lavoro al confine della schiavitù.
Si voltò alla propria destra sbuffando sommessamente e si rilassò nel posare lo sguardo sulle labbra di Harry: incastonate in una fotografia, della quale erano protagoniste indiscusse, avevano perso il solito colorito roseo ed umido, sostituito da tonalità di grigio mischiate nel creare un naturale contrasto. Schiuse distrattamente, si lasciavano sfiorare dalle dita che erano solite torturarle per il nervosismo: Emma poteva riprodurre senza alcuno sforzo l'esatto movimento che compivano sul labbro inferiore.
Ricordava bene quando aveva scattato quella fotografia.
 
 
Harry era seduto al tavolo in cucina: dal suo cellulare appoggiato sulla superficie in legno, Spotify stava riproducendo una playlist creata tempo prima con poca attenzione, obbligandolo a tenere il tempo con il piede destro, che dondolava sul ginocchio opposto. Il tè caldo che aveva preparato era ancora interamente nella tazza al suo fianco, lasciando che il proprio profumo avvolgesse la tiepida stanza.
Stava leggendo una rivista, con i capelli raccolti malamente e l'espressione concentrata: gli avambracci sdraiati sul tavolo e la mano sinistra a giocare lentamente con l'angolo superiore di una pagina. La luce proveniente dalla finestra stretta si imbatteva in lui con placidità, creando un gioco di ombre in grado di affascinare.
Emma indietreggiò senza far rumore, sorridendo in silenzio e raggiungendo la propria borsa: recuperò la macchina fotografica e decise le prime impostazioni, poi tornò a spiarlo dalla porta – protetta dalla sua imperturbabile concentrazione e dal volume basso della musica – ed avvicinò il viso al suo fedele strumento. Harry acquistò una posa inconsapevole, come seguendo delle indicazioni che Emma poteva solo sussurrare tra sé e sé per non farsi sentire: nel momento giusto, anzi perfetto, lo scatto fu accompagnato da un breve rumore caratteristico.
Lui si riscosse sulla sedia, sospirando subito dopo nel vederla appostata ad un paio di metri di distanza. Scosse la testa e si rilassò contro lo schienale, ma non disse nulla riguardo la fotografia che gli era stata rubata: la sua vanità ne gioiva senza alcun pudore e lui non si sforzava di nasconderlo.
«Che ne dici di questa?» domandò invece, indicando qualcosa sulla rivista ed invitandola implicitamente ad avvicinarsi. Emma lasciò la macchina fotografica sul tavolo e posò una mano sulla schiena di Harry, mentre si piegava in avanti per osservare la libreria che aveva attirato la sua attenzione.
«Carina», commentò. «Ma non dovresti occuparti di cose più importanti
Harry le circondò il bacino con un braccio, pizzicandole un fianco e consigliandole di sedersi sulle proprie gambe. «Tipo?» indagò, respirandole vicino.
«Non saprei», rispose lei ironicamente, voltandosi per incontrare i suoi occhi. «Un forno che funzioni sarebbe un buon punto di partenza».
«Forse sì», sbuffò Harry, chiudendo la rivista con una mano e mordendo la spalla di Emma delicatamente. Sorrideva sulla sua pelle, padrone degli avvenimenti, decretando ufficialmente la fine della sua ricerca per il rinnovo dell'arredamento.
 
 
Molte persone superavano le sue fotografie senza fermarsi ad osservarle davvero, ma spiandole a debita distanza per decidere se fossero degne di studi più attenti: ad Emma non pesava particolarmente, perché – nonostante la propria consapevolezza e la propria intraprendenza volessero ribellarsi – sapeva che faceva parte del gioco e che non tutti potevano apprezzare qualsiasi opera esposta. In fondo si trattava di una mostra plurima, con una decina di artisti novellini che cercavano di emergere e farsi notare: in quel contesto, non avrebbe potuto chiedere molto di più.
Ogni partecipante aveva una sala a disposizione ed Emma non poteva lamentarsi della propria posizione: era forse la terza, a partire dall'inizio del percorso obbligato della mostra, quindi riusciva a godere di un'attenzione più fresca da parte dei visitatori. Era convinta di aver fatto un buon lavoro ed aveva tutte le intenzioni di prendersene il merito senza alcun complimento: forse la scelta di esporre dei dettagli così personali ed intimi era stata azzardata, perché poteva compromettere il punto di vista di chi doveva osservarli, ma non era riuscita a resistere. Le fotografie di Harry erano semplicemente cresciute in numero e qualità nella memoria della sua macchina fotografica, fino ad obbligarla a renderle conosciute ed apprezzabili anche da terzi.
Ovviamente, lui non aveva avuto obiezioni a riguardo: il suo ego aveva subìto ed accettato un immenso incoraggiamento, nel sapere che sarebbe stato il soggetto di una mostra d'arte, nel sapere che Emma l'avrebbe reso tale. Lei era disposta a dargli una tale soddisfazione, semplicemente perché aveva bisogno di lasciar andare parte delle proprie emozioni e dei propri sentimenti: incapace di controllarli tutti a dovere, disperderne alcuni frammenti in quelle fotografie e mostrarli ad altre persone poteva portarla in salvo. Doveva esprimersi in qualche modo, far sapere anche ad altri cosa le stesse succedendo e magari anche il perché.
