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Autore: Delilah Phoinix Blair    26/03/2015    3 recensioni
12 febbraio 2014
Il pianeta deve prepararsi ad una Terza Guerra Mondiale.
Tutti sanno che non è pronto, ma che è necessario.
Sarà una lotta per la libertà contro l'oppressione dell'uguaglianza ridotta ai minimi termini: il comunismo, così come lo conosciamo, non è una soluzione accettabile.
In questo fiume di sangue, un soldato e una ragazza troveranno il loro angolo di paradiso in Abruzzo per tenersi a galla l'un l'altra.
Dal testo:
"《Ti amo, piccola Dea.》 Dopo aver pronunciato quelle parole, accostò la fronte a quella di lei. La sua voce era una carezza.《Non con la consapevolezza che questa potrebbe essere l'ultima volta che i miei occhi incontreranno i tuoi. Non potrei amarti come meriti sapendo che la guerra potrebbe strapparmi a te in qualunque momento.》 Lo disse scandendo le parole lentamente, come a volerle imprimere sul cuore di entrambi. Fece una pausa accarezzando dolcemente quella pelle di porcellana con entrambe le mani ruvide e grandi. 《No, ti amo come se potessi davvero farlo per sempre.》
C'era qualcosa che stonava nelle lacrime amare che le piovvero dagli occhi, simili a frammenti del cielo in estate.
La loro estate."
Genere: Guerra, Introspettivo, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Grazie a La Evans, Vibral24, Riveer che hanno aggiunto la storia alle seguite.
Grazie a Aniasolary e Rebirthlove (le mie fangirl adorate a cui voglio taaaaanto, tanto bene! ♡), LadyRiri, Vibral24 (che se continua a pubblicare foto di Nico io muoio!), Bijouttina, Lady Angel 2002, DarkViolet92, helhime, LadyRiri che hanno recensito.
Grazie a nadia_simo_oned, Riveer, FeelingAPanda, Rebirthlove, Giovanna16 (la mia futura concittadina acidona dal cuore tenero preferita *incrocia le dita*) che hanno aggiunto la storia alle preferite.
E un grazie speciale, enorme, mastodontico, gigantesco a Aniasolary e Rebirth che hanno anche creato dei meravigliosi banner (che trovate su facebook, potete aggiungermi, sono Delilah Boston anche lì) e sono sempre state presenti in questi mesi di assenza, ricordandomi di tanto in tanto quanto io ami questa storia hahaha ♡
Grazie mille anche a Arya Winchester, LadyRiri Cortez, Desy Lahote, Marthy Bittersweet, Tatia Petrova, Marisol De Lorenzo, Deny Malory, Amidala e Sofja Ivanovna per quello che hanno fatto per me :')
Mi odio per questa lunghissima assenza, ma purtroppo sono rimasta senza connessione a casa per tutti questi mesi. Ringrazio tutte coloro che hanno pazientemente aspettato il mio ritorno, siete dolcissime :') non sono brava con i discorsi di scuse e ringraziamento, quindi mi limiterò a scusarmi e ringraziarvi! Hahahaha speravo di poter tornare pubblicando a raffica tutto ciò che ho scritto in questi mesi, ma purtroppo il mio pc è stato formattato senza preavviso, quindi ho perso tutto... ma cercherò di non farvi aspettare molto :D
Questo è un capitolo importantissimo e mi ha quasi uccisa tenerlo nel mio computer senza potervelo far leggere, ma finalmente ecco a voi ♡
 



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And makes one little roome, an every where.
 

 

Settle down with me

Cover me up

Cuddle me in

Lie down with me

Hold me in your arms

Your heart’s against my chest

Lips pressed to my neck

I’ve fallen for your eyes

But they don’t know me yet

[…]

And I’ll be your safety

You’ll be my lady

 

I was made to keep your body warm

But I’m cold as the wind blows

So hold me in your arms

[…]

So hold you close

To help you give it up.

 

17 luglio 2014

 

Ryan si deterse il sudore dalla fronte con la canotta di cotone, l'unico indumento che lo proteggeva dall'aria immobile e sempre troppo calda della prima mattina pescarese. Il cielo prometteva pioggia, ma la speranza andava sempre al bel tempo, anche perchè di lì a due ore doveva vedersi con Afrodite. Nel frattempo correva sul lungo mare della città almeno da quarantacinque minuti e si stava chiedendo se fosse il caso di tornare indietro, verso l'albergo, quando si fermò per fare un po' di stretching. Amava la sensazione dei muscoli affaticati che si distendevano lentamente lasciando un doloroso rilassamento nelle membra.
Improvvisamente sentì la suoneria del telefono e se lo portò immediatamente all'orecchio senza nemmeno controllare il mittente della chiamata.
«Martins,» rispose seccamente, avvicinandosi con passo lento ad una fontanella.
«Hei, Ryan!» Joseph.
«Ti manco, Joe?» lo prese in giro: si erano salutati solo quarantacinque minuti prima.
«Molto divertente.» Il tono canzonatorio era inequivocabile. «Mentre tu fai il cazzone, Jacksons sta pensando a come ucciderti.»
Cadde completamente dalle nuvole. «Cosa?»
«Mi prendi per il culo? Te ne sei dimenticato?» La voce dell'amico era a metà tra il derisorio e l'incredulo. Ryan non sapeva cosa dire. «Il sottotenente un-minuto-di-ritardo-e-siete-fottuti Martins ha dimenticato una riunione?»
In quel momento gli tornò in mente la riunione straordinaria via Skype indetta da Jacksons per quel giorno.
«Porca puttana...» Dall'altro lato della cornetta sentì Joseph sbellicarsi dalle risate e anche lui non riuscì a trattenerne qualcuna sommessa. «Joe, devi aiutarmi, quello mi ammazza!» Le risate aumentarono. «Vaffanculo!» Ora rideva anche lui. «Sono uscito a correre! Mi hai visto uscire! Perchè non me l'hai ricordato? Sono...» Si guardò brevemente intorno. «Sono dalle parti delle Naiadi, sulla riviera, senza macchina.» Fece una breve pausa aspettandosi una risposta dall'amico, che ovviamente rimase in assoluto silenzio. «Sai cosa significa, vero?»
«Che il caporale Livingstone deve salvarti il culo.» Continuava a prenderlo in giro.
E come dargli torto, lui era sempre molto pignolo con il suo plotone per quanto riguardasse la puntualità e il rispetto.
"Che cazzo mi sta succedendo? Non sono mai stato così distratto!"
La risposta era una ed anche molto semplice, era una risposta dai lunghi capelli del colore del sole, gli occhi azzurri come l'oceano al largo di Boston e un viso da angelo... no, da Dea.
La sua Piccola Dea.
«Ryan, sei ancora lì?»
Si riscosse bruscamente da quei pensieri.
«Sì. Vedi di fare in fretta Joe, ti aspetto qui.»
«Signorsì, signore.»
Interruppe la comunicazione e si chinò sotto il getto freddo della fontanella, nella speranza che un po' d'acqua riuscisse a svegliarlo.
Sapeva perfettamente che non sarebbe bastata, ma almeno avrebbe fatto infuriare Joe quando sarebbe arrivato e avrebbe dovuto farlo salire sulla sua macchina completamente fradicio.
Quasi non si accorse quando una Ford Fiesta accostò sulle strisce pedonali, nonostante fosse assolutamente nel suo campo visivo, ma ormai si guardava intorno senza davvero vedere.
Joseph fu costretto a suonare il clacson per attirare la sua attenzione e Ryan distolse i pensieri da quelle labbra piene e morbide, correndo poi verso la macchina.
«Che schifo! Dovrò andare a lavare la macchina prima di uscire questa sera!» Lo rimbeccò l'amico, mentre si chiudeva la portiera alle spalle.
«Se Jacksons mi cazzia te la sfondo la macchina.» Ryan lo guardò torvo, ma non riuscì a trattenere un sorriso quando vide che Joseph se la stava ancora ridendo.
«Guarda che la colpa è tua!»
«Ricordami un attimo perchè ti permetto di darmi del tu, visto che sono il tuo ufficiale in comando, ora come ora.» Sbuffò rumorosamente.
«Perchè non puoi vivere senza di me!»
«Coglione...» Scosse il capo, sconsolato, e appoggiò le spalle esauste al sedile, intravedendo con la coda dell'occhio una smorfia disgustata del rosso.
Appena arrivarono al Sea Lion Grand Hotel, Ryan si fiondò in camera per lavarsi e prepararsi alla riunione. Rimase sotto il getto freddo della doccia finchè non si ritenne abbastanza lucido da poter affrontare la ramanzina del suo superiore. Si lasciò accarezzare dall'acqua immaginando al suo posto un paio di manine sul suo corpo.

