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Autore: ilaperla    01/04/2015    2 recensioni
Il destino. Questa parola così comune, ma di difficile significato. Cosa celerà dietro una vita tormentata?
Alyssa, passato e presente difficili. Ha paura di combattere, di uscirne perdente. Perchè sa, che qualsiasi cosa farà soccomberà in ogni caso.
Il destino ha completato il suo corso con lei? O uno scontro può dare inizio a qualcosa di diverso?
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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In questi momenti, quando il silenzio diventa quasi insopportabile, è come se il tempo si fermasse. Ho sempre desiderato vivere il più a lungo possibile, scoprire cose nuove e viaggiare nel passato non mi dispiacerebbero.
Mi sarebbe piaciuto avere la possibilità di togliere le pile dagli orologi, come se avessi un potere nascosto per bloccare le lancette e compromettere il volere del tempo.
 
Tutto attorno a me è silenzio e mi rendo conto di non star vivendo la vita che mi ero prefissata mesi fa, prima che tutto il mio mondo fosse rivoluzionato.
 
Uno sfiorare delicato della mano mi fa ridestare dal torpore che mi ha assopita, mi rendo conto di essere sospesa su qualcosa e di non avere la forza di aprire gli occhi. Un limbo.
I polpastrelli della mano mi sfiorano il polso e piccoli brividi mi passano sulla spina dorsale.
Mi domando se non stia sognando, ma poi una voce come se provenisse da lontano, mi mette sull’attenti e faccio più attenzione a quello che mi circonda. Con i sensi in allerta.
 
“Dobbiamo parlare di molte come, Michael” una voce soave e leggera mi fa chiedere subito chi ne è il possessore.
“Non mi sembra proprio il caso”.
“Invece dovrebbe, in che condizioni fai vivere tua figlia?” Domanda irosa.
“Mi stai facendo una sorta di predica?”.
“Semplicemente non capisco quello che tu stia facendo, è visibilmente provata. E’ deperita Michael, è svenuta. Questo non ti dice nulla?”.
Sento il materasso sollevarsi e mio padre scandire in fretta la sua rabbia, così forte e precipitosa.
“Tu te ne sei andata. E non hai nessun diritto di sputare le tue stramaledette sentenze!”.
 
Per un attimo mi domando con chi stia parlando. Con chi può mai avere così tanto astio.
Ma poi ricordo, almeno mi sforzo di farlo e quello che ricordo è una persona di spalle con i capelli d’orati corti. Ricordo il profumo nell’aria insolito per quella casa, sempre odorosa di profumo maschile di mio padre.
E in un attimo mi capacito che non è un sogno, ma che semplicemente la vita sta andando avanti anche senza di me. Ma io ne voglio fare parte.
 
Sforzo le palpebre e un verso roco esce dalla mia gola propagandosi per la stanza come un vetro rotto.
I sensi in allerta sentono il vociare tacere e subito dopo la mano possente di mio padre torna a sfiorarmi. Le sue dita accarezzano i miei capelli e il suo fiato caldo arriva a poca distanza dei miei occhi.
 
“Alyssa piccola, riesci a sentirmi?” Domanda lui con voce dolce.
Come se fossero richiamate al dovere, le palpebre si sollevano tremolando la vista e facendola essere appannata.
Sbatto freneticamente queste e mi guardo attorno, la stanza è buia. Solo il chiarore della luna entra impercettibile dalle persiane.
La luce in fondo alla stanza, proveniente dalla porta, è l’unica fonte stabile di luce.
Poi la vedo.
Vedo una donna in piedi vicino al muro e mi domando chi sia. Poi una vocina nella mia testa mi ricorda l’accaduto e mi sento mancare il respiro.
 
“Mamma” sussurro cercando d’alzarmi sui gomiti ma la testa riprende a martellare e un forte senso di nausea mi pervade.
 
Vedo lei spalancare gli occhi e mio padre occupare la visuale, non facendomi vedere più quella donna.
Per quanto tempo ho sperato che lei tornasse? Quasi è impossibile contarlo.
Sono state troppe le notti in cui ho pregato di rivederla, di ascoltare nuovamente le sue favole. Poi sono cresciuta e ho capito tante cose. Ma quella voglia di rivederla non è mai andata via. Anche se so che ormai il nostro rapporto non esiste più, ma ci credevo.
Come si evince da quel diario rosso regalatomi dalla psicologa. Il mio desiderio nascosto.
 
