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Autore: Non ti scordar di me    23/03/2015    7 recensioni
In un universo parallelo, in cui Elena odia Damon da volerlo soffocare nella notte e Damon odia Elena a tal punto da volerla buttare già da un grattacielo.
Quando ricorderanno ciò che erano, i rimpianti si faranno avanti e i ricordi li renderanno nostalgici.
Da qui sorge la domanda: cosa potrebbe succedere se i due, durante una vacanza organizzata da Caroline, rimanessero bloccati in seggiovia?
Si scanneranno o impiegheranno il tempo in un'altro modo?
*
Sclero del sabato sera. Perdonatemi! ^^
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Klaus | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Tre.
 
«Il tuo posto, ‘Lena?» Mi chiese Caroline che non osava mollarmi il braccio. Si era ancorata a me da quando li avevamo raggiunti all’imbarco dei bagagli.
Di una cosa ero certa: non avrei mai più messo piede in quell’aeroporto. Non dopo la figuraccia che mi avevano fatto fare.
 
«VOLETE FARMI PERDERE IL VOLO?» Aveva strillato quando aveva avvistato me e Damon da lontano avvicinarci. Sbuffai vistosamente e mi avviai verso la mia amica, sperando che non mi facesse una delle sue solite ramanzine.
Sfortunatamente – o per la stanchezza o per il fatto che erano le cinque del mattino e io ero già di cattivo umore – non prestai attenzione a dove mettere i piedi.
E questa fu la buona volta che quel rompipalle di Salvatore mi investì completamente. Caddi – detto gentilmente – di culo a terra e ad ammorbidire la caduta ci pensarono le mie mani.
«Potresti anche aiutarmi, eh?» Il corvino sbuffò e lasciò la presa sulla sua valigia. Mi rivolse uno sguardo interrogativo e non ci pensò due volte: per un momento mi stavo, persino, ricredendo su di lui.
Poi, avevo visto che non mi stava porgendo la mano per rialzarmi ma stava semplicemente prendendo il suo zaino che gli era caduto di spalla nella piccola collisione.
«Peggio di un uomo di Neanderthal.» Commentai alzandomi da sola e rifiutando categoricamente l’aiuto di Caroline e Bonnie.
«Disse la ragazza che a dodici anni mandò a cagare uno dei miei amici. Non voglio nemmeno ripetere quello che hai detto.» Disse sfoggiando uno dei suoi sorrisi innocenti. Ancora non capivo come le ragazze ci cascavano sempre. Solo con me era un essere freddo, stronzo e con dei modi di fare degni di un uomo preistorico? O forse questo comportamento affascinava tutta la fauna femminile di Mystic Falls?
«Fino a prova contraria quel ragazzo ti aveva pestato il giorno prima.» Risposi acida spostando meccanicamente le mani sui miei pantaloni.

