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Autore: Ignis_eye    31/03/2015    0 recensioni
Questa raccolta di slice-of-life è un insieme di storie su due licantropi, Elsa e Damiano, cugini protagonisti della storia "Guerra del plenilunio".
In questi racconti sono ancora bambini, e li vedremo alle prese con i problemi del loro piccolo mondo: fatti comuni anche agli umani e altri un po' più... lupeschi.
Combineranno guai e andranno incontro a qualche piccola avventura, diventando i cugini affiatati e complici che tutti conoscono nella storia da cui sono tratti.
Dal primo capitolo:
Passarono ancora qualche minuto a guardare le gocce che si rincorrevano sui vetri bagnati, finché…
«El».
Sapeva che la cugina odiava essere chiamata “El”, perciò sperava di infastidirla e ricominciare a fare la lotta.
«Da!».
Gli rispose lei, stando al gioco esclamando solo le prime due lettere del suo nome.
«Sa!».
«Mi!».
«El-sa sal-sa» la schernì lui.
«Ano!».
Si zittirono tutti e due di colpo. Neanche lo avesse fatto apposta.
«Elsa?».
«Sì?».
«Non mi piace più questo gioco».
Genere: Comico, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Elsa, sei pronta?» domandò Gioia entrando in camera sua.
«Sì» rispose tentando si infilarsi il suo maglioncino blu per la millesima volta. Ci provò in tutte le maniere, ma l’unica cosa che ottenne fu di incastrarselo in testa.
«Uffa».
La madre ridacchiò perché quel maglioncino era il suo preferito, e sebbene le andasse leggermente stretto di collo, Elsa non voleva sentir ragioni: quel maglione voleva e quel maglione indossava.
Così, conscia di non poter convincere quella testa dura di sua figlia a cambiarlo, l’aiutò a infilarselo, allargando con delicatezza il buco per la testa.
«Ecco fatto. Adesso siamo pronte per il tocco finale, vero?».
Alla bambina si illuminarono gli occhi.
«Sì, che bello!» prese la mamma per mano e la portò nella camera dei genitori «Forza, mamma, prendili!».
«Un attimo» la tranquillizzò sorridendo «aspetta un secondo».
Si sedette davanti allo specchio, si mise un filo di matita sugli occhi e un po’ d’ombretto sulle palpebre. Sistemò qualche ciocca castana dai riflessi ramati e passò il rossetto sulle labbra, il tutto mentre Elsa guardava con i gomiti appoggiati al letto.
«Io ho finito, adesso siamo proprio pronte per il tocco finale!».
Risvegliò in un secondo la curiosità di Elsa, che seguiva passo passo quello che faceva: Gioia aprì il secondo cassetto del comò, tirò fuori due scatoline di velluto e le poggiò davanti allo specchio.
Aprì la prima: conteneva due orecchini a goccia con incastonati un paio di rubini. Li indossò e annuì alla sua immagine riflessa, come per approvare l’outfit di quel giorno.
Fece per aprire anche la seconda, ma venne fermata dalla figlia:
«Mamma, i miei me li metto io».
La bambina, intraprendente, tirò fuori due orecchini di oro bianco che sorreggevano ognuno un rubino dal colore molto intenso.
I licantropi, per ostentare l’appartenenza ad un clan, sfoggiano dei gioielli: il clan di Elsa e di sua madre era quello delle Desdemoni, licantrope guerriere e la loro pietra-simbolo era il rubino.
I figli prendendo il cognome del genitore dello stesso sesso, fanno parte del suo clan, perciò la piccola licantropa aveva un gioiello diverso da quello del padre, un Mercanti, il quale portava un anello con smeraldi.
«Come sto?» chiese pavoneggiandosi «Vero che anche io sembro una guerriera?».
«Elsa, tu sei una guerriera. In formato tascabile».
«Mamma!» si lamentò ridacchiando «Non è vero!».
