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Autore: Dark_Water    29/03/2015    2 recensioni
AU.
Quando John uscì dalla camera da letto fu accolto da un leggero tintinnio di stoviglie con in sottofondo il chiacchiericcio delicato di due voci allegre e familiari.
“Sono felice che siate qui. Mi siete mancati.”
“Anche tu ci sei mancato. Ci voleva una rimpatriata dopo tutto questo tempo. Manca solo….”
Rory si interruppe forse troppo tardi,lasciandosi sfuggire un pensiero che come un alito gelido di vento si era insinuato tra loro spaccando l’equilibrio che avevano avuto fino a quel momento.
Nei millesimi di secondo immediatamente successivi, Rory si ritrovò un gomito della moglie piantato nel fianco, John invece con la mano ferma a mezz’aria, attraversata da un fremito che si diradò anche attraverso la forchetta che stringeva tra le dita lasciando cadere da essa un piccolo pezzo di bacon sul tavolo.
Amy/Rory - Clara/Doctor...Who?
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amy Pond, Clara Oswin Oswald, Doctor - 11, Doctor - 12, Rory Williams
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Non Brucia Solo La Pelle'
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cap.3

Capitolo 3

 

 

 

Il Dottor Smith era un uomo di poche parole, lo sapevano bene i vicini. Ma quando lo vedevano tornare a casa, evento più unico che raro, non potevano fare a meno di andargli incontro con un sorriso di circostanza e fargli le solite frivole domande di routine:

Come sta?’ oppure ‘Quanto resta questa volta?’ e peggio ancora il blando tentativo del signor Donovan di ironizzare con un ‘Ha più capelli grigi dell’ultima volta, si deve fermare!’

Il Dottore mostrava la sua espressione fredda, non nascondendo affatto le sue origini scozzesi marcando il suo accento mentre rispondeva con un neutro: ‘Sono stanco per il viaggio’ oppure un misero: ‘Il bagaglio pesa.’ o ancora il più brusco ‘Vado di fretta!’ E si dileguava.

Aveva ancora indosso la mimetica, quindi era riconoscibilissimo; eppure quel giorno, nessuno gli era andato incontro nel tentativo di impicciarsi dei fatti suoi e di questo era grato chissà quale forza misteriosa; o semplicemente erano tutti in vacanza da qualche parte. Dopotutto Agosto lasciava poche persone a sciogliersi in città piuttosto che in qualche luogo di villeggiatura marinara o tra le Highlands scozzesi o ancora dove cavolo gli pareva.

Aprì la porta di casa con calma, trascinandosi dentro assieme al borsone militare prima di abbandonarlo pesantemente poco più in là dell’ingresso. Si chiuse la porta alle spalle e si trascinò fino al divano in soggiorno, rilassando la schiena contro lo schienale e chiuse gli occhi, sospirando profondamente.

“John!”

La sua voce rauca riecheggiò tra le pareti, ma nessuno sembrò rispondergli.

“Johnny!”

Chiamò di nuovo, con meno calma ed un tono di voce più alto.

Ancora nessuna risposta.

Il Dottore si alzò, girovagando un po’ per la casa prima di rendersi conto che John non c’era. Si trascinò nuovamente in soggiorno, alzando il telefono per comporre un numero.

Attese quattro, forse cinque squilli prima che dall’altro lato qualcuno rispondesse con un allegro:

“Clara! Sei già tornata?”

Il Dottore corrucciò le sopracciglia allontanando per un secondo il telefono dall’orecchio e dandogli uno sguardo torvo prima di riavvicinarlo al volto e rispondere con un brusco.

“Ho sbagliato numero. Scusi.”.  Riagganciò subito dopo.

Abbassò il cordless tenendolo fermo però nel palmo della mano mentre guardava confuso il display che in quel momento gli mostrava semplicemente il segnale orario e la data. Mosse il pollice cercando l’ultima chiamata in uscita e rilesse il numero che aveva digitato.

Si. Era il numero di cellulare di John. A meno che non lo avesse cambiato con uno nuovo e la compagnia telefonica avesse riassegnato il vecchio a qualcun altro, lo facevano. Ma possibile che suo figlio non lo avesse avvertito? Inoltre, anche la voce che aveva udito era la sua. Non vi era dubbio. Non poteva confondere la voce di suo figlio con quella di un estraneo.