Controllò di nuovo l'ora, fissando con dispiacere le lancette che continuavano a muoversi senza pietà, e spostò lo sguardo sull'entrata della sala: aveva sperato di trovare Harry in piedi, intento a guardarla con la solita aria da sbruffone, ma dovette accontentarsi di Miles.
Spalancò gli occhi, trattenendo il fiato per la sorpresa, ed istintivamente si guardò intorno: l'unico appiglio che riuscì a trovare fu un'altra fotografia di Harry, del suo profilo sorridente ed ignaro, coperto in parte da occhiali scuri e decorato da una fossetta accentuata dal bianco e nero. Persino in un'immagine immobile e lontana riusciva a prendersi gioco di lei, a ridere di quella situazione.
Intanto, Miles le si era già avvicinato.
«Ciao», la salutò, schiarendosi la voce e tenendo gli occhi inesorabilmente fissi nei suoi: Emma non sapeva se si fosse già reso conto di essere circondato da dettagli di Harry o se invece non si curasse del resto perché non era quello che gli interessava.
«Miles», ricambiò lei, cercando di nascondere lo stupore ed un certo grado di disagio. «Non mi aspettavo di vederti qui», ammise, facendo un passo verso di lui: nonostante i mesi trascorsi, il suo viso non era cambiato nemmeno in una impercettibile ruga, o forse era lei a non ricordarsene. Ogni suo tratto era ancora intriso della naturale sicurezza nel portamento, segno del suo stoicismo e maschera delle sue debolezze.
«Ed io non pensavo di venire per davvero», rispose Miles, sorridendo con sincerità. «Ma poi mi sono detto... Perché no? In fondo sono io ad aver avuto l'onore di iniziarti a tutto questo», continuò, mostrandosi più apertamente. E non aveva tutti i torti, Emma l'aveva ringraziato innumerevoli volte per le occasioni concesse.
«Questo è vero», riconobbe lei, annuendo. «Anche se-»
«Anche se è un po' imbarazzante?» la anticipò, stavolta guardandosi intorno per sottolineare il motivo delle proprie parole: le sue iridi si incupirono appena.
Emma inspirò a fondo. «Sì», confermò. «Lo è».
La sua affermazione introdusse un silenzio teso.
«Come hai saputo della mostra?» esordì Emma, per recuperare. «Conosci qualcuno?»
Miles corrugò la fronte, ma la sua espressione tornò tranquilla subito dopo. «Ho parlato con Harry, in realtà».
Harry?
«Harry?» domandò lei, incredula dinanzi a quella possibilità.
Lui annuì. «Ci siamo incontrati per caso pochi giorni fa», cominciò, stringendosi nelle spalle. «Non me lo sarei mai aspettato, ma è stato lui ad avvicinarsi, anche se sono stato io a chiedergli di te. È stato a quel punto che mi ha detto che avresti partecipato ad una mostra, anche se credo mi abbia fregato in pieno», concluse, sorridendo amaramente e forse maledicendo Harry tra sé e sé.
«Perché?» indagò Emma.
«Be', quando io gli ho chiesto che tipo di mostra sarebbe stata, lui mi ha semplicemente detto che ci sarebbe stato un po' di tutto, per citarlo. Non mi ha detto che sarebbe stata una specie di... Hai capito anche tu».
Emma si morse un labbro, stringendo i pugni lungo i propri fianchi. «Mi dispiace, non ne sapevo niente», esclamò: Harry era davvero un idiota. Riusciva ancora a scorgere la fotografia del suo sorriso, quella che si prendeva gioco di lei con una tale innocenza da renderla ancora più nervosa: sembrava che lui fosse davvero lì, a sbeffeggiarla per quella sorpresa, per quella rivincita. Nonostante fosse una propria opera, ad Emma venne voglia di correre verso la cornice essenziale e romperla in due.
«Immagino», sospirò Miles, distogliendo lo sguardo per un solo attimo. «Spero che non te la prenda, se ora me ne vado».
«Miles...»
«Non fraintendere, Emma», la rassicurò. «Anche io sto andando avanti con la mia vita, con qualcun altro, e se sono venuto qui, oggi, è stato solo per vedere le tue fotografie, per vedere come stavi. Ma queste fotografie non mi interessano: non perché non riesca a tollerare il fatto che tu abbia qualcun altro, ma perché Harry non è... Diciamo che è un po' troppo stronzo, per i miei gusti: la sua faccia stampata ovunque non mi attira particolarmente».
Emma non riuscì a trattenere una debole risata, forse rassicurata dalla confessione di Miles, forse felice di sapere del progredire della sua vita, forse divertita dall'immagine di Harry ai suoi occhi. «Capisco», disse poi. «Vai pure. Quando Harry arriverà, gli dirò che sei rimasto per molto tempo a studiare ogni fotografia, apprezzandole tutte, così magari non avrà la soddisfazione di essere riuscito nel suo stupido piano».
Miles le sorrise calorosamente, scuotendo la testa. «Grazie. E buona fortuna», si congedò, continuando a curvare le labbra umide.
Lei non gli rispose con parole poco sentite, si limitò ad osservarlo con un vago sorriso grato e contemporaneamente carico di scuse: guardandolo darle le spalle ed allontanarsi, si chiese se la fortuna dovesse servirle con la mostra o con Harry stesso.
«Signorina... Clarke, giusto?» la distrasse una voce proveniente dalla sua sinistra: una signora di mezza età, vestita elegantemente e con sobrietà, la scrutava in viso dal basso, non aiutata dalla sua scarsa altezza. Teneva tra le mani la brochure di presentazione della mostra, dove evidentemente aveva letto il suo nome.
