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Autore: piccolo_uragano_    03/04/2015    1 recensioni
(1992- camera dei segreti)
Oliver Baston, sesto anno, Capitano Grifondoro. Affascinante, coraggioso, fanatico del Quidditch, testardo e dolce. I suoi più cari amici si chiamano Fred e George Weasley, il che è tutto dire. Crede nell'amore ma non di essere in grado di amare.
Jo Wilson, sesto anno, Capitano Serpeverde. Purosangue nobile da generazioni, traditrice del suo sangue, testarda, furba, bellissima e con un passato scomodo e tenuto nascosto, che l'ha portata ad avere paura d'amare. Fragile, ma bravissima nel nasconderlo.
Due mondi paralleli che si incontrano per caso, fondendosi l'uno con l'altro. Come andrà a finire?
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Dal testo:
"Sei mia." sussurrò schiudendo le labbra, allontanandosi leggermente dal suo viso.
Lei sorrise, nella penombra. "Solo se stai zitto e mi baci, Baston." rispose, con un sussurro altrettanto flebile, e lui riprese a baciarla con più foga.
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[MOMENTANEAMENTE SOSPESA]
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, Nuovo personaggio, Oliver Wood/Baston
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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Ecco a voi i primi due capitolo, diciamo così, di una ff nata per caso.
Un paio di spiegazioni. Sì, il nome Jo Wilson è palesemente copiato da Grey's Anatomy, ma mi piace come suona.
I nomi dei Serpeverde sono fedelmente presi da Pottermore.
Il titolo lo capirete più avanti. 
Buona lettura, fatemi sapere cosa ne pensate! 
C. 


“Jo, che hai fatto stanotte?”
Flora Carrow la guardava. Jo, così si faceva chiamare, il suo vero nome era Jessica, ma era un nome tremendamente comune e schifosamente Purosangue, così diceva lei. Purosangue come tutti quegli idioti dei Wilson. La Sala Grande esponeva la seconda colazione dell’anno, e la bella Wilson osservava il nulla.
“Jo? Jo!”
Scosse la testa come se si fosse appena svegliata ed osservò quella che in teoria era la sua migliore amica. “Che hai detto?” le chiese.
“Ho chiesto che hai fatto ieri sera.”
“Nulla d’interessante, davvero.” Rispose, sorseggiando succo di zucca.
“Sei tornata tardi.”
“Che fai, mi controlli, adesso?” rispose lei fredda.
“Ho fatto una semplice domanda.” Si difese la bionda. “In realtà volevo i particolari piccanti. Siamo appena tornate e già sparisci per una notte!”
Jo la guardò e scosse la testa. “Vuoi i particolari piccanti?” chiese, con una risata fredda.
“Si.” Squittì lei, in cerca di qualche informazione da divulgare nel giro di pochissimo.
“Sono stata in biblioteca. Eccoti il tuo particolare piccante, Flora. Biblioteca!
Flora Carrow scoppiò a ridere. “E sei tornata furiosa dalla biblioteca?”
Jo, istintivamente, lanciò un’occhiata al tavolo dei Grifondoro, dove Oliver Baston se la rideva con i gemelli Weasley.
“No, ero furiosa con quel cretino di Baston.”
Flora si lasciò sfuggire una risatina. “Ora ti sbatti i grifoni?”
Jo sbuffò esasperata e prese i suoi libri dal tavolo. “Per l’amor del cielo, Flora, io non mi sbatto proprio nessuno.”
“Puoi sbatterti me, se ti va!” esclamò Marcus Flint, idiota ripetente bocciato ai G.U.F.O. l’anno prima.
“Piuttosto muoio zitella, Flint.” Rispose Jo, alzandosi dalla sedia senza degnare il ragazzo di uno sguardo.
“Odio quando ti comporti così da Grifondoro, Jo.” Le disse Flora, ma quegli insulti parvero scivolarle addosso.
