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Autore: JulesBerry    01/04/2015    1 recensioni
Seguito di "I have finally realised I need your love".
[Prevista revisione - e anche piuttosto urgente, Santo Merlino - dei capitoli già pubblicati.]
- Dal capitolo 26 -
«Ci sono sempre stati troppi cocci di me, sul pavimento. Potresti farti del male tentando di raccoglierli e rimetterli insieme» sfilò la mano dalla presa di Fred, percependola più allentata, e si alzò sotto il suo sguardo attonito. «Non sentirti in colpa se non ce la fai più. Non sentirti in colpa se decidi di aprire quella porta. Fosse possibile, sarei la prima a varcarne la soglia per allontanarmi un po’ da me.»
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Fred Weasley, George Weasley, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Che l'amore è tutto, è tutto ciò che sappiamo dell'amore'
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Capitolo 22


 


Quello che distingue le persone le une dalle altre è la forza di farcela,
o di lasciare che sia il destino a farla a noi


 
Rising fast on my feet, let me breathe, let me speak
I’m at home, I’m alive, both in veins above the size
Crystalline in the dark, all you see is the spark
All you feel, you don’t speak, me and you born to see
Shine a light (Shine a la-la, shine a light)



Non aveva tempo. Non ne aveva affatto. Doveva prendere tutta la sua roba e andarsene, tornare a casa e rinchiudersi dentro, e doveva farlo il più velocemente possibile. Ogni altro secondo trascorso tra quelle mura, in quell’edificio, era potenzialmente pericoloso, e Margaret lo sapeva perfettamente.
Non appena la notizia di ciò che era accaduto quella mattina – proprio all’interno del Ministero – fu giunta all’ufficio che divideva con Cassandra, il primo pensiero che ebbe avuto fu quello, inevitabile e logico, di fuggire. Da diversi giorni rifletteva sulla possibilità di non tornare a lavoro, scartandola però ogni singola volta: la situazione era sì diventata sempre più ostica, ma lei era Margaret Stevens; e Margaret Stevens, nonostante tutto, non mollava alla prima minima avversità. 
Stavolta, invece, era diverso. Tragicamente diverso. Suo cognato era appena scappato dal Ministero della Magia in compagnia di colui che, a tutti gli effetti, era ormai “l’Indesiderabile Numero Uno”, Harry Potter, facendo saltare ogni copertura e mettendoli tutti, definitivamente e irrimediabilmente, a rischio. 
E così, mentre rifletteva su ciò che avrebbe dovuto fare una volta uscita da lì, metteva di fretta e furia nella borsa da lavoro tutto ciò che le apparteneva e che ingombrava quella scrivania: una foto di Alexander – scattata proprio qualche giorno prima –, in cui suo figlio giocava con una delle finte bacchette marchio Weasley che il papà, ridendo, tentava di togliergli dalle mani; un’altra foto, risalente al giorno del suo matrimonio, in cui lei e Fred, abbracciati, sorridevano alla fotocamera, spensierati e felici; la sua piuma preferita, elegantissima, regalatale dai suoi genitori in occasione del suo diciassettesimo compleanno; i suoi due portafortuna, uno di Abbie e uno di George, e infine un’altra foto di suo figlio, appena nato e in braccio a lei, poche ore dopo aver lasciato la Clinica per tornare a casa.
Ad ogni oggetto sistemato dentro quella borsa, sentiva i propri battiti cardiaci accelerare a dismisura. Aveva paura, ne era consapevole, ma non voleva farci caso più di tanto. Semplicemente, perché non poteva permetterselo: l’unica cosa di cui doveva preoccuparsi era andare via il prima possibile e mettere al sicuro i suoi cari.
Una volta certa di non aver dimenticato nulla, alzò lo sguardo su Cassandra, un metro più in là, e ricambiò il suo sorriso amareggiato.
«Che farai, adesso?» le domandò la collega, passandole la giacca.
«Proverò a non farmi uccidere, catturare o quello che sia. Andrò a casa per accertarmi che Alex stia bene e poi andrò ad avvertire Fred e George al negozio. Dovresti andartene anche tu: sanno che siamo amiche, non esiterebbero di certo a torturarti. Prendi Frank e vattene appena puoi» rispose Meg, stringendola al contempo in un breve abbraccio, prima di dirigersi alla porta.
«Non stare in pena per me, Maggie, ma pensa alla tua famiglia. Sii prudente. Ti voglio bene» le disse Cassie, e Meg si accorse che aveva gli occhi lucidi, cosa che fece commuovere un po’ anche lei.
«Ti voglio bene anch’io, Cassie» fece, allora, aprendo la porta e uscendo, decisa a lasciare quell’ufficio definitivamente. Si guardò attorno, assolutamente non disposta a permettere che l’ansia prevalesse su di lei: era di importanza vitale che rimanesse perfettamente lucida e consapevole delle sue azioni.

Una volta assicuratasi che non vi fosse anima viva nei paraggi, s’incamminò spedita per il corridoio, tenendo la mano destra ben salda sulla bacchetta, nel caso in cui ve ne fosse stato di bisogno. Stava per raggiungere l’ascensore quando, alle sue spalle, una voce, seguita da dei passi lenti, la costrinse a fermarsi.
«Stevens. Dove credi di andare?» le disse Yaxley in tono pacato, forse fin troppo, al che Meg percepì la propria pelle accapponarsi per il disgusto. Si girò lentamente e scrollò le spalle con disinvoltura, come se nulla fosse stato.
«Oh, Yaxley. Il mio sesto senso mi diceva che l’avrei incontrata. Dovevo solo chiedere a Walker se…»
«Dovresti sapere che l’ufficio di Frank Walker è nella direzione opposta, a meno che tu non abbia perso la memoria, ma farò finta di niente. Sai, sono appena tornato al Ministero e mi sono reso conto di aver voglia di fare una bella chiacchierata proprio con te. Ti dispiace?» la interruppe l’uomo, e Meg poté notare, con un guizzo dello sguardo, che anche lui stava portando la mano destra alla bacchetta.
«Onestamente sì, mi dispiace eccome: tremo al pensiero di dover avere a che fare con gente come lei» rispose istintivamente, deglutendo e facendo un quasi impercettibile passo indietro. Lui accentuò la sua espressione carica di disprezzo e corrugò la fronte.
«Arrogante e impulsiva come tuo padre e guastafeste come tua madre, non c’è che dire» commentò, avvicinandosi di poco a lei, per poi riprendere. «Non ti hanno mai detto, però, che certi atteggiamenti si pagano a caro prezzo.»
«E, invece, io non le ho ancora detto che mi disgusta, sa? Che imperdonabile dimenticanza» fece ancora lei, prima di maledirsi mentalmente, perché sapeva che non avrebbe dovuto giocare col fuoco in maniera così sfacciata. Poi, però, rifletté che lui – a prescindere dalle sue possibili risposte –, con ogni probabilità, avrebbe comunque tentato di sbarazzarsi di lei, quindi tanto valeva non frenarsi dal dire ciò che le passava per la testa.
«Interessante. Dimmi, Stevens: come sta tuo figlio? Le fotografie, improvvisamente sparite dal tuo ufficio, dicevano che è identico a quel Weasley che hai avuto il pessimo gusto di sposare. Quel bambino sembra molto sveglio, e ho l’impressione che sarà un ottimo mago, un giorno, a maggior ragione con i geni materni che ha avuto la fortuna di ritrovarsi. La sua disgrazia, ahimè, è quella di avere una madre molto abile, , ma decisamente incosciente. Sarebbe davvero un peccato se, per colpa di questa figura materna così scellerata, gli accadesse qualcosa, non trovi?» disse lui, e a quel punto Margaret non ci vedette più dalla rabbia e mandò a farsi benedire ogni proposito di mantenere la calma. Sfoderò la bacchetta, furiosa, e gliela puntò contro, mentre la volontà di scappare si tramutava pian piano in desiderio di fargliela pagare. Nessuno al mondo avrebbe mai avuto il diritto di minacciare, davanti ai suoi occhi, l’incolumità del suo bambino.
«Non osare parlare di mio figlio. Non osare parlare della mia famiglia. Giuro che, finché vivo, tu e i tuoi amici non riuscirete mai ad avvicinarvi a loro, dovessi fermarvi con queste stesse mani.»
«Appunto: finché vivi» ribatté Yaxley, piano, levando anch’egli la bacchetta all’altezza del volto della giovane. «Di’ le tue ultime parole, Margaret Stevens
«Non oggi, bastardo» rispose lei, grave, non lasciandosi sorprendere e bloccando prontamente un primo tentativo di attacco.
Quell’uomo non sapeva con chi aveva a che fare, se pensava di poter averla vinta su di lei così facilmente. Sua madre era un’Auror, aveva iniziato a insegnarle ogni sorta di incantesimo difensivo e d’attacco quando era ancora una ragazzina, mostrandole i trucchetti del mestiere e aiutandola, giorno dopo giorno, a perfezionare le sue innegabili abilità. Sapeva combattere, ce l’aveva in quello stesso sangue che le scorreva nelle vene, e sapeva usare discretamente bene la Legilimanzia, tanto che le mosse degli avversari – il più delle volte – le parevano noiosamente prevedibili; sapeva che, con un pizzico di impegno in più, sarebbe andata in questo modo anche stavolta.
Rifletté che, se fosse stato realmente così, avrebbe fatto meglio a mostrarsi infinitamente riconoscente a sua nonna Vittoria fino alla fine dei suoi giorni.

