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Autore: bluemary    18/12/2008    1 recensioni
Nel continente di Erhedyas esiste un’Accademia in cui si formano i difensori della giustizia, guerrieri illuminati che lottano contro i Notturni per difendere la razza umana; ma quale Luce può squarciare le Tenebre di un cuore bruciato dal rancore e dal desiderio di vendetta?
Storia scritta per la IV Disfida di Criticoni.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Levsky: Grazie mille per il commento, mi auguro che il seguito ti piaccia^^




Capitolo 1: Oblio

Il dolore scivolava in lui lungo tutti i suoi nervi, un’inarrestabile ondata di fuoco liquido che gli invadeva le vene, senza lasciargli un istante di tregua, e minava la sua mente già indebolita dalle parole pronunciate dal suo invisibile carnefice, trascinandolo verso la follia.
Non sapeva quanto tempo avesse trascorso in quel luogo sconosciuto, immerso nel buio e in un silenzio rotto solo dalle sue stesse urla, con come unica compagnia la creatura che si divertiva a torturarlo senza mai uscire allo scoperto o emettere un suono; più volte la coscienza l’aveva abbandonato ad un oblio sempre troppo breve, ma ad ogni suo risveglio si era ritrovato prigioniero di una realtà più crudele di qualunque incubo. A poco a poco si era assuefatto alla sofferenza, aveva cominciato a considerarla una condizione inscindibile dalla sua stessa natura, l’unico segno tangibile che, anche durante i deliri, gli dava la certezza di essere ancora vivo. Soffocato dall’agonia, aveva dimenticato ogni cosa dell’umano che era stato: per lui ormai esistevano solo quelle tenebre opprimenti, che quasi gli impedivano di respirare, il silenzio tanto intenso da squarciarsi ad ogni suo respiro e, quando sentiva la vita scivolare lontano, quella voce totalmente priva di emozioni o rimorso, che scavava nella sua mente per abbattere le convinzioni su cui si basava la sua stessa esistenza. Sapeva che, da qualche parte nel suo animo, si nascondeva ancora un timido bagliore di speranza e orgoglio, ma aveva perso da tempo la strada per ritrovarlo. Un’emozione a cui era più facile abbandonarsi aveva cominciato a sbocciare nel suo petto, sommergendolo con una gelida furia che era pronto a sfogare su chiunque gliene avesse dato la possibilità. Incatenato mani e piedi contro una pietra gelida e torturato senza nemmeno comprenderne il motivo, lui aveva imparato a odiare. Odiava la costante immobilità a cui era costretto, odiava quelle mani callose che gli procuravano dolore con le armi e la magia. E, sopra ogni altra cosa, odiava il viso di fanciulla di cui non ricordava il nome, che talvolta lo tormentava come il suo aguzzino non era mai riuscito a fare, perché, per lui, quei lineamenti aggraziati rappresentavano nello stesso istante l’unica idea di salvezza e la disperazione più nera.
Un respiro sibilante più profondo dei precedenti echeggiò nella stanza.
Pur non avendo alcun riferimento per scandire il tempo trascorso tra una visita del suo carnefice e la successiva, gli sembrava di aver goduto di troppi giorni di solitudine e sapeva che presto quel piccolo intervallo di pace sarebbe terminato. Quando sentì i suoi passi, ormai familiari, s’irrigidì all’improvviso, con le mascelle già contratte pronte a soffocare per quanto possibile ogni gemito, dimostrando il retaggio di una fierezza che ormai era scomparsa totalmente dai suoi occhi azzurri velati dalla sofferenza.
- La tua resistenza mi sorprende. – esordì il suo carceriere, con un tono impersonale che smentiva il suo commento, prima di sedersi al suo fianco.
Lui fremette, sorpreso da questo cambiamento nella consuetudine e quasi spaventato: durante i giorni precedenti, l’aveva sentito parlare solo dopo essere stato ridotto in agonia e unicamente con frasi di scherno, atte a fiaccare il suo spirito.
- Cosa vuoi… da me? – gli chiese, faticando non poco ad esprimersi con la voce arrochita per il troppo gridare.
- Voglio la tua resa. Sei pronto a piegarti al mio cospetto?
Invece di rispondere, il prigioniero volse lo sguardo nella direzione in cui aveva intuito la sagoma del suo carnefice.
- Chi sei?
Un leggero sorriso di scherno echeggiò per un attimo nella stanza.
- Ti sei allenato per gran parte della tua vita, per un momento come questo, e ora non riesci nemmeno a riconoscere il tuo nemico?