Gioia cercò di sistemarle i capelli riccioluti che però tornavano come prima ogni volta che la piccola licantropa spostava la testa mentre rideva. Quella chioma indomabile era proprio come la sua bambina, sembrava che riflettesse il suo carattere: testarda, un po’ prepotente ed energica, ma per quanto quei capelli fossero disordinati non apparivano mai trascurati, anzi, era la loro bellezza.
«Dai che il papà è già là che ci aspetta. Mettiti il giubbino e la sciarpa».
«Ma mamma, io non ho freddo» si lamentò la piccola.
«E’ gennaio e gli umani hanno freddo, dobbiamo vestirci come loro» le ricordò «quindi vestiti pesante».
Elsa, svogliata, si strinse la sciarpa di lana attorno al collo, lamentandosi perché pizzicava. Se doveva per forza metterla, che fosse comoda almeno!
Sbuffando seguì la mamma che usciva di casa e salì in macchina, sedendosi dietro, sul seggiolino. Altra cosa che non le andava a genio, tra le altre. Si domandava come mai dovesse ancora usarlo nonostante avesse già ben sei anni.
«Elsa» la riprese Gioia, prevedendo già quel che avrebbe detto «devi stare sul seggiolino finché non sarai abbastanza alta».
Sbuffò.
Anche questa volta aveva vinto lei, ma prima o poi l’avrebbe convinta a togliere quell’aggeggio.

 

 
L’assemblea si teneva nella villa di un licantropo di nome Mario , un imprenditore locale molto ricco.
Almeno una quarantina di persone tra licantropi e nani occupava il pianterreno discorrendo del più e del meno, in attesa che arrivassero tutti.
Tra loro, uno solo attirò l’attenzione di Elsa.
«Damiano! Ciao!» urlacchiò allegra correndogli incontro.
«Ciao!».
Aveva accettato così di buon grado di andare alla riunione solo perché ci sarebbe stato anche suo cugino Damiano, figlio del fratello di suo papà.
«Guarda, ti piace il mio anello con lo smeraldo?» chiese tutto orgoglioso «Il mio papà me lo ha comprato apposta».
«Che bello!» disse meravigliata dalla sua brillantezza «Questi invece sono i miei orecchini».
«Mi piacciono, ma la mia pietra è più grande delle tue».
«Eh?». Elsa sentiva già il tic nervoso all’occhio sinistro.
Come osava dire che erano piccole? E poi lo sapevano tutti che i rubini valgono di più degli smeraldi.
Stava per ingaggiare battaglia ma sua madre la fermò, dicendole che la riunione dei grandi stava per cominciare e che loro due sarebbero dovuti andare fuori con gli altri.
Fuori in giardino li aspettavano altri quattro bambini, due licantropi e due nani. Stavano giocando a pallone o meglio, i bambini-lupo giocavano: forti della loro superiorità fisica, tenevano il controllo della palla da quando avevano iniziato, facendo arrabbiare non poco i bambini nani già permalosi di natura.
Una volta suo papà aveva detto che sono così suscettibili perché la loro grande personalità non ci sta nel loro piccolo corpo e in qualche modo deve pur uscire. Sua madre gli aveva lanciato un’occhiataccia assassina ma Elsa non capì perché: il ragionamento di suo papà le sembrava sensato.
“Credevo fossero molto più piccoli” pensò la piccola licantropa, che non aveva mai visto dei nani bambini “Chissà se possono saltare, con quelle gambe così corte…”.
«Elsa, andiamo a giocare anche noi» propose. Dalla sua bocca uscì una nuvoletta di fumo, complici il freddo invernale e la sua temperatura corporea più alta del normale.
«Sì. Stiamo in squadra insieme?».
«Va bene».
I loro amici li accolsero subito passando loro la palla, ma i due nani li fulminarono con lo sguardo: ne avevano già abbastanza con due licantropi, quattro erano decisamente troppi.
