CAPITOLO 19
Giulia rimase immobile, nel bel mezzo della stanza, di fronte
all’armadio.
Il corpo coperto solo dalla biancheria.
Conosceva quella voce. Le era familiare come poche altre, forse come
nessuna.
- Giulia, ti prego!
- Cosa vuoi?!
Le uscì un grido. Un urlo represso nel cuore dolorante di una ragazza che
soffre e non si sfoga. La voce fu gelida e pungente, il tono cattivo, ma non
volontariamente. Era una difesa incondizionata.
- Devi venire!
- Perché dovrei, Sara?! Non eri tu quella che non avrebbe avuto bisogno
di me?
Giulia concluse la chiamata con quelle
parole.
Riagganciò il telefono e lo scaraventò sul letto, con una foga
indescrivibile.
Ma la suoneria del cellulare squillò di nuovo. Quel suono insistente e
perforante urtò le orecchie di Giulia, già infastidite dalle parole della
chiamata.
- Che vuoi?!
- Giulia, devi venire.
L’espressione della ragazza si ammorbidì nel sentir trapelare lacrime da
quella frase.
- Cos’è successo, Sara?
- Michele. Cioè, io. Cioè noi...
- Va bene…arrivo…
Indosso velocemente gli indumenti che aveva estratto dall’armadio e uscì
dalla propria camera.
- Giulia, mi aiuti a mettere il cappotto?
- Dopo Mirta...dopo usciamo...
Si chiuse la porta d’ingresso alle spalle.
La bambina rimase immobile nel corridoio con il cappotto in mano e il
viso graffiato da una smorfia di delusione.
Michele uscì dalla casa di Sara con un’ennesima sigaretta alla
bocca.
Non si voltò verso il palazzo.
Percorse qualche metro a piedi, le mani nelle tasche e lo sguardo vacuo
rivolto al cielo.
Continuava a pensare che fosse meglio per lui. Che aver detto addio a
Sara, per l’ultima volta, non sarebbe stata una grande
perdita.
“Quella stupida ragazzina...”
Ma mentre si convinceva di aver fatto la scelta giusta, l’immagine della
ragazza piangente, piroettava davanti a i suoi
occhi.
Si appoggiò ad un palo, vicino alla fermata del pullman, gettò la
sigaretta per terra e prese ad osservare le sfaccettature della luce
sull’asfalto.
Sara amava il sole.
Sarà amava tutto ciò che era allegro.
Ricordava tutto ciò che Sara amava, perché lui amava
Sara.
Ogni cosa che per lei era importante, in qualche modo lo era anche per
lui.
La conosceva perfettamente. Sapeva di lei ogni pregio e ogni pecca.
Era l’unica persona, dopo Giulia, con cui lei si riusciva a confidare
liberamente e lui amava anche questo privilegio.
Ma ormai aveva rinunciato ad ogni essenza di lei, e non poteva
pentirsene.
Non si può essere perdonati per due volte.
Il mondo che quella ragazzina aveva creato dentro di lui, stava sfumando
e, lentamente, Michele se n’era reso conto.
E aveva cominciato a soffrire. Forse per la prima volta, lui provava vero
dolore.
Daniele era seduto al suo banco.
Federico gli parlava. Raccontava di quello che succedeva a casa sua, di
come suo fratello avesse rotto la finestra del bagno e del perchè il criceto di
sua sorella fosse morto.
Ma lui non ascoltava.
Non gli importava assolutamente nulla del mondo che lo
circondava.
I suoi occhi non vedevano quello che lo circondava, come le sue orecchie
non sentivano gli stessi suoni.
Era come se si fosse estraniato dal mondo e, in fondo, quello era il suo
obiettivo.
Non pensava nemmeno, perchè era il dolore a farlo per
lui.
Si sentiva vuoto, arginato in un angolo nascosto del proprio
corpo.
E continuava ad annuire distrattamente, a fingere attenzione, a regalare
sguardi, seppur vacui.
- Allora, Panasti, cosa ne pensa?
Tutta l’aula si zittì e gli alunni si voltarono a guardare
Daniele.
- Oh, Dani, parla con te...
Sussurrò Federico all’orecchio dell’amico.
- Cosa?
La professoressa si alzò dalla propria sedia e si allontanò dalla
cattedra, per avvicinarsi alla finestra.