“Resta concentrato, Martins!” Si richiamò all'ordine, uscendo dalla doccia in fretta.
Non vedeva Afrodite da una settimana esatta. Pescara era una città molto più piccola di quanto si potesse pensare: era semplicissimo incontrare conoscenti in giro per strada e loro due non potevano permetterselo, tanto più visto che Ferdinando, suo padre, essendo un professore non lavorava e passava le sue giornate in balcone o in spiaggia con gli amici di una vita. Era pericoloso anche solo passare a farle un saluto veloce tra un turno e l'altro. E non poteva rapirla ogni giorno per portarla fuori città, prima o poi i suoi genitori avrebbero iniziato ad incuriosirsi per tutte quelle gite "con gli amici" in giro per l'Abruzzo. Quel giorno erano riusciti a mettersi d'accordo per vedersi solo perchè Ferdinando e Silvana avevano un matrimonio noiosissimo (a detta di Afrodite) a Silvi, da cui era riuscita a svincolarsi. Almeno però riuscivano a sentirsi spesso.
«Piccola Dea, sono io.» Ogni volta che la chiamava la sua voce assumeva un'inflessione dolce che Joe prendeva sempre in giro, fingendo di vomitare.
«Hei!» Poi la sentiva sorridere (sì, ormai riusciva a sentirla sorridere) e capiva che il suo camerata avrebbe potuto prenderlo in giro anche per tutta la vita e non gli sarebbe importato, l'unica cosa che contava era continuare a farla sorridere.
«Cosa fai oggi?»
Le faceva sempre la stessa domanda: ogni mattina la chiamava prima di alzarsi dal letto, quando ancora oziava tra le lenzuola in mutande, e si prendeva qualche minuto solo per loro, per sentirsi parte della sua vita. Riusciva ad immaginare ogni espressione, ma desiderava intensamente poterle vedere con i suoi occhi, averla lì con lui ed accarezzare con le dita leggere quella pelle candida e perfetta, vederla arrossire per quelle carezze innocenti...
Si costrinse a indossare l'uniforme d'ordinanza e a precipitarsi fuori dalla camera per raggiungere la Sala Congressi che avevano riservato loro. Si trovava al primo piano ed era piccola visto che i soldati che gli erano stati affidati a Pescara erano solo quindici. Consisteva in alcuni tavoli disposti a ferro di cavallo davanti al telo di un proiettore.
Fece il suo ingresso quando ormai erano già tutti presenti e lo fissavano con occhi sbarrati.
"Che situazione di merda."
«Scusate il ritardo.» Risposero mettendosi sull'attenti, tentando di trattenere le risate con tutte le loro forze. «Riposo.»
Ryan si sedette e fece cenno a Timothys , quel grandissimo idiota di Timothys, di avviare la chiamata Skype con Jacksons. Era stato retrocesso a segretario per tentata violenza, ma non era abbastanza e per il suo sottotenente ogni scusa era buona per rendergli la vita difficile.
Un volto barbuto e stanco apparve sulla parete, i capelli ormai quasi interamente bianchi e i baffi a nascondere interamente il labbro superiore, e lo videro tossire per schiarirsi la voce.
«Ce l'abbiamo fatta!» Esclamò con scherno.
«Signore.» Lo salutò Ryan.
«Abbiamo la sua attenzione, Martins?» Sapeva che lo stava prendendo in giro, ma si dava comunque dello stupido per essersi dimenticato una riunione.
«Scusi il ritardo, signore.»
«Vi chiamo per dirvi che il caporale Franklyn è già in viaggio per comunicarvi il giorno e l'ora di una riunione che si svolgerà qui a Roma per discutere di ciò che sta succedendo in Sudamerica, la rete è troppo soggetta a intercettazioni, è necessario parlarne di persona.»
Ryan annuì.
«Quindi cerchi di rimanere in quell'albergo almeno finchè non arriverà il caporale, sottotenente Martins.»
In fondo Jacksons gli voleva bene, era stato compagno d'armi del maggiore Martins che l'aveva sempre reso partecipe della vita di suo figlio, quindi l'aveva visto crescere.

Lo stava solo prendendo in giro.
Davanti a tutto il suo plotone.
Rispose con un semplice mezzo sorriso e un secco «Sissignore» masticato tra i denti.
«Buon lavoro, soldati.»
Questi, sentendo un saluto sottinteso nelle parole del loro superiore, si alzarono tutti di scatto e si misero sull'attenti.
«Riposo.» Disse subito lui, con un sorriso appena accennato, ma che nascondeva una tristezza che Ryan notò subito.
La comunicazione si interruppe improvvisamente e il telo tornò bianco.
Ryan sapeva che Jacksons avrebbe anche potuto affidare il messaggio a Franklyn, senza indire necessariamente la riunione di quel giorno, ma era perfettamente consapevole che lo aveva fatto solo ed esclusivamente per vedere con i suoi occhi come stavano, come si trovavano i suoi soldati, perchè Jacksons era fatto così e nessuno lo sapeva quanto lui: non poteva aspettare di vederli a Roma, da quando erano arrivati, avevano avuto almeno una decina di riunioni tramite Skype, tutte brevi e concise e tutte di ordinaria amministrazione.
Quel giorno, però, aveva uno sguardo strano e Ryan non aveva alcun dubbio: doveva essere successo qualcosa.