«Sì, sono io», confermò Emma, riacquistando un gentile contegno e mettendo da parte il resto.
«Oh, bene», constatò l'altra, affrettandosi ad infilare nella borsa il volantino ripiegato malamente. I capelli tinti di un nero innaturale le ricadevano sulle spalle, dritti e leggeri. «Sa? Ho apprezzato molto le sue fotografie. Molto più particolari ed interessanti di tante altre, in questo posto: le faccio i miei complimenti».
Emma non poté mettere a tacere la propria soddisfazione, il proprio entusiasmo. «La ringrazio di cuore», esclamò quindi, con un largo sorriso ad illuminarle il volto truccato.
«Anche se, devo dirglielo, la sua è stata una scelta piuttosto crudele».
«Crudele?» ripeté lei, incuriosita dall'aggettivo utilizzato.
L'altra assottigliò gli occhi ambrati, assumendo un'espressione furba. «È chiaro che abbia voluto stuzzicare la fantasia dei qui presenti», constatò con sicurezza, manifestando dei modi fini e posati. «Ha esposto dei frammenti di qualcuno, qualcosa di troppo vago per essere certo, ma altrettanto indiscutibile per non essere un vincolo alla stessa immaginazione. Non so chi sia il ragazzo di queste fotografie, forse un suo amico, un parente, o più probabilmente il suo fidanzato, ma resta il fatto che lei sembra esserne piuttosto gelosa».
Emma la ascoltava con attenzione, soffermandosi sulla sua voce bassa e ferma, mentre insieme muovevano i primi passi nella sala.
«Lo ha messo a disposizione di tutti noi, in vesti anche piuttosto intime, aggiungerei», ricominciò la signora, sorridendo appena nel passare accanto alla schiena di Harry, nuda e china sul letto, nel quotidiano tentativo di riordinare le lenzuola. «Ci ha dato il permesso di fantasticarci su, ma non vuole concederci questo ragazzo fino in fondo. È impossibile ricostruire il suo volto in ogni dettaglio, manca sempre qualcosa: è ritratto da varie angolazioni, con luci diverse ed espressioni varie, ma è impossibile averne una visione d'intero. Ci ha voluto regalare i vostri momenti più intimi e personali, ma è stata ben attenta a non darci lui».
Emma non riuscì a rispondere subito, spiazzata dalla chiarezza con la quale le proprie intenzioni – anche quelle più difficili da ammettere – erano state svelate: nemmeno lei avrebbe potuto descrivere così bene l'essenza di quella mostra, si sarebbe di certo incastrata nei propri sentimenti senza alcun risultato più che accettabile, mentre quella donna l'aveva semplicemente messa a nudo.
«È strano essere scoperti così», sospirò infine, sorridendo appena. «Pensavo di potervi ingannare meglio».
«Posso vantarmi di avere un occhio molto attento, una mente molto perspicace», replicò lei, schiarendosi la voce con una buffa fierezza. «Quindi, mia cara, dato che ha appena ammesso di aver cercato di ingannare tutto noi, le do due possibilità per rimediare».
«Ovvero?»
«Primo, dovrebbe dirmi chi è il soggetto di queste fotografie», spiegò la donna, continuando a camminare verso la parete opposta della sala.
«È il mio ragazzo», ammise Emma, «anche se credo che lei lo sapesse già».
«Sì, ma volevo esserne certa. La ringrazio. E secondo...» proseguì, fermandosi di fronte ad una delle fotografie, «... Vorrei che mi spiegasse questa: l'unica in cui il suo ragazzo non è presente».
Lei alzò lo sguardo su quell'immagine, fedele ai propri ricordi, ed il suo cuore ne risentì.
 
 
Casa Clarke era immersa nel silenzio, almeno al di fuori di quella stanza: era pomeriggio inoltrato, il cielo si stava scurendo e la luce del tramonto filtrava calda dalle finestre.
«Mio padre vuole riaverti a cena», esordì Emma, raggomitolata contro il fianco di Harry: aveva il viso sul suo petto e respirava il suo calore, mentre entrambi i loro corpi riposavano coperti da uno spesso piumone.
«Deve proprio amarmi», sospirò lui, divertendola con una debole risata. «Non è passato nemmeno un mese».
Emma alzò lo sguardo sul suo viso e gli accarezzò il mento con le dita. «Io credo che voglia solo farti altre domande, magari terrorizzarti un po'», disse a bassa voce.
«La tua scarsa fiducia in me e nelle mie doti di conquistare tuo padre inizia a darmi sui nervi, ti avverto», la ammonì Harry, abbassando le palpebre.
«Io ho fiducia in te», lo contraddisse.
«Ah, sì? Allora perché ti è tanto difficile credere che io stia semplicemente simpatico al fantomatico Ron Clarke?» Il suo tono di voce era lento e masticato, simile a quello di chi non vuole discutere.
«Perché hai visto anche tu com'è Ron Clarke».
«Esatto», sbuffò lui, muovendosi per farla sdraiare sul materasso e per baciarle il seno. «Ed è per questo che sono convinto di stargli simpatico: forse non si aspettava qualcuno con le palle, che sapesse tenergli testa».
«Attenzione a tutta questa ammirazione verso te stesso», lo riprese lei, infilando una mano tra i suoi capelli ed invitandolo a guardarla negli occhi, «a mio padre potrebbe non piacere».
