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Autore: _unintended    02/04/2015    3 recensioni
Bandit prese tra le mani una foto rovinata e ingiallita che ritraeva la sua famiglia, tutti e tre insieme seduti al divano della loro vecchia villa, quella vicina al lago, dove aveva passato tutta l’infanzia. Vide se stessa sulle ginocchia di sua madre, che la stringeva protettivamente, e vide suo padre, in tenuta militare, con quello sguardo intenso che lo aveva sempre caratterizzato fino all’ultimo istante della sua vita. Quello sguardo intenso che soltanto un’altra persona, in tutto il mondo, aveva saputo sostenere e ricambiare altrettanto intensamente. Soltanto una.
Quella sbagliata. In tutti i sensi.
"Se vuoi che non butti questi scatoloni non c’è problema, sai?"la rassicurò sua nipote vedendola così turbata.
"Sarah"
"Sì?"
"Devo raccontarti una storia."
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bandit Lee Way, Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CIAOoOoOoOo scusate per il terribile, lunghissimo ritardo di circa 20 giorni, so che il mio silenzio vi ha lasciato in un’ansia pazzesca specialmente dopo il capitolo precedente… ma tranquilli, andrà tutto bene… forse… o forse no… mmmh.
Buona lettura ; )
M.
 
 
CAPITOLO 26 – REQUIEM FOR A DREAM
 
GERARD
 
 
Potrei morire di ansia da un momento all’altro.
Kellin non ha detto una parola, da quando ci ha tirato fuori da quella cella fino ad ora, mentre percorriamo silenziosamente la lunga galleria che dovrebbe portarci all’esterno. Da Frank.
Ad ogni passo, mi sembra di avvicinarmi e allo stesso tempo allontanarmi insopportabilmente da lui. Ad ogni passo la speranza torna, più forte e impaziente di prima, ma subito dopo va via ancora, lasciandomi con una terribile sensazione di inquietudine e ansia nel petto che mi rende quasi difficile respirare.
Forse non dovrei pensarci. Forse dovrei soltanto lasciare che le cose accadano, senza stare a contare metodicamente i secondi, quasi avessi paura che il tempo possa finire, che tutto questo non possa durare, che Kellin possa girarsi e pugnalarci di sorpresa, e allora tutto sarà stato vano.
La speranza uccide. L’ho imparato a mie spese, nel corso della mia vita, faticando e lottando e soffrendo e ogni volta mantenendo sempre quel pizzico di speranza, quelle poche aspettative per il futuro che, alla fine, sono sempre state deluse.
Eppure non riesco a smettere. È così strano. È così strano e stupido farsi del male in questo modo, già sapendo che probabilmente quello che troverai non è quello che ti aspettavi, essendo già consapevoli di come la vita ti gioca sempre brutti tiri che non sempre sarai pronto a parare.
Ma sono qui. Sono qui e non vedo Frank da mesi e mesi, e la sua mancanza dentro di me è troppo da sopportare. Nessuno, nessuno dovrebbe mai provare questa sensazione. È più orrenda di una ferita in suppurazione, più dolorosa di una pugnalata al costato, e non c’è nulla, nessuna medicina, nessuna operazione che possa guarirla, se non la presenza dell’altro.
“Perché fai tutto questo?” chiede improvvisamente Ray, affiancandomi e fissando la schiena di Kellin davanti a noi.
Lui non risponde. Inspira bruscamente, continua a camminare, ed è come se la domanda di Ray non sia mai stata posta.
Sento il mio amico stringermi il braccio. La sua presenza, ora più che mai, mi è indispensabile. Se fossi qui da solo ora probabilmente sarei sull’orlo di una crisi di nervi. Potrei commettere una pazzia, potrei tradirmi, potrebbe succedere qualsiasi cosa, ma invece ho Ray a tenermi con i piedi per terra, e gliene sono grato.
Gli faccio un piccolo sorriso.
Andrà tutto bene.
“Seguitemi” mormora Kellin dopo qualche minuto. La galleria svolta bruscamente a sinistra, dove un paio di guardie ci bloccano il cammino.
Ok. Calma. Non è una trappola. Kellin lo sapeva. Ora dirà qualcosa e ci lasceranno passare.
“Devo interrogarli” borbotta semplicemente, e i due soldati chinano il capo e si spostano, lasciando spazio ad una rampa di scale che sale verso la superficie.
Trattengo un respiro di sollievo.
Sì, andrà tutto bene.