 

Rientrò in camera quando non erano ancora nemmeno le dieci e subito la mano corse automatica al cellulare. Notò che aveva una chiamata persa di Afrodite e si affrettò a controllare l'ora, temendo di essere in clamoroso ritardo, eppure aveva ancora quindici minuti prima dell'ora dell'appuntamento. Certo, sarebbe sicuramente arrivato in ritardo, ora che Jacksons gli aveva ordinato di aspettare Franklyn, ma questo la ragazza non poteva ancora saperlo.
La richiamò, iniziando a misurare la stanza a grandi passi.
«Hei, Ryan...» Lo salutò dolcemente e lui sentì un sorriso diffondersi sul suo volto senza che potesse, o volesse, fare nulla per fermarlo.
«Piccola Dea, dimmi.»
«Che si fa?» Ryan aggrottò la fronte.
«Che intendi?»
«Sta diluviando.» Stava sorridendo, lo sapeva, rideva di lui. Perchè quando parlava con lei non vedeva nient'altro, figurarsi se poteva importargli qualcosa del tempo! Poi ebbe un'idea.
«Ho un'idea!» Esclamò.
«Sentiamo, soldato.»
Quella parola, soldato, sembrava quasi bella quando era lei a pronunciarla. Sì, perchè lei riusciva a farlo sentire sbagliato a causa la carriera che aveva scelto, ma poi quando lo guardava, quando gli sorrideva, quando lo baciava era come se lo perdonasse a nome delle persone che aveva ucciso in Iraq.
«Io devo rimanere qui per un po', ho ricevuto degli ordini, ma posso passarti a prendere e...» si interruppe, ora che lo diceva ad alta voce non gli sembrava più un'idea così geniale. «P-possiamo vedere un film,» riuscì a borbottare alla fine.
Ci fu un breve silenzio dall'altra parte.
«Certo, va bene.»
Ryan chiuse la chiamata dopo che ebbero terminato di mettersi d'accordo e aprì l'armadio per togliersi di dosso quell'opprimente divisa d'ordinanza. Indossare camicia e cravatta con 30° era molto più di quanto potesse sopportare in quel momento. Uscì solo dopo aver indossato dei bermuda, una canotta e una felpa con cappuccio.
Il receptionist lo salutò con la consueta deferenza e lui superò le porte scorrevoli di vetro. Una volta fuori si rese conto che Afrodite aveva ragione: un cielo scuro incombeva sulla città, rovesciando acqua su tutti loro quasi a secchiate. Ryan si avviò verso la Gran Torino senza preoccuparsi poi più di tanto di bagnarsi, ma il suo sguardo venne inevitabilmente catturato dal mare. Era solo una pozzanghera, quel mare Adriatico, eppure la violenza con cui si gettava sulla costa sabbiosa, spinto dal vento, gli ricordava un po' la sua Boston. Il grigio del cielo si specchiava sull'acqua creando un'atmosfera fredda e uniforme, accentuata dalla pioggia che creava quasi una superficie smerigliata che impediva di vedere bene a grandi distanze.
Ma doveva sbrigarsi. Era imperativo essere di ritorno prima dell'arrivo di Franklyn.
Si diresse verso via Regina Elena alla massima velocità consentita dalle condizioni climatiche e si ritrovò sotto casa di Afrodite quasi senza accorgersene.
Si arrogò il diritto di avvisare della sua presenza con il clacson, visto che mamma e papà dovevano certamente essere già usciti. La vide affacciarsi dal balcone per un attimo e subito tornare in casa. Uscì dal cancello dopo qualche minuto, correndo subito verso la macchina.
«Con un ombrello sarebbe stato troppo semplice, vero?» Le disse lui non appena la vide chiudersi la porta della macchina alle spalle e sistemarsi sul sedile con il capo ancora coperto dal cappuccio e il corpo tremante.
«Molto divertente!» Esclamò lei, riconoscendo la stessa frase che le aveva detto il giorno del loro ultimo incontro.
«Stai tremando... Vorrei vedere, con quei mini-pantaloncini» borbottò, allungando le braccia contro di lei e stringendosela al petto, come per scaldarla.
«Guarda che sei bagnato anche tu!» Lo rimbeccò, ridendo contro la sua canotta.
Ryan sbuffò tra le risate e si allontanò brevemente da lei per togliersi la felpa e tornare ad abbracciarla.
«Va meglio, così?»
In quel momento fu lei ad allontanarsi. Piantò quelle iridi cristalline nel miele dei suoi occhi e vi rimase avviluppata mentre lo baciava lentamente.
«Ora va meglio» rispose ancora a pochi millimetri dalle sue labbra, sospirando a fatica.
Ryan si costrinse a lasciarla andare e mise in moto, sussurrando un roco «Bene.»
Fu solo dopo qualche minuto che si ricordò di un dettaglio piuttosto importante.
«Conosci per caso una videoteca?» Le chiese continuando a guarda la strada dritto davanti a sè.
«Ho la tessera di Discover. E' qui vicino, gira a destra alla prossima e poi, dopo la strada parco, di nuovo a destra.»
«Strada parco?» le chiese dubbioso. Aveva pronunciato quel nome in italiano e lui non era ancora diventato abbastanza bravo da capire a cosa si riferisse.
«Sì, dai! La strada pedonale che va da viale Europa al centro! Devi averla vista per forza in mesi e mesi trascorsi qui! Attraversa tutta la città!»
Mentre lei lo "rimproverava", lui aveva svoltato a destra la prima volta e lei gli indicò subito la strada in questione.
«Ah, certo!» Esclamò lui, riconoscendola subito.
«Ho imparato ad andare in bicicletta sulla strada parco, sai?» Gli disse d'un tratto sorridendo mentre la guardava attraverso il finestrino.
«Mi sembra che voi pescaresi abbiate avuto proprio una bella idea.»
«Non sbilanciarti troppo.» Il suo sorriso andava affievolendosi lentamente. «Prima della guerra era già passato un provvedimento per trasformarla in una filovia.»
«Anche se avete già gli autobus?»
«Beh, gli autobus vanno a benzina, non sono elettrici, la filovia è una soluzione molto più ecologica.»
«Ma...?» Sentiva che doveva esserci un "ma".
«Ma i ragazzi sono legati alla strada parco. Prima di iniziare ad andare in centro, ho trascorso lì i miei pomeriggi per anni.»
«Sei affezionata a una strada?»
La vide sbuffare e ridere, con quella risata tintinnante che gli metteva allegria.
