storia partecipante al contest «Naruto versione Fantasy!»
indetto da ame tsuki
sul forum di EFP.
LÀ, DOVE SORGE IL
SOLE
Capitolo 2
~
Sakura
gli diede una gomitata sul fianco, facendolo gemere. Nonostante il dolore, era
riuscito a staccarsi da quegli occhi ciechi, annuendo forsennatamente alla sua
domanda. Le guance iniziarono a bruciargli ed il sangue ad affluire al viso,
dandogli l’impressione di prendere fuoco, di consumare tutto l’ossigeno che lo
circondava e di negarlo ai suoi polmoni, impedendogli di respirare.
Kakashi sembrò cambiare completamente
posizione nei confronti degli sconosciuti. «Che cosa volete da lui?» chiese,
quasi minaccioso, alzando una mano verso di loro come se fosse pronto ad
attaccare con pugni e graffi. Nonostante Naruto fosse felice che l’uomo si
preoccupasse per lui, avrebbe voluto occuparsi personalmente di quella ragazza
che lo cercava. Nessuno lo aveva mai desiderato – anzi. L’idea che qualcuno
potesse in qualche modo interessarsi a lui lo incuriosiva. Perché lui?
Lo
sconosciuto fece un passo in avanti, brandendo la lancia riesumata da un ramo e
puntandola verso Kakashi, bloccandogli la mano con la
propria arma. Dietro di sé, Naruto sentì un mormorio ed un «andiamocene!» arrabbiato ed impaurito.
Avrebbe voluto prendere a calci chiunque avesse detto quella cavolata: non se
ne andava nessuno.
«Vi
possiamo offrire asilo» propose la ragazza, andando contro l’affermazione del
compagno. Sembrava un fantasma anche quando parlava – se Naruto la fissava a
lungo, non riusciva a cogliere i contorni del suo viso, e tutto il suo corpo si
perdeva in un’evanescenza che non riusciva a spiegarsi. Tutto di lei rimaneva
sospeso nell’aria, le sue parole volteggiavano come i fiocchi di neve.
«Hinata!»
sibilò il ragazzo, i suoi occhi erano irremovibili, fermi nell’unico di Kakashi. Lo sconosciuto sospirò, senza abbassare lo
sguardo, continuando a sfidare la mano dell’uomo.
Si chiamava Hinata, allora.
«Naruto» lo interpellò. Una scarica gli
attraversò il corpo mentre quegli occhi si spostavano su di lui. Attorno al
ragazzo scomparve tutto, anche Sakura che gli stringeva il cappotto lacero. Si
liberò dalla presa dell’amica e affiancò Kakashi.
Ebbe l’impulso di avanzare ulteriormente e accoccolarsi tra quelle braccia
quasi trasparenti – lo avrebbe fatto, se l’uomo non l’avesse bloccato. Qualcosa
lo costringeva ad avvicinarsi a lei e chiederle che cosa volesse da lui, cosa sapeva di lui.
Sentiva
dentro di sé quella rabbia covata da tempo prendere forma, ribollire, venire
assorbita dai suoi muscoli. Prendeva lentamente coscienza di sé stesso, della
sua vita che gli sembrò improvvisamente vuota. E di quella ragazza, che sembrava
conoscere di lui molte più cose di quanto ne sapesse lui stesso.
«Voglio
capire che cosa vuole da me, Kakashi» disse all’uomo,
prendendogli il polso, chiedendogli di lasciarlo andare con lo sguardo. Neanche
la foresta respirava, il silenzio della neve era l’unica voce che riempiva le
orecchie di tutti loro.
«Devi
venire con noi» gli disse gentilmente, facendo un passo in avanti – le impronte
che lasciava erano così sottili, così minime
che Naruto non riusciva a spiegarsele, «dovete venire tutti quanti» continuò.
Non smetteva di guardarlo negli occhi, nell’anima, scovando quei piccoli
segreti che aveva gelosamente custodito per sé. Gli sembrava impossibile che
quella ragazza mentisse.