“Si, certo, certo. Ci vediamo a Pozioni.” Disse, andandosene, facendo rimbalzare quei capelli neri come la notte sulla divisa che le calzava a pennello, con i primi tre bottoni della camicia aperti e la cravatta allentata al massimo. Flora era stupida almeno quanto tutta la casata dei Serpeverde e tutta la sua famiglia. Ah, forse erano la stessa cosa, vista la loro stupida mania del sangue puro. Le tornarono in mente le parole di sua madre. “Stai venendo meno ai tuoi doveri di strega Purosangue, Jessica. E stai deludendo tutti. Non diventare una Traditrice del tuo Sangue.” Lei aveva guardato sua madre in quell’enorme salone tetro e sinistro, uno dei tanti saloni nel cuore di quel castello immerso nel bosco. “Aspetta che abbia compiuto diciassette anni, Candida, e ti giuro che non avrai più notizie della tua stupida figlia Traditrice.” Aveva ringhiato. Aveva smesso di chiamare sua madre ‘mamma’ all’età di tredici anni, e lei e suo padre avevano tagliato ogni genere di rapporto l’anno dopo. Suo fratello Tomas non era da meno. Stava al quarto anno e seguiva le orme dei genitori come fossero due dei, ma non rinnegava la sorella. L’altra sua sorella, invece, uscita da Hogwarts l’anno prima, era un caso altrettanto perso. Venerava la purezza del sangue e stava per sposare uno dei loro maledetti cugini. Si guardò riflessa in una vetrata: era dannatamente simile a loro. Gli occhi azzurri, i capelli scurissimi e la pelle marmorea. Era identica a sua sorella Blanca, ma lei non aveva mai portato i capelli corti. Lei, invece, prima dell’estate li aveva tagliati da maschiaccio, giusto per sottolineare la sua differenza da loro. Sia Jo che Blanca, come Candida e sua sorella Amanda, sembravano delle principesse. Principesse delle serpi.
Rimase a fissare il suo riflesso e non si accorse che Oliver Baston l’aveva raggiunta.
“Buongiorno Wilson.” Le disse gentilmente.
Jo.” Sottolineò lei, con aria stranamente amichevole. “Chiamami Jo.” Odiava essere riconosciuta per cognome.
Lui sorrise e le porse la mano. “Oliver.”
Lei accennò un sorriso e gli strinse la mano, e Oliver rimase sorpreso per quanto fosse fredda. Poi la guardò come se l’avesse già vista.
“Ma forse io e te ci conosciamo già, giusto?”
Lei si strinse nelle spalle. “Sei il Capitano dei Grifondoro e io quello di Serpeverde, e ci siamo incrociati ieri sera fuori dalla biblioteca, no?”
Si ricordava perfettamente di lui, invece. Era un altro di quei poveri bambini costretti a partecipare ai festini delle famiglie Purosangue, ma i Baston erano considerati Traditori del Sangue perché una di loro, Lucy, aveva sposato un Nato Babbano qualche anno prima, e loro non avevano battuto ciglio.
“No, tu sei la sorella di …”
Ecco un altro idiota che la ricordava per la sua famiglia.
“Sono la sorella di me stessa, Oliver.”
“Sei la sorella di Blanca. Vero?” Chiese, ignorando l’arroganza con cui Jo negò la sua famiglia.
“In teoria si.” Ringhiò lei, mentre si addentravano nei sotterranei.
“E in pratica?”
“In pratica non siamo sorelle.” Replicò fredda.
“E perché la teoria è diversa dalla pratica?”
Lei lo guardò con aria stufa. “Hai detto di conoscermi, no? Ecco, quindi conosci la famiglia in cui sono nata.”
“Si. Sei la figlia di Candida e Nicholas.”
“Sono la figlia di Candida e Nicholas, la sorella di Tomas e Blanca, sono …”
“E non ti chiami Jo. Ti chiami Jessica.”
Si fermò e lo guardò. “Dì un po’, Oliver Baston. Sei qui per renderti antipatico? Perché ci stai riuscendo!”
“Sono qui perché andando a Pozioni, in realtà.”
“E allora perché parli con la cretina che si fa chiamare Jo quando in realtà si chiama Jessica ed è la figlia di Candida e Nicholas Wilson?”
“Perché mi sembri carina.” Rispose lui come se fosse la cosa più naturale del mondo, senza smettere di guardarla.
Oh, lei non era abituata a quel genere di cose. L’unico contatto umano che aveva era con Flora, e non era troppo sveglia. Agli allenamenti era nota per essere fredda e severa. Nessuno le aveva detto una cosa tanto dolce con tata semplicità. Certo, aveva avuto i suoi corteggiatori e le sue soddisfazioni date da storie di solo sesso, ma ‘sembri carina’ non aveva nulla di ambiguo e non glielo aveva mai detto nessuno.