«Sì, qualche problema?» Si difese ridendo, prima di indicare un distributore di benzina. «Accosta qui! La videoteca è lì affianco.»
Scesero dall'auto e Ryan la prese per mano mentre correvano verso la pensilina della videoteca. I sampietrini ondeggiavano sotto di loro, sollevati dalle radici degli alberi che costeggiavano viale Bovio, come tutti i marciapiedi della città. Afrodite rischiò di inciampare almeno due volte durante quella fuga, ma si aggrappò sempre ridendo al braccio umido e nudo del soldato.
«Non ti sei rimesso la felpa!» Esclamò quando finalmente riuscirono a ripararsi all'asciutto.
Ryan si guardò e si rese conto di essere completamente zuppo.
«Me ne sono accorto quando ormai ero già sceso dalla macchina» si lamentò, colpendosi la fronte con una mano.
Afrodite non potè fare a meno di guardarlo, mentre lui sembrava distratto. L'aveva già visto in costume, ma quella era comunque una sensazione completamente nuova: la maglietta bagnata aderiva perfettamente alla muscolatura sviluppata dell'addome, agli addominali obliqui che sparivano nei bermuda, ai pettorali sporgenti, ma non troppo; e quando lui si voltò per dirigersi ad uno degli sportelli della videoteca, la ragazza si beò anche dei muscoli guizzanti delle spalle e di quelli che si stringevano sodi attorno al solco della colonna vertebrale, trascinando il suo sguardo avido fino ai dorsali, ai lombi e al fondoschiena a mandolino.
«Piccola Dea, se continui così mi consumi» la prese in giro senza voltarsi.
«Non capisco di cosa parli!» Disse, forse con un tono un po' troppo alto per risultare naturale, mentre un suo volto assumeva un'adorabile tonalità cremisi.
«D'accordo, adesso però scegliamo un film.»
Quando ebbe il coraggio di avvicinarglisi, dopo aver tentato di ricomporsi, vide che aveva ancora stampato in faccia quel suo sorriso irriverente e compiaciuto.
«Smettila di gongolare, scemo!» Lo rimbeccò, tirandogli una spallata che ovviamente non lo smosse neanche di un millimetro, ma che allargò ulteriormente quel sorriso. «E fatti più in là, non vedo niente.» Distolse lo sguardo da quel viso perfetto per concentrarsi sullo schermo.
«Certo.» Ryan si spostò alle sue spalle, imprigionandola tra le sue braccia poggiate allo sportello. Afrodite percepiva ogni terminazione nervosa tendersi verso quella presenza dietro di lei, lo sentiva respirare tra i suoi capelli e non riusciva a rilassare i nervi tesi della schiena.
«Che ne dici di Dear John?» Le chiese all'improvviso, scorrendo con lo sguardo i titoli disponibili.
«Ryan... stai scherzando?» La voce di Afrodite era un misto di incredulità e pacato divertimento.
«Sì, scherzo» ammise lui e la ragazza tirò un sospiro di sollievo. «Niente commedie romantiche.»
«D'accordo, allora niente film horror.»
«Concesso.»
La sua voce le accarezzava il colo fino a scivolarle nelle orecchie e lungo la colonna vertebrale. Non riusciva a concentrarsi sui titoli che le scorrevano davanti agli occhi, anche se lui praticamente non la stava toccando, ma era completamente circondata dal suo odore.
«Storia d'inverno?»
«Troppo triste!» Afrodite storse il naso, voleva qualcosa di allegro.
«The wolf of Wall Street?»
«Troppo lungo.»
«Dragon Trainer?» Ryan stava palesemente ridendo sotto i baffi.
«Già visto.» La ragazza lo guardò storto. «Al cinema.» La risata di Ryan si faceva sempre più evidente. «E mi è piaciuto moltissimo!»
«Non lo metto in dubbio, bimba.» Le schioccò un bacio su una guancia, mentre lei scuoteva il capo con rassegnazione.
«Eccolo! È perfetto: Edge of tomorrow!» Esclamò il soldato all'improvviso, facendola sussultare.
Afrodite ricordava di aver visto il trailer di quel film e di essere rimasta incuriosita, così non ebbe nulla da ridire e presto si ritrovarono di nuovo a correre sotto la pioggia fino alla macchina.
Accesero la radio durante il tragitto di ritorno e la ragazza iniziò a scorrere le frequenze alla ricerca di qualche canzone orecchiabile.
«Sai che odio lo zapping radiofonico?» disse ad un tratto lui con un sorrisetto ironico.
«Mi spiace» disse, cambiando ancora una volta la stazione. Lo guardò, costringendolo a distogliere lo sguardo dalla strada per osservare quel faccino serio. Tuttavia la loro serietà non durò a lungo e presto entrambi scoppiarono a ridere, senza il bisogno di nessun vero motivo, mentre la macchina vagava per le vie deserte di Pescara indisturbata.
«Amo questa canzone!» Trillò d'un tratto lei, alzando il volume. «But some...day... I will find my way back to where your... name... is written in the saaaaand» Iniziò a cantare ad alta voce, ma ciò che certamente non si aspettava era di essere seguita a ruota dal guidatore.
«'Cause I remember every sunset, I remember every world you said, we will never gonna say goodbye...» Anche lui cantava a squarciagola, guardandola di tanto in tanto e regalandole i sorrisi di un bambino, mentre le note dolcemente estive, pizzicate sulle corde della chitarra e dell'ukulele, imprimevano in maniera indelebile sulle loro pelli leggermente colorate dal sole i brividi di un estate che difficilmente sarebbero mai riusciti a dimenticare.
«Sing la la la da da» continuarono a cantare all'unisono, senza nemmeno preoccuparsi di stonare il meno possibile. «'Till we had to get back to... back to a summer paradise with you... And I'll be there in a heartbeat.»
Fu in quel momento che nella mente di Ryan iniziò a farsi spazio l'idea che avrebbe sconvolto per sempre, definitivamente le loro vite. Non era ancora convinto che fosse una buona idea, forse era ancora troppo presto, ma quel pensiero continuava ad allargarsi a macchia d'olio nella sua mente, finchè tutto ciò su cui riusciva a concentrarsi era quella beatitudine non solo immaginata, ma desiderata profondamente.