Il giovane sgranò gli occhi, mentre un lampo di comprensione gli schiariva i pensieri, ottenebrati dalla sofferenza e forse da qualche droga: si trovava prigioniero di un Notturno, l’esponente di una stirpe che tanti anni prima aveva cercato di sterminare la razza umana. La stessa stirpe che i guerrieri della Luce, indipendentemente dal loro rango, avevano giurato di combattere a costo della vita, per garantire alla gente comune un’esistenza di pace e libertà.
- Perché non mi uccidi?
- Non m’interessa la tua morte. Io ti voglio vivo, al mio fianco.
- Mai.
Anche quando era consumato dalla febbre, non lo abbandonava mai la consapevolezza di appartenere alla Luce. Quella certezza e il volto di fanciulla, da cui, nonostante lo odiasse in maniera quasi assoluta, aveva imparato ad attingere un po’ di pace, erano gli unici ricordi della sua vita passata che ancora non erano stati cancellati dal dolore.
Il suo aguzzino non parve turbato dal rifiuto. Dopo averlo tratto dal fodero che portava al fianco, si mise a giocherellare pigramente con il suo lungo coltello, dandogli modo di intuire cos’avesse tra le mani.
- Anche adesso le Tenebre si stanno facendo strada nel tuo animo. Abbandonati ad esse senza paura, smetti di rinnegare la tua stessa essenza, e tutto questo finirà. – gli promise, mentre immergeva la lama del pugnale nel suo braccio.
Un urlo soffocato lo ripagò dal suo gesto.
- Perché? – chiese pazientemente, guardando il suo prigioniero contorcersi sulla pietra su cui era immobilizzato quando gli inferse una seconda ferita e poi una terza – Perché scegli la sofferenza?
- Io… io sono un Guardiano della Luce.
- Lo credi davvero? Sei stato cresciuto per diventarlo, ma in realtà tu appartieni a noi.
Il giovane scosse appena la testa, troppo debole per protestare in maniera più veemente.
- Io… ho giurato che l’avrei protetta… – mormorò, mentre stralci di ricordi ed emozioni si susseguivano senza ordine o coerenza nei suoi pensieri – Che avrei protetto tutti gli innocenti… come lei.
Lo sconosciuto scoppiò in una risata crudele.
- Innocente, dici? E allora perché quando la tua mente si smarrisce nei deliri della febbre pronunci il suo nome come una maledizione? – si chinò su di lui, e all’improvviso il prigioniero desiderò piombare nuovamente nell’oblio, per non essere costretto ad ascoltare le sue parole, per non vedersi sottratta la sola immagine che ancora lo separava dalla completa follia. Quel volto femminile così incredibilmente nitido, perfino quando ogni altro pensiero era offuscato.
Spietata e suadente al tempo stesso, la voce del carceriere s’insinuò nel suo cuore simile al corrosivo veleno di una serpe, riportando alla luce quell’unico ricordo della sua vita da uomo libero che desiderava per sempre cancellare.
- Non rifiutare la verità. Lei se n’è andata senza lasciare traccia, proprio perché sapeva che tu sei un Notturno.
Il suo corpo muscoloso ebbe un sussulto improvviso, mentre le immagini della sua vita si ricomponevano come un mosaico e in un istante comprendeva cosa il dolore gli avesse fatto dimenticare.
- Tu l’amavi. L’amavi come non avevi mai amato nessun’altra, eri pronto a donare la vita per salvarla.
Incapace di ignorare simili parole, il giovane tremava, soverchiato da un’emozione lacerante che non riusciva più a reprimere e, prepotente, invadeva ogni anfratto del suo animo, andando a risvegliare un potere sconosciuto.
- E lei ti ha abbandonato alla schiavitù e alla morte. Ti ha abbandonato per seguire
lui.
La magia s’insinuò improvvisa nelle sue vene, le percorse in un’ondata d’inarrestabile estasi e collera priva di confini, che cancellò ogni traccia dei suoi antichi ideali con il violento desiderio di vendetta, fino a squarciare l’oscurità che lo avviluppava in un’esplosione di un bianco abbacinante, carbonizzando le pietre della cella in cui era rinchiuso.
E, all’improvviso, si ritrovò libero.
Si alzò barcollando, ancora sorpreso dell’immensa energia che ancora adesso scorreva nella sue vene e gli regalava un esaltante senso d’invincibilità ed euforia, per poi volgersi verso il suo carceriere con i muscoli tesi, pronto a combattere per la propria libertà.
- Dimentica quella patetica umana, dimentica ogni insegnamento ricevuto. Tu sei un Notturno. – commentò lui con un sorriso di approvazione, senza dimostrare alcuna ostilità, prima di tendergli la mano destra – Accetta il tuo posto al nostro fianco.
Lentamente, il giovane uomo sollevò il braccio corrispondente fino a stringere le sue dita con le proprie, rinnegando tutta la sua vita.
E quell’ultimo bagliore di speranza scomparve nelle tenebre.