Lui, d’altro canto, aveva in mente parole come ‘sei bellissima’, ma ‘sembri carina’ fu ciò che il suo orgoglio gli impose.
Lei lasciò che sul suo viso apparisse un ghigno degno di una Serpeverde. “Ti batterò comunque alla prima partita, Oliver Baston.” Scandì le lettere del suo nome come se pesassero.
“In sei anni non ricordo di essere mai stato sconfitto da te, Jessica Wilson.”
Lei istintivamente estrasse la bacchetta dal mantello e gliela puntò al collo, scaraventandolo contro il muro. “Chiamami di nuovo Jessica e ti giuro che non sarai in grado di raccontarlo.” Ringhiò. Poi lo lasciò andare, dirigendosi a grandi e pesanti passi verso la classe di pozioni, muovendosi nei sotterranei come se ci fosse nata, con la portata di una principessa.
E, ancora con la schiena al muro, Oliver Baston non poté fare a meno di pensare che Jo Wilson aveva del fascino da vendere.


Jo si sedette al solito posto nella classe di Piton, ancora semivuota, per niente pentita di aver quasi ucciso il portiere dei grifoni. Se l’era meritato. Flora arrivò cinguettante accanto a lei, capendo subito che non tirava aria buona. Era piuttosto frequente che Jo fosse di cattivo umore, e lei in sei anni ci aveva fatto l’abitudine. Dopo un paio di battute sui Grifondoro che Jo ignorò, Flora si alzò ed andò a sedersi accanto alla sua gemella Hestia, tremendamente simile a lei.
“Che ha la tua amica oggi?” chiese Hestia.
“Non apprezza le battute sui grifoni.” Rispose Flora.
“Beh, non le ha mai apprezzate.” Ribattè Hestia, alzando le spalle. “Non c’è che dire, è sempre stata strana.”
“Lei è Jo. Non aspettarti nulla da lei.”
Piton iniziò la lezione e Jo scosse la testa, dietro di loro. Non era la prima volta che le gemelle le parlavano alle spalle, e, comunque, non gliene fregava assolutamente nulla.


“Wilson?!”
Jo se ne stava beatamente svaccata su uno del divani verdi della Sala Comune, leggendo un vecchio libro in Rune Antiche come se fosse una rivista di gossip. Alzò lo sguardo come se le costasse moltissimo, e Draco Malfoy, pivello biondo del secondo anno, la guardava con un ghigno dipinto in volto.
“Che vuoi?” gli chiese.
“Devo parlarti.”
Lei alzò gli occhi al cielo. “Che vuoi?” ripeté, scandendo le parole con aria annoiata.
“Qui fuori.”
Sbuffò. “Malfoy, è una questione di vita o di morte?”
“Più o meno lo è.”
Con aria estremamente annoiata, appoggiò il libro sul divano e seguì fuori il piccolo Purosangue dagli occhi di ghiaccio. Lui la portò con aria impaziente in una classe abbandonata da secoli e illuminata solo da qualche candela.
Al suo interno, un uomo alto e con lunghi capelli biondi la osservava con disprezzo.
“Buongiorno, Jessica.” Sibilò Lucius Malfoy. Quell’aria gentile le fece alzare le antenne.
Jo.” Sottolineò lei. “Qui dentro sono Jo.”
Naturalmente lo conosceva. Lui e suo padre erano pappa e ciccia, i più fedeli servi di Lord Voldemort a loro tempo, e i primi a rinnegarlo quando cadde sconfitto da un bambino.
“Buongiorno, signorina Wilson.” Riformulò lui, rifiutando di correggere il nome. “Lei sa che le è stato dato il nome di Jessica in onore di sua nonna, una strega brillante e …”
“E lei sa, signor Malfoy, che il mio tempo è prezioso?” lo interruppe lei, lanciando un occhiata al ragazzino che affiancava il padre con aria fiera.
“Veniamo al sodo, quindi.” Sibilò l’uomo con un ghigno perfido. “Draco mi ha detto che sei Capitano della squadra di Quidditch, è esatto?”
In quel momento, avrebbe davvero voluto che non fosse così. Annuì una sola volta, capendo subito dove quel verme volesse arrivare.
“E tra non molto ci saranno le selezioni, anche questo è esatto?”
Annuì di nuovo, riducendo gli occhi a due fessure.