 

Arrivarono al Grand Hotel quasi senza accorgersene. In un attimo si ritrovarono di nuovo mano nella mano sotto la pioggia. Non erano ancora arrivati alla tettoia in vetro, quando all'improvviso Afrodite vide Ryan fermarsi e voltarsi rapidamente verso di lei e si ritrovò catapultata contro il suo petto e circondata da quelle braccia che aveva tanto osservato solo qualche minuto prima. Non avrebbe saputo dire chi avesse baciato l'altro, ma sapeva con certezza che le loro labbra si erano incontrate e che nessuno dei due sembrava intenzionato ad allontanarsi. Le sue mani andarono ad immergersi tra i suoi corti capelli bagnati senza aspettare il suo permesso e si rese conto che nessun pensiero aveva più senso fatta eccezione per la sensazione del suo corpo stretto contro quello dell'uomo che le stava dando quel bacio caldo e umido: la pioggia che la bagnava fino alle ossa, le persone che potevano vederli, la guerra che le aveva strappato Marco e Paolo e non solo loro. Ma era solo una bugia di cui le piaceva convincersi, bastava abbassare la guardia anche solo per un attimo e tutto le tornava alla mente, soprattutto ciò che era successo qualche giorno prima.

 

La televisione borbottava parole sorde in un angolo della stanza immersa nella penombra opprimente delle tende tirate.
"Spegni quell'affare, ti prego."
«Silvia...» iniziò Afrodite, ma si interruppe quasi subito vedendo gli occhi spenti e ormai secchi dell'amica. Si alzò in silenzio e spense la TV, gettando poi il telecomando sul letto con rabbia. Tornò a prendere posto al fianco della sua migliore amica.
Quell'immobilità la stava facendo impazzire, paradossalmente, lei che era sempre così pacata e riflessiva. Si era precipitata a casa di Silvia non appena aveva sentito, al TG del mattino, che l'età massima della leva obbligatoria era stata alzata da quarantacinque a cinquant'anni. Questa nuova fascia comprendeva Carlo, il padre di Silvia, anche se non Ferdinando. D'un tratto il suo cervello si era bruscamente risvegliato dal torpore del sonno ed era corsa in camera per mettersi qualcosa addosso e uscire il prima possibile, correndo a perdifiato fino a Piazza Duca. Com'era ovvio, l'aveva trovata già fortemente provata dalla notizia. Non c'era molto da dire, cercava solo di stare accanto, non aveva la pretesa di volerle tirare su il morale, ma voleva solo far sentire la sua vicinanza, mettersi a disposizione finchè l'amica l'avesse voluto. Perchè lei ci era già passata con Paolo e Marco e, anche se aveva sbagliato più e più volte cercando di trovare sollievo nella vicinanza di Ryan e ognuno ha il suo modo di reagire alle proprie tragedie, Silvia le era rimasta silenziosamente vicina, esattamente come stava cercando di fare lei in quel momento.

 