- Allora, quando hai deciso di partire?
Il guerriero con il volto parzialmente coperto da un elmo nero simile a un teschio, che nessuno avrebbe mai ritenuto un adulto che si era appena lasciato alle spalle l’adolescenza, incrociò lo sguardo con quello del suo maestro, un uomo dalla pelle olivastra e le iridi e la chioma neri come le tenebre.
- Il prima possibile. Ho diversi compiti che mi attendono. – rispose, con una voce profonda che avrebbe potuto risultare gradevole, se non avesse contenuto un velo di minaccia.
Era trascorso un anno da quando aveva accettato di schierarsi con i Notturni, per sfuggire alla tortura e poter ottenere la propria vendetta nei confronti di chi l’aveva abbandonato; grazie alla magia che aveva scoperto di possedere, si era ristabilito in pochi giorni, senza tuttavia poter cancellare le cicatrici presenti sul suo corpo e nel suo animo. Con il suo vecchio carnefice come unica compagnia, che gli aveva insegnato a usare al meglio il potere di cui era dotato, aveva affinato le proprie già ottime qualità di spadaccino, fino a diventare un combattente quasi perfetto, guidato da un unico, assillante pensiero.
Come se potesse leggergli la mente, il suo interlocutore lo studiò con attenzione, prima di rompere il silenzio.
- Sei ancora ossessionato da lei?
Gli occhi azzurri del giovane, freddi come il ghiaccio, riflessero un’inespressa minaccia, che tuttavia non bastò a farlo tacere.
- Le emozioni sono pericolose. Quando l’odio per una persona è tanto profondo rappresenta una schiavitù più spietata delle catene.
- Dopo quello che mi hai fatto, Notturno, non sono in grado di provare nient’altro.
L’uomo gli restituì un’espressione impenetrabile. Non gli aveva mai rivelato il suo nome e lui non gliel’aveva mai chiesto.
- Era necessario. Dovevo cancellare ogni frammento del te stesso di un tempo per forgiarti più forte, in grado di accettare la verità e di affrontare chiunque ti si parasse di fronte
- E ci sei riuscito. – commentò con uno strano tono di voce il suo allievo.
- Cosa le farai una volta che l’avrai trovata? È una guerriera della Luce, una nemica del nostro popolo.
Da dietro l’elmo nero esplose una risata di scherno.
- Credi davvero che m’importi qualcosa della guerra tra Umani e Notturni? No, io non ho più bisogno di sciocchi ideali su cui basare la mia esistenza, adesso vivo solo per la vendetta.
- Che sia per ideale o per vendetta, devi ucciderla. Se la lasci in vita e le permetterai di avvicinarsi nuovamente a te, ti renderà un debole.
- Io ho dimenticato cosa sia il perdono. Non avrò pietà di lei.
Il Notturno gli rivolse un cenno d’approvazione, mentre i suoi lineamenti si rilassavano impercettibilmente.
- Era proprio ciò che speravo.
- E non avrò pietà di te. – continuò il giovane guerriero, prima di estrarre la pesante spada che portava alla cintura e, troppo rapido per essere fermato, trafiggerlo profondamente al petto.
- Non ti sembra divertente, che io ti uccida senza mai aver conosciuto il tuo nome? – commentò, mentre gli rigirava la lama nella carne, ma, con suo profondo disappunto, le labbra dell’uomo si tesero in uno strano sorriso, come se la propria morte non lo turbasse e rappresentasse semplicemente un evento già previsto e accettato da tempo, in accordo con i suoi piani.
Lo vide aprire la bocca per sussurrargli le sue ultime parole, mentre un rivolo di sangue scendeva a imbrattargli il mento e il petto.
– Non hai bisogno di nomi… per la tua vendetta… Zaech.

   
 
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