“Alyssa, dovresti riposare” mi esorta mio padre serio.
E non so se per il fatto di essermi sentita male o semplicemente la debolezza che incombe, chiudo gli occhi e mi lascio rapire da un sonno calmo e senza sogni.
 

Quando mi sveglio i raggi di un sole timido, entrano e rimbalzano sui vetri della finestra andando a infrangersi sulle tende tirate di lato.
Mi stropiccio gli occhi, incurante della presenza di una persona alla mia destra.
Quando me ne accorgo, trattengo un sussulto inutilmente. Il mio gridolino fa svegliare mia madre che si era assopita su una sedia accanto al mio letto.
 
“Ti sei svegliata” esordisce lei, guardandosi attorno.
Io rimango in silenzio chiedendomi come mio padre abbia acconsentito a farla rimanere accanto a me. In mente girano ancora i ricordi della loro conversazione di questa notte.
“Hai cambiato molte cose qui” afferma tornando a guardarmi.
Sostengo il suo sguardo per alcuni secondi, poi lo abbasso sulle mie mani che hanno preso a stritolare la coperta sulle mie gambe.
Rimaniamo in silenzio, lei guardandomi e io paurosa di incrociare il suo sguardo. Cosa si dice a una madre che non vedi da otto anni?
“Probabilmente ti domandi cosa ci faccia io qui” mi anticipa lei, sussurrando la mia domanda inespressa.
Rimango ancora in silenzio ma stavolta sollevo lo sguardo curiosa di vedere la sua espressione e quasi mi imbarazzo per lei, che guarda fuori posto il paesaggio al di la della finestra.
“Si” sussurro.
“E’ difficile da spiegare” ammette voltando lo sguardo, guardandomi.
Deglutisco a vuoto, impaurita ma anche desiderosa di scoprire cosa l’ha allontanata da me.
“Sono stati anni difficili Alyssa, non si vive bene dall’altra parte del mondo sapendo che la tua unica figlia stia passando giorni difficili. Ci si sente impotenti”.
“Perché mi hai lasciata sola?” Domanda qualcuno che non sono io. Ma quando lei mi guarda capisco che quella domanda l’ho posta realmente io. Le mie domande finalmente hanno preso voce.
“Perché avevo paura. Il mio volerti bene era troppo e scoprire della leucemia mi ha spezzato il cuore. Non volevo vederti deperire giorno per giorno, non volevo vedere come l’unica cosa che io amassi più di me stessa venisse sopraffatta da qualcosa che io non potevo bloccare. Stupidamente, orgogliosamente, non lo so ancora cosa, ho deciso di accettare un’offerta di lavoro che mi era stata data tempo prima: lavorare come inviata nei paesi in guerra. Non è stata una passeggiata, non è stato facile accettare. Inizialmente pensavo che sarebbe stato per poco tempo, giusto il tempo di capacitarmi di quello che stava accadendo, poi sarei tornata”.
“Ma non l’hai fatto” ammetto con voce roca, indispettita dalle lacrime che tentano di sgusciare fuori.
Ascoltare nuovamente tutto il dolore provato all’età di nove anni riapre cicatrici che credevo, stupidamente, essere rimarginate.
“Quella sensazione, quella finta sensazione di sentirmi meglio non arrivava mai. Mi sentivo continuamente in colpa. E credevo che più tempo fossi stata lontana dalla mia vita, più sarei guarita”.
“Hai fatto finta che io non esistessi”.
“E’ quello che tu credi, mi sono sempre informata sulla tua vita e quella di tuo padre. Non direttamente da lui, c’è tanta gente che ci conosce Alyssa. Ed ecco perché sono tornata”.
La guardo interrogativa mente lei mi sorride.
Non capisco e probabilmente lei se ne accorge e si alza in piedi. Percorre la distanza che la separa dalla borsa appoggiata sulla scrivania, ci rovista dentro e ne prende qualcosa.
Orgogliosa si volta verso di me e mi porge un dépliant ripiegato.
“Cos’è?” Domando sottovoce, prendendo quella carta rilegata fredda, un po’ come me.
“Ho trovato una soluzione a quella sensazione che provavo. Ho trovato una cura alla leucemia”.
Le parole rosse mi colpiscono come un martello pneumatico sul cuore.
Che significa tutto questo?
La sensazione e la finta illusione che mi scorreva dentro, non appena ho visto questa donna, illusa che fosse tornata per l’amore verso la sua famiglia, si sgretolano.
“Questa clinica in Svizzera propone dei trapianti di midolli che potrebbero allungare la vita. Sono ricercatori che stanno sviluppando la teoria, molte persone si sono messe in lista inutilmente ma io conosco il primario e il suo assistente, possono darti una possibilità”.
Parole che vanno a colpire ulteriormente quell’organo nel petto, ripetutamente.
Se non fossi seduta a letto probabilmente sarei capitolata a terra. Tutto mi sarei aspettata, tranne quello che davvero sta accadendo in questa stanza.
Fisso, con mani tremanti, quel volantino colorato. Metterebbe allegria in altre occasioni, sapere che stanno studiando una via di sviluppo al tumore sarebbe una gioia in altri casi. Ma qui tutto sembra paradossale.
“Cosa ne pensi?” Mi domanda lei sedendosi sul letto.
Alzo lentamente la testa e la fisso, sul suo volto pian piano il suo sorriso soddisfatto si affievolisce.
“Tu… tu sei tornata solo per questo?” Le domando deglutendo.
“Alyssa è una grande possibili…”
“Rispondimi!” Finalmente alzo la voce e mi trovo a faticare con il respiro.
Perché tutto questo mistero?
Perché non piantarmi il pugnale dritto in gola?
“Pensavo di farti cosa gradita” sussurra lei, abbassando il capo.
“Non sei tornata per noi? Per me e papà?”
“No Alyssa, la mia vita non è più qui”.
Ed ecco che il pugnale arriva e squarcia tutto sul suo cammino.
Aspettative sbagliate, idee e sogni totalmente inesistenti. D'altronde non si può modificare la vita di quasi dieci anni, è come chiedere al mio inferno di cambiare abitazione.
E la cosa quasi mi fa sorridere per la sua vena comica.
“Io non voglio curarmi” decreto consegnandole il dépliant.
“Co… stai scherzando” mi rimbecca lei fulminandomi con lo sguardo.
“No”.
“Alyssa è assurdo. C’è una probabilità su milione, tu puoi usufruire di questa possibilità e cosa fai? La rifiuti?”
“Papà si è documentato ovunque e più niente è possibile al mio stadio” le spiego seccata, non capisco cosa la trattenga qui ora come ora.
“Probabilmente non ha sentito chi di dovere” sputa lei, alzandosi dalla sedia e incrociando le braccia al petto.
“Mio padre ha sentito fior fior di medici. Non si è dai MAI per vinto e non ammetto che gli si sia accusato di essere immeritevole” gracchio visibilmente risentita.
Che mi tocchino ciò che vogliono, la mia vita, il mio essere, quello che rimane del mio corpo ma non mi si può attaccare l’unica persona che mi è stata accanto quando il mondo -e mia madre per prima- mi hanno voltato le spalle.
 