Si allontanò bruscamente da quella bocca dolce come il miele degli occhi del sottotenente, lasciandolo leggermente interdetto.
«Ok...» Lo sentì sospirare, mentre si passava una mano sul viso. «Scusa.» Sapeva di aver esagerato, di aver perso il controllo.
«No, Ryan-» Cercò di tranquillizzarlo lei, non era colpa sua, ma venne interrotta.
«Andiamo dentro, d'accordo?» Le circondò le spalle con un braccio, come a volerla inutilmente coprire dalla pioggia che ormai le aveva inzuppato completamente i vestiti, e la trascinò fino alla hall dell'hotel.
La vide tenere saggiamente gli occhi bassi mentre passavano davanti al receptionist.
«Sottotenente Martins...» Era titubante mentre lo salutava, si vedeva lontano un miglio. «Signorina...» Salutò anche Afrodite alla fine, guardandola dubbioso. Per tutta risposta Ryan si affrettò verso l'ascensore, liquidandolo con un cenno del capo.
Le porte dell'ascensore si stavano già chiudendo, quando videro una mano bloccare le porte e insinuarsi all'interno. Una zazzera rossa e un viso lentigginoso apparvero davanti a loro e Joseph si decise solo dopo qualche attimo di sbigottimento ad entrare in ascensore. I suoi tratti parvero alquanto familiari ad Afrodite, ma non riusciva proprio a ricordare dove l'avesse già visto. Indossava la divisa d'ordinanza e certamente i distintivi che vi erano appuntati chiarivano il suo grado, ma non per lei.
«Ottavo piano, sottotenente?» Gli chiese il rosso, nascondendo dietro finta deferenza il sorrisetto strafottente che gli era comparso sul volto alla vista del suo migliore amico e una ragazzina abbracciati e fradici in ascensore, probabilmente diretti alla camera camera di lui.
«Sì, caporale Livingstone, ma scenda prima lei, prego.» Lo prese in giro, reggendo il gioco.
Quella parola, "caporale", fece ricordare ad Afrodite dove aveva già visto il soldato: «Buonasera, non ci siamo nemmeno presentati. Io sono Joseph, caporale, e lui è Ryan.»
«Ci conosciamo?» Chiese la ragazza con un filo di voce.
«Sì, bambolina.» Rispose il caporale, sorridendo mentre si abbassava all'altezza del suo viso, tanto vicino da spingerla ad arretrare con la testa.
«Non fare il coglione, Joe, lasciala in pace.» Lo rimbeccò Ryan sorridendo e stringendosi la ragazza più vicina al fianco.
«Sei un maleducato, Ryan.» Joseph tornò in posizione eretta, volgendo la sua attenzione al sottotenente. «Non mi presenti la tua amica?»
Proprio in quel momento un segnale acustico annunciò a tutti loro che erano arrivati al piano di Joseph. L'altro si lasciò sfuggire una risatina. «Sarà per un'altra volta.»
«Divertitevi!» Esclamò uscendo dall'ascensore e voltandosi un attimo prima che le porte si richiudessero per chiarire i significati nascosti della sua affermazione con un sorrisetto malizioso.
Afrodite sentì il sangue affluirle al volto e vide con la coda dell'occhio l'uomo al suo fianco scuotere il capo e ridacchiare.
«Scusalo» borbottò. «Giuro che non è sempre così.» Fece una piccola pausa. «Diciamo» concluse e entrambi scoppiarono a ridere mentre le porte dell'ascensore si aprivano lentamente sul corridoio illuminato a giorno.
Ad Afrodite non era mai capitato di entrare al Sea Lion e nella hall non aveva osato alzare gli occhi sull'ambiente circostante per l'imbarazzo di farsi vedere in un albergo con un uomo di dieci anni più vecchio di lei, in corridoio però potè notare quanto lusso trasudasse dalle stesse pareti e si rese conto anche che quello di Ryan era un attico. Lo seguì mentre si dirigeva verso la camera 812 e osservò le sue spalle mentre apriva la porta per farla passare per prima. Entrò nella camera e iniziò subito a guardarsi attorno: era un unico ambiente e la zona notte era divisa solo da pochi gradini dal resto della stanza, arredato come un piccolo salottino con un divano di pelle beige, un tavolino basso ed un televisore enorme; salendo i gradini, invece, si arrivava ad un letto a due piazze sui toni del bordeaux. Afrodite distolse rapidamente lo sguardo da quell'angolo e lo tenne fisso sulla sua felpa completamente bagnata.
«Ora che mi hai qui... che ci fai con me?» Gli chiese con un sorriso senza guardarlo, senza muoversi, senza quasi respirare.
«E' un test?» La superò e abbandonò il film sul tavolino, prima di voltarsi a guardarla. «Ebbene sì, lo confesso, ho visto anche io Pretty Woman» ammise ridendo e trascinando in quella risata anche la ragazza. «Vuoi cambiarti?» Si diresse verso l'armadio dalle ante specchio prima che lei avesse il tempo di rispondere e afferrò a caso una maglietta senza maniche e un paio di bermuda. «Non ho biancheria da ragazza, mi dispiace» la prese in giro mentre le metteva tra le mani gli indumenti asciutti e le indicava il bagno.
Sbirciò alle sue spalle mentre si dirigeva verso il bagno e lo vide sbracarsi sul divano con il telecomando e accendere la TV.
Anche il bagno era estremamente lussuoso, con la vasca/piscina in marmo a terra, e il suo riflesso nello specchio a figura intera con la canotta con la scritta ARMY e i bermuda fin troppo grandi di Ryan la facevano sentire quasi fuori posto. Scosse leggermente la testa passandosi una mano tra i capelli, come a voler scacciare i troppi pensieri che le affollavano la testa e la facevano dubitare di tutto ciò che stava facendo. Stava quasi per uscire dal bagno, quando sentì delle voci nella camera e si rese conto che Ryan non era più solo.
«Caporale Franklyn, l'aspettavo.» Sentiva la voce di Ryan e capì che era un suo collega dell'esercito alla porta. Probabilmente non era il caso di farsi vedere, soprattutto con i suoi vestiti.
«Lo so, sottotenente. E di certo lei sa che sono qui per comunicarle che domani lei e il suo secondo verrete scortati a Roma.» La seconda voce le era completamente sconosciuta, ma furono le parole a sconvolgerla maggiormente. Non poteva credere che Ryan dovesse già partire. Sentiva un nodo stringerle la gola.
Il loro tempo era già terminato.
Gli occhi presero a pizzicarle e le sfuggì un singhiozzo, che soffocò immediatamente contro il dorso della mano.
Sarebbe rimasta di nuovo sola, con la responsabilità di tenere viva Silvia che era vicina ad un crollo, ne era certa. Tanto più visto che, se gli USA stavano richiamando le forze, le cose non dovevano andare propriamente benissimo al fronte.
Sentì la porta della camera richiudersi e si affrettò a ricomporsi davanti allo specchio. Non voleva rovinare il loro ultimo giorno insieme con delle lacrime che comunque non avrebbero cambiato nulla.
Quando fu quasi soddisfatta del suo viso, uscì dal bagno con il sorriso migliore che riuscì a trovare e si schiarì la voce. Ryan le si avvicinò immediatamente, stringendole le braccia attorno alla vita con un'espressione corrucciata.
"Ti prego, fa che non se ne sia accorto."
«Che succede?» Le chiese, accarezzandole lievemente una guancia. Si era cambiato anche lui.
"Come non detto."
«Niente.» Sapeva di non sembrare credibile nemmeno un po', tant'è che la sua voce apparve incrinata anche alle sue orecchie.
«Hey, Piccola Dea, che succede?» Insistette lui, avvicinando i loro volti e scritandola come a volerle leggere l'anima.
«Vai via?» Chiese alla fine. Era inutile fare finta di niente. Ciò che non si aspettava sicuramente era di vederlo sorridere.
«No.»
Sentì la morsa che aveva iniziato a stringerle il cuore affievolirsi lentamente, anche se ancora non capiva. «Ma quell'uomo... quel Franklyn ha detto che parti domani.»
«Sì, ma torno tra dieci giorni.» La baciò lentamente, sentendo quelle labbra piene accarezzare le proprie e subito desiderò approfondire il bacio, ma fece lo sforzo di ritrarsi. «Ho delle cose da fare, delle persone da vedere e degli ordini da ricevere, ma tornerò tra dieci giorni, lo giuro.»
Non poteva fare a meno di credergli se la guardava in quel modo così intenso, facendole dimenticare anche dei dubbi che l'avevano attanagliata solo pochi istanti prima.
«Vogliamo vedere questo film?» Le chiese poi, lasciandola andare per sfiorarle il naso con un dito e dirigersi verso il lettore DVD. «Siediti, su!» Esclamò mentre armeggiava con la custodia del disco. Quando si voltò si rese conto che la sua canotta della USArmy stava sicuramente molto meglio a lei, rannicchiata su quel grande divano che la faceva apparire ancora più piccola. Le si sedette affianco e non fece neanche finta di non averla attirata verso di se volontariamente con un braccio, sarebbe stato inutile, quindi se la strinse addosso con tutta la disinvoltura di cui fu capace (e che comunque non era molta).
Non riuscì a resistere nemmeno fino alla seconda ripetizione della stessa giornata di Tom Cruise: sentiva l'odore di vaniglia della sua Piccola Dea circondarlo da ogni parte e c'era una sola cosa che desiderava fare in quel momento.
Le prese il mento fra le dita e la voltò in modo da potersi perdere nel blu immenso delle sue iridi. Avvicinò i loro volti lentamente, baciandola dapprima dolcemente, in un bacio lento, ma profondo. Quando però sentì una piccola mano aggrapparsi alla sua spalla gli parve di non essere più padrone del proprio corpo. In un attimo si ritrovò sopra di lei, quasi spaventato dalla sua stessa audacia, e senza che potesse fare nulla per impedirlo una delle sue mani si ritrovò a superare la debole barriera della larghissima maglietta di cotone per accarezzare quella pelle morbida e liscia che lo perseguitava nei suoi pensieri ogni volta che si azzardava a chiudere gli occhi.
Quando quella mano arrivò a sfiorare il tessuto leggero del reggiseno, Afrodite non potè trattenere un sospiro contro la sua bocca, che immediatamente scese a torturarle il collo con una scia di caldi baci umidi e irresistibilmente insistenti. Stava accarezzando gli stessi muscoli che aveva intravisto sotto la maglietta bagnata circa un'ora prima e non riusciva a pensare ad altro che non fossero quella bocca e quelle dita su di lei. Le loro lingue continuavano ad accarezzarsi e lentamente Afrodite iniziò a percepire la pressione della sua virilità contro una coscia. Non riusciva a capire se era più inebetita dalle attenzioni che una delle sue mani le stava dedicando, scendendo sempre più in basso lungo il suo fianco, oppure più spaventata dalle reazioni che il suo corpo stava avendo.
Continuava a spingersi contro di lui, a volere un contatto più stretto e quando quella mano arrivò al bordo dei pantaloni, più volte ripiegati per tenerli su, lo sentì sorridere contro le sue labbra nel saperla così piccola, così interamente stretta tra sè e il divano. La mano continuò il suo percorso fin sotto il ginocchio e Ryan si portò la gamba affusolata contro il fianco, prima di risalire lungo la coscia verso il caldo centro del suo piacere. La accarezzò dolcemente attraverso la stoffa.
Sentì il suo autocontrollo crollare definitivamente: le sue dita si fecero spazio dentro l'elastico dei pantaloni per farli scivolare lungo quelle gambe perfette e accompagnò quella discesa coprendo di baci il tessuto della sua stessa maglietta in corrispondenza del petto morbido, del solco fra i seni non troppo grandi, dell'addome piatto, del ventre percorso da incessanti brividi. Quando riuscì a sfilarle l'indumento, si affrettò a gettarsi di nuovo sulle sue labbra, sentendola gemere lievemente per il brusco, nuovo contatto tra le loro intimità. Si allontanò subito e tornò a sfiorare la sua intimità solo con le dita. Quella volta, però, c'era unicamente il suo intimo a dividerli e fu semplice scansarlo per far scorrere le dita lungo la sua apertura.
Afrodite ormai non ragionava, ogni sua sensazione era riconducibile all'uomo che le pesava addosso, senza pesare davvero. Nient'altro aveva più importanza.

