Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Trick    19/12/2008    7 recensioni
"Se solo, di tanto in tanto, gli uomini si concedessero pensieri un poco più profondi, allora, forse, si renderebbero conto di ammirare un fenomeno molto più intenso di quello che appare ai loro occhi".
Scritta per il prompt .067.Neve della Big Damn Table.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Scritta per la terribile Big Damn Table *ovazioni di sottofondo* sulla quale rischierò, ne sono certa, di essere internata. (Dai, tanto lo sapete cos'è, vero?). Partorita in un pomeriggio particolarmente noioso e... ehm... non fate domande per quanto riguarda la filosofeggiante teoria delle neve. Avevo bevuto troppo caffè.

Non avevo intenzione di postarle nessuna delle shot per la BDT (secondo i miei piani, infatti, avrebbero dovuto starserne chiete nel Livejournal (how! Sono riuscita a farmene uno perfino io!), ma, poverini, questa sembrava dirmi: "No, ti prego, non lasciarmi con tutte le tue storie di serie B, ti prego... postami in un sito serio, ti scongiuro...".

Ad ogni modo (QUI trovate la community di Fanfic100_Ita e, be'... direi basta).

Lascia che nevichi
by Trick

Quando giunge l'inverno, ogni cosa viene ricoperta dalla neve. Fino a quando non sorge il primo, tiepido sole, nasconde tutto dagli sguardi curiosi degli uomini. Ricopre il sottile filo d'erba, la pruriginosa ortica, i semi abbandonati dal vento e l'arida terra bruna. Qualunque cosa essa celi, ad ogni modo, viene chiamata semplicemente “neve“, perché, indipendentemente dal colore della loro pelle e dallo loro provenienza, gli uomini non sanno vedere oltre il suo luccicante candore.
Se solo, di tanto in tanto, si concedessero pensieri un poco più profondi, allora, forse, si renderebbero conto di ammirare nulla più di un prato di sterpaglie immacolato.

°°°°°

Era passato parecchio tempo dall'ultima volta in cui Tonks aveva passeggiato per le strade di Hogsmeade durante le festività natalizie. Ricordava ancora come, durante il suo settimo anno di scuola, gli abitanti del piccolo villaggio avessero deciso di incantare un centinaio di piccole candele e di come queste, galleggiando a mezz'aria senza mai spegnersi, avessero continuato a bruciare indisturbate fino al giorno dell'Epifania.
Stentava a credere che, da allora, fossero già trascorsi cinque anni.
Gli anni successivi al diploma erano stati, per lei, un'inesauribile sequela di impegni e sgobbate e, concentrando tutte le sue forze nel tentativo di diventare, finalmente, un'Auror qualificata, non era mai riuscita a trovare il tempo sufficiente per prendersi un pomeriggio libero.
Ora che era distaccata dal Ministero della Magia e aveva il compito di sorvegliare Hogwarts, pensava fra sé e sé, avrebbe perfino avuto l'occasione di bearsi dello scintillio di Hogsmeade, ma, com'era logico, i tempi erano quello che erano.
Naturalmente, nessuno aveva trovato necessario disturbarsi per rendere più natalizia e meno cupa l'atmosfera e, non fosse stato per la neve che aveva ricoperto il villaggio e continuava a scendere a grossi fiocchi, nessuno avrebbe giurato fosse il giorno della Vigilia. Pareva che la guerra, alla fine, fosse riuscita a strappare loro perfino il desiderio di festeggiare il Natale.


Massaggiandosi stancamente le palpebre stanche, Remus si ritrovò a pensare all'ultima volta in cui aveva potuto osservare il paesaggio innevato di Londra dalle finestre opache del Paiolo Magico. L'anno prima, per la prima volta dopo tanti Natali trascorsi in compagnia di un whisky solitario, si era convinto che, forse, qualcosa sarebbe potuto migliorare. Per la prima volta, dopo tanti giorni di sconforto, si era illuso di potersi deliziare, di nuovo, di quell'atmosfera familiare e felice, delle sue luci e della sua magia. Troppo presto, tuttavia, dovette rendersi conto di quanto effimere fossero quelle speranze.
Lanciò una labile occhiata ai Babbani che, camminando trafelati per le strade di Londra, si affrettavano a fare gli ultimi acquisti prima della mattina di Natale. Sorrise mestamente pensando a quanto, nella loro inconsapevole diversità, fossero fortunati. Nessuna guerra, difatti, pareva incombere nei loro volti sorridenti e spensierati. Nessuna preoccupazione se non, forse, quella di non acquistare in tempo gli ultimi regali o, chissà, di non trovare una rosticceria aperta per comprare il tacchino del pranzo.
Afferrò la bottiglia di quel pessimo scotch scozzese che aveva acquistato a Diagon Alley e si riempì generosamente il bicchiere.
Se ne rimase seduto accanto alla finestra per ore, ingoiando alcol scadente e osservando i passanti salire sugli ultimi autubus della giornata. Di tanto in tanto, alzava il bicchiere dinanzi a sé e, flebile, mormorava: «Buon Natale, Londra».

