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Autore: Betta7    01/04/2015    7 recensioni
" "Abbiamo smesso di essere bravi genitori quando abbiamo permesso che il mondo rovinasse la nostra famiglia, Kurata.".
"Non è stato il mondo, Akito. Sei stato tu a rovinarla."
Non avrei voluto dire quella frase, non era colpa sua se non avevamo resistito alle difficoltà, ma lui era stato il primo ad arrendersi, mentre io cercavo disperatamente di salvarci. Ma non potevo, non da sola, non senza il suo aiuto. E lui, per quanto mi amasse, aveva scelto la strada più facile, dopo una vita di sentieri impervi, aveva deciso che di lottare era stanco, aveva preso baracca e burattini e aveva lasciato casa nostra. "
Ispirata dall'omonimo romanzo/film, una one-shot che ci fa vedere Sana e Akito totalmente diversi da come li avevamo sempre visti. Litigi, scontri, ma di base un grande amore che dovrebbe superare ogni cosa. O almeno lo sperano.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Sana/Akito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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NESSUNO SI SALVA DA SOLO.


Il ristorante era pienissimo, la gente continuava ad entrare ed uscire, ma di Akito neppure l'ombra. Non riuscivo a intravederlo da nessuna parte, ma era già da almeno quindici minuti che aspettavo quindi lo chiamai al cellulare. Occupato, sicuramente con la sciacquetta di turno. Non doveva importarmi, in ogni caso. Poteva stare con chi desiderava, ma la punta di fastidio dentro di me era difficile da zittire. Controllai di nuovo il telefono, per essere sicura che Sari e Keishi non stessero distruggendo casa di mia madre che si era offerta di tenerli durante questa serata con il mio ex marito.
Suonava persino strano dirlo, ex marito, ma da troppo tempo considerarci come una coppia era stato ancora più difficile del solito e le cose erano precipitate lentamente. Non ero riuscita a capire il motivo, i nostri sentimenti ero sicura fossero sempre gli stessi, ma probabilmente le circostanze della vita ci avevano allontanato al punto che si era creato un muro tra di noi. Un muro fatto di incomprensioni, frasi urlate nel bel mezzo della notte, sospetti di tradimenti probabilmente mai avvenuti, e troppi silenzi. La cosa peggiore erano stati proprio quei silenzi, ci avevano logorati. Non parlavamo più, non ridevamo più, litigavamo e basta, e per noi litigare era sempre stato il nostro modo di dimostrarci amore. Ma dietro quelle litigate non c'era più l'affetto, non c'era più il divertimento di infastidire l'altro per poi fare pace, c'era spesso l'intenzione di ferire. Ecco cosa ci aveva rovinati, cosa aveva messo fine a quello che avevo considerato l'amore della mia vita. Non potrei nemmeno dire che non lo è stato, perchè ho amato quel ragazzo con tutta l'anima, e ho imparato anche ad amare l'uomo che è diventato. Ma niente, niente di ciò che avevo cercato di fare, era riuscito a salvare il nostro matrimonio. Avevo proposto una vacanza, lontano dalla città che aveva accolto i nostri infiniti litigi, per ricominciare, per lasciarci alle spalle i problemi, eppure neanche quello era bastato. Avevamo passato una settimana stupenda, poi, l'ultimo giorno, per un biglietto dimenticato in albergo, le urla erano ricominciate e i buoni propositi ci avevano abbandonati.
"Ciao, Kurata.". Alzai lo sguardo e vidi che era vestito di tutto punto, probabilmente veniva da un incontro di lavoro, come sempre.
"Siediti, Akito.". Lui non aveva smesso di chiamarmi per cognome mentre io non riuscivo più a farlo. Mi sembrava di tradire tutti gli anni di bei momenti, gli anni di confidenze, anni in cui eravamo stati felici.
Prese posto davanti a me, togliendosi la giacca e rimanendo con la camicia bianca.
La cameriera si avvicinò a noi porgendoci i menù, e continuava a fissare Akito come se volesse prendere il mio posto. Gliel'avrei ceduto volentieri, ma i bambini venivano prima di tutto e Keishi, in particolare, aveva bisogno del padre.
"Un'Antinori del 2008, grazie.". Scelse il vino e le restituì l'elenco, senza degnarla di uno sguardo.
2008. Un anno che non avrei mai potuto dimenticare.
Mi venne da sorridere, ricordando il giorno della nascita di Sari, e a pensare al casino combinato in ospedale perchè non sapevamo nulla delle procedure, essendo la nostra prima figlia.
"Cosa ti diverte così tanto?". La sua voce mi sembrava così lontana, come se non fosse la voce della persona che era stata al mio fianco per un tempo lunghissimo. Come se non avessi sentito quella voce ogni mattina negli ultimi dieci anni.
"Nulla, l'anno del vino mi ha ricordato bei momenti..." ammisi. Con lui, nonostante tutto, non ero capace di fingere, non riuscivo mai ad usare le mie doti recitative con  Akito davanti. I suoi occhi mi leggevano, ed era una cosa che detestavo, perchè io i suoi non riuscivo mai a decifrarli. Erano oscuri, nascosti, non lasciavano passare niente e nessuno.
"Sari..." sussurrò infine lui. Ricordavamo esattamente la stessa cosa, e anche sul suo viso spuntò un sorriso.