Harry le fece una smorfia, mordendole subito dopo un fianco. «Me ne occupo io, tu non preoccuparti».
Emma alzò gli occhi al cielo e si obbligò a mettere da parte l'argomento: non l'avrebbe ammesso ad alta voce, ma sapeva anche lei quanto Harry incuriosisse suo padre – per non parlare di Constance. Per essere previdente, però, preferiva non montarsi la testa e procedere con cautela.
«Mi fai il solletico», rise subito dopo, dimenandosi sotto il suo corpo mentre lui le accarezzava giocosamente il retro del ginocchio.
Il viso di Harry sbucò fuori dalle coperte, vagamente arrossato per il calore e per il desiderio, e le sue labbra si inclinarono in un sorriso divertito. «Devo dirti una cosa», annunciò, chinandosi per baciarle il basso ventre. «Anzi, due cose».
Emma chiuse gli occhi, momentaneamente distratta dalle sue carezze. «Hm?» riuscì a dire.
«Primo, quello stronzo del mio capo vuole che stasera lo raggiunga in officina», cominciò, facendola borbottare appena per quella notizia. «A quanto pare ha fatto un casino con degli ordini, quindi abbiamo del lavoro in più da sbrigare oltre l'orario di chiusura».
«Non può chiamare qualcun altro?» si lamentò lei, costretta a dire addio alla loro serata.
La bocca di Harry era sulla sua coscia destra. «Sono l'ultima ruota del carro, non mi lascerà in pace fino a quando non gli dimostrerò che le sue manie da psicopatico mi sono indifferenti».
«Spero presto, allora», mormorò lei, ancora ad occhi chiusi. «Lasciando da parte la dannata tesi che ancora mi aspetta sulla scrivania, tra poco inizia la sessione esami: questo vuol dire che avremo ancora meno tempo per stare insieme, e se il tuo capo continua a farti lavorare anche quando non devi, potrei seriamente innervosirmi».
Harry rise sul suo addome, facendola rabbrividire: tracciò un percorso umido verso il suo petto, con baci e deboli morsi, fino a fermarsi nuovamente sul suo seno.
Emma respirò a fondo per la gratitudine che provava nei suoi confronti, per il benessere che le regalava. «Cos'altro dovevi dirmi?» domandò distrattamente.
Harry si separò dalla sua pelle, alzò il viso verso il suo e «Secondo», disse, «credo proprio di amarti un bel po'».
Le palpebre di Emma si alzarono spontaneamente, con un movimento meccanico che contemporaneamente le tolse il fiato: le sue iridi, quindi, furono libere di specchiarsi in quelle che avevano di fronte, per testarle, per capire se fosse tutto vero o se avessero solo sognato, a causa dei baci tentatori appena accettati. Ma Harry era proprio lì, su di lei e contro di lei, ad osservarla con attenzione: era lì, dopo averle detto di amarla come parlando delle prossime previsioni meteorologiche. E non accennava ad ammettere lo scherzo, a dichiarare una presa in giro di cattivo gusto.
Credo proprio di amarti un bel po'.
Che razza di dichiarazione era? E da quanto Emma sperava di poterne udire una di simile, pronunciata dalle sue labbra? In cuor suo, non sapeva nemmeno darsi una risposta: forse lo aveva desiderato da sempre, dai suoi quindici anni in poi, o forse da altrettanto tempo lo stava temendo. E non riusciva a crederci, a capacitarsi di una cosa del genere: non sapeva come reagire a ciò che più di tutto il resto aveva desiderato, come se non si fosse mai realmente preparata alla possibilità, nonostante credesse di averlo fatto. Un conto era percepire la premura di Harry, i suoi respiri contro la propria pelle ed i suoi sentimenti in ogni litigio ed in ogni carezza; un conto era sentirseli ricordare a parole, quelle parole alle quali devi reagire con qualcosa di altrettanto significativo, perché altrimenti ti fregano. Ti obbligano a dire qualcosa, anche se vorresti semplicemente sorridere e piangere al tempo stesso, anche quando sei troppo impegnato a rielaborarle per aprire bocca. Così, se non le accontenti in un tempo ben stabilito, ti fregano di nuovo.
E quelle di Harry non erano molto pazienti.
«Lascia perdere», mormorò nervosamente, allontanandosi dal suo corpo bruscamente.
Emma ebbe il tempo di corrugare la fronte e di allungare una mano per trattenerlo, per afferrargli un braccio e pregarlo di ragionare, ma lui si divincolò dalla sua stretta. Si stava già rivestendo, seduto sul bordo del letto.
«Harry, cosa stai facendo?» domandò, con la voce tremante di chi non è padrone dei propri gesti. «Dove stai andando
«Hai solo questo da dire?» le rispose secco, mentre lei poteva cogliere la durezza dei suoi occhi, la ferita che non le era dato di curare.
E no, certo che non aveva solo quello da dire, ma le sue labbra erano immobili, persino mentre Harry si alzava dal letto ed usciva velocemente dalla stanza.
Dalla casa.
Emma restò sola in quell'assenza, nella patetica sensazione di sentirsi impotente: senza nemmeno un valido motivo, senza nemmeno una scusa accettabile, aveva vissuto i sentimenti di Harry solo per rimanere inerte di fronte a loro. Li aveva lasciati scappare via insieme al suo corpo che sapeva ancora del proprio, aveva lasciato credere loro di essere i soli.