Mentre il Dottore si perdeva nelle sue confusioni mentali, il telefono cominciò a squillare. Sul display illuminato si leggeva lo stesso numero che aveva chiamato lui in precedenza.

Rispose.

“Pronto?”

“Papà? Sei a casa?”

Si, era John. La voce suonava sorpresa, poteva intravedere anche oltre il telefono il viso sbalordito di suo figlio. Il Dottor Smith sospirò, piegando lievemente le labbra in un sorriso sprofondando nuovamente sul divano.

“Si. Dove sei?”

Dall’altro lato silenzio. Stava per parlare quando finalmente John rispose:

“Ecco… Cardiff. Con Amy e Rory per il fine settimana. Dammi un paio di ore per tornare e…”

“No.” L’uomo lo interruppe.

“Resta lì. Ci vediamo tra qualche giorno. Resto fino a metà Settembre. Salutami i ragazzi.”

Ancora silenzio. Ma nel successivo indistinguibile impeto vocale di John poteva capire che suo figlio era contento. Il giovane sarebbe tornato a casa il giorno dopo col primo treno del mattino.

 

 

Il giorno del suo arrivo a casa il Dottor Smith non ci aveva fatto caso, forse per la stanchezza, forse perché era semplicemente distratto… ma la sua camera da letto aveva qualcosa di diverso, a cominciare dai testi universitari di letteratura impilati ordinatamente sulla scrivania, accostati alla parete per continuare con alcuni indumenti femminili invernali che riempivano per metà il suo armadio.

Si grattò la testa distrattamente, ricordando poi che Amy e Rory vivevano lì, occupando la camera degli ospiti. Probabilmente quelli appartenevano alla ragazza. Era incredibile quanto spazio richiedessero i vestiti delle donne! Ne spostò alcuni distrattamente, chiedendosi come avrebbe potuto sistemare la sua mimetica ormai lavata ed asciugata ed alcuni dei suoi vestiti all’interno di esso senza rischiare di sgualcire quelli ‘presunti’ di Amy evitando di incorrere nella sua ira. Si ritrovò però con lo sguardo sorpreso e fisso sulla giacca nera col risvolto rosso, sul fondo. Aveva dimenticato ci fosse ancora.

Era la sua vecchia giacca, quella che indossava quotidianamente quando si recava al lavoro in ospedale. Diceva che era un modo per esorcizzare la tensione e l’aria pesante del posto, più che altro era una giustificazione al suo alquanto discutibile gusto nel vestirsi. La prese e la indossò sulla camicia bianca ed il gilet che già aveva messo su.

Chiuse l’armadio e lasciò la stanza, ma l’odore di gelsomino che inondava le lenzuola del letto in cui aveva dormito sembrò non voler sparire dalle sue narici.

 

John e suo padre si erano dati appuntamento in un ristorante italiano in centro. Era caro, ma gli Smith potevano permetterselo.

John in realtà avrebbe voluto lavorare per mantenersi gli studi, ma suo padre gli aveva sempre risposto che i guadagni delle missioni gli permettevano di provvedere a lui ed alle sue esigenze. Su questo il Dottor Smith non prevedeva alcuna contrattazione. John doveva studiare e pensare al suo futuro, punto.

Quando John raggiunse il Mancini’s Restaurant, trovò suo padre già seduto al tavolo con una bottiglia di acqua già vuota a metà ed una fetta di pane sminuzzato tra le mani, presa dal cestino al centro.

“Scusami, ho perso la coincidenza alla stazione.”

Il Dottor Smith si alzò, sorridendo a suo figlio.

“Tranquillo. Sono appena arrivato anch’io.”

Forse mentiva, forse diceva la verità. A John non importava. Sentì solo l’impulso irrefrenabile di abbracciarlo e dargli il bentornato. Gli era mancato incredibilmente ed averlo lì con lui sembrava un sogno.

La stretta di John era salda, ma non pressante. Eppure non riusciva ad allontanarsi da lui; quella del Dottore, invece, era incerta, impacciata e timida.

“Papà… non ci sai più fare con gli abbracci.”

Risero entrambi. John per l’emozione, suo padre per il nervosismo.

“Hai ragione Junior… ormai non credo più di essere una persona da abbracci.”