°°°°°

Inarcando diffidente un sopracciglio e afferrando la propria bacchetta, Remus si avvicinò con estrema cautela alla porta. Lanciò un'occhiata all'orologio abbandonato sul treppiedi accanto all'entrata, domandandosi chi mai, fra coloro che conoscevano il suo temporaneo alloggio, potesse aver deciso di fargli visita a quell'ora tarda.
Circospetto, appoggiò l'orecchio alla superficie di legno e intimò con decisione: «Parola d'ordine».
La voce da cui ottenne risposta era, fra tutte quelle che avrebbe potuto riconoscere, probabilmente la meno aspettata.
«...parola d'ordine?» chiese stupita Tonks. «Molly non mi ha detto che serviva una parola d'ordine».
«Non dovresti essere qui» le disse.
«E invece, ci sono» rispose vagamente lei, mordicchiandosi nervosa il labbro inferiore. «Mi fai entrare?».
«No».
«Perché?».
«Perché non voglio vederti» mormorò addolorato Remus, passandosi una mano sul volto provato. «Ti supplico, non farmi questo».
«Ho freddo, Remus» bofonchiò timidamente Tonks, appoggiando una mano sulla porta e chiudendo istintivamente gli occhi. «Nevicava ancora tanto fuori e... mi sono di nuovo scordata a casa l'ombrello».
La porta si aprì con uno scatto metallico e un rumore stridente di cardini arrugginiti. Sebbene gli occhi duri di Remus sembrassero ammonirla silenziosamente, il mago si scostò di lato e la fece entrare.
«Non dovresti essere qui» ripeté.
«L'hai già detto».
«E tu non mi hai ascoltato».
Tonks non rispose. Remus continuò a fissarla come in attesa di risposta qualche istante ancora, prima di voltarle le spalle e sigillare l'entrata con un gesto raffinato della bacchetta. Quando incrociò nuovamente il suo sguardo, pareva invecchiato di dieci anni.
«Cosa ci fai qui, Ninfadora?»
«Tonks» lo corresse apatica lei, osservandolo senza la traccia di un sorriso.
Dopo mesi di ansia e preoccupazioni, finalmente, poteva vederlo con i suoi occhi. Finalmente, era certa che fosse vivo e vegeto, indipendentemente dalle infinite rassicurazioni degli altri membri dell'Ordine della Fenice. Se solo lui glielo avesse concesso avrebbe, perfino, potuto sentire la consistenza della sua camicia e della sua pelle sotto la mano.
È vivo, è vivo, è vivocontinuava a ripetersi, eppure, sebbene lui non potesse essere che tale, pareva che qualcosa nel suo sguardo fosse morto. Vi era in lui, e la consapevolezza di questo mandò una fitta dolorosa al suo cuore, qualcosa di diabolicamente diverso che non riusciva ad individuare.
Quando, l'anno prima, trascorrevano notti insonni chiacchierando davanti allo sfarzoso camino del salotto di Grimmauld Place, capitava che la luce dei suoi occhi si facesse, durante gli argomenti più delicati, insolitamente cupa. La prima volta in cui avevano parlato della sua licantropia, lui le aveva sorriso con quel fare cortese che riservava a tutti, assicurando di esserci ormai abituato, ma, il suo sguardo, improvvisamente malinconico e rattristato, le aveva raccontato ben altra storia.
«Come stai?» tergiversò lei, guardandolo di traverso.
«Bene» rispose atono lui. «E tu?».
Lei annuì debolmente.
«Anch'io» mentì.
Rimasero a fissarsi intensamente per qualche minuto, senza che a nessuno dei due venisse in mente di accomodarsi o, più semplicemente, di allontanarsi dalla porta. Quando Remus trovò la forza di parlare di nuovo, l'imbarazzo raggelante che li aveva avvolti parve sciogliersi un poco.
«Sei fradicia, Tonks. Forse, è il caso che-».
«Cosa ti è successo?» domandò lei, diretta.
Lui la guardò intensamente, corrugando la fronte con espressione confusa.
«A cosa ti stai riferendo?».
«Non sei la stessa persona con cui ho parlato sei mesi fa».
Trasalendo appena, Remus distolse colpevole lo sguardo. Fece un respiro profondo prima di parlare nuovamente.
«Cosa ti aspettavi di trovare?» la interrogò lui, cupo. «Non sono andato a fare una scampagnata».
«Lo so».
«Se lo sai, per quale motivo me lo chiedi?»
Lei gli rivolse uno sguardo afflitto.
«In cosa diavolo ti stanno trasformando, Remus?» mormorò.
Deglutendo a stento e cercando di non incontrare i suoi occhi brillanti, Remus ridacchiò senza allegria.
«Ti avevo detto che sarei potuto diventare pericoloso, Ninfadora. Ti avevo detto che non ero un animale addomesticato con il quale potevi giocare».
Lei lo fissò con gli occhi sgranati.
«È di questo che sto parlando» affermò decisa. «Guardati. Sembra che tu stia perdendo te stesso».