“Bene. Il sogno di Draco, dall’età di cinque anni, è quello di diventare Cercatore.”
“E il mio sogno è che nel mondo non ci siano distinzioni tra Purosangue e Nati Babbani.” Rispose lei, giusto per guadagnarsi l’espressione di disgusto dell’uomo.
“Mettiamola così. Draco si presenterà alle selezioni, dopo essersi duramente allenato per una vita intera, e se verrà preso delle Nimbus 2001, saranno … donate? A tutta la squadra.”
“Dio, questa si chiama corruzione! Non le voglio le sue scope, il ragazzino entrerà in squadra se se lo sarà meritato!” sbraitò lei.
Lui sembrò non accorgersene. “So che voli sulla vecchia Nimbus di tua sorella Blanca.”
Eccola, di nuovo. Sempre lei, sempre Blanca, sempre la sua dannata famiglia. “E con ciò?”
“Tuo padre non desidera regalarti una buona scopa da corsa?”
“Non finga di non sapere che io e Nicholas non ci rivolgiamo la parola da due anni e che quindi lui non mi passa mezzo zellino, signor Malfoy, perché lo trovo un comportamento ridicolo.”
Lucius e Draco sembrarono disgustati dal fatto che Jo chiamasse suo padre per nome, quasi quanto furono disgustati dal fatto che trovasse il comportamento di Lucius ridicolo. Come si permetteva? Draco fece per darle contro, ma Lucius lo fermò con un gesto.
“Pensaci, piccola Wilson. Pensaci bene. Perché le Nimbus verdi e argento sono già pronte, e credo anche che la tua vecchia Nimbus non reggerà un’altra partita. Sono stato abbastanza chiaro?”
Lei non abbassò ne la testa ne lo sguardo. “Non le hanno mai detto, caro Lucius che lei è un verme schifoso e che sarebbe da denunciare?”
Il ragazzino sbottò. “Tu, razza di stupida …”
Ma, di nuovo, a Lucius bastò una frazione di secondo per calmarlo. “Tuo padre mi aveva avvertito che hai un bel caratterino, sai?”
“Quell’uomo non sa assolutamente nulla di me.”
“Bene. Perché ha detto che non avresti mai accettato. Dimostrami che non è così.”
“Lei non è che …”
“Ah! Ferma, ragazzina. Sono una persona a cui devi rispetto.”
“Non mi sembra nella posizione migliore per parlare di rispetto, signore. Sta privando un altro abile giocatore del ruolo che si merita per soddisfare un capriccio del suo bambino viziato.”
“Credi che altri giocatori si presenteranno per il ruolo di Cercatore?” sorrise, soffocando una risata serpentesca. “Beh, buona giornata, signorina Wilson.” E poi, con la grazia di un pavone dai capelli lunghi, uscì dalla stanza, seguito da un cucciolo di pavone.
Lei tiro un calcio alla sedia che si ruppe, provocando una bestemmia non ripetibile. Poi, con la su solita regalità, iniziò a camminare nervosamente sentendo il bisogno fisico di prendere un po’ di aria ed uscire da quel dannato sotterraneo umido e buio, trovandosi ad osservare il campo da Quidditch in lontananza. Estrasse dal mantello il pacchetto di sigarette Babbane, e ne accese una con la bacchetta, aspirando nervosamente.
Quanto potevano essere viscide certe persone?! Il Quidditch era quel che nella sua vita era rimasto intatto, puro e semplice. Non c’era bisogno di sapere chi tu fossi, bastava che fossi bravo. E invece ora era il contrario.
“Ho sentito che sei senza Cercatore.” Esclamò una voce alle sue spalle.
Si girò sulla difensiva. Ma era di nuovo lui, quel maledetto Grifondoro di Oliver Baston. “Che cosa?” chiese, aspirando nervosamente.
“I gemelli mi hanno detto che Dean gli ha detto che Flint, il Cercatore idiota della tua Casa, non ha intenzione di presentarsi alle selezioni.” Disse, avvicinandosi a lei, che gli gettò il fumo in faccia.
“Merda.” Sibilò lei.
“Trovati qualcuno di fenomenale, perché io ho Harry Potter.”
“Fottiti, Baston. Con il figlio di James Potter in squadra hai il culo coperto.”
“Assolutamente sì. Credevo che potessimo chiamarci per nome, ormai.”
