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Autore: FightClub    20/12/2008    7 recensioni
“Non volevo.. lo giuro, non volevo.. “
Singhiozzò il biondo, prendendo ancora la mano sana sulla ferita aperta del braccio.
E scuoteva il capo, strizzando gli occhi. La testa rivolta leggermente indietro. Disperato.
“Sei stato tu?” La voce di Roy Mustang tremò per un attimo come non gli succedeva da tempo, mentre guardava il sangue esplodere copioso.

-Aggiungi 2° capitolo-
Genere: Drammatico, Mistero, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Elric, Roy Mustang
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti
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Arrancando, ci si rende conto, quanto il camminare, perfettamente dritti ed in piedi sia utile e gratificante. Ci si rende soprattutto conto che le strade di qualsiasi città, anche le più pulite, sono tappezzate di uno strato non troppo spesso di gas e smog insopportabili da respirare. Non tanto perché nocivi, quanto perché nauseabondi. Per non parlare del fatto che, girare per la città, di notte, senza un cane per strada, e con due ferite aperte che buttano sangue, non aiutano di certo a non infettare la salute già precaria. E la cosa divertente. Era che non aveva idea di come fosse arrivato a quel punto. Perché ricordava a mala pena di essere tornato a casa.
“Casa”.
Diciamo che era tornato nella piccola casetta affittata a primo piano di una palazzina di Central City. E si era reso conto di essere tanto stanco e infastidito dalla giornata nuovamente persa, che aveva del tutto smarrito il senno. Perché non era tanto il “cosa” fare. Era quel groppo in gola che rimaneva, ogni giorno, quando tornando a casa, vedeva Al, sorridente e felice, nel suo nuovo corpo tutto nuovo e brillante. Lo aiutava. Gli ricordava ogni stramaledetto giorno che andando in biblioteca, trovava interessanti notizie. Che ci erano vicini. Che non doveva preoccuparsi, perché, sarebbe anche arrivato il suo turno. Perché tutti prima o poi, nella vita, vengono ripagati del dolore subito.

E più, giorno dopo giorno, lo ripeteva, più la voglia di sparire, di picchiare selvaggiamente qualcosa o qualcuno, lo assaliva ogni notte. Nei sogni, si lasciava andare allo spirito animalesco che lo attanagliava. Sognando di uccidere, di ammazzare, di squartare, chiunque si facesse vivo. Non avrebbe mai ammesso, che una volta, anche se una soltanto, la vittima di tanta crudeltà, era stato proprio il fratellino. Sorrideva. E nel sogno, continuava a sorridere pure mentre veniva ucciso a suon di pugni. Ma solo pugni. Per bearsi di sentire le ossa della mano ancora di carne, rompersi insieme alla mandibola degli assassinati. E la mattina, quanto meno, il risveglio era piacevole. Si sentiva beato dell’avere avuto l’onore di spaccare la faccia ad un paio di persone.
Era proprio quello stramaledetto ritorno a casa che non gli calava giù. Per carità, oltre al nervosismo, il cuore era anche ricolmo di gioia nel riavere accanto il fratellino tornato normale. Il risentire il calore vicino di lui. La voce non più metallica ma normale. E pure se era decisamente più alto di lui. Non gli importava. Erano quei due arti da bambola che lo riempivano di rabbia. Ogni giorno. Ogni volta che studiando, facendo prove ed esperimenti, credeva di avere trovato una soluzione, e invece faceva un passetto indietro. Era la rabbia, nel non provare dolore, se per sbaglio toccava una pentola bollente. O qualcuno gli pestava accidentalmente il piede. Era quel non sentire nulla che lo stava facendo uscire fuori di testa. E la goccia che fece traboccare il vaso, fu proprio quando, al ritorno da un'altra giornata passata al quartier generale, a studiare, entrando in casa si indirizzò alla propria stanza. Inciampò, involontariamente, in una scarpa lasciata per terra e nel tentativo di recuperare l’equilibrio, si aggrappò alla libreria davanti a se. Ma questa gli cadde di sopra e lui, nel vano tentativo di salvarsi la pelle, cadde a terra. Ma non c’era da preoccuparsi. Proprio per quella che si chiama fortuna, fini soltanto il braccio di metallo sotto la scaffalatura.
“Sei stato fortunato”. Già le sentiva le parole di Al, o di Winry. “Vedi, forse non è tanto male avere un braccio come il tuo .. no? Immagina ne avessi avuto uno di carne.. sai che dolori?” E poi avrebbe concluso con una risata tranquilla. Per cercare di mostrarsi simpatico con il fratello. Quell’occasione fece scattare una molla dentro la testa del maggiore degli Elric. Era quel “doversi sentire fortunato”. Fortunato di cosa? Di  fare paura ai bambini, quando riuscivano ad intravedere il braccio meccanico?
No, si disse, questa volta , per una volta dopo tanto tempo, era il dolore che cercava. Il disperato bisogno di sentire, e di sapere, che da quel braccio avrebbe sentito nuovamente qualcosa.
Per questo quando cercò di ricordare la successione dei fatti, e si rese conto che il dolore lancinante lo stonava, sorrise felice. Sorrise come avrebbe fatto un folle.