La nota triste nella voce del Dottore non era sfuggita a John. Ma entrambi ne capirono il motivo. Un po’ la mancanza di sua moglie, un po’ le esperienze di guerra. Il Dottor John Smith era cambiato e non poco.

“Non chiamarmi Junior, non sono più un bambino.”

John si allontanò, portando le mani sulle spalle di suo padre. Entrambi avevano gli occhi lucidi ma privi di lacrime. Gli uomini Smith non piangono mai, non se lo permettono.

“Sediamoci Junior, ed ordiniamo. Ho fame di cibo vero!”

Ordinarono lasagne e arista di vitello con contorno di patate al forno, accompagnato da vino rosso della casa. Mangiarono parlando del più e del meno, soprattutto del progredire degli studi di John: a Dicembre avrebbe finalmente finito il suo lungo percorso. Sei anni, compreso il dottorato.

John parlò di tutto con tranquillità, senza staccare lo sguardo dal viso di suo padre. Gli anni lo avevano segnato, le rughe sul volto scavate gli davano un’età quasi maggiore di quanto in realtà avesse. Gli occhi tristi sormontati da un paio di aggressive sopracciglia da guerra ed i capelli ormai quasi completamente grigi gli davano quasi un’aria austera, capace di creare soggezione negli estranei, ma John sapeva che quella era solo apparenza.

Il giovane non gli chiedeva mai com’era essere un medico di guerra; non per disinteresse, ma conosceva abbastanza suo padre per capire cosa gli facesse male e cosa no. Se voleva parlarne, lo avrebbe fatto lui.

“Quindi… Clara. E’ la tua fidanzata?”

Il Dottor Smith sorrise, girando un pezzo di carne con la forchetta senza però infilzarlo.

John tossì, cercando di evitare di soffocare con il boccone che quasi gli stava andando di traverso.

“No!” Disse subito dopo aver ripreso aria, tossendo un’ultima volta più per nervosismo che per istinto di sopravvivenza.

“Oh, andiamo John! Il modo in cui sorridi quando parli di lei! Ti piace!”

John abbassò gli occhi verso il piatto, corrucciando le sopracciglia e mostrando un’espressione tanto seria ed intensa da bruciare il tavolo sotto il suo sguardo:

“E’ la mia migliore amica.”

Il dottor Smith rimase ad osservare suo figlio giocherellare con un lembo del tovagliolo spiegato sul tavolo accanto al piatto, studiandone l’espressione prima di infilzare un pezzo di carne e portarselo alle labbra. Ingoiò e portò alle labbra il bicchiere di vino per berne un sorso.

“Rose… non l’hai ancora superata. Sono passati anni, John.”

“Non è questo. Ci siamo feriti a vicenda, ma ormai non provo più nulla per lei. Solo… non ci riesco. A fidarmi ancora, a lasciarmi andare del tutto. Non sono capace.”

“Sei ancora giovane. Avrai altre occasioni per non diventare come me.”

John tornò a guardare suo padre, gli occhi tristi di quando si perdeva nel ricordo di River. Erano uguali loro due, con la differenza che John era più a suo agio con il contatto fisico, forse anche troppo. Ma i loro cuori si capivano come se fossero collegati. Forse lo erano.

“Sono contento che resti, papà.”

Il Dottore ingoiò un’altro boccone, facilitandone la discesa nella gola con un ennesimo sorso di vino prima di rispondere:

“Una pausa in attesa della prossima assegnazione. Forse mi mandano in Tunisia. Solo qualche mese, poi un’altra pausa e di nuovo Afghanistan.”

John sospirò, posando la forchetta nel piatto.

“Mi accontento… anche se vorrei di più. Prima o poi dovrai fermarti. Mi manchi.”

“Anche tu John. Ma… non riesco… a stare fermo in un posto. Dovresti saperlo.”

John annuì, spostando lo sguardo dal volto del padre e versandosi del vino senza parlare.

Si. Loro due erano uguali, non avevano bisogno di parole per capirsi o per dirsi quanto si amavano, cosa provavano.

Finirono il pranzo in silenzio, ma senza alcuna tensione. Poi il Dottor Smith pagò il conto e si diressero verso casa.