«Che ne dite se cambiamo gioco?» chiese uno dei due, il maschietto.
«Ok, cosa vi va di fare?».
«Giochiamo a nascondino» propose Damiano.
«E noi due giochiamo con le Barbie!» trillò allegra l’altra nana rivolta ad Elsa.
«No!» si affrettò a dire. Era allergica alle bambole, a meno che non fosse il suo bambolotto di Zorro, allora andava bene.
«Uffa! Ma io voglio giocare con la mia Barbie!».
 
«Elsa, ricordati una cosa» disse sua madre mentre parcheggiava «Ci saranno dei bambini nani della tua età. Fai la brava con loro, questa riunione è importante».
La piccola incrociò le braccia un po’ stizzita.
«Ok».
«Sicura?» si raccomandò Gioia guardandola dallo specchietto retrovisore.
«Sì».
 
Memore della discussione con la mamma, Elsa guardò il cugino con occhi imploranti, come per dire “fai qualcosa, aiutami!” ma Damiano era già a giocare a nascondino con gli altri, lasciandola sola assieme a quella piaga.
«Va bene» acconsentì svogliata.
«Sì, evviva!».
La guidò sotto il portico, dove aveva lasciato due bambole su una sedia in ferro battuto. Una era una Barbie “magia d’inverno” e l’altra “veterinaria” come le spiegò la smorfiosetta.
La obbligò a giocare facendo delle stupide scenette in cui il cavallo della “magia d’inverno” si azzoppava e la “veterinaria” lo guariva.
Prima che perdesse la pazienza, sentì parlare sulle scale che portavano al pianterreno, capendo al volo che la riunione era terminata e lei era salva.
Si alzò in un secondo e schizzò dentro, lasciando sola la bambina, che non avendo un udito fino come il suo, si domandava come mai se ne fosse andata.
«Mamma!»
«Allora Elsa, com’è andata? Ti sei divertita?».
«No».
Si aspettava una certa schiettezza da parte della figlia, non avrebbe dovuto farle una domanda simile. Sperò che nessuno l’avesse sentita o che almeno nessuno ci avesse fatto caso.
«Voglio andare a casa».
«Certo, abbiamo quasi finito. Altri cinque minuti e poi andiamo» assicurò la madre.
Elsa scrollò le spalle: con gli adulti ci voleva pazienza, non erano mai stanchi di annoiarsi con questioni inutili.
Si allontanò per uscire di nuovo ma un nano le si parò davanti all’improvviso. Lei lo guardò storto, curiosa.
Li aveva visti da lontano prima della riunione e pensava che da vicino fossero un po’ più alti.
Si sbagliava.
“Neanche i loro grandi sono alti” pensò “Scommetto che neanche loro corrono veloce”.
«Ciao, come ti chiami?» chiese con semplicità «Io sono Elsa Desdemoni e quella là in fondo è la mia mamma».
«Io mi chiamo Marcus, bambina» rispose con un ambiguo sorriso.
«Cosa vuoi?» disse con tranquillità.
Il nano la guardò un po’ stranito, la sua schiettezza era disarmante. Si ricompose e si lisciò la barba riccioluta.
«Ho visto che hai dei bellissimi orecchini» cominciò «io non ne ho mai avuti di così belli».
I denti storti e il ghigno che aveva in faccia non aiutavano Elsa a trovarlo simpatico. Sorrideva come se stesse per farle un brutto scherzo.
Vedendo che la bambina non rispondeva nulla, andò avanti.
«Che ne dici di scambiarli con questo bellissimo portachiavi?».
Tirò fuori dalla tasca un gingillo di acciaio con una pallina di plastica multicolore piena di brillantini.
La piccola licantropa lo guardò ancora peggio, non sapeva se stesse scherzando o se fosse serio.
«Allora? Ti piace?».
«No».
E nemmeno lui le piaceva, anzi, la sua smorfia sorridente la inquietava non poco e il naso a patata faceva somigliare il suo viso a una caricatura.