Akito era uscito dalla mia camera nel momento stesso in cui l'infermiera era venuta con la bambina tra le braccia. Non sapevo come l'avrebbe presa, già la notizia della gravidanza era stata difficile da affrontare, sapevo perfettamente che gli sarebbe servito un po' di tempo per abituarsi all'idea di essere davvero padre.
Ero consapevole del fatto che non si era allontanato perchè non voleva vederla, ma semplicemente perchè aveva bisogno del suo tempo.
Non passò comunque molto, forse qualche minuto, che lo vidi rientrare di nuovo e correre ad abbracciarmi. Io ero inguardabile, sudata in modo imbarazzante, ma felice come mai ero stata prima. Guardai la mia bambina, la nostra bambina, e mi sembrò di vedere l'essere più perfetto dell'universo. Poteva esistere nulla di altrettanto perfetto? Era lì, piccola, indifesa, e gli unici che avrebbero potuto proteggerla eravamo io e Akito.
"Ciao piccolina..." sussurrò lui, trattenendo le lacrime. Ero certa che l'avrebbe amata, ero sicura del fatto che le avrebbe riservato ogni attenzione possibile, l'avrebbe persino viziata.
"Adesso però dobbiamo dare un nome a questa bambola..".
Mi sembrava quasi di non riconoscerlo, non era il mio Akito, il burbero ragazzo che per nove mesi aveva evitato di parlare della bambina, ancora troppo lontana da lui, che avebbe potuto portarmi via, come era successo con sua madre.
Era un Akito diverso, sembrava improvvisamente diventato uomo. Era un papà.
"L'abbiamo fatta noi, Aki.. ti rendi conto?". Non mi sembrava vero, pensavo che da un momento all'altro mi sarei svegliata nel mio letto, senza il mio pancione, senza Akito... come se fosse stato tutto un sogno.
"Si, e se vuoi ti do una dimostrazione pratica di come l'abbiamo fatta.". Risi. No, non era un sogno, era la realtà.
"Vacci piano, uomo. Sono ancora tutta ammaccata."
Lui mi sorrise e mi diede un bacio sulla fronte, per poi darmi un bavaglino rosa con su scritto un nome. Lo aveva scelto settimane prima, senza dirmi nulla, perchè sapeva perfettamente che mi sarebbe piaciuto.
Sari.
"Benvenuta, Sari..." sussurrò Akito mentre mi stringeva. Quello era esattamente il mio angolo di paradiso.