I ragazzi intorno a me mormorarono qualcosa di incomprensibile, mentre Klaus aveva la bocca spalancata e tratteneva a stento le risate.
«Non ricordo di aver chiesto il tuo aiuto.» Replicò Damon incrociando le braccia al petto con fare saccente.
«Io ti volevo aiutare, infatti.»
«NON AVEVO BISOGNO DEL TUO AIUTO!» Urlò. Diverse persone si girarono per guardarlo e alzai gli occhi al cielo quando notai come un paio di ragazzine stavano ridacchiando a quella scenetta.
«Ah no? Ne sei sicuro? A me sembrava il contrario.» Sputai acida. A quei tempi avrei fatto di tutto per Damon, in fondo era il mio migliore amico – questo quando ero ancora una giovane ed infantile bambina – e mi infastidì parecchio che qualcuno lo avesse pestato.
«Non ti avevo chiesto di difendermi. Sei tu che dispotica come al solito hai fatto di testa tua. Ancora non capisci che non avevo bisogno di TE?»
«Senti, brutto bastardo, chiudi la bocca. Ti volevo aiutare perché non mi andò giù la scena a cui avevo assistito, okay? Non amo vedere tre ragazzi che pestano un ragazzo più piccolo okay?» Avevo iniziato anche io ad urlare.
«Se l’ho fatto ci sarà stato un motivo.» Costatò con uno stupido sorriso.
«Scusate…A noi non interessa sapere la vostra infanzia insieme, noi vogliamo solamente andare in Italia e passare una vacanza pacifica insieme.» Intervenne Jeremy con una voce calma e pacata.
Tutti – e quando dico tutti intendevo tutti tutti – si erano girati verso di lui con espressione schifata.
«Ehii, io voglio sapere perché lui è stato picchiato!» Un momento…Questa voce non era di Caroline, né di Bonnie e tantomeno di Rebekha.
Una ragazzina era seduta dietro di noi e sorrideva divertita.
«Ritorna a giocare con le barbie, piccola…» Non riuscii a completare la frase, Jeremy posò istantaneamente una mano sulla mia bocca e con un’occhiataccia m’intimò di stare zitta. Scrollai le spalle e mi liberai della sua presa.
«Mi spiace, siamo in ritardo per il volo.» Dissi gentilmente stringendo la valigia e dirigendomi verso Caroline che aveva un sopraciglio alzato e mi guardava con aria da saputella.
«Cosa c’è ancora?» Sbottai.
«Ora ESIGO di sapere il CONTINUO.» Sia io che Damon deglutimmo e avevamo la bocca spalancata.
«QUESTA NON E’ UNA FICTION! E’ LA MIA VITA. LA PARTE PIU’ OSCURA DELLA MIA VITA.» Mi resi conto solo dopo di aver attirato l’attenzione di troppe persone, però non ricevetti gli stessi sguardi che aveva ricevuto Damon. Questi mi guardano infastiditi.
«Allora diventerò produttrice della nuova fiction Elena’s Life.» Decretò alzando le spalle Caroline.
«Dio, Damon di’ qualcosa.» Dissi stizzita.
«Il giorno prima era a quel parco e uno di loro…» Lo guardai pochi istanti, non capendo cosa stava dicendo. «L’aveva infastidita, l’ho trovata in lacrime…E a quel tempo ci tenevo a lei. Fine della storia, ora Blondie puoi continuare a scrivere questo racconto autobiografico della tua migliore amica.» Continuò acido.
Ci stavano fissando tutti con circospezione. Era strano che Damon avesse detto…quello che aveva detto. Faceva strano anche a me sentirlo.
«Un momento…A te ha dato fastidio che è stato picchiato da quei tre? Hai detto che erano più grandi di lui, perciò tu eri ancora più piccola.» Considerò Rebekha ad alta voce.
«M’immagino un’Elena dodicenne che manda a cagare questi sedicenni.» Stefan rise ancora di più e io alzai gli occhi al cielo.
«I MIEI FEELS!» Tuonò un’altra voce. Quella ragazzina teneva in mano una rivista e gli occhi le si erano illuminate.
«I tuoi cosa?» Chiese Damon confuso.
«ODDIO, SALITE IN CIME ALLE MIE OTP!» Continuò con un enorme sorriso in volto.
Quel corpo era posseduto da qualcuno, senza ombra di dubbio. Non poteva essere normale quella ragazzina.
«Noi stiamo perdendo il volo.» Sollecitai gli altri a muoversi. E mentre camminavo notavo come le persone ci stessero fissando alcune con un mezzo sorriso in volto, altre con espressione disgustata.
Un’altra cosa certa? Non avrei rimesso piede in quell’aeroporto. Non dopo quello spettacolino.
 