 

**

 

Mancava ancora una settimana all’inizio dei corsi, ma Clara aveva deciso di tornare prima. Adorava passare l’estate a Blackpool, con suo padre e sua nonna nella sua vecchia casa. Ma quella volta Linda aveva superato il limite, continuando a discutere delle sue scelte di vita disdicevoli e dandole della irresponsabile per aver infastidito i suoi amici imponendo la sua presenza in una casa che non le apparteneva.

Ma cosa ne sapeva Linda della sua vita? Delle difficoltà che affrontava ogni giorno tra lavoro e studio, di quanto fosse difficile a volte arrivare a fine mese perché la vita era cara ed il suo stipendio da barista misero?

Non che suo padre non la aiutasse, anzi… ma Clara voleva essere indipendente!

Non poteva vivere negli appartamenti del campus perché vi erano regole rigide da rispettare, compresi gli orari di rientro serali che non combaciavano con quelli lavorativi; tanto più che per il fine settimana si sarebbe praticamente ritrovata sola in un campus vuoto, isolata dal mondo. Non una bella prospettiva.

John, Amy e Rory erano stati la sua scialuppa di salvataggio. Sapeva che non era giusto ‘approfittare’, ma John le aveva chiesto rigorosamente di tornare a settembre e lei… non aveva potuto dirgli di no. Dopotutto le mancava un anno per la laurea, non aveva intenzione di proseguire per un dottorato per cui… un solo anno e poi avrebbe trovato un lavoro, cambiato vita, probabilmente anche cambiato città, libera ed indipendente per davvero! E non avrebbe gravato sulle spalle dei suoi amici.

Era mattino presto quando Clara aprì la porta di casa con la copia che John le aveva dato; da essa pendeva il portachiavi a forma di cabina della polizia che lui stesso le aveva regalato. Sorrise, con la parola ‘Eleven’ che le si formava in mente.

Si chiuse la porta alle spalle, spostando la valigia di lato accanto all’appendiabiti, sfilandosi la giacca per riporvela su; poi chiamò il nome del ragazzo ad alta voce.

Nessuna risposta.

“John!”

Alzò la voce, ma niente. Probabilmente dormiva ancora. Bene, lo avrebbe svegliato tirandolo giù dal letto!

Si precipitò verso le scale, fermandosi quando sentì la porta della cucina aprirsi.

Si voltò sorridendo con una mezza giravolta, facendo svolazzare i capelli e le pieghe della gonna che si gonfiarono scoprendo appena un po’ di più le gambe. Poi si bloccò: l’uomo che si trovò di fronte, con una tazza fumante tra le mani, i capelli brizzolati scomposti e la camicia bianca aperta a metà e sfilata dai pantaloni non era John, almeno non il John Smith che conosceva.

Restarono a guardarsi immobili per un tempo indeterminato. Pochi attimi, minuti. Il volto dell’uomo era marmoreo, non traspirava alcuna emozione mentre Clara al contrario… il cuore impazzito per la paura di aver sbagliato casa misto all’imbarazzo di una circostanza che le sembrava inappropriata, incapace di articolare una sola sillaba ed il fastidio di vedersi scivolare dalle dita il controllo della situazione.

“Clara?!”

Si voltò nuovamente, con lo sguardo rivolto alla cima delle scale e John che ne scendeva lentamente, con solo indosso i pantaloncini del pigiama, i capelli arruffati e la faccia di chi si è appena svegliato.

Di male in peggio! Ma cos’hanno gli abitanti di questa casa contro la compostezza?

“John!”

Quando voltò lo sguardo in direzione dell’uomo brizzolato, ormai di lui non c’era più alcuna traccia, solo la porta della cucina che ormai si chiudeva con un leggero rumore.

 

John portò Clara in giardino, un po’ per svegliarsi meglio lui stesso con l’aria dolce ed il sole ancora caldo di Settembre a carezzargli la pelle ed un po’ per far riprendere Clara che sembrava alquanto spaesata.

“Quindi… quello è tuo padre?”

John annuì, sorridendo. Clara si lasciò contagiare sorridendo di rimando, constatando che l’espressione serena del ragazzo era impagabile in quel momento. Probabilmente non lo aveva mai visto così se non in rari casi.

“Non ti dispiace stare nella camera di Amy e Rory per i prossimi giorni,vero?”

Si fermarono nei pressi di un’aiuola posta ai margini del giardino. La staccionata in legno separava la proprietà degli Smith da quella dei Donovan.