Le grida richiamano proprio quell’uomo che corre in stanza guardando prima me e poi la donna che per anni gli è stata accanto ma che ora ha deciso di voltarci le spalle.
“Che succede?” Domanda guardandomi preoccupato.
“Questa donna se ne stava andando” gli rispondo continuando a fissare quella che credevo essere una madre, risentita.
Si avvicina alla scrivania, afferra la borsa e appoggia il volantino sul legno scuro.
“Non abbiamo finito qui” conclude girando i tacchi e uscendo dalla stanza.
 
Quando si dilegua giù per le scale, mio padre mi guarda senza emettere parola. Probabilmente sa che parlare ora sarebbe troppo affrettato così, con un cenno del capo, mi lascia da sola socchiudendo la porta.
Mi stendo e affondo la testa tra i cuscini guardando l’albero fuori dalla finestra.
Chiudo gli occhi e lacrime silenziose mi cadono ai lati delle guance.
È assurdo, semplicemente assurdo.
Come può una madre, sangue del tuo sangue, piombare nel mezzo della tua vita dopo che si è allontanata senza una spiegazione e aspettarsi di ottenere delle risposte quando nella mia testa vorticano solo domande.
Come può abbandonare la sua famiglia e decretare senza emozioni che no, non ha nessuna intenzione di salvarla.
Mi giro su un fianco e cerco di spegnere il cervello. Desiderando che quel desiderio sull’agenda rossa si possa cancellare come se non lo avessi mai scritto. Invece il sogno si è tramutato in incubo.
 