Continuò a schivare e bloccare con disinvoltura le maledizioni che il Mangiamorte cercava di infliggerle, tant’è che questi sembrava estremamente irritato dalla circostanza, ma Meg sapeva che non poteva stare lì tutta la giornata a difendersi. L’ascensore era in fondo al corridoio, a qualche metro da lei, e doveva raggiungerlo quanto prima, sebbene non potesse considerarsi l’impresa più facile al mondo. Doveva escogitare una strategia, e doveva farlo in fretta. Così, mentre era lei – stavolta – ad attaccare, ritenne che l’unica cosa giusta da fare fosse quella di distrarlo quanto più a lungo ed efficacemente possibile.
«Dimmi, Yaxley: come ci si sente quando si è ad un passo dall’essere sconfitti da una “guastafeste, impulsiva, arrogante, scellerata e incosciente” traditrice del proprio sangue?» gli chiese, ironica, lasciandosi sfuggire un ghigno beffardo che, come risultato, ebbe quello di fare infuriare quell’uomo ancor più di prima.
«Taci, ragazzina. Ti conviene iniziare a pregare, perché se credi di poter uscire viva da questo corridoio, ti sbagli di grosso.»
«Potrei quantomeno sapere perché hai così voglia di uccidermi? Pensavo che il Signore Oscuro stesse dando la caccia a un disgraziato ragazzo con una cicatrice sulla fronte, non a una ventenne psicopatica e madre di un bambino di quattro mesi. Capisco che, a questo punto, siamo in una bolgia e uno vale l’altro, ma non mi capacito di questo accanimento nei miei confronti» commentò Meg, fingendo leggerezza e puntando con la coda dell’occhio il grosso lampadario del corridoio, posizionato esattamente sopra la testa del suo avversario.
«Se vuoi sconfiggere il nemico, devi prima privarlo di tutti i suoi combattenti migliori. Hai due alternative: o li catturi, o li uccidi. E tu sei fin troppo scomoda, per i miei gusti» rispose questi, sferrando una nuova maledizione, cui Margaret rispose con un incantesimo non difensivo, bensì d’attacco.
I due incantesimi entrarono in collisione, e Meg comprese che era quello il momento di agire per davvero. Rapidamente, indirizzò la bacchetta verso il lampadario e, dopo una frazione di secondo, con un colpo secco ruppe il collegamento. Gli incantesimi colpirono l’oggetto di cristallo, che si staccò dal soffitto e precipitò verso il pavimento. Yaxley fu veloce a spostarsi all’indietro, ma ciò che era appena accaduto aveva dato il tempo a Margaret di scappare il più velocemente possibile per fiondarsi in ascensore, le cui porte si chiusero giusto in tempo per impedire all’ennesima maledizione dell’uomo di colpire la ragazza. Questa si strinse la testa tra le mani, e per la prima volta in cinque minuti fece caso al ritmo del suo cuore, che batteva furiosamente contro la gabbia toracica.
«E muoviti! Quando arriviamo all’Atrium, cazzo! Fottuto Yaxley, fottuto Ministero, fottutissimo ascensore!» sbottò, prendendo a pugni le pareti della cabina e sbuffando sonoramente. Provò a calmarsi, prendendo un profondo respiro, ma era inutile: non aveva idea di come avrebbe fatto ad uscire da quell’edificio senza farsi notare. Sperava solo che Yaxley non la raggiungesse troppo presto.

Una volta che le porte si furono spalancate nuovamente, si ritrovò nel tanto agognato Atrium. Lì, la situazione si era ristabilita, e adesso regnava una certa – ma pur sempre relativa – quiete, che la fece rabbrividire dalla punta dei capelli a quella dei piedi. Decise che la soluzione migliore fosse comportarsi come se nulla fosse accaduto e dirigersi al camino più vicino con andatura normale, come se stesse tranquillamente andando via dopo un’intensa giornata di lavoro. S’incamminò, provando quantomeno ad apparire sciolta, ma la verità era che si sentiva molto simile ad una presa elettrica.
“Tranquilla, Meg. Non perdere il controllo. Non… Si può sapere perché questi camini sono così dannatamente lontani?!” si lamentò tra sé, mentalmente, aumentando di poco il passo, ma le sue gambe furono costrette a correre nell’esatto momento in cui la voce di Yaxley, non troppo lontana, prese a riecheggiare nell’Atrium, urlando: «Prendetela! Prendete quella donna, imbecilli
Margaret correva. Correva più velocemente che poteva, e sperava che ciò potesse bastare. Gli uomini della vigilanza la inseguivano, e lei ne Schiantò diversi, non fermandosi mai. Ma ne aveva due, determinati, alle calcagna, e di certo le scarpe che indossava non la aiutavano molto, così come l’emicrania lancinante che la tormentava da diverse ore; ma il camino era così vicino, adesso. Non poteva mollare, e non lo fece. Si tuffò quasi letteralmente lì dentro, e immediatamente dopo il suo corpo fu scosso dalle solite sensazioni legate alla Smaterializzazione.