«State
scappando da Obito» sentenziò lo sfidante di Kakashi,
abbassando l’arma, piantandola nella neve, «Hinata è in contatto con la Dea, ha detto che la battaglia è
vicina» continuò.
Non
fece in tempo ad andare avanti con il discorso che la piccola folla si aprì in
due e un ragazzo si avvicinò a loro, camminando goffamente sulla neve. «Balle!»
gridò, abbassandosi il cappuccio sulle spalle, liberando la propria zazzera
spettinata. Le pupille, sottilissime, sfidavano quelle dei tre sconosciuti, «non
c’è nessuna Dea! Se Obito vuole ammazzarci tutti lo può fare con uno schiocco
di dita!» continuò, il cane bianco che lo affiancava abbaiò, scodinzolando
vigorosamente di fianco al padrone, «è tutta una trappola di merda per
prenderci ed ammazzarci, siete dei cannibali – come le sirene!» e si girò verso
gli altri fuggitivi, cercando consenso negli altri occhi.
«Che
ne sai tu, cane?» rispose acido il
ragazzo, evidentemente infastidito dall’essere stato interrotto da qualcosa
che, almeno secondo lui, erano frottole e nient’altro.
Un
urlo lontano viaggiò nell’aria, «Kiba ha ragione!» diceva, ed il ragazzo annuì
convinto, appoggiando la lingua sotto il canino troppo lungo per essere di una
dentatura umana.
Qualcuno era ancora umano, tra di loro?
«La
tua famiglia è morta, vero?» la voce di Hinata si fece spazio tra di loro,
leggera. Diventava liquido nelle orecchie di chi la sentiva. Kiba trattenne il
respiro, le pupille si allargarono appena. Il cane di fianco a lui si sedette e
uggiolò, abbassando il muso. «Ti è rimasto solo Akamaru»
continuò lei, dolce, dolcissima, faceva male sentirla.
«Che
sai dei miei genitori?» la voce di Naruto coprì quel silenzio pesante, lasciando il tempo a Kiba di digerire quelle
parole e ritornare indietro, nascondendosi tra le persone per abbracciare il
suo cane.
«Sono
morti».
«Come?»,
prima che lei rispondesse, Naruto sentì dentro di sé le lacrime sbocciare come
rose, dietro ai propri occhi, pronte a rigargli le guance sporche. Si era quasi
pentito di essersi esposto in prima fila davanti a lei, che vedeva tutto, in
un modo così puro e genuino e mistico
che faceva venir voglia di urlare e scappare.
Hinata
sospirò, abbassando lo sguardo, un brivido le mosse le spalle – assomigliava ad
un ramo leggerissimo che vibrava sotto la neve troppo pesante da reggere.
«Obito» gli disse, sottovoce, e una nuvola bianca uscì dalle sue labbra
increspate e rosse per il freddo. Non c’era bisogno di aggiungere altro, da
come lo aveva detto, con quelle lettere che sembravano tagliarle la gola quando
le pronunciava, Naruto capì che sapeva esattamente
come erano morti i suoi genitori.
«Qua
tutti hanno qualcuno che è morto per colpa sua» provò a dire Sakura, nella
speranza di prendere una posizione e di chiarirsi lei stessa le idee. Il
confronto con la ragazza le sembrava la cosa migliore per decidere se fidarsi o
meno.
Si
sentiva intorpidita, come dentro un sogno, e non riusciva a credere nella voce
limpida di Hinata. «Non sappiamo nulla di voi» continuò, il freddo le entrava
nei polmoni e le gelava le interiora, dandole l’impressione di dover vomitare,
«magari state mentendo».
«Sono
abitanti della foresta» Kakashi si intromise,
abbassando lo sguardo verso la ragazza, «hanno la pelle chiara e le orecchie
delle famiglie aristocratiche della città, non vedi?».