Dopo poco le scale terminano, facendoci sbucare direttamente all’aria aperta. Kellin si volta e mi fissa dritto negli occhi. “Abbiamo dieci minuti. Sono in buoni rapporti con alcuni soldati che sono di turno ora, perciò siamo liberi di entrare nel campo. Ho detto loro di prendere il tuo amico e portarlo il più vicino possibile ai cancelli, ma dobbiamo sbrigarci. Non possiamo indugiare nemmeno per un istante. Tutto chiaro?”
Il cuore continua a volermi uscire dal petto. Non riesco a controllare le mie emozioni. Devo stare calmo, devo stare calmissimo. Dieci minuti.
Dieci minuti.
“Andiamo” dico, e ci avviamo verso il campo di concentramento, quasi correndo. In breve tempo siamo ai cancelli, e troviamo un uomo di cui non riesco a vedere il volto per via del buio. Lui e Kellin si scambiano un cenno di intesa e il tizio ci fa entrare attraverso una porticina nascosta tra il cancello e il recinto elettrificato, il tutto senza dire una parola, e dopo pochi istanti siamo dentro.
Mi guardo intorno, assorbendo ogni particolare. È qui che è vissuto Frank per mesi.
Lo sento. Lo sento nell’aria, sento ogni cosa, sento tutti loro come se fossero echi nella mia testa, vedo il sangue anche sui miei vestiti, vedo la gente che mi si aggrappa al collo implorando un pezzo di pane, sento le loro urla, i pianti, gli strepiti, le lacrime silenziose dei bambini, gli spari, gli ansiti. Sento la disperazione, la nostalgia di casa, la consapevolezza di non poter più vedere il mondo lì fuori, la solitudine e la miseria.
Mi inondano non appena metto piede sul suolo del campo. Mi assalgono togliendomi il respiro, e so che anche Ray, e perfino Kellin stanno provando le mie stesse sensazioni.
Questo posto urla dolore da ogni angolo, da ogni stelo d’erba, da ogni baracca.
Dieci minuti.
Andrà tutto bene.
L’uomo che ci ha fatti entrare ci guida verso una casupola distanziata dalle altre, probabilmente una sorta di posto di guardia notturno. Bussa tre volte, poi una quarta in modo più leggero.
Ci vengono ad aprire quasi immediatamente, ed io mi faccio subito avanti, ma l’unica cosa che vedo è il petto di un soldato tedesco che è praticamente il doppio di me, per altezza e corporatura. Accanto a lui, un altro più basso dall’aria quasi stranamente cordiale, scambia due parole in tedesco con Kellin, dopodichè l’uomo che ci ha accompagnato fin qui va via, sempre senza aprire bocca, e noi entriamo nella casupola.
Non è che si possa spiegare quello che succede dopo. Mi era quasi passato per la testa di guardarmi prima intorno, di dare un’occhiata a dove fossimo, ma non è quello che faccio. Non posso, non potrei minimamente distogliere lo sguardo dalla persona qui di fronte a me.
Non è Frank.
Quest’uomo non è Frank.
Sento una risata isterica salirmi in gola, impaziente di uscire. Hanno sbagliato. Tutta questa strada e hanno sbagliato persona. Mi hanno portato l’uomo sbagliato.
No, non è possibile.
Mi giro verso Ray, ma lui si è ritirato pudicamente in disparte, e così anche Kellin e gli altri due soldati. Provo a dire qualcosa, ma poi lo sento.
Un rantolo.
Mi volto di colpo verso l’uomo, ed è allora che la nebbia che mi aveva offuscato la vista se ne va, e riesco a capire la realtà.
Lo guardo. Lo guardo davvero e no, oh no, non è l’uomo sbagliato. Non hanno affatto sbagliato, il problema è che non riesco a credere a quello che vedo.
Davanti a me c’è un uomo, ma sarebbe strano anche definirlo così perché non lo è, sembra più un bambino, una figura piccola e curva, con i capelli neri e sudici incollati al viso e una casacca lacerata a coprirgli a malapena il corpo. Si regge a stento in piedi, sembra quasi che stia per crollare da un momento all’altro e mi fa una pena pazzesca, vorrei sorridergli o abbracciarlo o dirgli che andrà tutto bene, ma è quando alza lo sguardo che mi si ghiaccia letteralmente il cuore.
Proprio così. Un attimo prima batteva all’impazzata, un attimo dopo non più. Sbam. Si ferma del tutto.
Sto per collassare da un momento all’altro. Non si può vivere senza cuore, ne sono certo.