Riapparve di fronte casa sua, con la faccia spalmata contro la sabbia appena bagnata dal mare, e quell’intenso odore di salsedine non poté che rassicurarle e rigenerarle l’anima. Si mise a sedere e pulì gli occhi e il viso con la manica della giacca, tentando al contempo di mandare indietro quell’intensa nausea che il dolore alla testa le aveva procurato; tuttavia, guardandosi intorno, non riuscì a fare a meno di sentirsi pienamente e meravigliosamente viva come quel mese di settembre, che solitamente tanto amava.
«Sono salva» bisbigliò, e poté percepire distintamente i suoi muscoli sciogliesi ed una serie di brividi percorrerle le braccia e la schiena. Avrebbe voluto urlare, correre a piedi scalzi per la spiaggia e, perché no, fare la follia di gettarsi tra le onde del mare come forma di catarsi, di liberazione da quel peso. Avrebbe voluto fare questo e tanto altro, ma si limitò a far entrare nei polmoni una bella dose di aria fresca – che ebbe un effetto calmante su di lei – e immediatamente dopo si alzò. Mai stata più felice di essere lì, si diresse verso casa con l’ansia di vedere suo figlio: le minacce di Yaxley continuavano a rimbombarle nelle orecchie, sadicamente martellanti. 
Aprì la porta d’ingresso, e la prima cosa che vide fu Willow, immersa con dedizione nelle faccende domestiche. Una volta accortasi del ritorno inaspettato della padrona, per di più sporca di sabbia e sudata, l’elfa non esitò a raggiungerla, preoccupatissima.
«Signora, è successo qualcosa? Willow non la aspettava così presto, altrimenti Willow si sarebbe sbrigata, sapendo che la padrona sarebbe tornata prima a casa» tentò di giustificarsi, ma Margaret, togliendosi le scarpe per evitare di sporcare, le sorrise e la interruppe.
«Non preoccuparti, Willow, sei sempre la migliore elfa che si possa avere. Voglio che tu vada ai Tiri Vispi Weasley, a Diagon Alley, e dica a Fred e George di chiudere subito il negozio e di tornare a casa. Di’ loro che si tratta di una questione importante e che sono avvenuti fatti di una certa gravità, questa mattina. Fatti che mettono in pericolo anche loro. Devono tornare a casa quanto prima, intesi?» fece Meg, concitata, ma ciò fece allarmare ulteriormente Willow, che strinse l’orlo della gonna di Margaret con gli occhi colmi di lacrime.
«I padroni e il padroncino sono in… in pericolo? Willow andrà subito, signora, ma la signora deve rimanere a casa con il signorino: non deve correre alcun rischio!»
«Alexander è con la sua mamma, nessuno potrà fargli del male. Adesso vai» rispose dolcemente la ragazza, al che l’elfa si inchinò e, con uno schiocco delle dita, si Smaterializzò.

Margaret, d’altra parte, preparò rapidamente il classico, salvifico intruglio di nonna Julia per il mal di testa e, dopodiché, si affrettò a dirigersi al piano superiore, nella cameretta di suo figlio, dove quest’ultimo era nella sua culla e allungava le manine verso l’alto, nel tentativo di afferrare i gufetti-giocattolo che svolazzavano in cerchio un po’ più su. La ragazza gli si avvicinò, sollevata, e quando il suo volto fu entrato nel campo visivo del bambino, questi iniziò a ridere, provando stavolta ad acchiappare le ciocche color castano rame dei suoi capelli.
«Mio bellissimo amore, vorrei riempirti di baci, ma rischierei di sporcare anche te. Purtroppo, dovrai attendere qualche altro minuto» disse lei, sospirando, per poi allontanarsi e dirigersi in bagno per fare una doccia: ne aveva proprio bisogno, dopo una mattinata come quella.
Adesso che l’euforia di ritrovarsi viva e vegeta stava lentamente scemando, iniziò a percepire una crescente ansia attanagliarle lo stomaco. Era stata una delle esperienze più brutte della sua vita, e comprendeva perfettamente che ogni cosa ne sarebbe risultata stravolta. Sarebbe cambiato tutto ancor più di prima, per lei così come per suo marito e suo cognato. Era impensabile che lei tornasse al Ministero, ed era molto improbabile che Fred e George potessero riaprire il negozio dopo che era stato scoperto che loro fratello era in viaggio con Harry Potter. Sarebbero stati costretti a trovare un modo alternativo per portare avanti l’attività, e lei avrebbe dovuto inventarsi qualcosa, perché stare con le mani in mano andava contro la sua natura. Il congedo di maternità era stato magnifico, dal momento che le aveva permesso di alzarsi un po’ più tardi la mattina e di prendere tutto con tranquillità, ma le aveva anche dimostrato ulteriormente – come se fosse stato necessario – che lei aveva bisogno di lavorare, e ne aveva bisogno per stare bene e per sentirsi in pace con se stessa. Non avrebbe permesso a quella Guerra di portarle via una cosa talmente importante, ed era decisa a trovare una soluzione.
Sapeva che non avrebbero più potuto mettere un piede fuori di casa fino alla fine di quell’inferno, senza adeguato travestimento; sapeva che qualsiasi passo falso avrebbe persino potuto ucciderli; sapeva che il loro destino non era mai stato tanto incerto quanto a partire da quella mattina; sapeva queste e tante altre cose, ma sapeva anche che nulla le avrebbe impedito di essere fiera della donna che era e di proteggere le persone che amava. Avrebbe potuto tentennare, smarrirsi per qualche istante, ma i suoi obiettivi erano chiari: la sua famiglia non si toccava, avesse dovuto sacrificarsi lei stessa per loro.
Uscì dalla doccia, sovrappensiero. Osservò la sua immagine allo specchio, notando con piacere di essere riuscita per davvero a tornare in forma dopo la gravidanza, e si disse che avrebbe fatto meglio a tagliare quei capelli, dato che, oramai, erano diventati troppo lunghi per i suoi gusti. Si asciugò e indossò degli abiti molto più comodi, poi andò a prendere suo figlio e si diresse con lui al piano di sotto, sedendosi sul divano ed attendendo pazientemente il ritorno di Willow con i due ragazzi. Iniziò a giocare con Alexander, mostrandogli tutta una serie di facce buffe che lo facevano ridere sempre più forte, mentre fuori iniziava a cadere una leggera pioggerellina autunnale.
Settembre era così: imprevedibile. Un po’ come lei, in effetti, e forse era per questa ragione che lo amava tanto. Un attimo prima c’è il sole, quello dopo piove; e poi ancora il sole, meraviglioso, un po’ come accade nella nostra vita. Devi danzare nel bel mezzo dell’oscurità se vuoi bearti della luce, ed era proprio questa consapevolezza a consentirle di tenere sempre viva ogni speranza.