Clara sospirò incrociando le braccia al petto:

“Certo che no, John. Ma… forse dovrei cercare un’altra sistemazione. Sai, ci pensavo durante le vacanze e questa sembra l’occasione giusta per..”
“No!”

La voce di John sembrò allarmata ed una tonalità più acuta del solito, tanto da lasciare Clara sorpresa ed impossibilitata a controbattere. Il ragazzo le portò le mani alle spalle, lasciandole salire poi a circondarle il viso in un tocco delicato. Abbassò leggermente la schiena continuando:

“Abbiamo fatto questo discorso milioni di volte e non voglio più rifarlo. Tu resti. Intesi?”

“Non è che mi fai restare perché hai intenzione di sedurmi, vero?”

John si ritrasse come se fosse stato scottato, mostrando la solita espressione sgomenta ed imbarazzata che tanto divertiva Clara.

“Tranquillo, scherzavo! Inoltre, so che se anche fosse vero, preferiresti morire piuttosto che ammetterlo.”

Gli fece l’occhiolino, sorridendo alla mascella di John che si contrasse in una morsa serrata.

Clara allargò le braccia, chiedendo tacitamente un abbraccio in segno di pace al quale John non potette sottrarsi. Non ci riusciva. La strinse tra le braccia, posandole un bacio tra i capelli.

Clara respirò il suo profumo, avvertendo il piacevole calore della pelle di lui quando poggiò il viso contro il suo petto. Poteva sentire il battito tranquillo del suo cuore, la morbidezza tonica della pelle di lui a contatto con il suo viso. Inconsciamente strinse l’abbraccio in un blando tentativo di avvicinare ancora di più il suo corpo a quello di lui, ma quasi istantaneamente John sciolse la sua presa su di lei, portando nuovamente le mani sulle sue spalle ad allontanarla dolcemente.

Clara si sentì stordita, con un improvviso brivido di freddo che attraversò la breve distanza tra loro e che le si insinuò sotto i vestiti, penetrandole nella pelle. John invece sorrideva sereno.

Fu quello il momento in cui videro il Dottor Smith camminare sul selciato con l’evidente intenzione di raggiungerli. Clara restò in silenzio, osservando il modo lento ma elegante di camminare dell’uomo. Aveva i capelli ordinati, le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni neri, sopra indossava una camicia bianca con un gilet che si intravedeva sotto quella ormai familiare giacca dal risvolto rosso. Clara aprì leggermente le labbra smorzando un respiro quando realizzò che era la stessa giacca che per mesi aveva stipato tra i suoi vestiti. Capì da chi John aveva ereditato il gusto alquanto particolare per l’ abbigliamento.

“Così… tu sei Clara.”

L’uomo si fermò a pochi passi di distanza dai due, porgendo la mano verso la ragazza:

“Dottor John Smith.”

“… Clara Oswald.”

Clara portò istintivamente la mano a stringere quella del Dottore con una presa salda ma educata. La presa del Dottore invece era delicata, quasi incorporea, ma calda. Si, la sua mano era piacevolmente calda e morbida.

Ancora confusa dalla situazione e dalla presentazione, Clara lanciò un’occhiata perplessa al John più giovane. Lui sembrò cogliere il significato di quello sguardo rispondendo con una scrollata di spalle ed un semplice:

“Mia madre ha voluto darmi il suo nome.”

In altre occasioni Clara avrebbe pensato ad una sorta di egomania, ma conoscendo la storia di John pensò invece che fosse una cosa dolce. I suoi genitori dovevano essersi amati molto, ma soprattutto sua madre, per decidere di chiamare loro figlio con lo stesso nome del marito, doveva esserne stata davvero molto, molto innamorata. Sorrise.

Fu il Dottore il primo a sciogliere il contatto delle loro mani, continuando con:

“Se la cosa ti crea confusione, però, non chiamarmi Mr. Smith, non vado molto d’accordo con il ‘signore’. Puoi chiamarmi Dottore.”

“Finchè non lo divento io.” Ammiccò John. Chiaro riferimento al titolo che avrebbe acquistato dopo la sua laurea.

“Oppure può chiamare te Junior.”

John mostrò un’espressione di sdegno, arricciando le labbra in un broncio mentre rispondeva:

“Non ci provare! Clara, te lo proibisco!”

