Capitolo 3
Il
Dottor Smith era un uomo di poche parole, lo sapevano bene i vicini. Ma quando
lo vedevano tornare a casa, evento più unico che raro, non potevano fare a meno
di andargli incontro con un sorriso di circostanza e fargli le solite frivole domande
di routine:
‘Come sta?’ oppure ‘Quanto resta questa volta?’ e peggio ancora il blando tentativo del
signor Donovan di ironizzare con un ‘Ha
più capelli grigi dell’ultima volta, si deve fermare!’
Il
Dottore mostrava la sua espressione fredda, non nascondendo affatto le sue
origini scozzesi marcando il suo accento mentre rispondeva con un neutro: ‘Sono stanco per il viaggio’ oppure un
misero: ‘Il bagaglio pesa.’ o ancora
il più brusco ‘Vado di fretta!’ E si
dileguava.
Aveva
ancora indosso la mimetica, quindi era riconoscibilissimo; eppure quel giorno,
nessuno gli era andato incontro nel tentativo di impicciarsi dei fatti suoi e
di questo era grato chissà quale forza misteriosa; o semplicemente erano tutti
in vacanza da qualche parte. Dopotutto Agosto lasciava poche persone a
sciogliersi in città piuttosto che in qualche luogo di villeggiatura marinara o
tra le Highlands scozzesi o ancora dove
cavolo gli pareva.
Aprì
la porta di casa con calma, trascinandosi dentro assieme al borsone militare
prima di abbandonarlo pesantemente poco più in là dell’ingresso. Si chiuse la
porta alle spalle e si trascinò fino al divano in soggiorno, rilassando la
schiena contro lo schienale e chiuse gli occhi, sospirando profondamente.
“John!”
La
sua voce rauca riecheggiò tra le pareti, ma nessuno sembrò rispondergli.
“Johnny!”
Chiamò
di nuovo, con meno calma ed un tono di voce più alto.
Ancora
nessuna risposta.
Il
Dottore si alzò, girovagando un po’ per la casa prima di rendersi conto che
John non c’era. Si trascinò nuovamente in soggiorno, alzando il telefono per
comporre un numero.
Attese
quattro, forse cinque squilli prima che dall’altro lato qualcuno rispondesse
con un allegro:
“Clara!
Sei già tornata?”
Il
Dottore corrucciò le sopracciglia allontanando per un secondo il telefono
dall’orecchio e dandogli uno sguardo torvo prima di riavvicinarlo al volto e
rispondere con un brusco.
“Ho
sbagliato numero. Scusi.”. Riagganciò
subito dopo.
Abbassò
il cordless tenendolo fermo però nel palmo della mano mentre guardava confuso
il display che in quel momento gli mostrava semplicemente il segnale orario e
la data. Mosse il pollice cercando l’ultima chiamata in uscita e rilesse il
numero che aveva digitato.
Si.
Era il numero di cellulare di John. A meno che non lo avesse cambiato con uno
nuovo e la compagnia telefonica avesse riassegnato il vecchio a qualcun altro,
lo facevano. Ma possibile che suo figlio non lo avesse avvertito? Inoltre,
anche la voce che aveva udito era la sua. Non vi era dubbio. Non poteva
confondere la voce di suo figlio con quella di un estraneo.
Mentre
il Dottore si perdeva nelle sue confusioni mentali, il telefono cominciò a
squillare. Sul display illuminato si leggeva lo stesso numero che aveva
chiamato lui in precedenza.
Rispose.
“Pronto?”
“Papà?
Sei a casa?”
Si,
era John. La voce suonava sorpresa, poteva intravedere anche oltre il telefono
il viso sbalordito di suo figlio. Il Dottor Smith sospirò, piegando lievemente
le labbra in un sorriso sprofondando nuovamente sul divano.
“Si.
Dove sei?”
Dall’altro
lato silenzio. Stava per parlare quando finalmente John rispose:
“Ecco…
Cardiff. Con Amy e Rory per il fine settimana. Dammi un paio di ore per tornare
e…”
“No.”
L’uomo lo interruppe.
“Resta
lì. Ci vediamo tra qualche giorno. Resto fino a metà Settembre. Salutami i
ragazzi.”