 
 
«E così ha scattato questa fotografia?» dedusse la signora, osservando la porta spalancata della camera di Emma: immobile come lo era stata per tutto il tempo in cui lei l'aveva fissata, sperando di poterla varcare o di vedere lui tornare indietro.
«Stupido, eh?» commentò lei, sorridendo per nascondere una punta di imbarazzo. «Invece di seguirlo, mi sono messa a giocare con una macchina fotografica». Nemmeno lei sapeva perché l'avesse fatto: aveva semplicemente sentito il bisogno di descrivere l'assenza che aveva causato, di immortalarla.
«È stupido solo se per lei una macchina fotografica è stupida», la corresse l'altra, comprensiva. «E poi cos'è successo?»
Emma inspirò a fondo, rallegrata dai suoi stessi ricordi: fece qualche passo alla sua destra e le mostrò un'altra fotografia, l'unica a colori. La guancia di Harry era schiacciata contro un cuscino candido, mentre le labbra schiuse e leggermente secche lasciavano uscire respiri lunghi e profondi. Aveva la schiena rilassata, il braccio sinistro allungato verso uno spazio vuoto, dove poco prima aveva dormito Emma: la mano sembrava ancora posarsi possessivamente sull'addome sul quale aveva riposato per diverso tempo.
 
 
Non l'aveva chiamato, per paura di una sua reazione, e non gli aveva scritto per paura di non ricevere una risposta. Era andata direttamente a casa sua, armata di tutto il suo coraggio e di gran parte della sua determinazione.
Con un profondo sbuffo, si fermò di fronte al citofono: se non l'avesse trovato a casa, l'avrebbe aspettato fino a quando lo avesse visto parcheggiare l'auto ed uscirne con un broncio a rovinargli il viso. Pregò che fosse lì, invece, e premette il pulsante.
Pochi istanti dopo, la voce metallica di Harry chiese chi fosse ed Emma fu così sollevata, da perdere il controllo sulle proprie azioni per un brevissimo, ma significativo istante.
«Ti amo anche io», furono le parole che uscirono velocemente dalle sue labbra, senza che lei avesse nemmeno pensato di pronunciarle. Spalancò gli occhi e si tappò la bocca con entrambe le mani, abbassando le palpebre per maledirsi mentalmente.
Patetica, patetica, patetica, continuava a ripetersi.
E si aspettava che anche lui glielo dicesse, magari con una bella risata ridicolizzante ad accompagnare il tutto. Invece Harry non disse niente, si limitò ad aprire il portone e ad invitarla implicitamente a raggiungerlo.
Emma si passò una mano tra i capelli, scuotendo il capo per i propri errori, ed aspettò interminabili secondi prima di ricostituire il coraggio che le serviva. Lentamente si trascinò fino alla porta d'ingresso dell'appartamento, trovandola socchiusa, ed altrettanto lentamente scivolò all'interno, senza sapere cosa aspettarsi.
«Ti conviene non dirmi cazzate», esordì Harry, in piedi ed appoggiato allo schienale del divano con le braccia conserte. La voce irrequieta, al confine dell'autocontrollo.
Emma si risentì appena. «Non sono cazzate», tentò di contraddirlo, senza però riuscire ad aggiungere altro.
«Allora perché hai aspettato un'ora per dirmelo, hm? Perché io ti ho detto di amarti e tu mi hai... Tu sei rimasta a guardarmi?» Il suo nervosismo si poteva leggere nelle sopracciglia aggrottate, nella mascella serrata e nella sua postura rigida, in procinto di sfogarsi.
«Questo non vuol dire niente!» si difese Emma. «E magari te l'avrei detto un'ora fa, se tu non te ne fossi andato in quel modo. “Lascia perdere”», lo imitò, «Lascia perdere, Harry? Sul serio?» Si sentiva rinvigorita, come se quella discussione potesse donarle la forza della quale necessitava.
«Cos'altro avrei dovuto dirti?» sbottò lui, aprendo le braccia in un gesto esasperato.
«Qualsiasi cosa?» rispose lei, incredula.
Entrambi sospirarono, già stanchi di quel confronto: come sempre, erano in grado di perdere di vista il punto focale di ogni loro disguido, i dettagli più importanti.
«Io non so cosa mi sia preso», riprovò Emma, facendo un passo in avanti. La giacca che aveva ancora indosso la faceva sudare, aveva le guance in fiamme. «Tu mi hai detto... Non lo so, continuavo a pensarci e a chiedermi se fosse vero e-»
«C'è davvero bisogno di chiederselo?» la interruppe Harry, vagamente offeso per quell'insinuazione. Il tono meno accusatorio.
«Sai perfettamente cosa intendo», lo rimproverò piano. «Non me l'aspettavo, non me l'aspettavo in quel momento, mentre parlavamo del tuo capo e dei miei esami. Immagino sia solo rimasta... Scioccata?»
Non riusciva a spiegarsi come avrebbe voluto, perché in realtà non sapeva nemmeno cosa spiegare esattamente. Sapeva solo che i suoi sentimenti erano veri e che un simile errore non poteva comprometterli.
Harry le si avvicinò di qualche passo, cauto e diffidente. «Tu sei sicura di amarmi?» domandò, tentando di mantenere un registro distaccato, ma fallendo miseramente. Era chiaro che stesse cercando delle conferme che potessero smentire le proprie paure, chiaro che fosse scappato per il dolore di un sentimento probabilmente non ricambiato. Ed era assurdo che Emma capisse perfettamente cosa avesse provato, dal momento che sei anni prima i ruoli erano invertiti.