«Questo
non significa che non mentano, anzi» continuò convinta lei, stringendosi
maggiormente nel cappotto, come per proteggersi, «forse Kiba ha ragione, forse
sono mostri e basta» continuò
diffidente.
«Non
siamo mostri!» ribatté il ragazzo, liberando la mano di Kakashi
dall’arma e puntandola verso la ragazza. In un attimo, Naruto scattò in avanti,
prendendo la punta del bastone con le mani, ringhiando come per sfidare l’altro.
«Neji!»
la voce di Hinata cristallizzò la scena,
camminò in avanti e appoggiò una mano sul legno
e l’altra sulla spalla del ragazzo, guardandolo negli occhi. «Non si
fideranno mai di noi se li attacchi così» continuò, sussurrando. Le dita della
ragazza avevano sfumature violacee, strette attorno alla lancia, e Naruto si
sentì in colpa per aver risposto a quella provocazione, costringendola ad
esporsi così tanto.
Lasciò
l’arma e fece un passo indietro, sentendo alle sue spalle Sakura sospirare e
appoggiargli una mano sulla schiena, in tono di conforto e ringraziamento.
«Dateci
un buon motivo per fidarci di voi» era la sentenza finale. Naruto parlò con il
cuore in gola e il ricordo sfocato dei genitori, costruito sui blandi racconti
degli altri. Dal canto suo, voleva davvero
fidarsi di quella ragazza, degli abitanti della foresta, della Dea.
«E
soprattutto di che guerra state parlando» aggiunse Kakashi,
aggiustandosi la sciarpa e ritirando le mani sotto il mantello, «e come
dovremmo combatterla, dato che non abbiamo armi né cibo. E siamo in inferiorità
numerica rispetto ad Obito».
Prima
che Neji o Hinata potessero rispondere una terza voce si levò, indistinta,
dalla massa dietro le spalle dei tre: «Obito crea mostri dal niente! Li avete mai visti? Sono incubi che camminano,
quelli!» e il suo commento ricevette
un silenzioso assenso, ornato qua e là da teste basse e occhi lucidi, in preda
a chissà quale ricordo lontano.
Le
iridi di Naruto facevano parte di quelle, mentre l’azzurro brillante delle
belle giornate lasciava il posto ad una nube grigia, liquida e pesante.
Hinata
provò rancore verso sé stessa, verso il suo ruolo in tutta quella serie di
avvenimenti: nonostante ciò che dicesse fosse dettato dalla voce e dagli occhi di un’altra persona, ben più grande
e potente di lei, non riusciva a reggere il peso di quei fantocci di ossa e
pelle a cui erano ridotti tutti quanti. Crollava, tutte le notti: abbracciata
al legno e alle foglie e a quella coperta di lana sporca e umida che si
congelava, quando calava il sole, assomigliando ad un telo fatto con aghi di
pino e lacrime congelate.
Respirò
profondamente, distogliendo gli occhi da Naruto, fissandoli a terra, nella
quale riusciva quasi a vedere il proprio riflesso sulla neve. Sentì la mano di
Neji, rassicurante come sempre, sfiorarle il braccio e le cicatrici che
ricalcavano i ghirigori verdi e viola nei quali scorreva il sangue, e poi le
sue dita afferrarle il polso in una presa rassicurante.
«Kaguya è colei che tutto vede e tutto sa» iniziò a
raccontare, con le stesse parole con cui lo aveva detto prima a suo cugino e
sua sorella, poi a tutti gli Hyuuga, «e mi ha scelta, non so perché, ma lo ha fatto»
altro respiro, sentiva le dita tremarle e le gambe cederle. I corpi si
appoggiavano alle sue spalle, concretamente, in un modo così vivo da farla
vibrare ancora di più – il gelo le entrava nel corpo, nelle ossa, nell’anima.