Ancora
silenzio. Ma nel successivo indistinguibile impeto vocale di John poteva capire
che suo figlio era contento. Il giovane sarebbe tornato a casa il giorno dopo
col primo treno del mattino.
Il
giorno del suo arrivo a casa il Dottor Smith non ci aveva fatto caso, forse per
la stanchezza, forse perché era semplicemente distratto… ma la sua camera da
letto aveva qualcosa di diverso, a cominciare dai testi universitari di
letteratura impilati ordinatamente sulla scrivania, accostati alla parete per
continuare con alcuni indumenti femminili invernali che riempivano per metà il
suo armadio.
Si
grattò la testa distrattamente, ricordando poi che Amy e Rory vivevano lì,
occupando la camera degli ospiti. Probabilmente quelli appartenevano alla
ragazza. Era incredibile quanto spazio richiedessero i vestiti delle donne! Ne
spostò alcuni distrattamente, chiedendosi come avrebbe potuto sistemare la sua
mimetica ormai lavata ed asciugata ed alcuni dei suoi vestiti all’interno di
esso senza rischiare di sgualcire quelli ‘presunti’ di Amy evitando di
incorrere nella sua ira. Si ritrovò però con lo sguardo sorpreso e fisso sulla
giacca nera col risvolto rosso, sul fondo. Aveva dimenticato ci fosse ancora.
Era
la sua vecchia giacca, quella che indossava quotidianamente quando si recava al
lavoro in ospedale. Diceva che era un modo per esorcizzare la tensione e l’aria
pesante del posto, più che altro era una giustificazione al suo alquanto
discutibile gusto nel vestirsi. La prese e la indossò sulla camicia bianca ed
il gilet che già aveva messo su.
Chiuse
l’armadio e lasciò la stanza, ma l’odore di gelsomino che inondava le lenzuola
del letto in cui aveva dormito sembrò non voler sparire dalle sue narici.
John
e suo padre si erano dati appuntamento in un ristorante italiano in centro. Era
caro, ma gli Smith potevano permetterselo.
John
in realtà avrebbe voluto lavorare per mantenersi gli studi, ma suo padre gli
aveva sempre risposto che i guadagni delle missioni gli permettevano di
provvedere a lui ed alle sue esigenze. Su questo il Dottor Smith non prevedeva
alcuna contrattazione. John doveva studiare e pensare al suo futuro, punto.
Quando
John raggiunse il Mancini’s Restaurant, trovò suo padre già seduto al tavolo
con una bottiglia di acqua già vuota a metà ed una fetta di pane sminuzzato tra
le mani, presa dal cestino al centro.
“Scusami,
ho perso la coincidenza alla stazione.”
Il
Dottor Smith si alzò, sorridendo a suo figlio.
“Tranquillo.
Sono appena arrivato anch’io.”
Forse
mentiva, forse diceva la verità. A John non importava. Sentì solo l’impulso
irrefrenabile di abbracciarlo e dargli il bentornato. Gli era mancato
incredibilmente ed averlo lì con lui sembrava un sogno.
La
stretta di John era salda, ma non pressante. Eppure non riusciva ad allontanarsi
da lui; quella del Dottore, invece, era incerta, impacciata e timida.
“Papà…
non ci sai più fare con gli abbracci.”
Risero
entrambi. John per l’emozione, suo padre per il nervosismo.
“Hai
ragione Junior… ormai non credo più di essere una persona da abbracci.”
La
nota triste nella voce del Dottore non era sfuggita a John. Ma entrambi ne
capirono il motivo. Un po’ la mancanza di sua moglie, un po’ le esperienze di
guerra. Il Dottor John Smith era cambiato e non poco.
“Non
chiamarmi Junior, non sono più un bambino.”
John
si allontanò, portando le mani sulle spalle di suo padre. Entrambi avevano gli
occhi lucidi ma privi di lacrime. Gli uomini Smith non piangono mai, non se lo
permettono.
“Sediamoci
Junior, ed ordiniamo. Ho fame di cibo vero!”
Ordinarono
lasagne e arista di vitello con contorno di patate al forno, accompagnato da
vino rosso della casa. Mangiarono parlando del più e del meno, soprattutto del
progredire degli studi di John: a Dicembre avrebbe finalmente finito il suo
lungo percorso. Sei anni, compreso il dottorato.