- Cosa devo fare con te, Daniele?
Volse il proprio sguardo oltre il vetro che la separava dall’aria gelida
di quella mattina di metà dicembre.
- Tu non ascolti. Non parli. Non guardi. Non sai le lezioni. Addirittura
non mangi, a mensa. Cosa ti succede?
La risposta al quesito era semplice quanto la domanda
stessa.
Lui era innamorato.
Lui era deluso; da nessuno in particolare, ma non si fidava più degli
altri.
Stava imparando a soffrire e a dialogare col proprio dolore. Stava
facendo amicizia con lo sconforto e con la delusione.
Provava a crescere, a modo suo.
- Mi lasci in pace. Ecco cosa deve fare!
Sollevò la testa, rispondendo pacato.
- Vuole sapere cosa mi succede?!
Si alzò in piedi.
- Perfetto, glielo spiegherò!
Salì sulla propria sedia, per fare in modo che tutti i suoi compagni di
classe lo vedessero.
- Daniele, scendi immediatamente da quella
sedia!
- Le voglio solo spiegare quello che succede, cara
professoressa!
La donna tornò alla cattedra, sconsolata e si sedette sulla propria
sedia, ad osservare quello spettacolo degradante. Si sfilò gli occhiali dal naso
e poggiò la testa sulla mano sinistra.
- Voi lo sapete! Voi, cari compagni di classe, lo sapete benissimo quello
che succede. Mi dispiace che oggi non ci sia Giulia o la sua amichetta Sara,
altrimenti avreste potuto chiedere anche a loro quello che succede.
I compagni di classe diressero i propri sguardi curiosi verso i banchi
delle due compagne appena menzionate da Daniele.
- Sì, è colpa di Giulia, dico io, e lei, ovviamente, direbbe che è colpa
mia. Forse ha ragione lei: è colpa mia se la amo, è colpa mia se vorrei essere
accanto a lei adesso ed in ogni istante. Però, ditemi, è colpa mia se anche lei
amava me? Ed è colpa mia se adesso lei non mi ama
più?!
- Dani, smettila, ti stai ridicolizzando...
Sussurrò piano Federico, per farlo
ragionare.
- Si, caro amico, mi sto ridicolizzando! Lo so, ma loro devono ridere!
Devono avere qualcuno da prendere in giro!
- Ha finito, signor Panasti?
Chiese la professoressa, vedendolo ammutolire di
colpo.
Di risposta, il ragazzo si risedette sulla propria sedia e si prese il
viso tra le mani.
La donna si avvicinò al ragazzo e, chinandosi sul banco, gli sussurrò
atona.
- Perfetto, Daniele. Ora seguimi in
presidenza.
Lorenzo stava preparando il cappuccino per un’anziana, seduta al tavolo
vicino alla finestra.
Pensava ancora al messaggio che Giulia gli aveva
mandato.
“Forse sto sbagliando tutto...in fondo, ci sono cinque anni di differenza
tra me e lei...”
- Ciao Lorenzo...scusa il ritardo, ma non mi è suonata la
sveglia!
Nicola era appena entrato nel locale e si stava mettendo il grembiule
rosso e bianco del locale.
- Certo...come tutte le mattine, Nicola!
L’amico ignorò la battuta.
- Ah...la piccoletta si è fatta sentire?
Lorenzo si maledisse mentalmente per avergliene parlato, qualche giorno
prima.
- Veramente sì...
Nicola si avvicinò al ragazzo per prendere la tazza che teneva in mano e
servirla alla cliente.
- E cosa dice?
Con un sorriso sul volto posò la tazza sul tavolino e tornò dietro al
bancone.
- Che oggi non può venire all’appuntamento.
- Perché?!
Il moro sbuffò e osservò il rosso che lo guardava con sguardo
curioso.
- Posso non dirtelo...sai, mi mette a disagio la tua
espressione...
- Che palle, Lore! Me lo dici o no?!
Lorenzo si voltò per prendere i soldi di un
cliente.
- Dice che ci sono casini da lei...
- ...che è dispiaciuta, ma che oggi non può. La solita vecchia
scusa...
Il ragazzo diede il resto al quarantenne e osservò innervosito
l’amico.
- Che ne sai che è una scusa?!
Nicola posò una mano sulla spalla dell’amico e lo guardò negli occhi con
fare esperto.
- Perché dicono tutte così!