«E
ho visto tutto. Ho visto il Mondo
prima delle bombe, ho visto la bellezza delle città illuminate nella notte, i
giardini ben curati, gli animali protetti» e proseguì con quell’elenco di cose
che facevano venir voglia di morire e rinascere nel passato: le case, i
vestiti, il caldo e la sensazione di un materasso comodo sotto la schiena a
pezzi. «Ho visto Obito, la sua…» le parole si bloccarono
in gola, intrappolate in una ragnatela di ghiaccio, «…fissazione
per… che cosa, poi? Per quel divertimento infimo di
cambiare la natura umana, per cambiare sé stesso alla ricerca di un potere che
alla fine gli è stato donato da qualcos’altro».
«Pensava
che riunendo le persone sotto la sua ala avrebbe potuto riportare il Mondo al suo… vecchio splendore» borbottò Kakashi
da sotto la lana che gli copriva le labbra. Parlava cautamente, senza
sentimenti nella voce. E aspettava.
Hinata
alzò gli occhi, incastrando il suo sguardo in quello dell’unico occhio
dell’altro. Era nero, profondo, ed incredibilmente vuoto – come una caverna le
cui pareti erano abitate da pipistrelli e ragni dagli occhi rossi. «Nessuno ha
voluto seguirlo, e nessuno gli credeva» continuò lei, sospirando. Per un
momento, si sentì incredibilmente vicino a quella povera anima, ma sapeva che
non c’era pietà per qualcuno come lui.
«E
allora ha deciso di usare l―» ma non riuscì a completare la frase.
«La
forza» concluse Hinata, la voce ridotta ad una lastra di ghiaccio in frantumi,
stanca. Le faceva così male doversi
fare carico di quella storia, doverla raccontare come se fosse una fiaba. Ma
era necessario per convincerli, si ripeteva mentalmente, per averli dalla sua
parte, per far andare la storia nel senso giusto. «E ha pensato bene di
aggiungere alle mutazioni genetiche la magia, praticamente sacrificandosi a Madara».
Un
brusio riecheggiò nella nicchia in cui erano tutti radunati, bloccando il
sentiero. Sembrava la voce della Terra che si lamentava nell’udire Madara, pregando
agonizzante di non sentire più il nome di quel Diavolo.
Obito
aveva gli occhi rossi di Madara.
«Gli
Hyuuga erano una buona famiglia di città, molto
grande, come tutte le famiglie ricche, del resto» s’intromise Neji, lasciando
il tempo ad Hinata di respirare e calmarsi, «qualcuno, molto prima di noi,
aveva deciso di volere gli occhi chiari e le orecchie simili a quelle degli elfi, di cui aveva letto nei libri» continuò,
«non eravamo gli unici. Questa moda si era sparsa velocemente, soprattutto tra
le famiglie più ricche».
«Come
il ragazzo con il cane» mormorò l’altra, riferendosi a Kiba, «erano gli Inuzuka ad avere i segni rossi sul viso e le pupille
strette» e ritornò nel silenzio, lasciando che ognuno riflettesse sulle proprie
eventuali caratteristiche che li rendevano creature uniche nel loro essere – il
colore di capelli innaturali, dita più lunghe del normale o addirittura una
coda e orecchie di animali.
«Con
i bombardamenti i nostri avi sono scappati tutti nelle foreste» e inspirò
profondamente l’odore di pino e di neve, e quello più lontano del sangue,
sempre presente, «erano molto religiosi, hanno pregato affinché si salvassero».
«E
nel frattempo sono passati anni» concluse Naruto, lasciando che l’ennesima
nuvola bianca si materializzasse davanti al suo viso, risalendo verso il cielo.
«Gli Hyuuga non hanno mai perso la speranza?»
domandò, curioso ed affascinato – ma sempre con quel desiderio di sapere di più
su sé stesso. Sul perché lui.