Così, a sangue freddo e cuore caldo e tachicardico, prese la saggia decisione di togliersi tutto. Ma non soltanto il braccio. Davvero tutto.

Partì dalla gamba, strappandola via, insieme alla stoffa dei pantaloni. Urlando per il dolore, e piangendo di gioia, per un dolore che non sentiva da tempo.
E non era come quello del collegamento dei nervi.
Era quello di come quando ti pungi per sbaglio con uno spillo. Soltanto molto più forte.
Il sangue prese a zampillare presto, ad esplodere, del tutto quando riuscì a strappare via tutto. I fili e gli allacciamenti fatti con cura da zia Pinako e da Winry. Tutto. Il sangue si espanse per terra, allargandosi come cerchi nell’acqua. Si, pensò, finalmente dolore. Dolore vero.
Ma non era finita.
Spogliatosi di fretta, con foga della giacca e della camicia, portò la mano sana, sulla spalla metallica, e chinandosi  in avanti, già seduto in terra, preparato al dolore, prese a tirare. Ringhiando i denti. Lasciando che pian piano, percepisse la sensazione della carne che veniva strappata insieme all’arto meccanico. E così, poco dopo, si ritrovò davvero senza più la gamba e senza il braccio.
Era vivo.
Si sentiva vivo finalmente.
Urlava.
Nemmeno se ne era accorto, eppure ora che la mente rimaneva qualche secondo in silenzio riusciva a sentirsi. Stava urlando dal dolore. Ed il sangue intanto, andava ad allargarsi. Come Blob. Un film visto chissà quando giorni addietro. E poi rise, reggendosi il sangue della spalla con la mano sana. Rise e ringhiò. Strizzò gli occhi. Cavolo quanto faceva male. Ma rise nuovamente, buttando un colpo di tosse, e sgranando gli occhi, mentre il volto diventava cianotico. E si guardò intorno. Sangue. Gli automail intorno a lui, con tutti i fili sparsi e galleggianti sul sangue. C’era voluto un anno, molti anni addietro, per installarli, e lui in nemmeno dieci minuti li aveva rotti. Staccati. Strappati.
Sgranò gli occhi.

“Cosa ho fatto?” Un sussurro. Flebile. Di chi con agonia torna per un attimo alla lucidità. Aveva appena distrutto anno intero di sofferenza e duro lavoro. E adesso? Quanto ci sarebbe rivoluto. Avrebbe avuto la stessa forza di superare un nuovo intervento?
E intanto il volto impallidiva sempre di più, mentre la ragione faceva violenza sulla follia manifestatasi. Ed aggrappandosi ad un mobile, cercò di tirarsi su. Arrancava, mentre la tempie pulsavano con forza, a causa del sangue che andava scemando dentro il suo corpo. Non si stava nemmeno premurando di fermare l’emorragia. Acchiappò il primo ombrello che vide, decidendo di usarlo come bastone. Ed arrancò velocemente fuori casa. Salendo in macchina. Guidando. Sapendo già dove andare. Sicuro che di lui si ci poteva fidare.
“Al.. Al non deve saperne nulla.. nono.. lui.. lui risolverà tutto.. nemmeno.. nemmeno si accorgeranno di quello che è successo.. si sistemerà tutto.. Maledizione.. sto.. sto parlando da solo..”
Sfrecciava nel traffico. Curandosi solo di non fare incidenti, complicato visto che la vista prendeva a fare cilecca e lui, continuava a parlare solo nella vettura. La mano sana andò a cozzare contro il clacson, con rabbia.
“Maledizione, parlo, maledettamente da solo!” Sbottò strizzando gli occhi e lasciando scivolare via lacrime di una lucidità che stava tornando inesorabilmente troppo in fretta.
Girò alla secondo traversa, infilandosi in una stradina buia. Di lì scorse subito l’entrata di servizio della casa in cui si stava dirigendo. Si preparò alla frenata. Già l’accensione, era stata tutto un programma con un piede soltanto. Aveva usato l’ombrello in sostituzione, ficcandoselo nella ferita, visto che l’unica mano rimasta doveva occuparsi di tenerla sullo sterzo.
Ma la lucidità se ne andò via in fretta, e l’ombrello scivolò via in orizzontale.
Frenò direttamente senza premere la frizione. E la macchina inchiodò con un suono rimbombante e lasciando che la fronte andasse a sbattere in avanti.
Ringhiò ancora una volta dal dolore. Mentre il sedile era ormai impregnato di sangue. E le labbra del volto si facevano viola. Le tempie pulsavano, reclamando sangue al cervello.
Ma non sveniva.
“Che cosa ho fatto?!” Piangeva tenendo la testa indietro, lasciando che la coda dei capelli, si sfilacciasse. Singhiozzava.