John
parlò di tutto con tranquillità, senza staccare lo sguardo dal viso di suo
padre. Gli anni lo avevano segnato, le rughe sul volto scavate gli davano
un’età quasi maggiore di quanto in realtà avesse. Gli occhi tristi sormontati da
un paio di aggressive sopracciglia da guerra ed i capelli ormai quasi
completamente grigi gli davano quasi un’aria austera, capace di creare
soggezione negli estranei, ma John sapeva che quella era solo apparenza.
Il
giovane non gli chiedeva mai com’era essere un medico di guerra; non per
disinteresse, ma conosceva abbastanza suo padre per capire cosa gli facesse
male e cosa no. Se voleva parlarne, lo avrebbe fatto lui.
“Quindi…
Clara. E’ la tua fidanzata?”
Il
Dottor Smith sorrise, girando un pezzo di carne con la forchetta senza però
infilzarlo.
John
tossì, cercando di evitare di soffocare con il boccone che quasi gli stava
andando di traverso.
“No!”
Disse subito dopo aver ripreso aria, tossendo un’ultima volta più per
nervosismo che per istinto di sopravvivenza.
“Oh,
andiamo John! Il modo in cui sorridi quando parli di lei! Ti piace!”
John
abbassò gli occhi verso il piatto, corrucciando le sopracciglia e mostrando
un’espressione tanto seria ed intensa da bruciare il tavolo sotto il suo sguardo:
“E’
la mia migliore amica.”
Il
dottor Smith rimase ad osservare suo figlio giocherellare con un lembo del
tovagliolo spiegato sul tavolo accanto al piatto, studiandone l’espressione
prima di infilzare un pezzo di carne e portarselo alle labbra. Ingoiò e portò
alle labbra il bicchiere di vino per berne un sorso.
“Rose…
non l’hai ancora superata. Sono passati anni, John.”
“Non
è questo. Ci siamo feriti a vicenda, ma ormai non provo più nulla per lei.
Solo… non ci riesco. A fidarmi ancora, a lasciarmi andare del tutto. Non sono
capace.”
“Sei
ancora giovane. Avrai altre occasioni per non diventare come me.”
John
tornò a guardare suo padre, gli occhi tristi di quando si perdeva nel ricordo
di River. Erano uguali loro due, con la differenza che John era più a suo agio
con il contatto fisico, forse anche troppo. Ma i loro cuori si capivano come se
fossero collegati. Forse lo erano.
“Sono
contento che resti, papà.”
Il
Dottore ingoiò un’altro boccone, facilitandone la discesa nella gola con un ennesimo
sorso di vino prima di rispondere:
“Una
pausa in attesa della prossima assegnazione. Forse mi mandano in Tunisia. Solo
qualche mese, poi un’altra pausa e di nuovo Afghanistan.”
John
sospirò, posando la forchetta nel piatto.
“Mi
accontento… anche se vorrei di più. Prima o poi dovrai fermarti. Mi manchi.”
“Anche
tu John. Ma… non riesco… a stare fermo in un posto. Dovresti saperlo.”
John
annuì, spostando lo sguardo dal volto del padre e versandosi del vino senza
parlare.
Si.
Loro due erano uguali, non avevano bisogno di parole per capirsi o per dirsi
quanto si amavano, cosa provavano.
Finirono
il pranzo in silenzio, ma senza alcuna tensione. Poi il Dottor Smith pagò il
conto e si diressero verso casa.
**
Mancava
ancora una settimana all’inizio dei corsi, ma Clara aveva deciso di tornare
prima. Adorava passare l’estate a Blackpool, con suo padre e sua nonna nella
sua vecchia casa. Ma quella volta Linda aveva superato il limite, continuando a
discutere delle sue scelte di vita disdicevoli e dandole della irresponsabile per aver infastidito i suoi
amici imponendo la sua presenza in una casa che non le apparteneva.
Ma
cosa ne sapeva Linda della sua vita? Delle difficoltà che affrontava ogni
giorno tra lavoro e studio, di quanto fosse difficile a volte arrivare a fine
mese perché la vita era cara ed il suo stipendio da barista misero?
Non
che suo padre non la aiutasse, anzi… ma Clara voleva essere indipendente!