"Allora... cosa abbiamo deciso di fare con i bambini?".
"Niente, proprio per questo abbiamo organizzato questa cena. Per decidere insieme, come dovrebbero fare due genitori.".
"Abbiamo smesso di essere bravi genitori quando abbiamo permesso che il mondo rovinasse la nostra famiglia, Kurata.".
"Non è stato il mondo, Akito. Sei stato tu a rovinarla."
Non avrei voluto dire quella frase, non era colpa sua se non avevamo resistito alle difficoltà, ma lui era stato il primo ad arrendersi, mentre io cercavo disperatamente di salvarci. Ma non potevo, non da sola, non senza il suo aiuto. E lui, per quanto mi amasse, aveva scelto la strada più facile, dopo una vita di sentieri impervi, aveva deciso che di lottare era stanco, aveva preso baracca e burattini e aveva lasciato casa nostra.
"Vorrei venire a casa, qualche volta.". Aspettai che la cameriera poggiasse i nostri piatti sul tavolo e che si allontanasse abbastanza da non sentire la mia risposta.
"I bambini soffrono quando vai via.". Era la verità, ma era solo una parte della verità. Io soffrivo quando andava via. E soffrivo così tanto che a volte non riuscivo neanche ad alzarmi dal letto la mattina dopo. Mi svuotava, mi aveva svuotata anche quando se n'era andato la prima volta. Quando l'ultima cosa che vidi di lui quel giorno furono le sue spalle, mentre attraversava la porta e spariva. Non avevo corso per fermarlo, aveva scelto liberamente di andarsene e non potevo far nulla perchè rimanesse. Avrei voluto poter fare qualcosa. Per i bambini. Per me.
"I bambini pensano che le cose torneranno come prima. Prima o poi dovranno abituarsi alla mia assenza."
Avrei dovuto farlo anch'io, ecco cosa c'era di diverso.
"Si, lo faranno. Sari l'ha già fatto in realtà, è Keishi quello che mi preoccupa di più. Pensa che tu ci abbia abbandonato."
"E tu? Tu che pensi?". Non avrebbe dovuto farmi quella domanda, perchè non avrei saputo controllare la risposta.
"Penso che hai fatto presto a fare le valigie e andare via, ecco quello che penso."
"Quindi che vi ho abbandonati."
"Hai abbandonato i tuoi figli, non me. Io me ne sono fatta una ragione tempo fa."
Mentivo, Dio quanto mentivo...ma non potevo dare a vedere il mio stato d'animo, o ci saremmo ritrovati punto e a capo, e non si poteva continuare in quel modo. Dovevamo crescere, allontanarci per sempre, far finta che le nostre strade si fossero incrociate per un breve tragitto e che poi, per volere del destino, si fossero separate, senza alcuna cicatrice, senza alcun dolore, rimorso o rimpianto. Era finita, e dovevamo accettarlo.
"Ne ero certo, non mi aspettavo di certo che versassi una lacrima per me.".
Ma come ci eravamo ridotti a parlarci in quel modo?
"Ne ho versate fin troppe molto tempo fa, ora ho capito che non ne vale più la pena."
"Non ne è mai valsa la pena, per te."
Decisi di non rispondere alla sua provocazione e presi un'altro boccone di pesce, in silenzio.
"Senti, siamo venuti qui per decidere cosa fare con i bambini durante le vacanze estive, quindi cerchiamo di non uscire armi da fuoco fino alla fine della serata, va bene?".
E quella gli sembrava un'offerta di pace? Avrebbe dovuto impegnarsi un po' di più.
Comunque annuii, sperando che la serata passasse il più velocemente possibile.