 

Era appena rincasato. Altra giornata stressante e stancante. Un po’ turbato dall’aria che si respirava in questi giorni al quartier generale. Sarà che una testa bionda con la coda, era rimasto alquanto in disparte da quasi una settimana. Rinchiuso nella camera del laboratorio, come uno scienziato pazzo. Mai l’aveva visto così attivo nello studio. Più di quanto lo faceva quando studiava per il suo fratellino. E forse era anche giusto così. Anche se non ne parlavano, si percepiva che era stanco un po’ dalla sua situazione. E di certo non poteva biasimarlo. Questo è sicuro. L’unica cosa che lo preoccupava erano le poche attenzioni avute. Già era stato divertente scoprire la strana attrazione tra loro. Ma scoprire che già si era spenta lo rendeva appena inquieto. Per questo, preso dai mille pensieri, quando sentì l’improvvisa frenata proveniente dalla porta sul retro, ci mise un po’ per capire proveniva davvero da lì.
Sbuffò.
Già più volte c’erano stati incidenti a causa di quel vicoletto. Che tutti scambiavano per una via, mentre invece non era altro che un vicolo ceco. Ed alcuni erano finiti schiantati contro il muro. Mai nessun morto. Solo tanti spaventi. Come quello che si sarebbe preso da lì a poco. Quando riconobbe subito la macchina di Ed.
Sgranò appena gli occhi riconoscendolo dal finestrino e sgranando gli occhi.
Nemmeno fece il giro per arrivare al lato del guidatore. Si era lanciato dal lato che si presentava, ed aveva aperto lo sportello, catapultandosi dentro la macchina, portandogli due dita al collo. Gesti meccanici. Riconoscendo le labbra violacee di un cianotico.

Fullmetal.. !” Esclamò. Aveva la tachicardia a mille il ragazzo. Il cuore reclamava sangue. Più sangue, che purtroppo andava perdendo troppo in fretta perché se ne potesse rigenerare dell’altro.

 “Non volevo.. lo giuro, non volevo.. “ Singhiozzò il biondo, prendendo ancora la mano sana sulla ferita aperta del braccio. E scuoteva il capo, strizzando gli occhi. La testa rivolta leggermente indietro. Disperato.

“Se stato tu?” La voce di Roy Mustang tremò per un attimo come non gli succedeva da tempo, mentre guardava il sangue esplodere copioso.

Ma Edward non rispose. Serrò i denti ed emise un grugnito. L’uomo preferì tralasciare a dopo le domande, soltanto lo trascinò fuori dall’auto, stringendolo a se, ed entrando in casa, mentre altro sangue continua a sgocciolare ovunque.
“Non dirlo ad Al.. ti prego.. non dirglielo.. “ Mormorò il giovane alchimista mentre veniva adagiato sul letto del colonnello che rimase interdetto a quella frase. Come faceva a nascondere una cosa simile. Ma non disse nulla. Solo corse al bagno, raccattando garze, disinfettante, ago e filo. Tornò con il fiatone. Non per avere fatto chissà quale corsa, ma per il troppo, davvero troppo sangue che Ed stava perdendo in quello stato confusionale in cui si trovava. Pulì le ferite, tamponando con le lenzuola e con degli asciugamani, mentre il bordo frastagliato della pelle della ferita diventava violaceo. Infettato.
“Ed, rimani sveglio, eh?”
Mormorò Roy lanciando uno sguardo supplichevole al ragazzo, che rimase a fissare il soffitto con sguardo vacuo. Le labbra semi schiuse, e lui che continuava a tamponare la ferita della gamba, mentre quella del braccio, sembrava scemare poco a poco.