Non
poteva vivere negli appartamenti del campus perché vi erano regole rigide da
rispettare, compresi gli orari di rientro serali che non combaciavano con
quelli lavorativi; tanto più che per il fine settimana si sarebbe praticamente
ritrovata sola in un campus vuoto, isolata dal mondo. Non una bella
prospettiva.
John,
Amy e Rory erano stati la sua scialuppa di salvataggio. Sapeva che non era
giusto ‘approfittare’, ma John le
aveva chiesto rigorosamente di tornare a settembre e lei… non aveva potuto
dirgli di no. Dopotutto le mancava un anno per la laurea, non aveva intenzione
di proseguire per un dottorato per cui… un solo anno e poi avrebbe trovato un
lavoro, cambiato vita, probabilmente anche cambiato città, libera ed indipendente
per davvero! E non avrebbe gravato sulle spalle dei suoi amici.
Era
mattino presto quando Clara aprì la porta di casa con la copia che John le
aveva dato; da essa pendeva il portachiavi a forma di cabina della polizia che
lui stesso le aveva regalato. Sorrise, con la parola ‘Eleven’ che le si formava
in mente.
Si
chiuse la porta alle spalle, spostando la valigia di lato accanto
all’appendiabiti, sfilandosi la giacca per riporvela su; poi chiamò il nome del
ragazzo ad alta voce.
Nessuna
risposta.
“John!”
Alzò
la voce, ma niente. Probabilmente dormiva ancora. Bene, lo avrebbe svegliato
tirandolo giù dal letto!
Si
precipitò verso le scale, fermandosi quando sentì la porta della cucina
aprirsi.
Si
voltò sorridendo con una mezza giravolta, facendo svolazzare i capelli e le
pieghe della gonna che si gonfiarono scoprendo appena un po’ di più le gambe.
Poi si bloccò: l’uomo che si trovò di fronte, con una tazza fumante tra le
mani, i capelli brizzolati scomposti e la camicia bianca aperta a metà e
sfilata dai pantaloni non era John, almeno non il John Smith che conosceva.
Restarono
a guardarsi immobili per un tempo indeterminato. Pochi attimi, minuti. Il volto
dell’uomo era marmoreo, non traspirava alcuna emozione mentre Clara al
contrario… il cuore impazzito per la paura di aver sbagliato casa misto
all’imbarazzo di una circostanza che le sembrava inappropriata, incapace di
articolare una sola sillaba ed il fastidio di vedersi scivolare dalle dita il controllo
della situazione.
“Clara?!”
Si
voltò nuovamente, con lo sguardo rivolto alla cima delle scale e John che ne
scendeva lentamente, con solo indosso i pantaloncini del pigiama, i capelli
arruffati e la faccia di chi si è appena svegliato.
Di male in peggio!
Ma cos’hanno gli abitanti di questa casa contro la compostezza?
“John!”
Quando
voltò lo sguardo in direzione dell’uomo brizzolato, ormai di lui non c’era più
alcuna traccia, solo la porta della cucina che ormai si chiudeva con un leggero
rumore.
John
portò Clara in giardino, un po’ per svegliarsi meglio lui stesso con l’aria
dolce ed il sole ancora caldo di Settembre a carezzargli la pelle ed un po’ per
far riprendere Clara che sembrava alquanto spaesata.
“Quindi…
quello è tuo padre?”
John
annuì, sorridendo. Clara si lasciò contagiare sorridendo di rimando,
constatando che l’espressione serena del ragazzo era impagabile in quel
momento. Probabilmente non lo aveva mai visto così se non in rari casi.
“Non
ti dispiace stare nella camera di Amy e Rory per i prossimi giorni,vero?”
Si
fermarono nei pressi di un’aiuola posta ai margini del giardino. La staccionata
in legno separava la proprietà degli Smith da quella dei Donovan.
Clara
sospirò incrociando le braccia al petto:
“Certo
che no, John. Ma… forse dovrei cercare un’altra sistemazione. Sai, ci pensavo
durante le vacanze e questa sembra l’occasione giusta per..”
“No!”
La
voce di John sembrò allarmata ed una tonalità più acuta del solito, tanto da
lasciare Clara sorpresa ed impossibilitata a controbattere. Il ragazzo le portò
le mani alle spalle, lasciandole salire poi a circondarle il viso in un tocco
delicato. Abbassò leggermente la schiena continuando:
“Abbiamo
fatto questo discorso milioni di volte e non voglio più rifarlo. Tu resti.