Non era la prima volta che veniva toccata in quel modo, eppure tutto era diverso. Con Paolo erano andati anche oltre le semplici carezze che si erano scambiati lei e Ryan quel pomeriggio, ma tutto era risultato amplificato con quel soldato che conosceva da pochi mesi, ma che la faceva sentire felice al punto da chiedersi come avesse fatto a respirare senza di lui in diciotto anni.

Erano scomodi.

Ryan era alto e ingombrante.

Rischiavano di cadere sul tappeto da un momento all'altro.

La TV emetteva suoni indistinti e senza senso, ormai dimenticata.

Tuttavia Afrodite non ricordava di essere mai stata così bene in tutta la sua vita.

Erano semplicemente insieme, abbracciati su quel divano a coccolarsi in silenzio. Afrodite sentiva il suo respiro leggero tra i capelli. Si scostò leggermente dal petto contro cui quelle braccia forti la stringevano teneramente e incatenò i suoi occhi a quelli di Ryan, aquel miele in cui galleggiavano schegge dorate di sole.

«Sei gelida.» L'uomo accostò la fronte a quella della ragazza, sussurrandole quelle parole sulle labbra.

«Strano, tu sei una stufa!» lo prese in giro ridacchiando, ma bloccandosi immediatamente quando lui la strinse maggiormente a sé, facendo aderire i loro petti in un incastro perfetto. «Sarò ancora umida dopo tutta quella pioggia» balbettò, per distogliere l'attenzione da quel contatto così stretto.

Ryan le accarezzò la schiena lentamente, tornando a perdersi in quell'odore di vaniglia che ormai sospettava (e sperava) gli sarebbe rimasto addosso per sempre, e avrebbe voluto abbracciarla tutta, ma le braccia non bastavano.

 

***

 

Soldati.

Si sta come

d'autunno

sugli alberi

le foglie.

 

Tirava dalla sigaretta quasi con rabbia.
Non la ricordava nemmeno più, la prima che aveva fumato. Se ne era sempre tenuto lontano a Pescara: aveva troppa cura del suo corpo per rovinare il fiato da sportivo, faticosamente conquistato, con quelle schifezze. Un po' come Marco, avevano iniziato insieme a farsi il fisico per conquistare le ragazze, ma sin da quando erano bambini Paolo aveva avuto occhi solo per Didi. Ricordava ancora perfettamente il giorno in cui si era deciso a confessare al suo migliore amico i sentimenti che nutriva per sua sorella.

 

«Trini,non ne posso più, ti devo parlare.»

Era un caldo pomeriggio del maggio 2013 e i due ragazzi si erano rinchiusi a casa di Marco per un mega-ripassone in vista delle verifiche conclusive del loro quarto anno di liceo scientifico prima dell'inizio dell'estate della loro vita.

Perchè si erano ripromessi che quella sarebbe stata l'estate della loro vita.

«Sì, anche a me la filosofia mette rabbia, lo so, ma venerdì abbiamo il compito e dopo potremo mandare Hegel a fan-»

«No, non c'entra niente Hegel!» lo aveva interrotto, indeciso se ridere o sbattere la testa contro la scrivania.

L'altro aveva alzato di scatto il volto dalle pagine del libro per piantargli addosso uno sguardo sospettoso.

«Paolo. Non esiste.»

Era stato il suo turno di guardarlo con sospetto.

«Che-?»

«È mia sorella» aveva detto semplicemente, con un'espressione seria che Paolo non gli aveva mai visto in viso.

«Come-?»

«Oh, andiamo!» Marco si era alzato con stizza, iniziando a misurare la stanza a grandi passi e lasciando liì seduto, infastidito per essere stato interrotto ancora. «Ci conosciamo da una vita! Credevi davvero che non me ne sarei accorto! Le sbavi addosso da una vita.»

Non l'aveva mai sentito rivolgerglisi con quel tono, ma poteva capirlo: era il fratello maggiore e sapeva essere molto protettivo, soprattutto perchè era assolutamente consapevole della straordinaria bellezza di Afrodite.

«Marco, le voglio bene. È come dici tu: ci conosciamo da una vita, credevi davvero che non sarebbe mai successo? Cazzo, l'hai vista? Tua sorella è perfetta!» Si era alzato anche lui per fronteggiarlo e lo aveva visto fare metaforicamente un passo indietro. «Non è solo bella, anche se è sicuramente bella, ma lei ha qualcosa in più... non riesco a spiegartelo. E poi sarebbe strano, sei suo fratello! Ma sto divagando, il punto è che non le farei mai del male e tu questo lo sai.»

«Non intenzionalmente» il suo tono si era decisamente abbassato dall'inizio di quella conversazione assurda, ma Paolo sapeva che era sul punto di cedere.

«Sai anche che farei di tutto per evitare di farla soffrire anche solo involontariamente.»

Marco si era riseduto mestamente.

Rimasero per qualche istante in silenzio, poi il biondo si espresse.

«Va bene, potete stare insieme.»

Paolo tirò un sospiro di sollievo, imitandolo nel tornare a sedersi alla scrivania.

«Ma, sia chiaro, non ti scoperai mia sorella.»

 

Paolo si lasciò scappare un sorriso nel riportare alla mente quei ricordi di una vita che non sentiva più appartenergli, mentre ancora si guardava attorno, appena fuori dalla tenda che era stata loro assegnata.

Alla fine Marco aveva acconsentito a partire per il loro viaggio al lago di Capodacqua solo quando l'amico gli aveva fatto notare che Afrodite si sarebbe sicuramente portata anche Silvia.

Doveva sfruttare l'occasione, perchè l'anno successivo sarebbero stati impegnati con gli asami.

Di certo non aveva mai pensato di non completare la propria istruzione, ma le circostanze avevano preso quella decisione per lui.

E l'avevano anche portato lontano da Afrodite.

C'erano dei giorni, i peggiori, quelli in cui si ritrovava a dover uccidere per non essere ucciso, in cui gli sembrava quasi di non ricordare il suo volto e sentiva che era giusto così, che non meritava di ricordarla, che non era degno di lei. E poi c'erano giorni come quello, in cui non succedeva assolutamente nulla e la sua anima affogava tra i ricordi senza posa, pugnalando il suo corpo fino a ucciderlo di dolore al pensiero di non rivederla mai più. E quelli, i ricordi, non erano nemici che potesse o volesse uccidere, così si limitava ad aspettare che una nuova folata di vento li risospingesse verso quello scopo che non era il loro, ma era comunque qualcosa a cui aggrapparsi per non precipitare.