«Elena, il tuo posto è C22.» Era un paio di posti dietro di lei che aveva scambiato il suo posto con quello di Stefan per sedere vicino a Klaus. Mi sedetti al posto – vicino al finestrino – e appoggiai la borsa sotto i miei piedi, ma prima estrassi un libro e il mio ipod. Avevo da fare più di dodici ore in quell’oggetto infernale tanto valeva mettersi comodi.
Infilai le cuffie e partì la prima canzone della mia playlist che contava più di duecento canzoni.
«SEI TU?» Una mano picchiettava gentilmente sulla mia spalla e senza pensarci mi girai e mi sfilai una cuffia. Spalancai la bocca quando vidi che la ragazza che sedeva accanto a me era la stessa ragazzina impazzita di mezz’ora fa.
Quella ragazzina fuori di testa che aveva iniziato a urlare frasi sconnesse tra loro quando aveva realizzato che Damon mi aveva aiutato – molto tempo fa –.
«Non hai una famiglia?» Brontolai sconsolata. I posti in quell’aereo erano a tre e speravo ardentemente di avere un terzo compagno di viaggio normale.
«OVVIO. Però siedono là – m’indicò una coppia di signori seduti diverse postazioni dietro di noi – e il mio posto è qua.» Mi spiegò calma.
«E non hai pensato di scambiare il posto con qualcuno che aveva i posti lì vicino? Potrebbe essere molto proficuo sai?» Proficuo per te che arriverai sana e salva a destinazione. Pensai con un mezzo sorriso, evitai comunque di dar voce ai miei pensieri.
«Sinceramente non ho intenzione di passare più di dodici ore in un aereo con i miei genitori accanto.» Mi rivelò ridacchiando.
Fa che il terzo compagno sia normale, fa che il terzo compagno sia normale. Pregai in silenzio. E tutte – tutte – le mie speranze si sgretolarono.
«E’ questo il C23?» DIO MIO, NO. NON POSSO AVERE QUESTA SFORTUNA. Damon Salvatore stringeva il suo zaino in spalla e sgranò gli occhi vedendomi lì.
«Uh, scu-scusami…Mi sono seduta qui ma il mio posto era C24. Vuoi sederti accanto a lei?»
«TU NON TI MUOVI DA QUI.» Urlammo contemporaneamente.
«Se vi infastidisco, posso cederti il mio…» Insistette la ragazzina con un sorriso in volto.
«NO. Tu RIMANI QUI.» Le presi repentinamente la mano e sforzai un enorme sorriso. Damon scrollò le spalle e si sedette – alla fine – al C25.
I primi minuti furono di completo silenzio: io sbuffavo spazientita, Damon alzava gli occhi al cielo e quella ragazzina ci guardava come se fossimo due cagnolini di labrador appena nati.
«Avvertiamo i signori passeggeri che il volo sta per cominciare. Allacciare le cinture, spegnere i vostri dispositivi elettronici, le hostess vi illustreranno le uscite di sicurezza.» Disse il comandante, mentre una hostess dai capelli scuri iniziò a parlare con voce dolce – sembrava una cantilena –.
«Buon viaggio, signori.» Riprese il discorso non appena quell’hostess si era allontanata dal centro dell’aereo e aveva finito la dimostrazione su come indossare le mascherine con ossigeno in caso di problemi.
Chiusi leggermente gli occhi e infilai nuovamente nelle orecchie gli auricolari, sperando che quel viaggio filasse tutto liscio.
«Posso farvi una domanda?» La voce incredibilmente fastidiosa della ragazzina arrivò alle mie orecchie come un fulmine a ciel sereno.
Non ero riuscita neanche a finire di sentire una stupida canzone!
«Chiedila a lui.» Risposi acida. Il corvino sgranò gli occhi e chiuse meccanicamente il libro – su chissà cosa – che stava leggendo.
«Posso?» Chiese la ragazzina sistemandosi i capelli ricci dietro le spalle.
«No.»
«Posso?» Insistette ancora.
«No.» Replicò ancora, e ancora e ancora. Erano andati avanti così per circa dieci minuti e passa.
«Dio mio, parla!» Sbottai togliendomi con stizza gli auricolari.
«Com’è nato tutto?» Aggrottai le sopraciglia e inclinai leggermente la testa. A giudicare dal volto di Damon, anche lui non aveva idea di cosa ci stesse chiedendo quella ragazzina di cui non sapevamo neanche il nome.
«Com’è nato cosa?» Chiesi con una risatina nervosa.
«La vostra storia!»
«Non c’è nessuna storia.» Intervenne il corvino inacidito.
«Sì, che c’è.» La mora si sistemò meglio sul sedile e si portò i capelli lunghi sulla spalla iniziando a giocare con qualche ciocca – era un tic nervoso. –
«No, non c’è.»
Ora ricominciano.
«Tutti hanno una storia!» Continuò prima ancora che potessi dire qualcosa.
Voleva una storia? Accontentiamola.
«La nostra storia incomincia con un brutto bambino scostumato che versò un frappè al cioccolato sul vestito di una bambina il giorno del suo decimo compleanno.» Ricordai con leggero astio.
«Che cosa carina!» Commentò con gli occhi quasi a cuoricino.
Carino? Io AMAVO quel vestitino azzurro pastello! Pensai con stizza.
«Non inizia così, non la devi ascoltare.» Sputò Salvatore incrociando le braccia al petto. «La storia inizia con una bambina antipatica che diede uno schiaffo a un bambino senza motivo.»
La mora si girò verso di me e mi rivolse uno sguardo interrogativo.
«Ti tirai uno schiaffo perché mi avevi sporcato il vestito!» Gli ricordai abbozzando un sorriso ironico.
«Non l’avevo fatto apposta.»
«Tu non fai niente apposta, eh?» Anche scaricarmi il giorno del mio compleanno non l’hai fatto apposta.
«Sto perdendo alcuni passaggi, sapete?» S’intromise la ragazza.
«E’ una storia lunga.» Convenni io con la speranza di non dover sentire ancora la vocetta stridula della mora.
«Abbiamo dodici ore, se non più, di volo a disposizione.»
 