 
Poco più tardi dell’ora di pranzo decido di scendere in cucina, l’aria si sta facendo leggermente pesante ma per il mio corpo è ancora presto per abbandonare i lunghi e pesanti maglioni.
Dopo la fatica immane per scendere gli scalini, aggrappata al maniglione, arrivo in cucina e trovo mio padre seduto alla tavola con la testa tra le mani.
Il rumore dei miei passi è attutito dai calzini e lui non sente arrivarmi.
“Papà” lo chiamo appoggiandomi allo stipite della porta aperta.
Lui si riscuote e solleva di scatto la testa.
“Aly… hai fame? Ti riscaldo qualcosa” si offre guardandosi attorno.
“Non importa” lo rassicuro avvicinandomi ai fornelli e accendendo il fuoco sotto la caraffa dell’acqua per un te caldo.
Preparo il mio occorrente immersa in un silenzio pesante che potrebbe tagliarsi con un coltello.
Mi siedo pesantemente alla sedia del tavolo e chiudo gli occhi provata.
“Come ti senti?” Domanda mio padre difronte.
Ci metto molto per riordinare le mie sensazioni interiori mentre giro il liquido ambrato nella tazza per far sciogliere lo zucchero.
“Mi sembra tutto così… assurdo” gli rispondo non staccando lo sguardo dalla tazza fumante.
“Papà tu sai perché è venuta da noi?” domando incrociando il mio sguardo con il suo.
Lui mi guarda impacciato, combattendo con due fazioni al suo interno. So che sa la verità ma non vorrebbe mai ammetterlo. I suoi occhi non riescono a nascondere la verità, è sempre stato così. Fin da quando tutto è iniziato, ricordo ancora i primi giorni quando lui e mia madre volevano cercare di nascondermi quello che era successo, come se volessero nascondere che mi stessi pian piano spegnendo e lo facessi proprio in quel momento.
“Lei, è venuta per una giusta causa” risponde alla fine torturandosi le dita.
“Una causa che noi non accettiamo” lo rimbecco.
Ma quello che ne ricevo in cambio è totalmente l’opposto di quello che credevo.
Il silenzio.
Sbigottita, guardo il volto di mio padre serio, che mi fissa senza emozioni. Ma poi un lampo di risentimento vela il suo sguardo.
“Sai Alyssa, forse dovresti prendere in considerazione l’eventualità che ti ha dato tua madre”.
“Stai scherzando, vero?” Gli domando senza fiato.
“Hai ascoltato tutti i pareri dei medici della Gran Bretagna, ti sei affidato a specialisti di alto livello e ora? No papà. Io non ci credo!”
“E se avessi sbagliato? Alyssa non puoi puntarmi il dito contro. Se c’è una qualsiasi speranza che mia figlia si possa salvare, io mi ci aggrappo con tutte e due le mani”.
Mi alzo spazientita dalla sedia con un colpo veloce, la mia testa ne risente come se avesse sbattuto su uno spigolo appuntito ma non mi importa. Mi sento presa in giro e l’ultima cosa che voglio fare è fargli vedere quanto sono debole.
“Quella donna non sa niente di me! Non sa la mia storia e tanto meno la mia cartella clinica. Tu ti sei fatto peso anche della sua figura in questi anni, hai combattuto con me. Non puoi darmi in pasto alle sue idee non appena se ne presenta l’occasione. Io non ci sto. Io non vado da nessuna parte!”
Senza aspettare la sua risposta, con la sua espressione ancora nel mio campo visivo, corro in camera mia desiderosa di non aver mai voluto rivedere quella persona nella mia vita.
 
 
“E così è tornata…” riassume Eloise calciando una pietra sul marciapiede.
Io alzo la testa verso il cielo e mi soffermo a guardare le varie forme astratte delle nuvole. Alcune vengono colpite dai raggi solari formando dei piccoli sbuffi. E il caso vuole che io mi senta un po’ come quelle nuvole: colpita da un amore materno forse troppo grande per il legittimo proprietario.
“Già…” confermo io affondando le mani nelle tasche della felpa.
Stiamo andando agli studi di registrazione dei ragazzi.
Non sento Liam da quel giorno del karaoke e dopo la visita di mia madre, che ho riposto nel cassetto insieme al dépliant della clinica in Svizzera, mi sono domandata il perché del suo atteggiamento così freddo e scostante.
“Cos’hai intenzione di fare?” Mi domanda Eloise prendendom sotto braccio.
“Dimenticarmene” rispondo senza pensare minimamente a quello che potrebbe significare quel volantino nel cassetto.
“Aly” mi riprende la mia amica fermandosi in mezzo al marciapiede e parandosi difronte “non so di cosa avete parlato e non voglio saperlo se questo significa far soffrire te. Ma ricorda che è una parte di te”.
“Una parte che ha deciso di abbandonarmi tanto tempo fa” preciso guardando una donna con il passeggino al lato opposto della strada.
“Non vuoi ascoltare nemmeno le sue ragioni?” Mi domanda benevola, inclinando di lato la testa.
“Non ce n’è bisogno. Non è tornata per recuperare la famiglia”.
“E tu come lo sai?”
“Me l’ha detto senza giri di parole”.
Guardo per l’ultima volta Eloise negli occhi, cercando di farle capire che non ho nessuna voglia di continuare a parlare di questa situazione semplicemente assurda.
Lei con un cenno del capo mi esorta a lasciar perdere e a continuare la nostra passeggiata fino agli studio di registrazione.
 