Stava ancora giocando con Alexander quando, all’improvviso, sentì provenire dalla spiaggia il rumore di una Materializzazione.
Scattò in piedi, un po’ ansiosa, e sbirciò dalla finestra, scostando impercettibilmente le tende. Non appena ebbe scorto quei capelli rossi tanto bene conosciuti, non poté fare altro se non rasserenarsi. Andò velocemente alla porta e la aprì, fermandosi sull’uscio con ancora in braccio il bambino. Quando gli occhi di Fred incontrarono i suoi, entrambi si sciolsero in un sorriso.
Il ragazzo le andò incontro, sollevato nel constatare che stesse bene, e la abbracciò, dandole un bacio sulla fronte; le prese Alexander dalle braccia ed entrò con lei in casa, senza proferire parola, e s’incamminò in direzione del divano. Si sedettero entrambi, uno di fronte all’altra, e si rivolsero degli sguardi preoccupati per qualche istante.
«Dove sono George e Willow?» gli domandò Margaret, torcendosi le mani e non riuscendo a tenere nascosto quel pizzico di tensione che la tormentava.
«George doveva andare a parlare con qualcuno, e Willow ha pensato di tenerlo sotto controllo. Torneranno presto, sta’ tranquilla» la rassicurò, dando un’occhiata all’orologio. «Cos’è successo?» aggiunse, mentre i suoi occhi si posavano di nuovo su di lei.
«Hai saputo di tuo fratello, no?»
«Sì, e stavo proprio per raggiungerti al Ministero quando Willow si è Materializzata in negozio» spiegò lui, e a quel punto Meg si ringraziò mentalmente per essere riuscita a tornare a casa in tempo. Pochi minuti in più, e Fred si sarebbe ritrovato nella tana del lupo.
Gli raccontò molto velocemente ciò che le era accaduto quella mattina, mentre lui la ascoltava con curiosità e con un’espressione sorpresa stampata in faccia. Non si sarebbe mai aspettato di sentirsi raccontare quelle cose da lei, e nel frattempo poteva distintamente percepire l’agitazione scorrergli nelle vene. Non riusciva a capacitarsi di come fosse possibile che, mentre lui stava lavorando con tutta la tranquillità del mondo, lei stesse duellando con Yaxley per riuscire a fuggire da quell’edificio.
«Non… Non ho parole. Come potevo immaginare una cosa simile? Fattelo dire: sei stata immensamente e schifosamente brava. Non tutti avrebbero avuto il tuo coraggio, ed io… io sono maledettamente orgoglioso di te. Vorrei tanto trovare quel bastardo e prenderlo a pugni fino a fargli ingoiare i suoi stessi denti» le disse, rigido, ma facendole cenno di avvicinarsi. Le prese una mano e la strinse nella sua, mentre lei gli rivolgeva un sorriso dolce ma stanco.
«Quando ha tirato in ballo Alexander, io… Fred, io non ci ho visto più. Avevo paura di non essere all’altezza della situazione, è vero, ma il desiderio di fargliela pagare era molto più forte» ammise Margaret, lasciandosi andare contro lo schienale del divano. Fred annuì, comprensivo, e le portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, prima di accarezzarle la guancia. Ancor più delle altre volte, si rese conto di quanto fosse incredibilmente felice che lei fosse lì con lui, e cercò di soffocare quella vocina che gli sussurrava con insistenza che, solo un’ora prima, aveva rischiato di perderla.
«Tu sarai sempre all’altezza di qualsiasi situazione, Meg. Se c’è qualcuno di cui non devi mai dubitare, quella persona sei tu. Sei una combattente, e so che nel profondo ne sei consapevole. Ti proibisco di affermare il contrario» la rassicurò, indirizzandole un sorriso furbo che lei non esitò a ricambiare. «Che hai intenzione di fare, adesso?» le chiese, poi, attendendo una sua risposta. Meg scrollò le spalle e sospirò, sconfortata.
«Ovviamente, non potrò più mettere piede al Ministero fino a quando non avremo vinto questa Guerra – cosa che potrebbe anche non accadere mai. Non ho intenzione di stare qui a far nulla, quindi penso proprio che continuerò con i miei studi privati di Magisprudenza. Per il resto, m’inventerò qualcosa. Piuttosto, voi come farete con i Tiri Vispi?»
«Abbiamo affisso sulla vetrina del negozio un avviso, informando i clienti che i prodotti verranno recapitati per posta. Ti conviene prepararti ad un’invasione di gufi, Pasticcino» spiegò Fred, al che Margaret gli rivolse un’espressione disperata che lo fece ridere. Stava per aggiungere qualcos’altro, quando la porta d’ingresso si spalancò e George, seguito da un gruppetto di persone, fece la sua irruzione in casa.
«Abbiamo ospiti» annunciò il ragazzo, arruffandosi i capelli bagnati dalla pioggia, mentre Willow pregava gli altri di asciugare le scarpe all’ingresso.
«Disse Mr. George Ovvietà Weasley» commentò Angelina, ironica, rivolgendo poi un enorme sorriso a Margaret e correndo ad abbracciarla. Fu subito imitata da Alicia e Katie, mentre Lee andava prima a salutare Fred, che di certo non si aspettava di ritrovarsi i loro amici in casa da un momento all’altro.
«Tu sì che hai fegato, dolcezza!» disse Lee a Meg, una volta che questa fu libera dall’affetto delle altre ragazze, che non esitarono ad annuire. La Stevens aggrottò immediatamente le sopracciglia, sospettosa.
«Chi ve l’ha raccontato?» chiese, incuriosita, ma la sua attenzione si focalizzò su altre due persone, ferme sull’uscio, che la osservavano con un notevole sollievo nello sguardo. Senza pensarci ancora, questa volta fu Margaret ad andare ad abbracciare loro.
«Come avete fatto ad uscire?» domandò, incredula di vederli lì ma immensamente felice. Cassandra sospirò, più rilassata, mentre Frank le passava un braccio attorno alla vita.
«Quando hai lasciato l’ufficio, sai… ho riflettuto su quello che mi hai detto, e ho deciso di darti ascolto. Ho raggiunto Frank e gli ho spiegato tutto, così abbiamo pensato ad un modo per andare via. Poco dopo, però, abbiamo sentito dei rumori provenire dal corridoio.»
«Abbiamo preso le nostre cose e siamo usciti, così ci siamo nascosti per spiare e abbiamo visto tutta la scena. Avremmo voluto attaccarlo alle spalle, ma eravate troppo veloci… avevamo paura di colpire te. Te la stavi cavando molto bene, ma saremmo intervenuti all’istante se ti avessimo vista in difficoltà. Poi, a Cassie è venuta in mente l’idea di far crollare il lampadario, ma ci hai anticipati» concluse Frank, ammirante, ma Meg aveva come l’impressione di essersi persa qualche passaggio.
«Okay, e dopo?» domandò, allora, invitandoli a prendere posto dove potevano. Sicuramente, dovevano aver spiegato ogni cosa a tutti gli altri prima di arrivare.
«Abbiamo aspettato che Yaxley lasciasse il piano per inseguirti e ci siamo diretti anche noi all’Atrium, abbiamo fatto finta di nulla e siamo sgattaiolati fino ad uno dei camini. Erano troppo concentrati su di te, siamo riusciti a passare inosservati… anche se la voglia di Schiantare un bel po’ di gente era tanta» finì Cassandra, quindi, sentendosi però un po’ in colpa per non essere riuscita a dare alcun aiuto all’amica in difficoltà. Questa non sembrò curarsene, e infatti le sorrise e annuì, facendole comprendere che non importava e che aveva fatto la cosa giusta.