Lei ignorò quell’ultimo commento, e capendo quello che sarebbe successo nel giro di qualche settimana. Quella testa calda di Flint non si sarebbe presentato alle selezioni, e nessun altro Serpeverde aspirava al ruolo di Cercatore, non da quando il piccolo Potter era nella squadra nemica, e quindi lei sarebbe stata costretta ad accettare Draco e avrebbe fatto il loro gioco. In più, Lucius le aveva chiaramente detto che la sua scopa avrebbe fatto una brutta fine se non avesse accettato, e lei, sebbene provenisse da una delle più note e ricche famiglie di Purosangue, non aveva che qualche Galeone, visto che né Candida né Nicholas volevano mantenerla più.
“Merda.” Ripeté.
“Che ho fatto?” chiese Baston.
“Nulla, tu assolutamente nulla. Sono io ad essere una persona schifosa!” poi, con aria amichevole, gli passò la sigaretta.
“Non fumo.” Disse lui con aria altrettanto amichevole. “E non dovresti neanche tu.”
“Volo meglio di te anche con questa schifezza nei polmoni.”
“Questo non è vero!” protestò lui, ridendo.
Ma lei non aveva la minima intenzione di sorridere. Non adesso che si stava per abbassare al livello di tutte le altre serpi. Guardò Oliver, alto dieci centimetri buoni più di lei, e per un attimo pensò di confidarsi con lui, ma poi si diede della stupida: lei non si confidava mai con nessuno.
“Va tutto bene?” le chiese.
Ecco, ma come faceva?
“A meraviglia. Sono solo una persona di merda che è costretta a scendere a patti con un serpente viscido e biondo.” Gracchiò lei.
“Chi, Malfoy?”
Lei si girò di scatto sgranando gli occhi.
“L’ho visto girare nei pressi dell’ufficio di Piton prima con suo padre.” Disse lui alzando le spalle, come per giustificarsi.
Di nuovo, ebbe l’impulso di confidargli tutto, ma fu nuovamente bloccata dal fatto che lei non sapeva nemmeno come si facesse, a confidare qualcosa a qualcuno. Distolse lo sguardo da lui, per posarlo di nuovo sul campo da Quidditch, e poi perderlo tra gli alberi.
“Comunque” continuò lui interpretando il suo silenzio “secondo me non sei una cattiva persona. Qualsiasi cosa sia successa, si capisce che sei diversa da Blanca e dai tuoi. Non sei una cattiva persona.”
Lei, per la prima volta dopo mesi, piegò gli angoli della bocca in un piccolo accenno di sorriso. Ed era bellissima.
“Grazie.” Gli disse.
“Se … se ti andasse di dirmi cosa è successo, non farti problemi a cercarmi.”
Lei lo guardò con quel mezzo sorriso ancora impresso in volto. “Perché lo fai? Sono una stupida Serpeverde, io.”
“Non sei stupida, e … non m’importa che tu sia Serpeverde. Non fuori dal campo, almeno.”
“Dovresti odiarmi. I grifoni odiano le serpi.”
“Si, ma non m’importa.” Replicò lui secco.
No, non ci era per niente abituata. E tra non molto avrebbe fatto una cosa che l’avrebbe abbassata al livello dei suoi e di Blanca e Tomas, le avrebbe macchiato la coscienza, e non meritava l’amicizia di una persona tanto buona.
Fece l’ulitmo tiro di quella sigaretta e la buttò a terra, spegnendola con la scarpa Babbana e rovinata che portava al posto delle ballerine imposte dalla divisa femminile. Erano scarpe interamente nere, con gomma ai lati e sulla punta, lacci larghi e un logo con una stessa sulla parte interna della caviglia, con scritto Converse All stars.
“Ci si vede, Oliver Baston.”  Disse, andandosene e lasciandolo a pensare nuovamente che il fascino tenebroso di Jo Wilson fosse qualcosa di straordinario.



“Flint!” sbraitò Jo entrando nel dormitorio maschile dei Serpeverde.
Beccò qualcuno del sesto e settimo in mutande, ma non si preoccupò alcuni li aveva già visti anche senza mutande, altri erano pivelli del secondo anno e un altro era suo fratello Tomas.
Marcus Flint quasi tremò nel vederla così furiosa. “Che c’è?” chiese, cercando di mostrarsi duro.
“Che cazzo vuol dire che non ti presenterai alle selezioni?” ringhiò lei a denti stretti.