“Wela ragazze” ci saluta Harry non appena entriamo nella sala relax.
Eloise lo raggiunge felice mentre Niall mi si avvicina.
“Ciao piccola Alyssa” mi scompiglia i capelli per poi passarmi di fianco e andare a prendere una bottiglia d’acqua.
I ragazzi sono riuniti ad un tavolo scrivendo qualcosa su dei fogli.
“Cosa fate?” Domando guardandomi attorno e constatando l’assenza di Liam.
“Scriviamo qualcosa di nuovo” dice Zayn stiracchiando le braccia in avanti.
“Anche nell’ora di pausa?” Domanda Eloise sedendosi su di una sedia vicino alla porta.
“La fama non aspetta” decreta Louis strimpellando un accordo alla chitarra acustica.
“Dov’è Liam?” Domando facendo un passo indietro, come se potessi vedere meglio la stanza.
“Dovrebbe essere al piano superiore in sala registrazione. L’hanno chiamato per incidere un passaggio alla chitarra” mi riferisce Niall sedendosi al tavolo e sorridendomi.
“Come stai?” Torna a chiedermi, facendosi serio.
“Hem… bene” improvviso, cercando di mascherare il mio corpo e le mie emozioni sotto strati ingombranti di vestiti.
Lui non sembra esserne convinto ma prima che torni alla carica con il suo sguardo indagatore deciso di affrontare le mie energie e andare in cerca di Liam.
“Bhe… vado a cercare Liam” annuncio avviandomi a piccoli passi verso la porta.
“Vuoi una mano?” Mi chiede sottovoce Eloise.
Nego con un piccolo cenno della testa, evitando movimenti bruschi e apro la porta avviandomi al piano di sopra.
 
Il corridoio è semi deserto. Ricordo benissimo come ci si arriva in sala registrazione grazie all’incisione inedita della mia canzone.
Questo ricordo, a settimane di distanza, mi mette ancora i brividi. Non mi sembra vero di aver scritto e partecipato anche con la mia voce a qualcosa di così grande che rimarrà un segno indelebile in un cd.
Tutta quell’emozione e adrenalina vale mille volte la concezione della morte.
Non ci penso così ossessivamente a questo concetto di “fine” o almeno faccio finta di non pensarci. Ma se la mia vita deve andare così, io non sono nessuno per far stravolgere la storia. Nemmeno la possibilità data da quel volantino. Non ci tengo ad avere altri pochi anni di successo, perché so ciecamente che non ho un futuro. Niente può combattere il mio inferno. Io lo so, perché ormai fa parte di me. È come se ci avessi convissuto fin dalla nascita e cresce insieme a me. La realtà, dopotutto.

Quando arrivo alla porta della sala faccio un respiro profondo e appoggio la mano sulla maniglia.
Non ho più paura di scomparire, perché so che questo prima o poi accadrà. Forse a me tutto è accelerato, ma non mi pento di niente.
Lascio fuoriuscire il respiro e abbasso la maniglia.
La sala è silenziosa e a prima occhiata sembrerebbe non esserci nessuno, ma quando mi accorgo della presenza di due persone al di là del vetro infrangibile mi blocco sui miei passi, ancora con la mano sulla maniglia.
Liam e Sophia stanno parlando in sala di incisione e non si accorgono della mia presenza, alleata la luce della sala spenta.
Il gracchiare delle loro voci mi fa capire immediatamente che il microfono di comunicazione tra una stanza  e l’altra è attivo, probabilmente chi è stato qui prima ha dimenticato di spegnerlo.
Chiudendo piano la porta faccio con quanta più delicatezza possibile alcuni passi per avvicinarmi alle casse e ascoltare meglio.
 