«No»
la risposta fu secca, precisa, tagliente. Era impossibile dubitare sulla veridicità
di quell’affermazione, «e forse è per questo che Kaguya
ci ha graziato con i suoi occhi» continuò, sfiorando la spalla di Hinata in un
gesto protettivo, «abbiamo fatto un patto con la Dea, con la foresta, e tutte
quelle popolazioni che si sono formate in seguito al disastro nucleare».
«Anche
con gli animali» aggiunse la ragazza, «e le sirene. Ci stiamo riunendo tutti,
abbiamo Kaguya dalla nostra parte…»
la frase si interruppe in un gemito, simile ad un sospiro stanco, forse aveva
freddo? Hinata continuò, cercando dietro le spalle di Kakashi
Naruto, «abbiamo bisogno di te, Naruto. Tu hai la forza che manca a tutti noi»
gli disse, e il ragazzo poté notare il suo ventre rientrare ed il petto alzarsi
in un lungo inspirare un’aria che sembrava non bastarle, «con te dalla nostra
parte, ci verranno svelati tutti gli altri misteri per vincere questa
battaglia» e si sforzò di sorridere, «quando saremo tutti assieme, né il numero
né le armi saranno un problema».
«E
se perdiamo?» fu Sakura a concretizzare quel pensiero che sentiva aleggiare
sopra di loro come una nuvola tossica. Sentì il proprio cuore perdere un
battito nel pronunciare quelle parole – l’idea di morire in un’ipotetica guerra (come l’avevano chiamata) la
spaventava. L’idea del proprio sangue sulla lingua e sulla neve la spaventata.
Era terrorizzata dall’idea di morire, abituata com’era a sopravvivere. Per di più, non riusciva a capacitarsi di dover
finire sotto il controllo degli esperimenti di Obito – che poteva volere dai
suoi dannati capelli rosa?! – affiancato da una potente divinità malefica e
vendicatrice di cui non aveva sentito mai pronunciare il nome, se non nelle
storie dell’orrore.
Scetticamente,
pensava che fossero tante storielle e nient’altro. Ma a forza di fuggire era
diventata di pietra e, vedendo quei mostri dare fuoco alle case e alle persone,
i suoi genitori mangiati vivi davanti ai suoi occhi, la storia di Kaguya e Madara sembrava così reale, così palpabile che era quasi sul punto di cedere. Naruto, inoltre,
rigido come i tronchi che li circondavano, sembrava completamente assorbito da
quelle parole, dalla figura sempre più eterea di quella certa Hinata, pronto a
scattare ed afferrarla tra le braccia se potesse svenire da un momento
all’altro, come un fiore caduto dagli alberi.
Nonostante
Naruto guardasse Hinata, lei non ricambiava – non più. I suoi occhi erano fissi
su Kakashi, come se cercasse di studiarlo, di capire
cosa lo bloccasse lì, cosa lo spaventasse. «Tu sai che quello che stiamo
dicendo è vero» disse poi, solenne, con una voce limpida, diversa da quel tono
tremante che aveva assunto negli ultimi momenti, «sai che Obito sta facendo
tutto questo grazie a Madara, e sai che Naruto ha il potere».
«Lo
sapevi?!», l’intervento da parte del biondo era comprensibile, Kakashi se lo aspettava e, per questo, non si scompose.
«Lo
immaginavo» gli rispose con sufficienza, «lo immaginava anche tuo padre»
concluse, a voce più bassa.
«Obito
ha provato a prendere anche te, vero?» domandò Hinata, facendo un passo
incerto, liberandosi dalla presa di Neji, avvicinandosi al gruppo di nomadi, «e
ti ha distrutto».
Kakashi sospirò, chiudendo l’unico occhio
visibile, «io non sono importante» mormorò, «e ha distrutto più gli altri che me, io sto bene».
Era
una bugia.
«Prima
degli altri Obito ha distrutto sé stesso» proferì Hinata, socchiudendo gli
occhi. Il silenzio generale era rotto solo dal susseguirsi di tutti quei
respiri, che erano vita alle orecchie di Hinata, dimostrazione che forse c’era
ancora un po’ di speranza, un po’ di buono nel mondo.