Intesi?”
“Non
è che mi fai restare perché hai intenzione di sedurmi, vero?”
John
si ritrasse come se fosse stato scottato, mostrando la solita espressione
sgomenta ed imbarazzata che tanto divertiva Clara.
“Tranquillo,
scherzavo! Inoltre, so che se anche fosse vero, preferiresti morire piuttosto
che ammetterlo.”
Gli
fece l’occhiolino, sorridendo alla mascella di John che si contrasse in una
morsa serrata.
Clara
allargò le braccia, chiedendo tacitamente un abbraccio in segno di pace al
quale John non potette sottrarsi. Non ci riusciva. La strinse tra le braccia,
posandole un bacio tra i capelli.
Clara
respirò il suo profumo, avvertendo il piacevole calore della pelle di lui quando poggiò il viso contro il suo petto. Poteva
sentire il battito tranquillo del suo cuore, la morbidezza tonica della pelle
di lui a contatto con il suo viso. Inconsciamente strinse l’abbraccio in un
blando tentativo di avvicinare ancora di più il suo corpo a quello di lui, ma
quasi istantaneamente John sciolse la sua presa su di lei, portando nuovamente
le mani sulle sue spalle ad allontanarla dolcemente.
Clara
si sentì stordita, con un improvviso brivido di freddo che attraversò la breve
distanza tra loro e che le si insinuò sotto i vestiti, penetrandole nella pelle.
John invece sorrideva sereno.
Fu
quello il momento in cui videro il Dottor Smith camminare sul selciato con
l’evidente intenzione di raggiungerli. Clara restò in silenzio, osservando il
modo lento ma elegante di camminare dell’uomo. Aveva i capelli ordinati, le
mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni neri, sopra indossava una camicia
bianca con un gilet che si intravedeva sotto quella ormai familiare giacca dal
risvolto rosso. Clara aprì leggermente le labbra smorzando un respiro quando
realizzò che era la stessa giacca che per mesi aveva stipato tra i suoi
vestiti. Capì da chi John aveva ereditato il gusto alquanto particolare per l’
abbigliamento.
“Così…
tu sei Clara.”
L’uomo
si fermò a pochi passi di distanza dai due, porgendo la mano verso la ragazza:
“Dottor
John Smith.”
“…
Clara Oswald.”
Clara
portò istintivamente la mano a stringere quella del Dottore con una presa salda
ma educata. La presa del Dottore invece era delicata, quasi incorporea, ma
calda. Si, la sua mano era piacevolmente calda e morbida.
Ancora
confusa dalla situazione e dalla presentazione, Clara lanciò un’occhiata
perplessa al John più giovane. Lui sembrò cogliere il significato di quello
sguardo rispondendo con una scrollata di spalle ed un semplice:
“Mia
madre ha voluto darmi il suo nome.”
In
altre occasioni Clara avrebbe pensato ad una sorta di egomania, ma conoscendo
la storia di John pensò invece che fosse una cosa dolce. I suoi genitori
dovevano essersi amati molto, ma soprattutto sua madre, per decidere di
chiamare loro figlio con lo stesso nome del marito, doveva esserne stata davvero
molto, molto innamorata. Sorrise.
Fu
il Dottore il primo a sciogliere il contatto delle loro mani, continuando con:
“Se
la cosa ti crea confusione, però, non chiamarmi Mr. Smith, non vado molto d’accordo
con il ‘signore’. Puoi chiamarmi Dottore.”
“Finchè
non lo divento io.” Ammiccò John. Chiaro riferimento al titolo che avrebbe
acquistato dopo la sua laurea.
“Oppure
può chiamare te Junior.”
John
mostrò un’espressione di sdegno, arricciando le labbra in un broncio mentre
rispondeva:
“Non
ci provare! Clara, te lo proibisco!”
Clara
annuì, alternando lo sguardo sui due uomini:
“
Dottore sta bene. Sempre meglio di Mr.Smith.” Poi si rivolse a John con tono
innocente: “ Ma l’occasione mi autorizza anche a chiamarti Eleven più spesso.”
John
arrossì, ma sorrise. Suo padre guardò entrambi con espressione incuriosita
mentre ripeteva mentalmente la parola, ma non chiese nulla a riguardo.