*

"Di chi ti stai occupando per adesso?", chiesi quando la cameriera ci portò il secondo.
"Di un ragazzo che è arrivato da poco alla palestra, è bravo, ma niente di eccezionale.."
"Non è te, ovviamente."
"Non ho detto questo. Se si impegna almeno un po', ce la farà."
"Non è di certo l'incarico che ti aspettavi, immagino."
"No, non lo è, ma il lavoro è lavoro e, per fortuna, posso ancora permettermi di decidere con chi lavorare."
Una frecciatina che avrebbe potuto evitare ma che, prendendo l'argomento lavoro, sapevo avrebbe fatto.
Lui non sapeva quanto io lo odiassi. Non aveva idea di quanto io detestassi il mio lavoro per quello che ci aveva fatto. Avevo sempre saputo che ci avrebbe creato dei problemi, ma non immaginavo che sarebbe stato uno dei motivi che aveva portato alla fine del nostro matrimonio.
"Io ho preso una pausa, dopo l'ultimo incarico che ho avuto vorrei stare un po' con i bambini. Sai, la situazione è già difficile, non voglio che sentano lontana anche me."
Anche questa era una mezza verità. Avevo chiesto a Rei di non cercare lavoro per un po', non avevo la forza per affrontare un divorzio e, contemporaneamente, le follie di qualche regista psicopatico. Non avevo voglia di lavorare, volevo solo chiudermi nella mia camera e mangiare chili di gelato. Certo, mi rendevo conto che, con due bambini, non sarebbe stato facile, e soprattutto che non potevo far pagare a loro ciò che io e il loro padre stavamo passando. Era colpa nostra se le cose erano andate male e noi dovevamo gestire i nostri sentimenti. Loro si sarebbero abituati, prima o poi, i figli di genitori separati soffrono, ma crescono. Devono affrontare presto le loro paure, e forse quella era una cosa positiva.
Ero una bugiarda.
Avrei voluto che non dovessero mai affrontarle, quelle paure. Perchè ci saremmo stati sempre io e Akito a scacciarle via. Ma non eravamo stati capaci neanche di quello.
"Sei dimagrita."
"No" risposi secca. "Sono sempre la stessa.". Mentivo stavolta. Avevo perso almeno cinque chili, non mangiavo molto nell'ultimo periodo, ma nessuno prima di lui se n'era accorto. Forse perchè mi conosceva come nessuno, anche nei particolari delle mie forme.
"Ieri i bambini mi hanno chiesto perchè papà non li è venuti a prendere martedì. Ho dovuto dirgli che avevi avuto un impegno improvviso a lavoro."
I bambini lo avevano aspettato per un'ora, poi avevano capito che non sarebbe venuto e si erano rassegnati ad andare a dormire. Sari aveva voluto comprare un vestitino nuovo per la serata con papà, ed era così felice di farglielo vedere. Keishi si era fatto i capelli come lui, ridendo dentro la vasca da bagno. Lo avevano aspettato, e lui li aveva delusi.
"E' la verità, infatti. Tsuyoshi mi ha chiamato mentre mi vestivo perchè aveva bisogno di alcuni documenti dei ragazzi del corso pomeridiano."
"Non m'interessano le tue spiegazioni, ne' perchè non sei venuto. I tuoi figli ti hanno aspettato, Sari è andata a letto solo perchè le ho promesso che l'avrei svegliata se tu fossi arrivato.". Finalmente alzai lo sguardo e lo fissai dritto negli occhi. "Ma, ovviamente, non sei arrivato...".
Lui invece prese a giocare con l'insalata che aveva nel piatto, cercando di evitarmi. Non era da Akito. Quelli non eravamo noi.
"Mi dispiace... ho dimenticato di avvisare, gli impegni si sono sovrapposti e... mi dispiace, punto."
"Si, anche a me dispiace."
"E per cosa?".
Presi il mio piatto, con carne e crema di funghi, e glielo gettai in faccia.
"Per questo.".

"Sai cosa si dice dei primogeniti?". Era passato un mese da quando avevamo portato a casa Sari dall'ospedale, finalmente potevamo goderci la nostra nuova vita come una normale coppia. Non dormivamo da giorni, avevamo delle occhiaie mai viste, eppure sorridevamo continuamente. Non avevo mai visto Akito sorridere così tanto. Sorrideva quando Sari si svegliava, quando piangeva, quando urlava, quando voleva mangiare, persino quando doveva cambiarle il pannolino.
"No, cosa si dice? Che i padri diventano degli stupidi se sono femmine?"
Lui scoppiò a ridere e venne a sedersi sul divano vicino a me.
"No, cretina. Che sono sempre quelli che poi verranno meno coccolati quando arriverà il secondo.".
Forse aveva ragione, il secondo figlio è quello a cui si dedicano più attenzioni, forse perchè si pensa che il primo non ne abbia più bisogno.
"Stai tranquillo, Akito... Sari rimarrà sempre la tua principessina, anche se dopo ne verrà un'altra."
Lui annuii, poco convinto di ciò che dicevo. Sperai che capisse che, anche se avessimo avuto altri figli, l'emozione che avevamo vissuto con lei, non sarebbe mai stata eguagliabile.
Niente è così bello come quando accade la prima volta.