“Che non mi presenterò alle selezioni.”
“E perché?!”
Lui si lasciò andare sul letto. “Perché non mi va più di giocare a Quidditch.” Disse, alzando le spalle.
Stronzate!” urlò lei. “Sono tutte stronzate!”
Nessuno si girò a guardarla. Le sfuriate della Wilson non erano una novità, e le buone maniere non erano comunque mai state il suo forte.
“Credi quello che ti va di credere, Wilson. A me semplicemente non va più di giocare nella tua stupida squadra.”
Lei chiuse i pugni e se li portò sui fianchi, mostrando il suo fisico perfetto mentre respirava come un drago per calmarsi.
“Ti rendi conto che per colpa tua ora dovrò prendere in squadra quel raccomandato schifoso di Draco Malfoy?!”
“Draco è forte.” Intervenne un ricciolo del terzo anno. “L’ho visto a lezione con Madama Bum.”
“Stanne fuori, Davis.” Lo zittì lei. “Non t’importa di quel che accadrà alla squadra per colpa tua, razza di idiota?”
“Be’, avremo delle belle scope.” Intervenne il piccolo Malfoy, spuntato come per magia alle loro spalle.
Lei lo guardò con odio. “Draco, dì pure a qu… dì a tuo padre che le scope non le vogliamo.”
“Si che le vogliamo!” intervenne il portiere, ma Jo lo mandò al diavolo con un gesto.
“Le scope stanno già nell’ufficio di Piton, se è per questo.” Rispose il ragazzino, alzando le spalle. “Quando sarebbero le selezioni?”
“Che vuol dire che stanno già nell’ufficio di Piton?”
“Sei sorda o scema?”
Jo iniziò a camminare a grandi falcate verso quel ragazzino che a malapena le arrivava alle spalle, e trovandosi a pochi centimetri da lui lo fissò con odio.
“Stai attento a come parli, piccoletto. Impara il rispetto se vuoi rimanere a lungo nella mia squadra. Intesi?” sibilò.
Lui annuì freneticamente cercando in ogni modo di non mostrarsi impaurito, ma il panico nei suoi occhi era quasi palpabile. Se ne andò a testa alta dal dormitorio maschile per immergersi in un bagno caldo nel bagno dei Prefetti, cercando di dimenticare i sotterranei  e tutto lo schifo che ci viveva.


 
 
Il giorno dopo, Jo era in biblioteca per una ricerca di Storia della Magia, a sussurrare bestemmie perchè quel compito assurdo sulle imprese dei Troll nel XVIII secolo che non l’avrebbe portata a nulla. Flora, come al solito, si era rifiutata di seguirla e lei non aveva minimamente provato a convincerla. Stava meglio senza di lei, in certi casi.
Era una ragazza che stava semplicemente meglio da sola.
Era su una scala a pioli cercando di afferrare un libro sugli ultimi scaffali, quando rischiò di cadere.
“Serve una mano, Jo Wilson?” chiese una voce ormai familiare.
“No, Oliver Baston.” Rispose con aria annoiata.
“Sei sicura? Perché mi sembrava che stessi per cadere.”
“Illuso. Io non cado.” Prese il libro che le serviva e scese le scale con grazia, maledicendosi per quella piccola perdita d’equilibrio. Arrivata a terra, Oliver la guardava, appoggiato allo scaffale con un sorriso beffardo.
“Compiti di punizione?” chiese.
“No, è … Storia della Magia.” Ammise, senza abbassare lo sguardo.
“I Troll nel Diciottesimo Secolo? Ma la consegna è tra due settimane!”
Lei alzò le spalle. “E allora? Non sai mai quanti compiti assurdi ci assegnerà Piton.”
Lui la guardò come se avesse appena detto una cosa grandiosa. “Sei un genio.”
“Certo che lo sono!”
“Posso fare la ricerca con te?” chiese, improvvisando una finta faccia da angioletto.
Lei ebbe una reazione del tutto inaspettata. Sorrise. Non in modo forzato come aveva fatto il giorno prima, non in modo finto, ma sorrise davvero mostrando i denti e illuminando tutto con due occhi felici e trasparenti, rivelando un sorriso meraviglioso. “Perché vuoi il mio aiuto?”  chiese, ancora divertita per quella faccia nuova.
“Perché io ho una A e tu una E!”