«Sì, io... Certo che sì», rispose con sicurezza, continuando a mantenere il contatto visivo.
Harry era sempre più vicino, ma non ugualmente convinto.
«Sì, Harry», riprovò lei, andandogli incontro ed alzando il viso per poterlo guardare negli occhi nonostante la differenza d'altezza. Poteva sentire il suo respiro inquieto sulla pelle: le sembrava di dover conquistare la fiducia di un animale in gabbia, furente e spaventato. Non le erano concesse mosse azzardate, parole incaute e gesti imprudenti: poteva semplicemente aspettare di farsi riconoscere.
Lui si irrigidì, stringendo i pungi lungo i fianchi, ma si rilassò subito dopo: altero nello sguardo, si lasciò scovare dietro le sue paure orgogliose. Alzò una mano per sfiorarle una tempia con le dita, scendendo lungo la guancia e poi sul mento, fino a posare i polpastrelli sulle sue labbra: Emma ci respirò contro, incapace di resistere oltre. Cercò le sue spalle per attirarlo a sé, per chiedergli un maggior contatto, e lui si lasciò guidare, nonostante fosse ancora restio.
«Nemmeno tu puoi avere dubbi su di me», sussurrò, usando le sue stesse parole come un'arma. Ed Harry, a quel punto, riuscì a seppellire qualsiasi suo timore: raggiunse la sua bocca e la baciò con foga, per liberarsi di un peso indesiderato. La toccò avidamente, senza trovar pace su un lembo di pelle, né con la forza di spogliarla, e lei si arrese nelle sue mani e tra i suoi respiri.
Sorrise contro le sue labbra, mentre lui faceva lo stesso, e si arrestò solo quando entrambi dovettero riprendere aria, mettere a tacere almeno per un istante i cuori sotto sforzo, esausti. Harry portò entrambe le mani tra i suoi capelli, leccandosi le labbra e curvandole come un bambino estasiato. «Me l'hai detto al citofono», ricordò a bassa voce, lasciandosi sfuggire una leggera risata.
Emma cercò di trattenersi dal fare lo stesso – invano – e lo spinse senza forza. «Non credere che tu abbia fatto una figura migliore», ribatté, riferendosi alle parole da lui usate.
«Mi dispiace, niente batte il citofono», insistette lui, dispettoso.
«Piantala!»
«A proposito», continuò Harry, resistendo ad un morso vendicativo sul mento. «Credo che quell'affare non funzioni benissimo: prima non ho sentito bene».
Emma colse subito le sue intenzioni e si sentì in imbarazzo. «Però lo hai sentito, quindi smettila», borbottò.
«Avanti, dimmelo di nuovo», la pregò lui, baciandole delicatamente una guancia.
«Non dovresti chiedermelo», riuscì a protestare lei, nonostante la bocca di Harry la stesse distraendo con piccoli baci sul collo.
«Emma».
Lei chiuse gli occhi, stringendolo di più a sé.
«Emma...»
«E va bene», cedette, assumendo un'espressione imbronciata. Harry tornò con la fronte appoggiata alla sua, lentamente e con movimenti studiati: le mani sulle sue guance e gli occhi a non lasciarle via di fuga. Emma si schiarì la voce, si inumidì le labbra e contò mentalmente senza nemmeno un ordine, solo per rimandare il momento e combattere il nervosismo: poi si diede della sciocca, nel voler posticipare una gioia che ben conosceva e che non poteva farle alcun male.
«Ti amo», sussurrò, sbattendo le palpebre e sentendo la bocca di Harry curvarsi in un sorriso. Lui chiuse gli occhi, come per godersi quelle parole tanto attese, e li riaprì con lentezza.
«Sai cosa mi hai fatto passare quando non mi hai risposto, a casa tua?» le domandò serio, mettendo allo scoperto le proprie emozioni. Il pensiero che il suo cuore avesse vacillato, nel confrontarsi con il silenzio di Emma, le incrinò il proprio: c'era un vago senso di colpa, in quello che stava provando, ma anche un calore indescrivibile per ciò che non era altro che la prova del loro stare insieme.
«Scusa», mormorò lei, dispiaciuta dell'aver rovinato quel momento: non sarebbe più tornato, non sarebbe più comparsa la stessa, nuova emozione.
Harry la baciò di nuovo, a lungo.
«Ora che ci penso», gli disse poi, ancora sulle sue labbra, «sei un tale ipocrita».
Lui corrugò la fronte, circondandole il busto con le braccia e stringendola a sé.
«Appena hai avuto il dubbio di non essere ricambiato, sei scappato alla velocità della luce», gli fece presente, attenta. «Quindi tutte quelle cose che mi hai detto sei anni fa, sull'aspettare e dare tempo ai sentimenti, valevano solo per me?»
Harry sorrise brevemente. «Ti amo».
Emma sospirò e cercò di dargli un debole pugno. «La smetti di dirlo così, all'improvviso? E comunque non credere di poterlo usare per salvarti, d'ora in poi», lo ammonì, divertita.
Lui rise arreso, prima di rispondere seriamente. «Credo che trovarsi nella situazione sia semplicemente diverso», ammise a bassa voce: quante volte le aveva dato dell'immatura, quante volte aveva criticato le sue prospettive, mentre alla fine, quando lui stesso si era trovato in una situazione simile, si era sentito costretto ad imitarla.