Willow si offrì di preparare un tè per gli ospiti, che si accomodarono e non esitarono ad assaggiare gli ottimi biscotti alle mandorle preparati la sera prima da Margaret, mentre quest’ultima cercava di tenere buono Alexander, che stava iniziando a fare i capricci. Guardandosi attorno, percepì il proprio cuore scaldarsi di fronte a quelle persone, la cui presenza non poteva che essere infinitamente gradita, a maggior ragione dopo tutto ciò che era successo. Erano lì, pronti a far sentire il calore del loro affetto, e lei gliene sarebbe sempre stata grata.
Poco dopo, una volta che il tè fu servito, Lee si schiarì la voce e attirò gli sguardi dei presenti su di sé. Posò la tazza sul basso tavolino di fronte al divano e annuì lentamente, sempre più convinto di ciò che stava per dire.
«Ho un’idea, e spero sarete d’accordo con me nel metterla in pratica» iniziò, suscitando negli altri una curiosità ancor più viva. Si sistemò meglio sul divano, prima di proseguire. «Radio Potter
«Prego?» fece Alicia, stranita, probabilmente a nome di tutti.
«Una trasmissione radiofonica» aggiunse George, che era venuto a conoscenza dei piani dell’amico qualche giorno prima, ma ciò non poteva naturalmente bastare a chiarire la situazione.
«Radio Strega Network e tutti i giornali sono controllati dal Ministero, e ciò impedisce alla verità di saltare fuori. La gente sparisce, viene uccisa, ma c’è qualcuno che ne parli? C’è per caso qualcuno che dica come stanno le cose? Che queste morti sono opera dei Mangiamorte, o di Voi-Sapete-Chi? La risposta è, ovviamente, no. C’è un clima di terrore generalizzato, ed io sono stanco; noi siamo stanchi. Dobbiamo fare emergere la verità, e dobbiamo essere tutti d’accordo» spiegò Lee, e stavolta trovò di fronte a sé delle espressioni stupite. Margaret, d’altra parte, corrugò la fronte si grattò il mento, interessata all’argomento.
«Un mezzo di opposizione a Tu-Sai-Chi, quindi. Sulla scia delle trasmissioni clandestine Babbane in tempi di guerra» commentò, pensierosa, iniziando a considerare quella proposta come molto allettante.
«Esattamente, Meg. Resistenza» annuì Lee, finendo il suo tè. Pochi istanti dopo, anche la ragazza fece un cenno affermativo con il capo.
«Ci sto. Potremmo utilizzare dei nomi in codice, per non aggravare la nostra situazione e non farci riconoscere dagli estranei.»
«E potremmo anche stabilire una parola d’ordine sempre diversa che permetta di sintonizzarsi alla trasmissione» propose Fred, convinto di quel progetto, ottenendo il consenso dell’amico e del fratello.
«Potete contare su di noi» affermò Angelina, indicando Alicia, Katie, e anche Cassandra e Frank. Lee fece per aggiungere qualcos’altro, ma fu anticipato da Margaret, nella cui mente era appena balenata un’altra idea.
«Potremmo rendere ancora più efficace questa opposizione con un giornale, no? Un settimanale, in cui riportare gli avvenimenti più importanti degli ultimi sette giorni. Le notizie che il Ministero vuole tenere nascoste, e che noi puntualmente ci impegneremo a sbandierare. Posso occuparmene io, e vedrò di coinvolgere anche mia nonna Vittoria: era giornalista per la Gazzetta del Profeta, prima di andare in pensione; le piacerà rimettersi in gioco» propose, quindi, ricevendo un’occhiata divertita da parte di Fred.
«Certo che sarà divertente leggere i tuoi articoli: saranno straripanti di acidità nei confronti dell’Universo» commentò lui, e a tal punto tutti iniziarono a ridere, tanto che neanche Margaret poté trattenersi dal farlo.


***


Era ormai calata la notte, e da brava amica aveva portato con sé un po’ di quiete. Fred si era addormentato qualche ora prima, dopo essere riuscito a convincere gli ospiti di quel pomeriggio a rimanere a dormire da loro, onde evitare ulteriori spiacevoli sorprese quantomeno per quel giorno. Margaret, invece, non riusciva a prendere sonno, così aveva rinunciato a rigirarsi continuamente nel letto e si era fermata ad osservare il ragazzo disteso accanto a lei, il cui petto si alzava e abbassava con regolarità seguendo il ritmo del suo respiro.
Gli accarezzò il viso e gli stampò un lieve bacio sulla fronte, prima di alzarsi e di indossare la vestaglia azzurra che aveva lasciato sull’appoggia abiti. Dopodiché, lasciò la stanza da letto e si diresse nella camera di Alexander, intenzionata a controllare che fosse tutto tranquillo. Come previsto e sperato, il bambino dormiva beatamente e aveva un’espressione rilassata sul faccino, così Meg si chiuse delicatamente la porta alle spalle e s’incamminò in silenzio al piano di sotto.
Si disse che, a quel punto, non le rimaneva altro da fare se non prepararsi una buona tisana che potesse rilassare i suoi nervi: nonostante avesse tentato di comportarsi come suo solito, infatti, il ricordo degli avvenimenti di quella mattina aveva continuato a perseguitarla per tutto il tempo, mettendole addosso quell’insopportabile ansia che tanto odiava. Era stata colta alla sprovvista, ed era stata costretta ad agire d’istinto, senza la possibilità di pianificare le sue mosse. 
Adesso, immersa nel buio della casa, aveva quasi paura che ci fosse qualcuno pronto ad attaccarla da un momento all’altro, e per un attimo si chiese se non stesse rischiando di diventare paranoica.
Quando fu arrivata in cucina, si sorprese notevolmente nel vederla illuminata. Non si stupì, invece, nel constatare che anche George fosse sveglio e che apparisse impegnato nell’affogare la faccia in ciò che rimaneva dei biscotti fatti in casa. La ragazza si appoggiò allo stipite della porta e, divertita, fece un colpo di tosse per annunciare la sua presenza. L’amico si girò repentinamente nella sua direzione e, sorpreso, sollevò le mani in aria, tentando di decolpevolizzarsi e negare l’evidenza.
«Non sono stato io!» annunciò, sgranando gli occhi. Margaret rise e gli fece cenno di sedersi.
«Taci, Lobo Solitario» gli disse, riempiendo la teiera con dell’acqua e avvicinandosi al fornello. «Tisana?» gli chiese, poi, ricevendo un gesto affermativo da parte sua. Quindi, preparò la bevanda e la versò in due tazze, accomodandosi al tavolo e porgendone una al cognato. Questi la ringraziò con un sorriso, prima di mettere via la pergamena di fronte a lui. Questo gesto non sfuggì a Meg, che tuttavia decise di far finta di niente e di porre maggiore attenzione al suo comportamento.
«Come mai sveglia a quest’ora?» le domandò lui, offrendole un biscotto. Lei lo prese e scrollò le spalle, guardando l’orologio.
«Non riuscivo a dormire. Tu, invece? Da quando posticipi lo spuntino di mezzanotte di tre ore?» ribatté la giovane, nascondendo il viso nella tazza. Lui le sorrise di nuovo e si passò una mano tra i capelli, facendole l’occhiolino.
«Avevo bisogno di pensare, e lo sai che è una cosa che mi richiede uno sforzo supplementare. Necessitavo di più energie per riuscirci» scherzò, facendo ridere Meg, che d’altra parte gli sferrò un calcio affettuoso, che lui non tardò a ricambiare.
«Sappi che potrei andare avanti così almeno fino a domani mattina» lo ammonì Margaret, pestandogli il piede e ricevendo un pizzicotto in risposta.
«Anch’io, Zuccherino, quindi non scherzare. Non vogliamo mica arrivare alle Fatture Orcovolanti di Ginny, no?» disse George, fingendosi serio, prima di continuare. «Hai già aggredito un bel po’ di gente, diverse ore fa. Non credi sia il caso di fare una piccola pausa?»
«Il problema è che picchiare te mi diverte tantissimo» ammise lei, prendendogli la mano che teneva sul tavolo e stringendola. Lui rispose alla stretta e non disse più nulla.
Rimasero in silenzio per dieci minuti, fino a quando George non finì la tisana e, con uno sbadiglio, fece comprendere la sua intenzione di tornare a dormire. Baciò la cognata sulla nuca e, prima di andarsene, accartocciò la pergamena e la gettò nel cestino.
Meg osservò la scena con la coda dell’occhio, senza farsi notare, e attese di sentire il rumore dei suoi passi salire le scale e dirigersi al piano di sopra. Dopodiché, spinta dall’incontenibile curiosità femminile, recuperò il foglio e iniziò a leggere avidamente quelle parole, scritte nella riconoscibilissima grafia del suo migliore amico. Rilesse la lettera più e più volte, e non riuscì a reprimere un enorme sorriso, che a sua volta si faceva prepotentemente strada sul suo viso.
Lisciò la pergamena con il dorso della mano e, dopo averla piegata con cura, la imbustò. Pensò che non avrebbe dovuto farlo, che era una mossa scorretta e che avrebbe fatto meglio a farsi gli affari suoi, ma il suo sesto senso le diceva che era la cosa giusta da fare. Decise di rinchiudere l’irritante vocina della sua coscienza in un angolo remoto della sua mente e, convinta delle sue azioni, affidò la lettera al suo gufo, forse un po’ stanco di tutti quei viaggi che era stato costretto a fare negli ultimi mesi.
«Abigail Darleen Thompson. Belfast, Irlanda. Non ci sarà bisogno di una risposta» comunicò, e a Lele non rimase che spiccare il volo e allontanarsi nella notte.


