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Autore: nagrafantasy    04/04/2015    1 recensioni
[Fan Fiction: Dragon Age Inquisition - *Avviso Spoiler*]
«Che ne sarà di me, se sopravvivrò?»
«A volte è proprio quando non abbiamo più certezze, che la vita si srotola davanti a noi»
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Varric Tethras
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I passi affondavano incerti nell’immensa coltre di neve.
Buio, gelo, solitudine...
Le ore si perdevano in un tempo indefinito e così i secondi, i minuti e gli stessi giorni.
Grossi fiocchi discendevano dal cielo, imperterriti nella loro corsa verso la terra, verso il mondo dei viventi. Lenti, ricadevano su ogni cosa e incuranti se quel qualcosa fosse vivo o inanimato, buono o malvagio.
Così come si posavano sul naso di Ygrena, si sarebbero soffermati sul volto demoniaco di Corypheus.
Neve, neve candida che inghiottiva fauna e flora nella sua morsa di gelo, rivelandosi tanto ostile quanto fastidiosa.
Mentre arrancava a fatica nella desolazione più totale, Ygrena pensò che tutto quel freddo fosse addirittura più spietato del Prole Oscura che l’aveva cacciata nella storia dell’intero Thedas.
Una spada trafigge e uccide quasi all’istante.
La bufera si porta via la vita in modo subdolo; lento e calcolato, privando di cibo e acqua per giorni, lasciando la vittima al proprio destino agonizzante.
E quando si è talmente stanchi di affrontare la tempesta, essa accoglie le anime perse in cerca del sonno per donar loro un riposo eterno.
Ygrena lo sapeva bene, ma non aveva intenzione di morire per mano dell’inverno, dopo essere scampata a Corypheus e il suo drago.
Le palpebre le calavano spesso, ma si sforzava di mantenersi sveglia e le vesti erano logore e rigide, così gelide al tocco da impedirne la sensibilità. La maga girovagava alla cieca in quel luogo dimenticato da Andraste, inseguendo tracce e impronte sparpagliate, prive di indicazioni precise sull’ubicazione del resto dell’Inquisizione.
L’unica certezza, era che la salvezza aveva abbracciato qualcuno, ma presto la donna se ne dimenticò. Era troppo impegnata a concentrarsi sull’istante che stava vivendo, per evitare di sprofondare nel buio della morte.
Via via che il tempo passava e la mente si irrigidiva, Ygrena rischiò addirittura di rimuovere interi ricordi sui suoi compagni, così escogitò un modo per mantenerli e, allo stesso tempo, impedire a se stessa di dormire: ripeté più volte i loro nomi.
Nella bufera di neve, sotto il vento che ululava tetro, la maga chiamò forte le persone che l’avevano sostenuta fino a quel momento; tutti coloro che erano stati in grado di guardare oltre i suoi poteri magici, per ritenerla qualcosa di più importante, come l’Araldo di Andraste.
Gridò e pianse, perché se vi era una sottospecie di famiglia su cui poteva contare e con la quale sarebbe valsa la pena esalare l’ultimo respiro, essa era proprio l’Inquisizione.
Ed ora rischiava di non sopravvivere senza nemmeno congedarsi con un ultimo saluto.
I fiocchi entravano nella gola, ma subito si scioglievano grazie all’alito caldo di Ygrena, persa in urli disperati che facevano a gara con le correnti d’aria, pesanti quanto un carico di pietre sulla schiena.
Quanto avrebbe voluto sedersi accanto a un fuoco insieme a quel mascalzone di Varric, o con la silenziosa presenza di Solas. Persino le risposte secche di Cassandra, o le eloquenti alzate di sopracciglio di Vivienne avrebbero rallegrato il cuore di Ygrena.
La donna si nascose gli occhi bagnati di lacrime dietro le braccia per cercare di vederci meglio, e per asciugarsi prima che le ciglia stesse potessero congelarsi.
Non si scorgeva l’orizzonte e la piana pareva desolata; di tanto in tanto si notavano piccole macchie di vegetazione e Ygrena si accostava per perlustrare le zone, trovando spesso resti di bivacchi ormai consunti.
Una volta adocchiò una penna d’oca seppellita quasi interamente dalla neve. L’aveva raccolta con mani tremanti e rigonfie, raschiando distrattamente l’oggetto con le unghie spezzate, e poi studiata attentamente con un mezzo sorriso stampato sul volto.
Sì, quella penna apparteneva al suo scrittore preferito e di certo non l’avrebbe abbandonata nella tempesta.
Fu costretta a lasciare presto l’accampamento per via del tempo atmosferico, peggiorato inesorabilmente, e si dispiacque di non aver avuto il tempo di perlustrarlo a dovere. Magari, avrebbe scoperto altri oggetti.
Si tenne stretta la penna sul petto, invocando il favore di Andraste, e proseguì a capo chino; con i lunghi capelli corvini sobbalzanti lungo i fianchi.
Intanto altri giorni passarono e la strega aveva terminato quel poco cibo trovato nella botola in cui era caduta, in seguito l’avvento della valanga causata dal trabucco a Haven.
Aveva salvato la sua vita, ma aveva seppellito la città.
Il destino è crudele.
Le forze erano esigue; si rese conto che non sarebbe andata molto lontano, in quelle condizioni.
Fece un rapido giro di sguardi nel circondario e si avvicinò a due abeti poco distanti. Appoggiò una mano sul tronco della pianta più vicina, senza avvertirne la consistenza, e abbassò lo sguardo alla ricerca di qualsiasi nuovo indizio.
Vide un ennesimo falò spento e si accostò, chinandosi per cercare oggetti... con un pizzico di fortuna, forse stavolta avrebbe trovato un ciuffo della pelliccia di Cullen.
Ripensò agli occhi nocciola del Comandante e un nuovo calore la invase, permettendole di rimettersi in piedi anche se a mani vuote. O meglio, fra le dita reggeva un pezzo di legno carbonizzato; un gesto folle che l’aiutò a ricordare di essere ancora in una realtà concreta e vivente.
Si macchiò le mani di carbone e giocherellando con il legnetto riacquistò parte del tatto perduto nelle ore precedenti. Ma ad un tratto, s’accorse di aver scoperto un indizio fondamentale.
Il materiale era tiepido.
Tastò con maggiore attenzione e si rese conto di non essere stata colta dall’illusione: qualcuno era stato lì da poco tempo.
Forse c’era ancora speranza...
Si voltò verso la direzione da percorrere e si avviluppò nel mantello strappato, per poi riprendere la marcia con una carica rinnovata. Nel petto, il cuore pulsava all’impazzata e trasmetteva sentimenti positivi, di speranza e aspettative.
Persino il potere arcano si stava ricaricando pian piano, lo avvertiva tramite piccoli formicolii sui palmi e lungo le braccia.
Quel giorno la tempesta si era placata, ma la stanchezza non aveva lasciato la pianura insieme alla neve cadente e il vento rigido. Le ginocchia scricchiolavano e le gambe procedevano quasi come se avessero vita propria; ma Ygrena avanzò e raggiunse un ammasso di rocce che costituivano un alto pendio.
La maga poggiò una mano sulla parete del massiccio e seguì una gola che discendeva verso una valle per lei sconosciuta.
Vide una luce e allungò il passo, costringendo il corpo a svolgere incarichi troppo pesanti entro le sue possibilità e fu per questo motivo che la vista si affievolì poco a poco, mentre si lasciava cogliere impreparata dalla sonnolenza.
Crollò a terra, sfinita, e chinò il capo sul petto come a indicare la resa nei confronti dell’inverno.
A quanto pareva, aveva vinto lui.
 