«Ma non mi dire», commentò Emma, rivolgendogli una smorfia e baciandolo in una risata.
 
La notte successiva, quando gli impegni di entrambi permisero loro di dormire insieme, Emma si svegliò presto e lo trovò addormentato accanto a sé. Sgattaiolò dalla sua presa cercando di non disturbarlo, corse a prendere la macchina fotografica e ritornò nella sua stanza: salì in piedi sul letto, rischiando di cadere per il precario equilibrio, e per un istante si godette l'immagine di Harry che, nonostante il sonno profondo, continuava a cercarla con naturalezza al proprio fianco.
Click.
 
 
«E lui dov'è, in questo momento?» domandò la donna, spiazzando Emma con una domanda non inerente al suo breve racconto, meno ricco di dettagli in confronto ai suoi ricordi.
«Oh, dovrebbe essere qui a momenti», spiegò. «Il lavoro non lo lascia respirare, ultimamente».
«Quindi potrò finalmente incontrarlo?» sorrise l'altra, enfatizzando il suo desiderio.
«Può starne certa: Harry non si perderebbe per nulla al mondo una mostra che parla di sé», scherzò Emma, rassicurandola.
«Allora non vedo l'ora».
«Di cosa state parlando?»
Harry si annunciò così, senza saluti o convenevoli, ma con la sua innata curiosità: con un ultimo passo arrivò accanto ad Emma, sistemandosi le maniche della camicia bianca che indossava. Respirava velocemente, come se avesse corso per arrivare più in fretta. Lei si stupì della sua comparsa improvvisa e, se in un primo momento ne fu rallegrata, subito dopo lasciò trasparire parte del risentimento derivante dallo scherzo giocato a Miles.
«Tu sei Harry, giusto?», cominciò la signora, porgendogli una mano: lo osservava con occhi sognanti, come se avesse appena trovato qualcosa cercato per anni. Emma alzò un sopracciglio, sorpresa dal suo atteggiamento ed incredula davanti alla confidenza che non aveva mostrato nemmeno a lei, nonostante i suoi complimenti.
«Sì», confermò lui, sorridendo. «Lei chi è, invece?»
«Una tua ammiratrice, direi», rispose Emma, con una punta di gelosia che la infastidiva ad ogni sguardo della signora: nei minuti in cui avevano parlato, non aveva pensato di doverla veder consumare il proprio ragazzo.
Harry sembrava confuso, ma non in difficoltà.
«Esattamente», esclamò la donna, con i suoi modi eleganti. «Sono Mary, Mary Stan, e anche io ogni tanto perdo tempo a dipingere o fotografare. Mi piacerebbe averti come modello, qualche volta».
Emma corrugò la fronte con tutta l'incredulità possibile: non aveva appena finito di dirle quanto fosse gelosa del soggetto delle sue fotografie? Era comunque pronta a sottrarglielo senza alcun pudore?
«Ci penserò e le farò sapere più tardi, se sarà ancora qui», le assicurò Harry, sorridendo nello scorgere l'espressione oltraggiata di Emma. «Ma ora dovrà scusarci, io e la mia ragazza abbiamo qualcosa di cui parlare».
Si congedarono senza molte parole, mentre una mano di Harry dietro la sua schiena la guidava ad un paio di metri di distanza. Emma incrociò le braccia al petto, infastidita e possessiva. «Di cosa dovremmo parlare?»
«Di niente, in realtà», rispose lui, stringendosi nelle spalle. «Anche se immagino tu abbia qualcosa da dire», aggiunse, dopo averla studiata con attenzione.
Lei non se lo fece ripetere due volte. «Sai? Miles è venuto qui, prima».
Harry sorrise apertamente. «Ah, sì?»
«Si può sapere cosa ti salta in mente?» lo rimproverò a bassa voce, avvicinandosi appena. «Giochi del genere sono adatti ai bambini delle elementari, santo cielo».
«Non ho fatto niente di male», si scusò lui, fingendo indifferenza.
«No? Non gli hai per caso consigliato di venire alla mia mostra c-»
«Che c'è, ora non non posso nemmeno vantarmi delle capacità artistiche della mia ragazza?»
«E non gli ha detto che nella mostra ci sarebbe stato “un po' di tutto”, quando invece sapevi che ci saresti stato solo tu?»
«Credevo non ci fosse alcuna differenza», commentò Harry, posandole le mani sui fianchi e sorridendole in una chiara provocazione. Emma non riuscì a resistere molto a lungo, costretta ad arrendersi ai suoi gesti e al suo profumo di bagnoschiuma.
«Sei proprio un bambino», esclamò infine, sospirando sonoramente.
«Sai che novità», rispose divertito, spegnendo ogni parola sulle sue labbra. Frenato dal luogo in cui si trovavano e dai loro ruoli, Harry non si abbandonò alla passione che sicuramente provava, ma la baciò lentamente e con dolcezza. Le diede il tempo di ripensare al loro breve scambio di battute, alla verità che celava: in fondo era vero, Harry era banalmente il tutto di Emma, senza nemmeno essersi sforzato di diventarlo.
A volte Emma doveva fare i conti con questa consapevolezza, che nasceva spontaneamente senza bisogno di alcun richiamo: ed ogni volta, doveva riconoscere come i sentimenti che covava si fossero sviluppati privi di freni, costellati da errori ed incentivi a crescere. Ogni volta, doveva arrendersi all'amore che non riusciva a nascondere e del quale era sempre più certa, secondo dopo secondo.