“Ger…a…r…”
La sua voce. Oh, la sua voce. Roca, debole, interrotta da ansiti e respiri affannosi, ma dio, per quanto ho desiderato sentire la sua voce?
“Frank”
Il tempo è congelato proprio come il mio cuore. Siamo tutti completamente ghiacciati sul posto, e l’unico che si muove è Frank, proprio qui, qui davanti a me, Frank con il viso pallido e emaciato, più magro di quanto io lo abbia mai visto, Frank che allunga le braccia verso di me e prova a dire il mio nome, Frank con gli occhi allucinati che riescono a malapena a mettermi a fuoco, e poi no, non è vero, non si sta muovendo solo lui, mi sto muovendo anche io perché prima che possa accorgermene mi sono mosso in avanti, ho attraversato la stanza in due grossi passi, i passi più lunghi e interminabili della mia vita, ed è soltanto quando sento la sua presenza a pochi centimetri da me che lui si concede di crollarmi tra le braccia.
Stop. Stop tutto.
Fermatevi. Non parlate, non emanate un solo respiro, non azzardatevi neanche a muovere un muscolo. Fermatevi, vi prego.
Lo sentite? Lo sentite il mio mondo che implode?
Io lo sento. È così rumoroso, così assordante. Oh sì, dovete sentirlo anche voi. È impossibile da ignorare. Le vedete le schegge che volano via fischiando, raschiandomi il volto, lo vedete il mio sangue che gocciola sulle assi del pavimento, lo sentite il mio respiro che si ferma?
Andrà tutto bene.
Andrà tutto bene andrà tutto bene andrà tutto bene andrà tutto bene.
Il mondo smette di girare su sé stesso, smette di andare in frantumi, e ritorna al suo posto troppo in fretta perché io possa riprendermi in tempo.
Barcollo. Stringo Frank tra le braccia, sentendo soltanto ossa sotto di me. Non un millimetro di pelle. Ossa, dure, fredde, sporche. Ho quasi paura che sia andato in frantumi mentre lo stringevo, proprio come nel mio sogno.
Gli prendo il viso tra le mani. Ha perso i sensi, ha le palpebre abbassate e il viso atteggiato ad un’espressione beata. Tranquilla.
Calma.
Morta.
“No”
Ray è al mio fianco in un attimo. Lui e Kellin sollevano Frank, strappandomelo via, e io sono quasi tentato di urlare ma mi trattengo, mi trattengo, faccio un respiro profondo e ritrovo quel minimo di lucidità che mi occorre per seguirli all’esterno.
Andrà tutto bene.
 
 
Siamo nella stanza di Kellin. Non ho la più pallida idea di dove lui abbia dormito, ma ci ha detto che questa è l’unica stanza in cui nessuno può entrare senza permesso, il che l’ha resa automaticamente l’unico posto sicuro dove nasconderci.
Frank dorme da ieri sera. Non si è mai svegliato. Non si è mai mosso. Respira, il suo cuore batte piano e regolarmente, ma non ha mai ripreso conoscenza.
Io, dal canto mio, non ho chiuso le palpebre nemmeno una volta. Mi bruciano gli occhi, sento la stanchezza che mi pervade il corpo e mi offusca i pensieri, ma non posso permettermi di lasciargli la mano. Non dopo aver faticato così a lungo per potergliela stringere di nuovo.
Dio, è così magro. Così… piccolo. Ho memorizzato ogni particolare. Ho tracciato il profilo delle sue braccia esili, delle vene sporgenti, delle costole che gli attraversano il petto. Gli ho sistemato i capelli dietro le orecchie e gli ho bagnato il viso con un fazzoletto umido. Gli ho baciato ogni ferita, ogni cicatrice, ogni livido.
“Non so più cosa fare. Ti prego, svegliati”
Proprio in quel momento entra Kellin, seguito da un uomo anziano e Ray. In effetti, non so nemmeno dove abbia dormito il mio amico. Non gli ho più rivolto la parola da quando abbiamo riportato Frank qui.
Dovrei sentirmi in colpa?
No. Non sento più niente.
L’uomo anziano deve essere un dottore, perché posa una valigetta sul comodino e la apre, estraendo uno stetoscopio. Lo guardo mentre visita Frank in silenzio, senza mai parlare. Perché Kellin si fida di lui?
Guardo Kellin, che mi fa un cenno con la testa. Guardo Ray, che mi fa un mezzo sorriso provato dal sonno e dalla tristezza. No, neanche lui deve aver dormito.