***


Era una bella giornata, probabilmente una delle ultime che il mese di settembre avrebbe potuto regalare, e l’immensa serra di Elsa Pedersen appariva sempre più bella grazie ai raggi del sole che la illuminavano in tutto il suo splendore. Abigail amava quel posto: la padrona di casa, solitamente, preferiva ricevere i suoi ospiti nel grande salone, ma con lei aveva spesso fatto un’eccezione.
«Le presento il mio piccolo angolo di Paradiso. Vengo qua per pensare, ed è l’unico luogo in cui possa godere di un po’ di pace. Le piante sono delle ottime amiche, sa? Ti ascoltano, ma non ti giudicano» le aveva detto Elsa la primissima volta che l’aveva accolta nel suo spazio personale, e la ragazza non aveva potuto fare a meno di darle ragione. Quel luogo era capace di infondere calma e tranquillità anche nell’animo più tormentato, e non c’era da meravigliarsi che la signora Pedersen fosse così gelosa e protettiva nei confronti di quel gioiellino di cui si era presa tanta cura.
Le aperture sulle pareti di vetro facevano entrare una lieve brezza, piacevole compagnia per le due donne, che in quel momento stavano assaporando l’ottimo tè appena preparato dal maggiordomo. Erano passati quasi due mesi dal primo incontro con la madre di Savannah, e Abigail poteva certamente affermare di sentirsi molto più a suo agio in sua presenza, nonostante qualcosa in lei riuscisse ancora a metterla in soggezione. I suoi modi erano sempre gentili ed educati, ma il suo sguardo e le sue espressioni – spesso indecifrabili – facevano credere alla giovane Thompson che lei stesse cercando di scavarle dentro, alla ricerca dei suoi segreti e delle sue paure più nascoste.
«Abigail, lei mi piace moltissimo, quindi sono stata disponibile sin da subito a venirle incontro. La richiesta che ci è stata posta dall’Ordine è senza dubbio ragionevole, e posso assicurarle il nostro appoggio su tutta la linea. È stato un piacere avere a che farei con lei, e devo confessarle che averla conosciuta mi ha notevolmente rassicurata riguardo al giro di amicizie di mia figlia. Sa, l’ho vista un po’ troppo ribelle, ultimamente» disse la padrona di casa, sistemandosi meglio sulla comoda sedia e poggiando la propria tazza di tè, ormai vuota, sull’elegante tavolino di fronte a lei. Abigail la imitò e le rivolse un sorriso riconoscente.
«Il piacere è stato mio, Elsa. La ringrazio infinitamente per la sua disponibilità.»
«Non c’è bisogno di ringraziarmi, mia cara. Cos’ha intenzione di fare, adesso?»
«Andrò avanti con il corso di specializzazione e… be’, chi può saperlo? Accetterò ciò che la vita vorrà offrirmi, come ho fatto fino ad oggi. Nel bene e nel male» rispose la ragazza, scostando i capelli dal viso, mentre i suoi occhi indugiavano sulle bellissime orchidee alla sua destra, qualche metro più in là. Incredibile come dei semplici fiori riuscissero a richiamarle alla mente ciò che aveva lasciato in Inghilterra.
L’altra donna la osservava con uno sguardo carico di curiosità, e spontaneamente si ritrovò a pensare a una parte di ciò che quella giovane strega dai capelli biondi le aveva raccontato durante i loro incontri. Sapeva del suo passato, aveva imparato a conoscere la sua anima, e vi aveva letto una nobiltà che raramente aveva avuto l’onore di trovare in qualcun altro.
«Ha avuto modo di parlare con mio figlio Erik, no?» le chiese, improvvisamente, richiamandola alla realtà. Abigail parve presa alla sprovvista, ma si riprese immediatamente.
«Certamente. E devo farle i complimenti, in tal senso: è un ragazzo molto intelligente e simpatico, un’ottima compagnia» rispose in tutta sincerità, evitando però di far riferimento alla bellezza straordinaria del figlio maggiore dei Pedersen. Non voleva di certo fare ingelosire la madre. Questa, però, annuì e la guardò con complicità.
«Non fa altro che parlarmi di lei, sa? Sarei oltremodo felice se vi fosse un interessamento anche da parte sua, Abigail. Sarebbe un onore averla qui più spesso» commentò Elsa, e la sua interlocutrice percepì il rossore salire distintamente dal proprio collo alle guance al ricordo di ciò che era accaduto qualche pomeriggio prima.