«Dio, guarda che mani», esclamò qualcuno alle loro spalle, attirando l'attenzione di entrambi.
Si voltarono per cogliere la fonte di quell'entusiasmo ed Emma si trovò subito a sospirare, arresa, mentre Harry rinvigoriva la propria vanità.
Un paio di ragazze stavano osservando un insieme di tre fotografie, tutte raffiguranti le mani di Harry: nella prima, erano intente a sbottonare una camicia scura; nella seconda, erano semplicemente intrecciate tra loro, in una posa rilassata e quotidiana; nella terza, scrivevano un veloce messaggio sul cellulare.
«Mi piacciono gli anelli», continuò una delle ragazze.
«E i tatuaggi no?» replicò l'altra.
«A parte che, anche senza anelli e tatuaggi, restano comunque delle gran belle mani».
«Ho sempre avuto un debole per quelle così grandi, non come quelle di Andrew: un motivo in più per lasciarlo».
«La fidanzata di questo tizio è davvero fortunata... Non so se mi spiego».
«Sei sempre la solita ninfomane».
«Grazie dei complimenti», intervenne Harry, con un sorriso sornione sul viso ed un braccio ancora intorno alle spalle di Emma: le due ragazze si voltarono stupite, forse non facendo subito i dovuti collegamenti. «In effetti sì, la mia ragazza è piuttosto soddisfatta delle mie mani», continuò, narcisista, mentre quelle arrossivano per l'imbarazzo dei commenti che si erano lasciate scappare.
«Harry», lo chiamò Emma, divertita, ma comunque intenta a mantenere una certa dignità.
«Buon proseguimento», le salutò lui, allontanandosi di nuovo, questa volta verso il centro della sala.
«Inizio ad essere un po' gelosa», confessò lei, guardandosi intorno e facendo più attenzione agli sguardi di qualsiasi essere di sesso femminile. La donna di poco prima stava aspettando in un angolo della sala.
«Lo so», ammise Harry, passandosi una mano tra i capelli ancora umidi per la doccia. «Per questo sarà molto divertente».




 


Buooongiorno!
Giusto ieri mattina mi stavo lamentando della mancanza di ispirazione, poi non so cosa sia successo ma ho iniziato a scrivere e non ho più smesso hahahaah Da molto tempo avevo in mente questo capitolo, anche se non sapevo bene come strutturarlo e cosa ne sarebbe venuto fuori: sapevo solo che avrei dovuto metterci la dichiarazione (...), Miles e dei flashbacks (avrei voluto inserirne di più, ma il capitolo sarebbe venuto davvero troppo lungo!).
- Emma/Miles: in vista della fine della storia, sentivo di dover far comparire ancora una volta il buon vecchio Miles! All'inizio avevo pensato di farlo venire alla mostra per sentito dire, dato che è dell'ambiente, ma poi mi sono detta "ultimamente Harry è troppo tranquillo", ed ecco fatto hahah Diciamo che si è preso una piccola/infantile rivincita! Come Miles stesso ha detto, il suo turbamento non è dovuto molto ai vecchi sentimenti per Emma (che comunque stanno scomparendo), ma per la faccia tosta del suo compagno, tra l'altro spalmata su ogni parete della sala.
- Emma/Harry: BE', CHE DIRE? È da LG che desiderate un benedetto "ti amo" dalle labbra di Harry hahahah Spero solo che non abbia deluso le vostre aspettative! Ho pensato molto a come sarebbe successo e a cosa si sarebbero detti, e devo dire che non è stato facile: Emma ed Harry sono tutto, tranne che sdolcinati. I discorsi sui sentimenti sono fuori dalla loro portata (e credo che in due storie sia diventato evidente hahah), quindi infilare un "ti amo" da qualche parte - tenendo fede alle loro caratteristiche -  non è stato semplice. Difatti, Harry stesso lo dice così, all'improvviso, mentre stanno parlando di tutt'altro (e con parole tutte sue): vi ho sempre detto che non appena Harry avesse sentito di provare amore l'avrebbe detto, e questo ne è la prova. In quel momento l'avrà pensato e poi si sarà detto "Ma sì dai, ora glielo dico": easy going proprio ahhaha Ed Emma... be', ci è rimasta un po' male ahahhaa Non potevano quasi-litigare anche in questa occasione, non sarebbe stato da loro: Harry è letteralmente scappato (alla fine ha davvero reagito come Emma in LG e probabilmente, se lei non avesse ricambiato i suoi sentimenti, sarebbe successo di tutto e di più: infatti lei glielo rinfaccia e lui ammette di aver parlato prima di saperne qualcosa. Questo a dimostrazione che anche Harry è umano e non è tutto d'un pezzo), mentre Emma lo ha rincorso per poi dirgli "ti amo" al citofono...... Non so se ci rendiamo conto del disastro che sono questi due......
However, per il resto non ho molto da dire: spero solo che questo capitolo vi sia piaciuto, perché ci tengo particolarmente. E spero vi sia piaciuta anche la sua struttura, la presenza di Harry tramite le fotografie e poi la sua entrata in scena. 
Vi prego di farmi sapere cosa ne pensate, perché per me è importante! Soprattutto dal momento che il prossimo sarà l'ultimo capitolo!!
Grazie di tutto!!

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

 
    
  

 
  
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