“Ha la tubercolosi.”
Alzo lo sguardo verso il dottore. Lo fisso apaticamente, quasi senza capire.
Cosa. Cosa significa. Cosa. Significa.
“Tubercolosi in fase terminale, direi. Posso dargli qualche antidolorifico per alleviargli il dolore, ma non posso fare più di così. Mi dispiace.”
Guardo Frank. Guardo il dottore. Guardo Frank. Guardo Kellin. Lui deglutisce e distoglie lo sguardo. Guardo Ray. Anche lui non mi sta fissando.
Sono tutti così codardi.
Mi alzo lentamente, puntando il dito verso il dottore. “Faccia qualcosa” mormoro con più rabbia di quanta intendessi.
L’uomo aggrotta la fronte con aria contrita. “Mi dispiace. Nessuno può fare nulla.”
“Ho detto faccia qualcosa.”
“Io non…”
“Sto aspettando.”
“Gerard…” interviene Ray, facendo un passo verso di me. Lo fulmino con lo sguardo, poi torno a fissare il dottore. “Lei non se ne andrà da questa stanza fino a quando non avrà curato Frank.”
“Non posso curarlo, la prego di capire. Non è ancora stata trovata una cura efficace per la tubercolosi e…”
“LO CURI O GIURO CHE LA AMMAZZO CON LE MIE MANI!”
La porta si spalanca di nuovo, e tutti ci voltiamo di scatto. Ho quasi paura che qualcuno possa averci scoperto grazie alle mie grida, ma poi vedo la persona sulla soglia.
“Oh no, Frank…”
È il ragazzo scheletrico, quello delle pulizie, quello che mi aveva detto che Frank era ancora vivo. Lo fissiamo tutti mentre avanza verso il letto, fino a crollare letteralmente al suo capezzale.
“No no no no Frank ti prego no, me lo avevi promesso” sussurra con voce strozzata, e vedo le lacrime solcargli il viso. Lo vedo mentre afferra la mano di Frank e se la stringe al petto, piangendoci sopra, e mi sento vuoto, mi sento così vuoto, mi sento così insensato in questo preciso istante che potrei crollare anche io da un momento all’altro, proprio come lui. Non so chi o cosa mi trattenga. Non so dove il mio corpo trovi tutta questa forza.
Il dottore si dilegua, e io lo lascio andare.
Sento le mani di Ray sulle mie spalle, ma lo ignoro. Guardo il ragazzo che continua a piangere. Non so chi sia, ma conosce Frank. E sta soffrendo. E ha sentito ciò che ha detto il dottore. Ha sentito quelle assurdità. Devo rassicurarlo, devo dirgli che sono tutte bugie, che io so la verità e che Frank non morirà, no.
“Lui non morirà” dico ad alta voce, e il ragazzo alza la testa per guardarmi. Si passa il dorso della mano sugli occhi, asciugandosi le lacrime.
Annuisce e sorride. “No. Non morirà.”
 
 
“Gerard.”
Una mano mi scuote debolmente. Non ricordavo di essermi addormentato. Alzo la testa e incontro i suoi occhi.
Ed è come se riprendessi a respirare dopo secoli. Mi porto una mano alla bocca, e finalmente permetto alle lacrime di uscire, una dopo l’altra, inarrestabili. “Oh, Frank…”
Gli stringo la mano, quasi stritolandogliela. Lui continua a sorridermi e allora io lo abbraccio, e lui mi tira a sé, mi tira sempre più vicino, fino a quando non finisco disteso accanto a lui.
Tossisce. “Ciao” dice poi.
“Ciao.”
Rimaniamo a fissarci per istanti, minuti, ore. È come se volessimo mangiarci l’un l’altro dopo essere stati così tanto tempo lontani, e non mi sembra vero, non mi sembra affatto vero, perché finalmente lui è qui e io sono qui e basta. Non c’è nient’altro. E non andrà a fuoco. Giuro che non andrà a fuoco mentre lo bacio. Non glielo permetterò.
“Come stai?” mi chiede, e per poco non scoppio a ridere.
“Io? Tu… tu veramente mi chiedi come sto?”
Tossisce ancora.
Oh, ti prego.
Andrà tutto bene.
Silenzio. Ed è adesso che la sento. La tensione. L’elettricità. Non pensavo che avrei provato ancora una volta questa sensazione. Non credevo che sarei riuscito ad avere ancora le farfalle nello stomaco standogli vicino, anche in una situazione del genere.