"Tu sei una pazza.". Si tolse la crema dalla faccia, cercando di pulire alla buona la camicia bianca che ormai solo la lavanderia avrebbe potuto salvare.
"Saresti dovuto venire. Li hai lasciati lì', ad aspettarti, senza dire nulla. Sono stati tristi tutta la sera!"
"Mi dispiace, okay?! Mi dispiace!! Non posso farci niente, l'ho fatto, mi dispiace, ma ora basta!!" urlò. Tutti dentro al ristorante si girarono a guardarci, stavamo dando spettacolo e, se qualcuno mi avesse riconosciuto, ci saremmo ritrovati giornalisti ovunque.
Mi venne da piangere. Non riuscivo a trattenere le lacrime.
"Adesso piangi pure?! Ma perchè sei così? Perchè Sana?!".
Le lacrime cominciarono a scendere ancora più copiosamente quando lo sentii pronunciare il mio nome. Non lo faceva da molto tempo.
"Loro devono sapere. Non devono ricordare solo questo. Devono sapere che prima delle liti, delle urla, dei casini... c'era amore. Che prima di tutto questo schifo ci siamo amati tanto!".
Akito sbattè il tovagliolo sul tavolo, sbuffando, e io non sapevo più cosa dire. Avevo fatto di tutto, avevo provato di tutto... non era stato abbastanza.
"Non sono stato io a rovinare le cose, almeno non da solo. Le liti, le urla, i casini, li abbiamo fatti insieme. Abbiamo fatto anche l'amore, ma a volte neanche l'amore basta.".
Lui sembrava impassibile, mentre io morivo dal dolore.
"A me bastava! Hai capito? A me sarebbe bastato! Ma tu hai deciso di andare via... io non l'avrei mai fatto."
"Forse perchè non avevi il coraggio che serviva."
"No, forse perchè ne avevo fin troppo di coraggio."


*

"I bambini li prendo durante i week-end, durante la settimana ho sempre lezione, non ce la faccio."
"Prima avevi sempre tempo per i tuoi figli. Arrivavi a casa e Keishi ti saltava addosso chiedendoti di giocare con lui, Sari si prendeva il bacio che aspettava per tutta la giornata... adesso hai sempre lezione, non ce la fai."
"Non è colpa mia se mi sono dovuto trasferire in un bilocale del cazzo."
"E di chi è la colpa? Tu hai fatto le valigie, io non ti ho mai detto di andartene."
"Forse non l'hai detto, ma non aspettavi altro."
Mi sporsi verso di lui e gli mollai un ceffone.
"Non dirlo mai più, hai capito? Mai più. Tu perchè non lo ammetti, che non mi ami più? Dillo! Dillo che non mi ami più, e le cose saranno più semplici."
"Non posso."
"Non preoccuparti per il mio cuore, te ne sei fregato tempo fa, figurati se mi ferisci con una frase così."
"Non è del tuo cuore che mi preoccupo, ma del mio. Non posso dirti che non ti amo più, perchè non è vero. Io ti amo ancora. Ti amerò per sempre. Anche se non ti sopporto."
Le sue parole mi lasciarono interdetta per qualche secondo, non sapevo se fossero vere o no.
Da una parte gli credevo, aveva quasi le lacrime agli occhi nel dirlo, ma dall'altra come facevo a credergli se aveva lasciato me e i bambini, per dei capricci?
Non riuscivo a non pensare al giorno del nostro matrimonio, alle nostre promesse... tutte quelle parole, dov'erano finite?


"Quando eravamo piccoli ti odiavo, sai? Avrei voluto non averti mai conosciuta, perchè in un giorno eri riuscita a toccarmi come mai nessuno nella mia vita. Mi avevi messo in discussione, e non mi era mai successo.
Non ero abituato ad essere sfidato, e tu lo facevi. Lo facevi continuamente. Non voglio prometterti un matrimonio perfetto, litigheremo, di questo ne sono certo, ci saranno periodi bui ma... ti prometto che le cose si risolveranno. Qualsiasi cosa succeda, qualsiasi persona entri a far parte delle nostre vite, io ti prometto che non riuscirà ad intaccare il nostro rapporto. Noi siamo un carro armato, Kurata, e i carri armati non vengono abbattuti."
Non mi aspettavo una cosa del genere da lui. Non pensavo neanche che avrebbe scritto qualcosa, ma le sue parole mi fecero rabbrividire. Aveva ragione, eravamo un carro armato. Presi il mio foglio e, con le lacrime agli occhi, cominciai a leggere.
"Tu non eri nei miei piani. Non lo sei mai stato. Ma, nel momento stesso in cui il mio cuore ha capito cosa rappresentavi per me, non ho aspettato altro che questo momento. La mia promessa è una, ed è semplice. Io ci sarò. Ci sarò quando le cose andranno bene, quando andranno male, è con te che io voglio riempire la mia vita, e sarà così... finchè morte non ci separi."