“Quindi…
lei è nell’esercito? E’ un Ufficiale?”
Il
Dottore si irrigidì, stringendo i pugni nascosti nelle tasche. La sua
espressione si indurì, lo sguardo di ghiaccio.
John
smorzò la tensione intromettendosi nella conversazione:
“No
no. Mi sono spiegato male! Mio padre è un Ufficiale Medico, ma non un soldato
vero e proprio. Non quel tipo, almeno.”
Lanciò
uno sguardo a suo padre chiedendogli tacitamente una spiegazione. Clara
mostrava un’espressione confusa mentre cercava di capire l’idea del ‘soldato non soldato’ che John le aveva
posto innanzi. Non aveva familiarità con le questioni militari, ma non poteva
di certo esistere un modo diverso di intendere la parola Ufficiale, medico o non medico che fosse.
Il
Dottore rimase immobile, con lo sguardo privo di emozioni fisso su Clara; la
ragazza si sentiva come gelata, attraversata da cristalli di ghiaccio in tutto
il corpo, una sensazione intensa che le fermò il respiro. Quell’uomo era in
grado di mettere in soggezione con una facilità incredibile, non poteva non
essere un soldato.
“Ho
seguito un addestramento militare.” La voce profonda del Dottore la scosse,
dandole un po’ di calore grazie al fatto che non sembrava trasparire disagio o
rabbia, ma il tono usato dall’uomo era tranquillo. “Alla fine mi hanno dato un
titolo solo per giustificare la mia presenza tra le linee. Sul campo hanno
bisogno di bravi medici, ma hanno anche bisogno di uomini che riescano a
sopportare le varie situazioni in cui si può incappare. E che siano anche in
grado di difendersi se occorre.”
Clara
annuì, rispondendo con un semplice: “Capito.”
Ma
un lieve tremore delle sue labbra la tradiva. Un solo secondo in cui le sue
labbra si piegarono in un’espressione di dubbio che forse John non colse. Ma
suo padre si.
L’uomo
sospirò, portando lo sguardo in un punto indefinito del giardino mentre
riprendeva la parola:
“Quando
ho fatto richiesta per partire come medico di guerra ero troppo vecchio per
arruolarmi, avevo un’unica scelta: volontario. Non era quello che volevo. Ma tramite amicizie influenti ed
un’esperienza giovanile prima dell’università mi hanno aiutato a saltare alcuni
ostacoli. Inoltre, avevo dimostrato di essere un ottimo medico, avevano bisogno
di persone come me. Quando vogliono, possono chiudere un occhio sulle questioni burocratiche. Ho seguito un
addestramento di un anno, periodo in cui ho dovuto rispolverare le mie
conoscenze giovanili sulle milizie ed aggiungere quelle nuove. Ho imparato ad
usare fucili, granate, varie armi; ho imparato l’autodifesa e tutto ciò che mi
sarebbe occorso. Con me c’erano altri medici che seguivano lo stesso percorso,
più giovani; erano dei ragazzini… eravamo partiti in sette. Alla fine dell’addestramento,
dopo la ‘prova finale’ eravamo rimasti
in tre.” La voce del Dottore si smorzò, i suoi occhi sembrarono scurirsi per
una qualche emozione che Clara non era in grado di definire, ma che le fece
sobbalzare il cuore nel petto ed amplificare il senso di colpa che cominciava
ad avvertire. Si rese conto che aveva riportato alla mente dell’uomo qualche
ricordo spiacevole.
“Mi
dispiace… non volevo…”
La
voce di Clara tremava, John le strinse la mano tra le sue.
Il
Dottore spostò lo sguardo sorpreso sul volto della ragazza tornando al presente,
chiedendosi come mai si fosse lasciato andare in quel discorso. Non amava
ricordare o parlare delle esperienze sul campo, eppure lo aveva fatto almeno in
parte. Si schiarì la gola, smuovendo le spalle come per scrollarsi quella
sensazione di pesantezza di dosso.
“Forse
è il caso di rientrare. Abbiamo molte cose da fare oggi, in primis aiutare
Clara a sistemarsi. E John…” L’uomo sospirò: “Va a vestirti!Non sei in piscina
o al mare!”