Liam ha i pugni stretti e il volto girato da un lato, non guarda in faccia la sua ex ragazza mentre lei continua a parlare.
Non comprendo immediatamente quello che si dicono e mi chiedo pigramente perché lei è qui.
“Stai sbagliando tutto” esordisce lei, afferrando Liam per gli avambracci.
Quel contatto mi lascia con il fiato sospeso, sorprendendomi dal fatto che lui non si divincola dalla presa.
“Eravamo così giusti, così genuini e guardati ora” continua lei scuotendolo.
Liam si lascia andare al movimento come se fosse stanco di tutta la situazione che gli grava sulle spalle.
“Non sei più il ragazzo di cui mi sono innamorata. Ricordi quanta gioia di vivere avevi? Eri combattivo, sempre determinato. È come se quella ragazza ti avesse cambiato. Ma non in meglio Liam come tu e i ragazzi credete, ti ha stravolto in negativo facendoti annullare insieme a lei”.
Sgrano gli occhi quando riesco a comprendere di cosa Sophia lo stia accusando e un pugno al petto mi fa barcollare facendomi appoggiare con le spalle alla porta chiusa.
“Alyssa è stata solo un bene per la mia vita” decreta lui, facendo un passo indietro e guardandola negli occhi.
Il mio nome pronunciato con rabbia mi fa trasalire.
“Stai mentendo Liam, ti ha allontanata da me quando le cose tra noi stavano andando bene. Eri così contento di aver trovato nuovamente un equilibrio dopo Daniell e guardati ora. Stai affondando nuovamente e stavolta più in fretta dell’ultima volta”.
Le sue parole mi bruciano e tutto ciò si alimenta quando Liam non risponde alle verità -perché so che lo sono- di Sophia.
Con che coraggio io sto facendo tutto ciò a questo ragazzo? Non era stata la mia concezione fin dall’inizio di allontanarmi da lui e dai ragazzi per non soffrire e fargli soffrire?
Questa ragazza qui dentro sta solo dicendo la pura e sacrosanta verità e in questo momento mi sento un mostro. Un dannatissimo e orrendo mostro per aver travolto delle vite su cui non ho nessuna pretesa. Quasi simile a mia madre.
“Stai morendo anche tu insieme a lei” urla Sophia prendendo Liam dalle spalle.
Fiotti la lacrime calde sgorgano dai miei occhi per l’ennesima volta in questa giornata, un singhiozzo nasce dal fondo della gola e mi porto le mani alla bocca per trattenerlo.
Un mostro con un anima strappata.
Liam abbassa la testa e si lascia andare ad un abbraccio della ragazza, le sue spalle tremano mentre Sophia gli accarezza i capelli.
Il ritratto di un uomo distrutto. E io ne sono l’autrice.


 

Kumusta a tutti voi miei splendidi lettori!
Toc-toc. C'è nessuno lì? E' IlaPerla che vi chiama *fa dei strani gesti con le mani*
Insomma, vi ricordate di me? Sono quella sadica che fa soffrire i suoi personaggi.

Serietà Ila, serietà perdindirindina!
Allora, come ve la passate?
Che dire, mi scuso enormente per la mia assenza ma nella mia vita in questi mesi è successo DI TUTTO! 
Ho avuto dei seri problemi in famiglia ma che pian piano si stanno mettendo al loro posto e... volete sapere la novità delle novità? MI SONO LAUREATA!
Tadadadaaaaaa ecco perchè sono sparita sotto il mantello dell'invisibilità di Harry Potter ma ero alle prese con i miei ultimi esami e con la stesura della tesi. Un lavoraccio che mi ha tenuta mesi e mesi lontana dalla spensieratezza. Che faticaccia oh! Ma sono soddisfatta del mio operato, una settimana esatta ad oggi avevo la corona d'alloro in testa -Dante mi ha contagiata- ed è stata l'emozione più grande della mia vita.
E detto ciò, volevo avvisarvi che sono tornata a tutti gli effetti, ma non vi assicurerò un aggiornamento a settimana come succedeva prima perchè voglio rimettere in linea le mie idee. 
E niente gente, son tornata e con il botto anche.
Cosa ne pensate? Sono abbastanza fiera di questo capitolo.
Non vedo l'ora di sapere le vostre reazioni, orsù dunque! Fate un regalo di bentornata alla vostra IlaPerla che vi ha pensato tanto tanto.
A prestissimo miei prodi!
Sempre vostra
-IlaPerla-

 
  
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