«Quindi, qual'è la conclusione?» sbottò irrequieto lui, allontanandosi da lei e dirigendosi verso la finestra. Afferrò nuovamente la bottiglia di scotch e si riempì il bicchiere. Le mostrò l'etichetta.
«Ne vuoi un goccio?» le chiese gelido.
Lei scosse piano la testa e lui ingoiò tutto in un sorso.
«Di cosa sei stupita, Ninfadora?» continuò infine, tormentato. «Cosa c'è di così difficile nel capire che è questo, maledizione, che sono?».
«C'è che è soltanto la più grande menzogna che ti sia mai raccontato, Remus!» strillò furente lei, avvicinandosi di colpo e afferrando il suo polso prima che potesse stringersi di nuovo attorno alla bottiglia. «Tu non sei come loro...» mormorò, «...ma, diavolo, ti stia convincendo di esserlo».
Di nuovo, Remus si massaggiò stancamente la fronte. Lei prese la sua mano nella sua e lo costrinse a guardarla.
«Qui non c'è nessun lupo cattivo, Remus».
Con una smorfia indispettita, lui scosse il capo.
«Devi lasciarmi stare» scandì con rabbia.
«Non puoi obbligarmi» replicò lei, posando le labbra sulla barba incolta della sua mascella. Gli sfiorò piano il viso, seguendo le scie delle sue cicatrici.
«Non sono io ad obbligarti, Tonks» mormorò laconico Remus. «È tutto quanto».
«Cos'è ”tutto quanto“?»
L'occhiata che lui le rivolse era colma di silenziosa tristezza.
«La gente» rispose brevemente. «Il mondo. Tutte quelle persone che si stanno apprestando a festeggiare la Vigilia di Natale con i propri cari, ridacchiando nell'accogliente serenità delle loro case e-».
«A me delle gente non frega niente» lo interruppe con asprezza Tonks. «Possono fare quello che gli pare, ma non sarà nessuno di loro a decidere della mia vita».
«Esatto» annuì impaziente lui. «Forse non possono ancora decidere della tua vita, quindi... non ti permetterò di perdere il tuo diritto per inseguirmi».
«Il mio diritto?» ripeté sconcertata. «Il mio diritto coincide con il tuo, Remus!»
Lui scosse il capo. «Niente di questo mondo gira mai come vorresti. Non sei tu a deciderne la rotta. È la massa, la gente... a scegliere quando e come arriverà il momento di cambiarla e tu, mi dispiace, ma non puoi fare niente per evitarlo».
Tonks lo fissò intensamente, scuotendo amaramente la testa.
«Come puoi lasciare che siano loro a decidere chi devi essere?».
«Io sono un licantropo, Ninfadora!».
«Ne sono perfettamente consapevole, grazie mille!»
«Come puoi...» riprese lui, stremato. «Come puoi pensare di cambiare un pensiero comune antico, forse, quanto la magia stessa?»
«Non ho mai detto di volerlo cambiare. Ho detto solo di volermene infischiare».
«Non puoi farlo».
«Perché?».
«Perché...» tentò di risponderle, affondando il viso nelle mani. «Perché ne morirei, dannazione, se finissi per farti del male».
Fissandolo con le labbra tremanti, Tonks gli sfiorò timidamente la spalla. Fece scivolare le dita fra le ciocche sempre più ingrigite dei suoi capelli e si sporse lievemente verso di lui.
«Solo per questa notte, Remus» lo implorò lei, avvicinandosi piano alle sue labbra e rabbrividendo nel sentire il suo respiro contro il proprio viso. «Solo per questa notte, fa' finta che il mondo non esista».
Posò fugacemente le labbra sulle sue e lui, lentamente, alzò la propria mano a carezzarle la mandibola.
«Fa' finta che la neve abbia ricoperto ogni cosa».

°°°°°

Quando giunge l'inverno, ogni cosa viene ricoperta dalla neve. Fino a quando non sorge il primo, tiepido sole, nasconde tutto dagli sguardi curiosi degli uomini. Ricopre il sottile filo d'erba, la pruriginosa ortica, i semi abbandonati dal vento e l'arida terra bruna. Qualunque cosa essa celi, ad ogni modo, viene chiamata semplicemente “neve“, perché, indipendentemente dal colore della loro pelle e dallo loro provenienza, gli uomini non sanno vedere oltre il suo luccicante candore.
Se solo, di tanto in tanto, gli uomini si concedessero pensieri un poco più profondi, allora, forse, si renderebbero conto di ammirare un fenomeno molto più intenso di quello che appare agli occhi.
Se solo, di tanto in tanto, decidessero di dimenticare le leggi secondo le quali fanno ruotare il mondo, allora, forse, si renderebbero conto di come entrambi, avvolti nel groviglio delle lenzuola candide e stretti l'uno con l'altra, sembrassero realmente ricoperti di neve.
Per una notte, una soltanto, fa' finta che la neve ci possa rendere invisibili.


   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Trick