«Non sono scomodi, quei cosi?» le aveva domandato Erik Pedersen, divertito, indicando quei suoi tacchi alti che, in effetti, non erano proprio il massimo del comfort – a maggior ragione se, come in quella circostanza, erano utilizzati per passeggiare in lungo e in largo per un giardino immenso. Abigail aveva nascosto una smorfia di dolore in un credibilissimo sorriso e aveva rifiutato di fermarsi.
«Questi cosi, come li chiami tu, sono il mio pane quotidiano. Ti inviterei a provarli, mio caro Erik: credo sia un’esperienza che tutti gli uomini, una volta nella vita, dovrebbero fare. Un po’ come il ciclo mestruale, in effetti» aveva risposto lei, non riuscendo a reprimere il suo sarcasmo galoppante, ma il ragazzo non aveva perso tempo a farle ascoltare la sua coinvolgente risata cristallina.
«No, grazie. Come se avessi accettato» le aveva detto, con tanto di occhiolino di contorno, mentre le porgeva un braccio, invitandola a prenderlo. Lei si era fermata ad osservarlo, incuriosita, prima di accettare quell’offerta e appoggiarsi a lui. Così, avevano ripreso a passeggiare, beandosi di quel timido sole che faceva loro compagnia e della mite temperatura di fine estate.
«Avere sangue Veela nelle vene comporta anche una particolare tendenza alla galanteria, forse?» aveva rotto il silenzio Abigail, rilassata come poche altre volte negli ultimi mesi. Lui le aveva rivolto un bel sorriso e aveva scosso la testa.
«Più che altro, direi che è merito di mio padre e della sua fissazione per le buone maniere. Somiglio molto di più a lui che a mia madre, te ne sarai accorta.»
«Sì, ho notato. I geni materni, in te, sono solo quel quid in più che fa la differenza.»
«Nel senso?» l’aveva spronata a continuare, ridendo nuovamente di fronte al rossore sul suo viso dopo quell’ultima affermazione.
«Nel senso che non passi di certo inosservato» si era costretta a dire, infine, prima che mettesse un piede in fallo e che, dunque, fosse sul punto di cadere malamente a terra. Erik era stato molto veloce a sorreggerla, e di certo non si era lasciato scappare l’occasione di averla quanto più possibile vicina a sé.
«E neanche i miei magnifici riflessi, per la fortuna delle tue deliziose e adorabili caviglie» le aveva sussurrato a pochi centimetri dalle labbra, mentre le sue dita le scostavano le ciocche di capelli dagli occhi, nell’intento di poterli ammirare con più attenzione.
A interrompere quel momento potenzialmente pericoloso, però, ci aveva pensato una provvidenziale Savannah, che continuava a chiamare il fratello per ricordargli di un impegno che aveva preso per quello stesso pomeriggio.  


Abigail s’impose di distogliersi dai suoi pensieri, decisamente confusa. Si sentì profondamente lusingata da quelle parole, che certamente non si aspettava di udire, ma non poté non fare caso al movimento istintivo che la sua mano aveva fatto in direzione della borsa che teneva sulle gambe. Lì dentro c’era un foglio di pergamena, una lettera che non aveva ancora letto, ma che faceva avvertire prepotentemente la sua presenza. Sorrise di nuovo, decidendo di non nascondere quel velo di amarezza che, ultimamente, la accompagnava in ogni dove, e rispose con l’unica verità possibile.
«Elsa, non posso negare di essere molto attratta da suo figlio, e credo che sarebbe la gioia di qualsiasi donna dotata di buon senso. Il problema, però, è che spesso dimentico cosa sia, questo buon senso. In effetti, è stata proprio questa dimenticanza a fare in modo che io donassi il mio cuore a qualcun altro, e non credo ci sia modo di riaverlo indietro» ammise, dunque, tentando di mantenere la concentrazione per fare in modo che i suoi occhi non si arrossassero. Elsa parve capire e continuò ad osservarla, questa volta con una dolce espressione sul volto.
«È un ragazzo molto fortunato, e spero che lui ne sia consapevole.»
«Grazie. Lo spero anch’io.»
«Tornerà in Inghilterra?»
«Quanto prima possibile, mi auguro» concluse Abigail, alzandosi e lasciandosi condurre fuori dalla serra. La donna, allora, la accompagnò per il giardino, rimanendo in silenzio.
Una volta che furono giunte al cancello, Elsa le rivolse un ultimo sorriso e fece cenno al maggiordomo di chiamare l’autista.
«Possiedo una casa, a Manchester. Non eccessivamente grande, in effetti, ma abbastanza comoda. Se dovesse servirle, non esiti a farmelo sapere.»
«La ringrazio ancora, Elsa.»
«Faccia buon viaggio, signorina Thompson» si congedò Elsa Pedersen, infine, dandole una carezza materna sul viso, prima di voltarsi e dirigersi in casa.

Abigail si accomodò sulla limousine bianca all’interno della quale, nel mese di agosto, aveva incontrato per la prima volta quella donna. Rilassò la schiena contro il sedile e scalciò via le scarpe, terribilmente scomode, per tirare un sospiro di sollievo, ma sapeva che le restava un’ultima cosa da fare. Rimandava quel momento da quella stessa mattina, quando il gufo di sua cugina aveva picchiettato con il becco contro la finestra della sua stanza, ma era consapevole di non poter attendere oltre. Infilò la mano nella borsa e ne estrasse quell’agognata lettera, che finalmente il mittente si era deciso a scrivere.
Mentre i battiti cardiaci acceleravano un secondo dopo l’altro, la ragazza iniziò a leggere le parole tracciate per lei su quel foglio di pergamena; quando ebbe finito, quasi ogni forza venne a mancare e i suoi occhi non resistettero più alle lacrime. Piccole goccioline calde e salate che le rigavano le guance, senza chiedere il permesso, mentre tutto, attorno a lei, assumeva un senso diverso.
Lacrime libere di scorrere sulla sua pelle: forse era anche quella, la felicità.



- Angolo dell’autrice


*Picchietta sul microfono, verificando che sia acceso*
Un, due, tre. Prova. No.
*Chiede che siano cambiate le batterie*
Prova, prova.
-Hai rotto il ca-*beep*
Nonna Vittoria, ti ringrazio. Adesso sappiamo con certezza da chi Margaret e Abigail abbiano ereditato la loro finezza da nobildonne – come se ci fosse stato bisogno di una conferma.
Ma bando alle ciance.
Miei piccoli, amorevoli, meravigliosi tesorini, Jules è qui! *yuppie* Insonne, con orari delle lezioni a dir poco obbrobriosi e sommersa da una valanga di manuali incomprensibili, but I’m still alive – quantomeno per adesso –, e naturalmente non potevo non portare con me questo nuovo, nuovissimo capitolo. Capitolo che trovo sempre più brutto ad ogni lettura/revisione, ma ciò potrebbe essere dovuto all’eccessiva discrepanza tra il mio sé reale ed il mio sé ideale *discorsi insensati da psicologa che non interessano a nessuno*, quindi attendo con ansia un vostro parere, se vorrete darmelo – e rendermi tanto, tanto, tanto felice, ovviamente. Nel caso in cui voleste lanciarmi addosso dei vegetali, preferirei non fossero broccoli o carciofi, dato che li odio a morte. Grazie. :D
Ma parliamo di cose serie, adesso. Avete già visto, negli ultimi capitoli, un cambiamento di “clima”, e non poteva essere altrimenti. Siamo nel vivo della Seconda Guerra Magica, e sarebbe stato abbastanza improbabile continuare a vedere la nostra Margaret recarsi ogni giorno al Ministero senza problemi di sorta. Quella di farla attaccare da Yaxley – o da un qualsiasi altro Mangiamorte, non avevo ancora le idee chiarissime sul da farsi – è stata una decisione molto difficile da prendere, ma ho riflettuto che questa sarebbe stata una delle pochissime circostanze che le avrebbero realmente impedito di continuare il suo lavoro. E poi, come ha ben detto la carissima Meissa Antares nella recensione allo scorso capitolo, la Rowling si è giustamente soffermata sulle vicissitudini del Golden Trio, “trascurando” gli altri personaggi, quindi proprio in questo capitolo ho voluto riallacciarmi ad uno degli eventi della storia originale – l’irruzione di Harry, Ron ed Hermione al Ministero – per mostrare ciò che ha significato concretamente per i nostri protagonisti, e quindi la fuga di Meg e la chiusura dei Tiri Vispi, tra l’altro già accennata nel libro. Ho anche pensato che fosse il momento più adatto a introdurre la questione di Radio Potter e della sua nascita, e sono quasi certa che ci ritorneremo anche successivamente – sono in pieno work in progress, anche se il tempo scarseggia. E tenete a mente l’idea di Meg del giornale, perché ne parleremo nel prossimo capitolo. ;) Anyway, spero abbiate apprezzato il complesso.
Passando alla seconda parte, non credo ci sia molto da aggiungere, se non che credo ci saremmo comportati tutti come Margaret: era ora che George scrivesse quella benedetta lettera, non potevamo permettere che finisse in un cestino della spazzatura! Ma non vi dirò nulla del contenuto, ognuno sarà libero di fare le proprie supposizioni – sono perfida, mwuhauh.
E infine, ladies and gentlemen, arriviamo alla nostra bella bionda preferita: Miss Abigail Thompson! Sembra proprio che qualcuno abbia fatto centro nel cuore del bel Erik Pedersen, eh?
-Senti, non è colpa mia. Sei tu che ti diverti a rendermi la vita difficile, brutta str-*beep*
Questi personaggi sono stressanti. Dai loro la vita, e poi che fanno? Ti insultano. Adorabili.
Anyway, Abbie fa conquiste e non sembra neanche tanto immune al fascino di Erik – e ci credo, visto il bel ragazzuolo che ho scelto come prestavolto –, ma resta fedelmente innamorata del nostro adorato Lobo Solitario, quindi non ci sono storie – e, a che ci siamo, non dimentichiamoci che oggi è il primo aprile, quindi mi sembra più che doveroso fare gli auguri di compleanno ai nostri gemelli preferiti. 