[ - 9 ore ]
 
In quelle tre ore avevo imparato tanto.
La prima cosa che avevo imparato era che mai – MAI NELLA VITA – potevo cercare di intrattenere una ragazzina che amava farsi filmini mentale su tutte le coppie possibili immaginabili.
La seconda cosa che avevo imparato era che quello scherzo della natura – solo così potevo chiamare una persona che riusciva ad essere iperattiva anche alle cinque del mattino – si chiamava Alexandra, aveva sedici anni ed era affetta da qualche patologia grave che i medici ancora non avevano capito come curare.
La terza cosa che avevo imparato era che Damon Salvatore appioppato ad Alexandra era il doppio del fastidio che di solito mi procurava.
Sto stilando una lista di cose che ho imparato in un aereo insieme ad una pazza psicopatica e al mio acerrimo nemico da tempi memori.
Credo di aver fatto molto nella vita. Pensai con ironia.
«Perciò eravate migliori amici?» Dio Santo, erano più di due ore che le ripetevamo che – in tempi remoti – avevamo provato a stringere amicizia.
«Quale parte del eravamo amici ma ora vorrei tanto buttarlo giù da una macchina in corsa, non ti è chiara?» Le chiesi ironica.
Secondo il mio orologio – che si riferiva all’ora che avevo a casa in America – dovevano essere circa le nove del mattino, ma fuori era tutto incredibilmente scuro.
«Non mi è chiara la parte del vorrei buttarlo giù da una macchina in corsa. Potresti rispiegarla?» Mi chiese Alex con una faccia da prendere a schiaffi.
«E’ la quinta volta che me lo chiedi.» Sbottai alzando gli occhi al cielo.
«Mi chiedo perché siete così ottusi.» Replicò lei.
«Tesoro, riesci a parlarci di qualsiasi altra cosa che non sia il delena o qualche altra stronzata?»
In quelle tre ore aveva persino creato questa ship e ci aveva persino spiegato cosa significasse il termine ‘ship’ e ‘otp’.
Non ero così ottusa alla sua età.
«Il Delena non è una stronzata, capite?» Commentò spalancando gli occhi.
«Sai vero che sei in un aereo e noi ci conosciamo solo da poche ore e potresti impaurirci?» Chiesi io, pregando con lo sguardo Damon di fare qualcosa o di trovare un modo per liberarci di quella palla al piede.
«Ma è questo il mio compito!»
«Spaventare le persone?» Chiedemmo contemporaneamente io e Damon con due sguardi a dir poco comici.
«Una fangirl deve inquietare le persone, deve shippare più coppie possibili e credere in nella sua OTP.» Ci spiegò.
«Credo che tu ci stia riuscendo bene…» Commentò Damon abbozzando un sorriso che più che altro era un’espressione impaurita.
«Pensa che mancano solo nove ore…»
 