“Ti giuro che non volevo.. “Mormorò il biondo muovendo di poco la mano sana verso la spalla bendata stretta.
“Che diavolo significa, non volevo?” Sbottò improvvisamente Mustang sgranando gli occhi dalla preoccupazione. “E poi anche.. non... non avessi voluto.. insomma.. “ Scosse la testa ringhiando mentre bendava del tutto il moncherino della gamba e si dirigeva a versarsi del Whisky. Bevve tutto d’un fiato e tornò vicino il letto, osservando Edward ancora cianotico.
Ed…” Chiamò in un sussurro il colonnello fissando il corpo immobile dell’alchimista più giovane. Il petto immobile. Tutto immobile. Nemmeno il sangue fuoriusciva più. Ed il moro si ritrovò ad indietreggiare mentre capiva che quel gesto folle del più piccolo aveva preso la strada più sbagliata che ci potesse essere. Indietreggiò sino a trovarsi dietro le spalle il muro e la paura ed il terrore presero il sopravvento. Come quando in quei film dell’orrore ci si spaventava del cadavere perché si sa che da un momento  all’altro, avvicinandosi, il corpo del morto si sarebbe rialzato improvvisamente destando le urla di tutti. E invece lui indietreggiava. Consapevole che in questo caso. Nessun cadavere si sarebbe rialzato. Nessuno spavento imminente. Un cadavere sul proprio letto.

FIRST END.

SPROLOQUIO:Credo proprio avrò di parlare per molto.
In pratica parlerò più qui che nella storia appena sopra letta da voi, credo.. cioè.. presumo.

Volevo ringraziare le numerose Mail che mi sono arrivate che chiedevano del piccolino che ho dato alla luce di nome Oreste. Questo esserino di 3.22 Kg (della serie questi me li gioco all’otto) è nato sano e forte. Tutto è andata placidamente bene e più passano i giorni più mi rendo conto di amarlo. Povero il mio compagno che si sente messo in disparte. Ma vabè.. ù.ù per ora ho occhietti soltanto per il mio bamboccio, che ho già deciso di crescerlo viziato!
Addirittura m’è arrivata una mail con su chiesto :”Lo chiami Edward?” O__O

D’accordo la passione per i fumetti e per il resto XD ma vi giuro che non ci avrei mai pensato a chiamarlo o Edoardo o Roy o Alfonso XD… il mio Orestino mi basta e mi avanza come nome ù.ù Già ho dovuto fare a botte con la madre del mio compagno che esigeva di chiamarlo come suo marito, dunque il nonno del padre di mio figlio.

Comunque! A parte questo, mi scuso se non ho potuto commentare le fan fic che in questo periodo sono uscite e dunque relativi capitoli. A parte leggerle come storie della buona notte ad Oreste non è che poi rimanesse tanto tempo per commentare eh? Comunque mi premurerò di commentare da oggi in poi, anche perché mi stavo facendo una certa nomina eh?  Ù__ù sono quasi quasi di tutto rispetto ahaha! ^^

Ma passiamo allo strazio di qui sopra.

STORIA: Dunque questo primo capitolo che farà parte di una raccolta di al massimo.. mm.. cinque o sei capitolo, è un modo per “studiare” meglio Ed e il rapporto con la sua “menomazione”
Se così possiamo chiamarla.. poi non vorrei vedermi arrivare addosso pentole °__°

A dire il vero avrei voluto scrivere qualcosa sulla nascita, in onore del mio piccolo.
Ma visto che immaginarmi un Edward con le doglie è alquanto straziante, e di trisha so BEN poco. Ho preferito buttarmi su qualcosa che avevo scritto già da un pezzo.
Dal primo capitolo non si evince troppo di cosa tratta la storia, ma vi assicuro che questa è la prima che scrivo con un senso ù.ù

Ghghg.

.

Vi auguro a tutti buone feste e buone vacanze.

Un bacio da Marina ^____^

 

 

  
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