Alla risposta negativa, il nano corrucciò la fronte e inarcò le folte sopracciglia nere.
«Ma come no? Non vedi quanto è bello?».
«A me non piace» tagliò corto la piccina incrociando le braccia «Non lo voglio, è brutto».
A quel punto Marcus gonfiò il petto, quasi offeso, e il viso gli diventò rosso come un pomodoro. Insistette ancora qualche volta avvicinando sempre di più il piccolo portachiavi al viso della piccolina, finché questa perse la pazienza e gli puntò il dito contro.
«Smettila, ti ho detto che è brutto!».
«Ma cosa dici! Scambialo con i tuoi orecchini, farai un affare!».
«Sei un fascista!» esplose lei, rossa di rabbia.
Tutti tacquero all’istante e si voltarono verso i due. Dove aveva sentito quella parola? Nessuno lo sapeva e lei nemmeno era cosciente del significato di “fascista” ma le pareva che fosse una brutta parola, una di quelle che non si dovevano mai dire. E quello era il momento giusto per spararle grosse.
«Non mi piace il tuo portachiavi, mi fa schifo!».
«Piccola maleducata!» esclamò il nano «Come ti permetti!».
Gioia si frappose tra i due per evitare una discussione inopportuna e, soprattutto, ridicola.
«Sua figlia è una gran maleducata!» urlava paonazzo in viso «E’ così che voi licantropi allevate i vostri figlia?!».
Gioia, tirata in causa, stava per ribattere ma la bambina fu più veloce.
«E tu sei un imbroglione!».
«Cosa?!».
«Sì, volevi imbrogliarmi!» lo accusò. Poi, rivolta alla madre, disse:
«Mamma, voleva i miei orecchini! Voleva darmi il portachiavi!».
A quel punto la folla si fece più vicina, irritata e divertita dal bisticcio. Per fortuna il padrone di casa riuscì a sedare gli animi e a calmare le due parti, altrimenti sarebbe potuto scoppiare un putiferio.
Gioia prese da parte la figlia e la rimproverò.
«Ma ha cominciato lui!» sbottò paonazza.
«Non mi interessa chi ha cominciato, non devi dire quelle parole» ordinò con fermezza «soprattutto quando siamo in riunione con dei nani» aggiunse abbassando la voce.
Elsa incrociò le braccia, arrabbiatissima.
Lei non aveva fatto nulla di male! E per di più, aveva sentito alcuni licantropi che parlavano di quanto i nani fossero approfittatori e meschini.
Nessuno se l’era presa con lei e ciò voleva dire che erano d’accordo. Aveva capito che nessuno li sopportava, non comprendeva però perché nessuno lo dicesse apertamente.
Era ancora troppo piccola per capire la diplomazia.
Dopo poco arrivò suo padre con uno sguardo serio ma non cattivo, anzi, quando Gioia si fu allontanata per scusarsi con i nani, le sorrise.
«Elsa, dove hai sentito questa parola?».
«In televisione» rispose sincera «un signore lo diceva a un altro mentre litigavano».
Lui annuì e si sedette sulla panca, accanto a lei.
Sapeva che la figlia non aveva colpe, semplicemente era piccola e con poca pazienza. Avrebbe dovuto stare più attento e tenerla d’occhio, invece si era distratto e aveva chiacchierato con gli altri uomini.
La vide un po’ mogia e le accarezzò la testina riccioluta strappandole un sorriso.
«Certo che questi nani sono suscettibili…» disse il padre sottovoce.
«Sarà che la loro grande personalità non ci sta nel loro piccolo corpo».
E scoppiarono a ridere insieme.









Angolo dell'autrice:
Eccomi con il secondo (e forse penultimo) capitolo!
Ci ho messo un sacco ad aggiornare ma tra altre storie e impegni vari è difficile scrivere con costanza.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto:)


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