"Lo sai anche tu che non possiamo basare più la nostra vita su un ti amo. Ci amiamo, ci ameremo sempre... ma come facciamo a far funzionare le cose se non riusciamo neanche a discutere senza urlarci contro?".
La cameriera ci portò il dolce, segnale che la serata stava finendo.
"Non lo so, Kurata... Non lo so."
Sentivo nelle sue parole una rassegnazione che io non avevo mai avuto, che speravo di non avere mai. Non volevo rassegnarmi, volevo credere, volevo sperare. Volevo amarlo, volevo che lui mi amasse disperatamente, come io avevo sempre amato lui.
Mangiammo la torta al limone in silenzio, chiedendo poi il conto e litigando perchè io avrei voluto pagare. Lui non me lo permise, come sempre, e io uscii dal ristorante arrabbiata.
Camminammo, camminammo molto. In silenzio. Nessuno dei due sapeva cosa dire. Entrambi ci sentivamo sperduti, in una situazione che non ci apparteneva. Tutte le molecole del nostro corpo si attraevano, si cercavano, ma non si toccavano mai.
I nostri sguardi si incrociavano, si sfioravano, ma non riuscivano mai a tenersi.
Eravamo destinati ad essere due linee parallele che non si sarebbero mai incontrate.
Quando tornammo alle nostre macchine, entrambi ci guardammo come se fosse l'ultima volta che ci vedessimo. Ero spaventata a quell'idea, ma sapevo che non potevo evitarla. Sapevo che, prima o poi, i bambini sarebbero cresciuti e che noi non avremmo più avuto nessuna scusa per essere legati.
"Ci pensi mai a come sarebbe andata, se invece di mollare avessimo resistito?".
La sua domanda mi travolse come un treno, ugualmente la consapevolezza che, se solo avessimo voluto, avremmo potuto sistemare le cose. Per questo, mi avvicinai a lui e, invece di salutarlo come mi ero programmata di fare, lo baciai. Lentamente. Un bacio come i vecchi tempi. Un bacio puro. Un bacio che avrei voluto non finisse mai.
Akito mi avvicinò ancora di più a se', stringendomi dai fianchi.
Forse due linee parallele possono incontrarsi, forse noi due eravamo un'eccezione. Due linee parallele che fanno dei percorsi complicati, si allontanano, si avvicinano, ma alla fine non possono fare a meno di unirsi, per sempre, come avevamo fatto noi tanto tempo prima.
"Resistiamo adesso... ti va?" chiesi, sperando di non essere l'unica a volerlo. In un millesimo di secondo pregai ogni dio di cui ero a conoscenza, non potevo perderlo un'altra volta.
"Siamo un carro armato." rispose infine lui.
Gli gettai le braccia al collo e cominciai a piangere, perchè mai avrei potuto immaginare che la serata che temevo tanto sarebbe finita in quel modo.
I carri armati possono essere scalfiti, ammaccati, ma mai distrutti.
Noi eravamo un carro armato.




Bè... lo so che dovrei aggiornare University life, ma oggi ho rivisto il film Nessuno si salva da solo e le idee hanno affollato la mia mente. So che troverete MOLTISSIME uguaglianze con il libro (che non ho letto) / film... e non voglio assolutamente nessuna pretesa, perchè è semplicemente qualcosa che mi ha ispirato e mi piaceva riproporla con protagonisti i due amori della mia vita, tutto qua. Ringrazio già da ora chi l'avrà letta, chi deciderà di lasciarmi una recensione, solo per farmi sapere il suo parere, anche negativo, non importa.
Spero che non vi crei problemi, un bacio... e al prossimo capitolo di University life!
Akura.
   
 
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