“No, ho una O. Ho preso il G.U.F.O. con una O.” sbuffò, sedendosi al tavolo ed iniziando a sfogliare quel libro pesante e impolverato.
“Credevo avessi tutte E.” disse, sedendosi di fronte a lei.
“Tutte E con O in Storia della Magia.”
“Io ho sempre Accettabile e ti sto chiedendo una mano.”
Lo guardò severa, trucidandolo con occhi di ghiaccio.
“Per favore.” Riprovò a fare la faccia da finto angioletto, ma le fu tremendamente facile, questa volta, trattenere quel sorriso. Che voleva Oliver Baston dalla sua vita?
“Perché dovrei volerti aiutare?”
“Perché ti ho fatto sorridere.” Rispose lui con un sorrise tremendamente affascinante.
Lei piegò gli angoli della bocca. Aveva colpito nel vivo. Nessuno l’aveva mai fatta sorridere, se non un Babbano che viveva a Londra, tempo prima. “Okay, Baston. Ci sto.”
“Davvero?”
“Prendi appunti prima che cambi idea, e potrebbe accadere in fretta.”
Lui, svelto e spaventato, estrasse pergamene disordinate dalla borsa, una penna scura e le rubò l’inchiostro. Lei sbuffò, ma poi gli passò gli appunti, mentre sfogliava quel libro pesante e lui copiava gli appunti.
Poi, d’improvviso, sulla bocca di Baston si dipinse un sorriso.
“Che hai da ridere?” gli chiese, indispettita.
“Pensavo … che sei diversa dai tuoi, da Blanca e da tutti loro.”
Lei sorrise di nuovo, in modo timido e quasi imbarazzato. “Vuol dire tanto per me questa cosa che hai detto.”
“Lo so.”
“Lo sai?”
“Beh, le voci corrono. Candida e Nicholas non ti passano un soldo e Blanca ti tratta come se fossi l’ultimo anello della catena alimentare.”
Quel paragone la divertì. “In effetti è vero. Ma tu come lo sai?”
In un altro momento, si sarebbe imbestialita solo per il fatto di dover parlare della sua famiglia. Ma lui le aveva appena detto che lei era diversa, e questo valeva tanto.
“Mia madre dice che sei mille anni luce avanti rispetto a loro.” Disse, tornando a guardare gli appunti.
La madre di Baston se la ricordava appena. Ma in quel momento le fu estremamente simpatica.
“Io la penso come lei.” Aggiunse, visto che lei non accennava a rispondere.
“Tua madre è una brava persona.” Si limitò a dire.
“C’è una cosa che non mi è chiara, però.”
Tornarono a guardarsi. “Okay, chiedi.” Disse lei, in un sussurro.
“Tomas.”
Ecco. Tomas era uno dei suoi punti deboli. Aveva tentato in ogni modo di salvarlo dalle idee assurde dei suoi, ma non ci era mai riuscita. E questo le aveva fatto male.
“Tomas è fragile. Non è in grado di farsi una sua idea, ne di andare contro a ciò che si trova imposto. Ecco tutto.”
Chiuse il libro e salì sulla scala per riporlo al suo posto. Lui si alzò per tenere fermo il legno fragile della scala a pioli.
“Intendevo chiederti in che rapporti siete.”
Lei lo guardò come se le avesse appena chiesto se fosse mai stata su Marte.
Non c’era una risposta giusta, in realtà.
“Più o meno come con Blanca.” Rispose, secca. Ripose il libro ponendo la giusta fiducia nel suo equilibrio, questa volta, e poi scese, trovandosi vicina al suo viso come la sera di tre giorni prima.
“Non sembri una persona sola.” Disse, scrutandola. Sembrava davvero sicura di sé e piena di affetto, invece era sola, e quella sua specie di amica Flora Carrow non sembrava né troppo sveglia, né troppo affezionata a lei.
“Non sono sola.” Ribatté lei. “Ho Nanà.”
Lui la guardò stranito.  “Nanà?”
Jo annuì seria. “La mia gatta.”
Lui sorrise ma lei rimase seria. Quella gatta era davvero la sua più fedele compagna da quando aveva otto anni. Era cicciona e pigra, ma comunque una fedele compagna. Rossa, bianca e con macchie nere, una in particolare sull’occhio destro.
“Certo.” Disse lui, tornando a sedersi, pensando che Jo Wilson era più forte di quanto fosse disposta a mostrare.
 
   
 
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