[ - 6 ore]
 
«CHIUDI QUELLA BOCCA CAZZO!» Sbottò il corvino dopo sei ore ininterrotte di quell’odiosa ragazza che non faceva altro che fangirlare e urlare frasi sconnesse tra di loro come un’ossessa.
«Forse dovrei prendere una bottiglietta d’acqua, ho la gola secca.» Proruppe ignorando il commento volgare di Damon che alzò gli occhi al cielo in risposta.
«Una anche per me, grazie.» Le dissi sperando che rimanga incastrata da qualche parte o che magari andasse in bagno e ci si perdesse dentro.
«Tu vuoi qualcosa?»
«Una cosa ci sarebbe.» Gli fa cenno di continuare a parlare. «Se ci facessi il favore di non ritornare, sarebbe più che gradito.» Damon sfoggiò uno di quei sorrisi insopportabili e in risposta Alexandra scrollò le spalle, si slanciò la cintura e si avviò a prendere queste stupide bottigliette.
Sospirai pesantemente e osservai Damon mentre ti slacciava la sua di cintura. Si sedette accanto a me e io automaticamente allontanai la mano dall’altro posto.
«Che stai facendo, Salvatore?» Chiesi curiosa. Non mi rispose e continuò a sistemare ciò che c’era sul sedile, spostando tutto quello di proprietà della ragazzina sul C25.
«Non ci arrivi da sola?» Chiese acido sfilandomi di mano il mio lettore mp3 e infilandosi un’auricolare nell’orecchio.
«Non credo di averti dato il permesso di toccare il mio mp3.» Gli feci notare alzando un sopraciglio con aria saccente.
Damon mi ignorò, prese l’altra cuffia e me la porse.
«Mettila, su.» Sbuffò. Per quanto odiassi seguire i suoi consigli – in realtà erano degli ordini – lo assecondai.
«E ora?» Chiesi curiosa di capire cosa stesse architettando.
«Ora tu mi assecondi.» Si stiracchiò leggermente e mi cinse le spalle con un braccio, facendo si che la mia testa poggiasse sulla sua spalla.
«Ti sembra un piano questo?» Preferirei essere in qualsiasi altro luogo ma non nelle braccia di Damon Salvatore. Pensai alzando gli occhi per guardarlo meglio.
«Scegli una canzone, Gilbert.» Lo odiavo quando usava quel tono saccente – o meglio lo odiavo ancora di più -, fin da piccolo aveva questi suoi scatti che io definivo di pura tirannia. Perché lui era solo un despota, un tiranno, una persona che voleva comandare tutti e tutto.
«Riproduzione casuale.» Esalai infine, partì una canzone a caso e presi una boccata d’aria.
«Socchiudi gli occhi, la pazza sta ritornando.» Non pensavo riuscisse ad elaborare un piano del genere.
Mi rilassai leggermente e chiusi gli occhi.
«Oh…Oh, mio Dio, siete…» La voce della ragazza era più alta, più stridula del solito.
«Si è appisolata…abbassa la voce…» Commentò il corvino iniziando a toccarmi i capelli. Dal mio stomaco partì un moto di disgusto: pensava fossi un cane da accarezzare?
«Non ti dispiace se…» Lasciò la frase in sospeso e m’immaginai il volto di Damon incresparsi in uno di quei sorrisi che facevano cadere tutte le ragazze nella trappola.
Patetico.
«O-ovvio…Troverò un altro posto…Io lo sapevo che voi…» Anche lei lasciò la frase incompleta.