E non si sarebbe mai immaginato che avrebbe iniziato a fumare, eppure ora, a due passi dal confine tra Colombia e Venezuela, ne sentiva il bisogno più che mai. Aveva iniziato poco dopo aver lasciato il Panamà ed essere entrato in territorio nemico e ora non riusciva più a rilassarsi se non con la sigaretta tra le labbra. Non sembrava che la guerra sarebbe arrivata ad uno scontro decisivo: continuavano ad avanzare sotto il fuoco dei colombiani che si nascondevano tra le ombre delle loro foreste.

Erano poco più di tre mesi che lui e Marco si trovavano in Sudamerica.

Erano poco più di tre mesi che il suo migliore amico si era trasformato in un fantasma. Mangiava poco e male, viveva completamente isolato dagli altri camerata, con cui non aveva stretto alcun tipo di rapporto. Nemmeno Guillaume, con quel suo carattere espansivo ai limiti della sopportazione, era riuscito a fare breccia nel muro che andava ispessendosi tra Marco e il resto del mondo.

«Gavelli! Passa una snasta.»

“Parli del diavolo...”

Si voltò ad osservare quell'espressione apatica ormai familiare eppure sempre dolorosa.

Si passò una mano sul capo, cercando i suoi ricci castani senza trovarli. Non riusciva ad abituarsi all'idea di averli tagliati, ma erano troppo scomodi da tenere lunghi come li aveva.

Prima o poi sarebbero ricresciuti.

Tutto sarebbe tornato com'era.

 

***

 

We could steal time, just for one day.

 

La Gran Torino scivolò silenziosa lungo il ciglio della strada fino a fermarsi, ma Afrodite non accennò a scendere, si assicurò anche di non sfiorare nemmeno per caso la maniglia della portiera, come se avesse voluto fingere di non essersi accorta che erano arrivati in via Regina Elena.

«Piccola Dea, tornerò, lo sai... vero?» Ryan si ritrovò ad avere quasi paura di guardarla, perchè sapeva che inconsciamente lei era rimasta delusa da quell'allontanamento, anche se forse ancora non se n'era resa conto ed era consapevole che, se Ryan avesse potuto evitarlo, l'avrebbe fatto. Era l'ultimo degli ufficiali, un semplice sottotenente, e se il suo capitano lo convocava non poteva fare altro che eseguire.

«Sì, lo so.» Quell'assenso sembrò quasi dargli il permesso di voltarsi verso di lei e vide che anche quelle limpidi iridi turchesi si sottraevano al suo sguardo.

«Parti con me. Quando tornerò da Roma, andiamo via per un po', lontano.» L'aveva detto di getto; aveva permesso a quelle parole, incastrate nella sua gola da tutto il pomeriggio, di venire a galla e vedere la luce della speranza.

E la reazione fu proprio quella che si era aspettato: Afrodite aveva voltato il viso di scatto verso di lui e nei suoi occhi aveva intravisto un misto di eccitazione e paura.

«Ryan...» Afrodite ansimò, scuotendo lievemente il capo.

Era troppo, era già venuta meno praticamente a tutti i suoi principi con lui, perchè ne aveva bisogno, non era riuscita a fermarsi. Ma partire come una vera coppia, mentre Paolo rischiava la vita in Sudamerica, era davvero troppo da sopportare.

Sentiva il suo cuore, già fin troppo martoriato, spezzarsi per l'impossibilità di prendere una decisione.
«Ascolta...» Il soldato raccolse tra le dita le piccole gocce che le scivolavano via dalle iridi del colore del mare, solcando il viso di porcellana contratto da quella sensazione di non avere più il controllo sulla propria vita. Allora è questo ciò che si prova quando non si può fare quello che si desidera dal profondo di ogni piccolo angolo dell'anima?
«Non posso.» La ragazza continuava a cercare di tenere lontano l'uomo. Sì, perchè Ryan Martins era un uomo e lei era solo una ragazzina. E prima o poi se ne sarebbe accorto e anche lei si sarebbe resa conto di aver messo in discussione tutta la sua vecchia vita per un uomo che in realtà non la voleva. «Non è giusto, non posso farlo.»
«Hei,» sussurrò lui, cercando di stringere contro il suo petto ampio quello scricciolo che sentiva tremargli tra le braccia. «Hei, Piccola Dea.» Le accarezzò i capelli con dolcezza. «Respira. Hai tutto il tempo per pensarci, ok?» Le sorrise e per un attimo lei sembrò calmarsi, prima che la consapevolezza tornasse a farle strizzare gli occhi, come se volesse allontanarsi da lì almeno con il pensiero. Ma non era possibile: quello era l'unico posto in cui volesse stare. Eppure la sua testa sembrava pensarla in maniera diversa.
«Non ho bisogno di pensarci.» Fece una pausa e prese un respiro profondo. «Non posso dirti di si, Ryan.»
Lui si allontanò dalla ragazza per qualche istante e si passo una mano tra i capelli e sul viso.
«Afrodite,» la vide prendere fiato per ribattere e subito le posò sulle labbra piene e rosee uno dei pollici con cui aveva preso ad accarezzarle le guance morbide. «No, ascoltami. Se c'è una cosa che mi ha insegnato l'esercito è che il tempo non è mai abbastanza. Non importa quanto tu possa inseguirlo, fino quasi a sentirlo tra le dita, lui correrà sempre un po' più veloce di te. Non possiamo permetterci di perdere neanche un istante, perchè arriverà un momento in cui io dovrò andare via. No, non fare così, ti prego. Non sarà oggi e nemmeno domani ma prima o poi accadrà e io ti giuro che farò il possibile per non sprecare nemmeno un attimo, perchè nessuno potrà mai ridarmeli, questi momenti con te.» Accostò le loro due fronti e chiuse gli occhi. «Quindi, per favore, prenditi questi dieci giorni per pensarci.»
Il bacio che seguì fu caldo e intenso e, mentre le loro lingue si sfioravano ruvidamente, Afrodite percepì lo stesso vuoto allo stomaco che si prova quando si ha la sensazione di cadere durante il sonno.
E Ryan era questo, era il sogno che scuoteva la sua anima intorpidita e la svegliava dall'apatia che la mancanza le stringeva attorno.



Bene, bene :) prima di tutto vi avviso che ho modificato un po' il prologo, quindi vi consiglio di andare a leggere ;) lo so che il capitolo è tipo infinito, ma non volevo dividerlo, perchè era stato pensato per essere intero... e poi dovevo farmi perdonare per l'assenza xD quindi va bene così :) ad ogni modo la prima citazione è da Kiss me di Ed Sheeran, la seconda è Soldati di Ungaretti e la terza è da Heroes di David Bowie :D il titolo non è sbagliato hahaha viene da una poesia di John Donne, che aveva scritto proprio in quel modo :)
Spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto! Non so quando riuscirò ad aggiornare... spero presto, visto che il capitolo l'avevo praticamente già scritto hahaha come sempre fatemi notare le sviste che sicuramente ci saranno! Siete preziosissime :)
Un bacione e un abbraccio fortissimo, grazie ancora di aver aspettato :')
Deli :*

  
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