«Là! È lei!»
«Sia lode al Creatore!»
«Dobbiamo portarla dal fuoco, subito! Oh, povero Araldo...»
«Va’ ad avvertire Madre Giselle, Josephine»
«Detto fatto»
«Comandante...»
«Lascia fare a me, Lady Cassandra. È finita»
«Sì. È finita»
 
Voci. Voci conosciute.
Gli occhi si socchiusero e le pupille scure si mossero per cercare la fonte di quei suoni, improvvisamente così dolci e benvoluti all’udito.
«Questo è un sogno...» farfugliò Ygrena, appena mise a fuoco l’immagine di Cullen.
«Lieto di essere nei tuoi sogni, Araldo, ma questa è la realtà. Un ultimo sforzo» rispose il Comandante.
Ygrena si sentì sollevare da due forti braccia, che la tennero stretta anche durante la camminata. Avvertì il respiro caldo dell’uomo poco lontano dal volto e i sensi si risvegliarono con grande sollievo.
«Cullen...»
«Riposa, Ygrena. Hai fatto tanto per noi, ora meriti un po’ di pace»
Quella voce. Finalmente percepiva di nuovo quella voce...
Chiuse le palpebre per godere appieno delle sensazioni che si stavano riprendendo a piccoli intervalli. La dormiveglia e la stanchezza accumulata l’avevano completamente stordita, ma fu certa che Cullen l’avesse portata in un accampamento in cui erano presenti i membri dell’Inquisizione sopravvissuti alla catastrofe di Haven.
Udiva il clangore delle armature dei soldati e i sussurri delle spie di Leliana, nonché le invocazioni delle sacerdotesse della chiesa.
Ygrena sorrise, anche se non stava guardando ciò che accadeva attorno a sé.
Poi, tutto fu silenzio. Comprese che Cullen si stava abbassando e successivamente si rese conto di essere distesa in un giaciglio, coperta da pellicce morbide e calde.
«Prendetevi cura di lei, in attesa del mio ritorno» si assicurò Cullen.
«Nessun problema, Ricciolino. Sarà in buone mani»
Ygrena allungò ancora le labbra.
«Varric...» disse debolmente.
Due passi pesanti presagirono la presenza del nano. «Sono qui, mia cara, ma ti suggerisco di risparmiare il fiato per quando starai meglio»
«Varric ha ragione, Araldo»
Solas. Morbido come il velluto giungeva il suono delle sue parole.
Doveva essere un sogno. Non poteva essere vero tutto ciò che stava accadendo.
Un focolare acceso, gli amici accanto a lei, le sue ragioni di vita rinate.
«Sono viva?» domandò.
Solas le rimboccò le coperte. «Presto lo sarai... ora, dormi»
Bastò una carezza, e il sonno la catturò.

 
  
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