Dopo di che non sentii più niente, continuai a tenere gli occhi chiusi sperando che Damon mi sussurrasse qualcosa o mi dicesse che quell’impicciona finalmente se n’era andata.
«Se n’è andata!» Sospirò sollevato, aprii prima un occhio e poi l’altro e non riuscii a trattenere un enorme sorriso.
«Ora puoi togliere il braccio dalle mie spalle, sai…» Lo provocai a bassa voce.
«Secondo te, quella sciroccata non ci sta osservando?» Ridacchiò.
Non risposi e mi sistemai meglio sul suo braccio, mi rivolse uno sguardo interrogativo inclinando leggermente il capo.
«Sto solo cercando di riposare, Salvatore. E tu sei un buon cuscino.» Non ti fare film, idiota. Non lo dissi ad alta voce solamente perché non volevo litigate – almeno, non volevo litigare su un aereo che stava volando -.
«Non russare, Gilbert.» Commentò acido.
Finì una canzone e ne partì un’altra.
Deglutii quando la riconobbi e m diedi della sciocca per non averla ancora eliminata a distanza di anni.
«La riconosci?» Mi chiese dopo pochi secondi che era partita. Deglutii e tenni gli occhi chiusi, sperando di non dovergli rispondere.
«Perché dovrei riconoscerla?» Gli risposi con un’altra domanda, usando un tono del tutto disinteressato.
«Per lo stesso motivo per cui non l’hai ancora cancellata, no?» Non era semplice mettere nel sacco quel ragazzo. In fondo, era lui il ragazzo che mi aveva insegnato a tenere testa a tutti e per quanto fossi stata una brava alunna lui rimaneva sempre il mio maestro.
Rimaneva sempre quel bambino stronzo che a quattordici anni si era fatto picchiare quasi a sangue per aiutarmi con dei coglioni che volevano sopraffarmi.
Damon Salvatore rimaneva sempre Damon Salvatore.
«E’ solo una disgustosa canzone che mi fa salire il vomito ogni volta che la ascolto.» La chiusi lì acida, premendo play e selezionandone un’altra.
«Disgustosa come la nostra amicizia.»
«Disgustosa come te.» Replicai alzando gli occhi al cielo.
«Realista come te.» Quella canzone, un tempo, l’avevo io stessa definita realistica per noi. Lo ricordava ancora?
«Egoista come te.»
«Narcisista come te.» Assottigliai gli occhi. Sapevamo perfettamente che ora non ci stavamo più riferendo a quella canzone, stavamo parlando di noi.
«Stiamo parlando ancora di quella canzone?» La capacità di capire cosa stessi pensando non la perdeva e mi innervosiva perché io non ci ero mai riuscita. Non riuscivo a capire cosa gli passasse per la mente ed era più che snervante.
«Ovvio.» Risposi pronta.
«Sei brava a mentire.» Costatò ovvio.
«Ho imparato dal migliore.»
Ho imparato da te.
 
 
 
Grazie le magnifiche ragazze che mi aiutano a continuare questa storiella.
E’ un capitolo più lungo del precedente, già notiamo qualche cambiamento è all’orizzonte. Cosa ne pensate?
Incrocio le dita sperando che non vi siate già dimenticati di questa storiella,
Non ti scordar di me.
  
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