Clara annuì, alternando lo sguardo sui due uomini:

“ Dottore sta bene. Sempre meglio di Mr.Smith.” Poi si rivolse a John con tono innocente: “ Ma l’occasione mi autorizza anche a chiamarti Eleven più spesso.”

John arrossì, ma sorrise. Suo padre guardò entrambi con espressione incuriosita mentre ripeteva mentalmente la parola, ma non chiese nulla a riguardo.

“Quindi… lei è nell’esercito? E’ un Ufficiale?”

Il Dottore si irrigidì, stringendo i pugni nascosti nelle tasche. La sua espressione si indurì, lo sguardo di ghiaccio.

John smorzò la tensione intromettendosi nella conversazione:

“No no. Mi sono spiegato male! Mio padre è un Ufficiale Medico, ma non un soldato vero e proprio. Non quel tipo, almeno.”

Lanciò uno sguardo a suo padre chiedendogli tacitamente una spiegazione. Clara mostrava un’espressione confusa mentre cercava di capire l’idea del ‘soldato non soldato’ che John le aveva posto innanzi. Non aveva familiarità con le questioni militari, ma non poteva di certo esistere un modo diverso di intendere la parola Ufficiale, medico o non medico che fosse.

Il Dottore rimase immobile, con lo sguardo privo di emozioni fisso su Clara; la ragazza si sentiva come gelata, attraversata da cristalli di ghiaccio in tutto il corpo, una sensazione intensa che le fermò il respiro. Quell’uomo era in grado di mettere in soggezione con una facilità incredibile, non poteva non essere un soldato.

“Ho seguito un addestramento militare.” La voce profonda del Dottore la scosse, dandole un po’ di calore grazie al fatto che non sembrava trasparire disagio o rabbia, ma il tono usato dall’uomo era tranquillo. “Alla fine mi hanno dato un titolo solo per giustificare la mia presenza tra le linee. Sul campo hanno bisogno di bravi medici, ma hanno anche bisogno di uomini che riescano a sopportare le varie situazioni in cui si può incappare. E che siano anche in grado di difendersi se occorre.”

Clara annuì, rispondendo con un semplice: “Capito.”

Ma un lieve tremore delle sue labbra la tradiva. Un solo secondo in cui le sue labbra si piegarono in un’espressione di dubbio che forse John non colse. Ma suo padre si.

L’uomo sospirò, portando lo sguardo in un punto indefinito del giardino mentre riprendeva la parola:

“Quando ho fatto richiesta per partire come medico di guerra ero troppo vecchio per arruolarmi, avevo un’unica scelta: volontario. Non era quello che volevo. Ma tramite amicizie influenti ed un’esperienza giovanile prima dell’università mi hanno aiutato a saltare alcuni ostacoli. Inoltre, avevo dimostrato di essere un ottimo medico, avevano bisogno di persone come me. Quando vogliono, possono chiudere un occhio sulle questioni burocratiche. Ho seguito un addestramento di un anno, periodo in cui ho dovuto rispolverare le mie conoscenze giovanili sulle milizie ed aggiungere quelle nuove. Ho imparato ad usare fucili, granate, varie armi; ho imparato l’autodifesa e tutto ciò che mi sarebbe occorso. Con me c’erano altri medici che seguivano lo stesso percorso, più giovani; erano dei ragazzini… eravamo partiti in sette. Alla fine dell’addestramento, dopo la ‘prova finale’ eravamo rimasti in tre.” La voce del Dottore si smorzò, i suoi occhi sembrarono scurirsi per una qualche emozione che Clara non era in grado di definire, ma che le fece sobbalzare il cuore nel petto ed amplificare il senso di colpa che cominciava ad avvertire. Si rese conto che aveva riportato alla mente dell’uomo qualche ricordo spiacevole.

“Mi dispiace… non volevo…”

La voce di Clara tremava, John le strinse la mano tra le sue.

Il Dottore spostò lo sguardo sorpreso sul volto della ragazza tornando al presente, chiedendosi come mai si fosse lasciato andare in quel discorso. Non amava ricordare o parlare delle esperienze sul campo, eppure lo aveva fatto almeno in parte. Si schiarì la gola, smuovendo le spalle come per scrollarsi quella sensazione di pesantezza di dosso.