Rimase
così per qualche secondo, sentendo il calore liquido del sole scenderle sulle
spalle e sfiorarle il collo e le mani. Nel buio che si era creato attorno a
lei, vedeva piccole fiamme azzurre uscire allo scoperto, come cuccioli di cervi
che, fidandosi di lei, si avvicinavano e cercavano qualche carezza amorevole.
Sotto
le sue dita, il calore di un batuffolo di pelo si fece vivo, presente,
sfiorandole anche le gambe – alzò le palpebre, osservando Akamaru
ai suoi piedi che, proprio come quei cerbiatti, come quelle fiamme azzurre,
cercava una coccola. Si chinò a terra, abbracciando per il collo l’animale,
affondando il viso nel suo pelo bianco come lei e la neve, ascoltandolo
mugolare come se volesse intonare una canzone.
→ NOTE D’AUTRICE.
Ben ritrovati, io cerco di essere puntuale (devo
dire che da settembre a questa parte sono particolarmente in orario per tutto
quello che faccio, chi mi segue anche su papavero
radioattivo può confermare uwu)!
Che dire? Ho dato una sbirciata al capitolo prima
di pubblicare (ho letto la storia quattro volte, capitemi se non la leggo una
quinta XD)… qui si spiega un po’ il background della storia di Obito, a cui ho
cercato di dare un “senso” abbastanza consistente in questa storia. Insomma,
sì: mi serviva un super cattivo e Obito calzava a pennello…
un po’ folle ma mosso da buone intenzioni… bah,
chissà come lo vedete voi! XD
Ammetto che non è un capitolo molto movimentato,
anzi, è molto discorsivo. Parlano un sacco, già. Vi invito a godervi questi
dialoghi, perché sono molto stitica in fatto di discorsi e ho notato che nei
capitoli a venire non parlano così tanto. Ho dato spazio anche ad un altro personaggio
che rimarrà nel mio cuoricino per sempre e che, purtroppo, non comparirà più:
Kiba! Ammetto che mi è piaciuto molto il modo in cui l’ho inserito ed il ruolo
che Akamaru si è preso da solo (io non avevo deciso
niente, lo giuro!) – dovrebbe essere interpretato come un segno d’assenso e di
fiducia: se il cane si fida, possiamo fidarci tutti noi. Si sa che gli animali
arrivano prima a certe cose rispetto agli umani, eh!
Parlando di personaggi a cui ho cercato di dare uno
spicchio, in questo capitolo emerge decisamente di più Kakashi,
con quel suo fare protettivo da padre che ho sempre visto in lui da quando era
maestro del vecchio team 7, il suo cercare di essere (o sembrare) forte ecc… mi ha decisamente emozionato scrivere di lui in quel
senso! Bello bello bello,
bravo Kakashi ;____;
Anche se mi sto decisamente esaltando, voi non
esitate a dirmi se avete pareri diversi sui personaggi o se sembrano fuori
carattere ^^
Sono desolata dal fatto che questo capitolo sia un
paragrafo unico… ma capirete che non era possibile
dividerlo ;3; se la lettura risulta difficoltosa, provvederò anche a questo.
Grazie mille per aver letto!
Se ci sono errori di battitura perdonatemi,
segnalatemeli se potete e li cambierò appena la storia sarà valutata dalla giudicia. Partecipando ad un contest, non ho intenzione di
cambiarla fino a quando non sarà veramente conclusa, facendola leggere a voi
così come è stata inviata ad ame tsuki. ♥
Dopo tutto questo sproloquio senza senso, posso
avvisare che il prossimo aggiornamento
a martedì 7 aprile.
Grazie a tutti i preferiti e le seguite – e, ovviamente, anche a chi mi
ha lasciato un commentino alla storia! ^^
(yingsu, con te facciamo i conti sempre in separata sede,
ormai lo sai cuore *3*)
radioactive,