Comunque, non dimenticatevi di Erik, perché c’è una buona probabilità che ritorni – non saprei dirvelo con certezza, perché gli ultimi capitoli sono avvolti nell’ombra del mistero anche per me, e ho davvero poche idee chiare e precise al momento.
Bene, cosa posso aggiungere adesso? Be’, mi sembra superfluo dire che sto facendo delle sperimentazioni con la presentazione, nel tentativo di renderla decente o, chissà, magari anche carina. Sto anche provando a revisionare i capitoli, anche se ventiquattro ore al giorno sono terribilmente poche per fare tutto quello che vorrei; prima o poi riuscirò a revisionare tutta la storia per bene come ho fatto con la prima, ma fortunatamente non c’è fretta.
Inoltre, c’è una novità: sono finalmente riuscita a trovare tutti i prestavolto – be’, quasi tutti –, quindi potrete trovare una lista, un po’ più giù, con i personaggi e i rispettivi “interpreti” e i link che portano alle foto di riferimento. La inserirò anche alla fine del primo capitolo, una volta che l’avrò revisionato. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, so don’t be shy!
Adesso, come sempre, i credits: il titolo del capitolo è di Fernando Pessoa, mentre la canzone in apertura è Shine a Light, dei *rullo di tamburi* Beady Eye!
Ringrazio:

Angel_MaryAnnA Black, aurora weasley, Beatris Humble, bridilepo, brunettes, Catebaggins, Daniela_97, Deader, Delta_Mi, Emmy29, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, FranChan, hufflerin, JeckyCobain, KariWhite, Krista Kane, Luna Paciock, maryanne armstrong, Meissa Antares,  Orma_, pintoisreal, Quella che ama i Beatles, Secretly_S, Soleil Jones, Strix, valepassion95, Vivi_AB, WikiJoe, Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica , che seguono la storia;

EmmaDiggory15, Feather_, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, HilaryWhite, JeckyCobain, Jilliana, lililisa_jb69, Lollie, Martillaaa, MaryWeasley,  max85, Meissa Antares, orange_weasley, soxsmile, Spark_, sweet years_giuly_, Trillian_97, Vivi_AB, Welcome to the darkside, Zarael, che hanno inserito la storia tra le preferite;

Azazel_, Frederique Black, IpseDixit, Leeyum_isMyBatman, Luna Paciock, maryanne armstrong, Orma_, che l’hanno inserita tra le ricordate;

Meissa Antares e Zarael, che hanno recensito il capitolo precedente. 


Detto ciò, è giunto il momento di salutarvi. Ribadisco che si accettano critiche, si ascoltano con immenso interesse consigli e suggerimenti di vario tipo e via discorrendo, quindi non siate timidi e fatevi riempire di dolci parole d’amore da parte della sottoscritta regalandole un segno del vostro passaggio. 
Per quanto riguarda il prossimo aggiornamento, credo di poter dire con certezza che dovremo aspettare la fine del mese di maggio. Insomma, giusto prima del mio ritorno nell’Ade (= sessione estiva). Ma vi assicuro che il prossimo è uno dei miei capitoli preferiti in assoluto – a meno che non cambi idea da oggi a domani.
Non mi resta che augurarvi una Buona Pasqua, e che la cioccolata sia con noi (“liberaci dalla dieta, amen”).
Vi lascio alla lista dei prestavolto e all'anticipazione del prossimo capitolo, dolcezze.
Vi mando un abbraccio enorme,

Jules



- Personaggi e prestavolto:


Margaret Stevens: Phoebe Tonkin
Abigail Thompson: Ashley Benson
Desmond Stevens: Simon Baker
Gloria Wilson in Stevens: Rachel Shelley 
Vittoria Mills in Wilson: Charlotte Rampling
Julia Palmer in Stevens: Meryl Streep
Regina Wilson in Thompson: Laura Leighton 
Matthew Thompson: Garrett Hedlund
Andrew e John Thompson: Brant Daugherty 
Anastasia De Luca: Holland Roden
Nicholas Wilson: Matt Bomer
Alexis Williams in Wilson: Amanda Schull
Blanche Wilson: Raffey Cassidy
Annabel Stevens in Russell: Debra Messing 
Landon Russell: Michael Fassbender
Dorian Russell: Tyler Blackburn
Giselle Edwards: Lily Collins
Lancelot Russell: Chace Crawford
Elsa Pedersen: Andrea Parker
Savannah Pedersen: Doutzen Kroes
Erik Pedersen: Paul Wesley
Cassandra Jones: Troian Bellisario
Frank Walker: Julian Morris
Flor Gimenez: Claire Holt
Inés Velasco: Ellen Page
Isabel Ortiz: Danielle Campbell
Leonor Ortega: Leah Pipes
Mercedes Guerrero: Elizabeth Gillies
Filippo Rinaldi: Steven R. McQueen
Virginia Anderson: Dianna Agron 


- Dal prossimo capitolo:


«Ma-ma-ma-ma» tentò di articolare, dato che le sillabe erano diventate la sua grande passione nell’ultimo mese, lasso di tempo durante il quale aveva iniziato a mostrare degli inconfondibili segni di magia – rendendo orgogliosissimi i genitori, i nonni e qualsiasi altro essere umano frequentasse di tanto in tanto quella casa. Dopodiché, il piccolo prese un sonaglio e lo porse alla mamma, che gli fece il solletico.
«Questo è per me? Ma che gentile, è proprio…» iniziò la giovane, ma il rumore di un’esplosione proveniente dal secondo piano fece sobbalzare sia lei, sia le due anziane signore ancora al lavoro, mentre Alexander iniziava a piangere a dirotto.
«È la sesta volta in quattro giorni! Quei due hanno forse intenzione di far crollare la casa?» sbottò Vittoria, che in quell’istante dava l’impressione di somigliare ad un gatto isterico cui era appena stata gettata addosso una secchiata d’acqua gelida.
   
 
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