“Forse è il caso di rientrare. Abbiamo molte cose da fare oggi, in primis aiutare Clara a sistemarsi. E John…” L’uomo sospirò: “Va a vestirti!Non sei in piscina o al mare!”

John lasciò la mano di Clara, sospirando:

“Agli ordini… una piscina però potremo anche scavarla in giardino. Pensaci papà!”

Il ragazzo sorrise, lasciando un bacio sulla tempia di Clara e sussurrandole un caloroso:

“Bentornata!” Prima di allontanarsi verso casa a passo svelto.

Clara lo osservò allontanarsi, sorridendo:

“Suo figlio è un ragazzo d’oro. E’ stato gentile con me in un periodo non proprio roseo, gli devo molto.”

Il Dottore sorrise, come segno che apprezzava quel complimento. Fu la prima emozione positiva e sincera che Clara vide sul volto dell’uomo. Continuò ad osservarlo sporgersi verso l’aiuola, strappando una foglia secca da un arbusto; la rigirò tra le dita tenendola per il picciolo mentre rispondeva:

“E’ un po’ troppo espansivo però. Questo lo porta molto spesso ad essere frainteso.”

Clara corrucciò le sopracciglia, avvertendo o immaginando una nota di rimprovero nelle parole dell’uomo.

“Se si riferisce al’abbraccio di prima, stia tranquillo. Non ho intenzione di fraintendere nulla né approfittare della situazione.”

La voce ironica nascondeva una velata nota di prepotenza, chiaro segno che Clara era infastidita dall’insinuazione. Il Dottore portò lo sguardo sorpreso sulla ragazza ritrovandosi con le labbra dischiuse in un’espressione confusa mentre smetteva di giocherellare con la foglia secca. Mosse le labbra come se volesse parlare, prima di chiuderle e spostare lo sguardo. Abbassò il braccio voltandosi completamente verso la ragazza trovando finalmente il coraggio di continuare:

 “E’ una cosa che ha ereditato da me. Essere frainteso.” Il Dottore lasciò cadere la foglia schiarendosi la gola prima di riprendere parola: “Deve essere il mio accento scozzese.”

Clara arricciò le labbra in un’espressione incerta rispondendo:

“Voleva essere una battuta?”

“Bè… credo di non esserci riuscito…”

Un lieve colorito roseo si sparse sulle guance dell’uomo, ma tanto bastò a far rilassare il volto di Clara in un sorriso divertito mentre rispondeva:

“Decisamente no. Ma posso constatare che John non ha ereditato solo questo da lei. Siete più simili di quanto sembra.”

Clara si lasciò scappare una leggera risata che cercò di nascondere girando il viso di lato. Tornò a guardare il Dottore per un attimo facendogli un cenno col capo per congedarsi, prima di girarsi e dirigersi dentro casa. Il Dottore rimase in giardino, lo sguardo fisso sulla schiena della ragazza ed un’espressione indecifrabile sul viso.

Quando Clara fu dentro, il Dottore si abbassò a raccogliere la foglia che aveva lasciato cadere in precedenza. La tenne tra le dita, portandola con se mentre rientrava anche lui.


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Note:

Scrivere questo capitolo non è stato facile. Non perché non avessi ispirazione, ma perché la linea che avevo deciso di seguire sta mutando e prendendo vita propria… in pratica non sono più io a decidere per i personaggi ma sono loro stessi a decidere di fare quel che cavolo gli pare xD la bozza e l’idea originale di questo capitolo era infatti totalmente diversa da quella che avete appena letto. Il risultato… non so come sia, lo ammetto, spero però sia piacevole da leggere.

Per quanto riguarda la confusione dei nomi, John (Eleven) resterà John ed il Dottore (Twelve) resterà il Dottore. Più avanti nella storia spiegherò meglio il perché di questa scelta.

Sulla questione militare invece, qualsiasi cosa abbia scritto o scriverò in futuro proviene da esperienza di vita reale. Ho un conoscente che ha fatto la stessa scelta ivi descritta da Twelve, per motivi però completamente diversi, ed inserirò quindi dalla sua esperienza a riguardo stralci di vita. Credo già nel prossimo capitolo inserirò una parte riguardante la prova finale dell’addestramento militare del Dottore, e sarà effettivamente un pezzo di realtà. Spero continuiate a seguire la storia, io continuerò comunque a scriverla. Grazie a tutti : )

   
 
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