John
lasciò la mano di Clara, sospirando:
“Agli
ordini… una piscina però potremo anche scavarla in giardino. Pensaci papà!”
Il
ragazzo sorrise, lasciando un bacio sulla tempia di Clara e sussurrandole un
caloroso:
“Bentornata!”
Prima di allontanarsi verso casa a passo svelto.
Clara
lo osservò allontanarsi, sorridendo:
“Suo
figlio è un ragazzo d’oro. E’ stato gentile con me in un periodo non proprio
roseo, gli devo molto.”
Il
Dottore sorrise, come segno che apprezzava quel complimento. Fu la prima
emozione positiva e sincera che Clara vide sul volto dell’uomo. Continuò ad
osservarlo sporgersi verso l’aiuola, strappando una foglia secca da un arbusto;
la rigirò tra le dita tenendola per il picciolo mentre rispondeva:
“E’
un po’ troppo espansivo però. Questo lo porta molto spesso ad essere
frainteso.”
Clara
corrucciò le sopracciglia, avvertendo o immaginando una nota di rimprovero
nelle parole dell’uomo.
“Se
si riferisce al’abbraccio di prima, stia tranquillo. Non ho intenzione di
fraintendere nulla né approfittare della situazione.”
La
voce ironica nascondeva una velata nota di prepotenza, chiaro segno che Clara
era infastidita dall’insinuazione. Il Dottore portò lo sguardo sorpreso sulla
ragazza ritrovandosi con le labbra dischiuse in un’espressione confusa mentre smetteva di giocherellare con la foglia secca. Mosse le
labbra come se volesse parlare, prima di chiuderle e spostare lo sguardo. Abbassò
il braccio voltandosi completamente verso la ragazza trovando finalmente il
coraggio di continuare:
“E’ una cosa che ha ereditato da me. Essere
frainteso.” Il Dottore lasciò cadere la foglia schiarendosi la gola prima di
riprendere parola: “Deve essere il mio accento scozzese.”
Clara
arricciò le labbra in un’espressione incerta rispondendo:
“Voleva
essere una battuta?”
“Bè…
credo di non esserci riuscito…”
Un
lieve colorito roseo si sparse sulle guance dell’uomo, ma tanto bastò a far
rilassare il volto di Clara in un sorriso divertito mentre rispondeva:
“Decisamente
no. Ma posso constatare che John non ha ereditato solo questo da lei. Siete più
simili di quanto sembra.”
Clara
si lasciò scappare una leggera risata che cercò di nascondere girando il viso
di lato. Tornò a guardare il Dottore per un attimo facendogli un cenno col capo
per congedarsi, prima di girarsi e dirigersi dentro casa. Il Dottore rimase in
giardino, lo sguardo fisso sulla schiena della ragazza ed un’espressione
indecifrabile sul viso.
Quando
Clara fu dentro, il Dottore si abbassò a raccogliere la foglia che aveva
lasciato cadere in precedenza. La tenne tra le dita, portandola con se mentre
rientrava anche lui.
Note:
Scrivere
questo capitolo non è stato facile. Non perché non avessi ispirazione, ma perché
la linea che avevo deciso di seguire sta mutando e prendendo vita propria… in
pratica non sono più io a decidere per i personaggi ma sono loro stessi a
decidere di fare quel che cavolo gli pare xD la bozza e l’idea originale di
questo capitolo era infatti totalmente diversa da quella che avete appena
letto. Il risultato… non so come sia, lo ammetto, spero però sia piacevole da
leggere.
Per
quanto riguarda la confusione dei nomi, John (Eleven) resterà John ed il
Dottore (Twelve) resterà il Dottore. Più avanti nella storia spiegherò meglio
il perché di questa scelta.
Sulla
questione militare invece, qualsiasi cosa abbia scritto o scriverò in futuro
proviene da esperienza di vita reale. Ho un conoscente che ha fatto la stessa
scelta ivi descritta da Twelve, per motivi però completamente diversi, ed inserirò
quindi dalla sua esperienza a riguardo stralci di vita. Credo già nel prossimo
capitolo inserirò una parte riguardante la
prova finale dell’addestramento militare del Dottore, e sarà effettivamente
un pezzo di realtà. Spero continuiate a seguire la storia, io continuerò
comunque a scriverla. Grazie a tutti : )