Ma lui è Frank. Dio, lui è Frank.
Ed è tutto così assurdamente normale, come se non fosse passato neanche un giorno, come se fossimo ancora su quel letto, sotto le lenzuola, a sorriderci, dimenticando tutto il resto.
“Baciami.”
Lo guardo. Deglutisco.
“Ti prego, Gerard. Baciami”
Annullo la distanza tra noi con urgenza, prendendogli il volto tra le mani e premendo le mie labbra sulle sue, cercando, annaspando, desiderando con tutto il cuore di sentirlo, sentirlo davvero e….
Frank si stacca da me, cercando di riprendere fiato. Mi rivolge un sorriso quasi di scuse. “Gerard. Baciami davvero.”
Ha ragione. Ha dannatamente ragione. Abbiamo tutto il tempo del mondo. Questa non è la nostra ultima volta. Non finisce così.
Gli poso una mano sulla guancia, accarezzandogliela piano. Seguo il contorno del suo viso, gli bacio gli occhi, ad uno ad uno, gli bacio il naso, la fronte e i capelli, gli bacio il collo e poi finalmente torno alle labbra, posando delicatamente la mia bocca sulla sua e annegando nella sensazione più bella del mondo, nel suo odore che mi era mancato, mi era mancato così tanto.
Le nostre lingue si intrecciano, cercandosi a vicenda, Frank allunga le braccia attorno al mio collo e mi stringe a sé, mi stringe così forte che temo di scoppiare, e quando finalmente interrompo il bacio lui posa la testa sul mio petto.
Tossisce ancora una volta, e quando abbasso lo sguardo noto degli spruzzi di sangue sulla mia camicia. Gli tocco la fronte e la trovo bollente. Sento il suo respiro ansante, sento gli sforzi che fa per inspirare ed espirare.
Niente, nessuna sensazione, nessun bacio può annullare tutto ciò. Non posso cancellare la realtà.
“Mi dispiace, Gee” sussurra.
“Non dirlo”
“Mi dispiace tantissimo.”
“Frank, andrà tutto bene”
“Voglio che tu ti prenda cura di Rayon. Sistemala. Fa’ che stia bene. Ti prego. Portala via di qui” dice, e so che intende il ragazzo che poco fa era a piangere qui accanto al letto. “E dì a Mikey che… digli che…” la sua voce si spezza, ma stavolta non è la tosse.
Lo attiro ancora di più a me, poggiando il mento sulla sua testa e chiudendo gli occhi. “Frank, stai delirando. Andrà tutto bene, vedrai. Non c’è bisogno di dire nulla a nessuno. Ciò che vuoi dire a Mikey…glielo dirai tu stesso, appena starai bene.”
“Ne abbiamo passate così tante” dice ancora, ignorandomi, parlando tra la stoffa della mia camicia. “Non… nessuno meriterebbe tutto questo.”
Annuisco piano, e so di aver ripreso a piangere. “Lo so” sussurro.
“Però ci siamo salvati a vicenda, Gee. Accade sempre così, tra la gente. Ci si salva a vicenda, a volte anche senza saperlo. Tu l’hai fatto. Mi hai salvato, e lo sai. Nessun Dio mi avrebbe mai salvato nel modo in cui mi hai salvato tu.”
“Frank…”
Lui si stacca da me, e vedo nei suoi occhi qualcosa che mi fa morire le parole in gola.
La vedo. Chiara e limpida, inconfondibile.
Sta arrivando. Sta arrivando per lui.
La morte.
Mi posa una mano fredda, quasi cadaverica, sulla guancia. “Non c’è modo migliore di andar via, lo sai?”
Mi sento paralizzato. Non riesco a muovermi, non riesco a parlare, non riesco a pensare. Non sta accadendo per davvero, è un sogno, è questo il sogno, è l’incubo, è quell’incubo, soltanto in chiave diversa, e quando mi sveglierò nulla sarà mai successo.
Appoggia la testa sul cuscino. La sua mano ricade al suo fianco.
Apre la bocca, ma ne esce soltanto un sibilo, quasi impercettibile.
Ma io lo sento.
“Ba…cia…mi…”
E lo bacio. Lo bacio con tutta la lentezza di questo mondo, prendendomi tutto il tempo, tutto il dannato tempo necessario, e quando non lo sento più ricambiare, quando ormai le sue labbra sono diventate fredde come il resto del corpo, so che il suo ultimo respiro è entrato dentro di me.
Lui è dentro di me. Sempre.
   
 
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