Il ragazzo si scrollò la mano di Nicola di dosso e si voltò, per
preparare una spremuta.
- Insomma, Lore, come fai ad essere così ingenuo?! Non ti ho insegnato
niente?
Chiese canzonatorio il rosso.
- Senti, Nicola, ora basta! Mi hai stancato! Piantala di rompere, perché
io non sto proprio scherzando.
Lorenzo rimase immobile, con una metà d’arancia in mano, mentre Nicola
avvicinava il proprio viso al suo.
Socchiuse gli occhi, azzurri, e sentenziò
- Qui ci vuole una sigaretta!
Giulia correva per le strade di Torino. Era veloce come se qualcuno la
stesse inseguendo.
Imboccava le vie senza nemmeno sapere quali fossero i loro nomi; svoltava
esperta gli angoli senza guardarsi intorno.
Corse senza mai fermarsi, finché non giunse sotto il vecchio edificio
dove abitava Sara.
Si piegò sulle ginocchia e riprese fiato.
Inspirò profondamente, prima di citofonare al
campanello.
Una voce tremula e incrinata dal pianto domandò chi fosse a suonare, poi
il portone si aprì automaticamente e Giulia poté entrare nell’androne
luminoso.
Dalla parte opposta del portone d’ingresso vi era un’enorme vetrata
colorata e sulle pareti si susseguivano decine di lampade a forma di candela. Il
pavimento era di marmo, sul soffitto era affrescato un cielo azzurro ma coperto
da qualche nuvola bianca, su cui si rincorrevano le leggiadre figure di
angioletti sereni.
Giulia non vi prestò molta attenzione, ma salì svelta le scale, per
raggiungere l’appartamento dove l’amica abitava con la propria
famiglia.
- Giulia...sei venuta!
Sara corse incontro all’amica. L’abbracciò convulsamente, desiderosa
d’affetto e di attenzioni.
Giulia rimase immobile. Non sapeva come comportarsi. Dopo giorni che non
parlavano nemmeno, l’amica l’abbracciava con tanta
passione.
Alla fine ricambiò l’abbraccio e sussurrò
incerta
- Certo che sono venuta…cioè, mi sembravi davvero
disperata…
Sara sciolse l’abbraccio e Giulia vide le sue guance segnate dal pianto.
Il trucco dell’amica era colato sul viso, mescolandosi alle lacrime.
La bionda si allontanò lentamente, chinando il capo verso il
pavimento.
- Sono successe tante cose, sai…
La mora notò l’abbigliamento di Sara e tentò di trattenere uno sguardo di
disapprovazione.
- Ero molto preoccupata…perché non ti sei fatta sentire se ci sono stati
dei problemi?
L’altra ragazza alzò timidamente lo sguardo.
- Avevo paura, Giulia. Temevo che ti arrabbiassi con me per come ti avevo
trattata...
- Io sono arrabbiata, Sara…
La bionda trasalì, poi si lasciò cadere su una poltrona
dell’entrata.
- Lo so. E mi dispiace molto.
Prese a giocare con le proprie mani e sospirò
pentita
- Non penso davvero quello che ho detto, lo sai,
vero?
Giulia si avvicinò con un sorriso comprensivo sul volto e chinandosi
davanti all’amica disse
- Certo che lo so, Sara! Adesso non ti preoccupare di quello che è
successo tra noi. Parlami del perché mi hai
chiamata.
- Ho detto a Michele che non lo amo, che non l’ho mai amato, che lo
perdonavo per la storia che aveva avuto con Mariangela e poi l’ho lasciato. Lui
si è arrabbiato molto. Ha detto che sono una stronza e si è messo ad urlare. Io
mi sono spaventata e mi sono messa a piangere. Lui è uscito da casa e adesso non
so dove sia…
Giulia prese le mani dell’amica, che si era messa a
piangere.
- E come
- Ha messo a posto la mia camera, perché la polizia l’aveva
perquisita…
La mora interruppe l’amica.
- Ah…dove sono i tuoi genitori?
- Non lo so. Non hanno lasciato neanche un biglietto; probabilmente hanno
pensato che io non sarei mai tornata a casa e si sono presi una
vacanza.
Giulia squadrò Sara
- Eravamo tutti in pensiero. Io non ti vedevo a scuola e non ricevevo tue
chiamate. I tuoi genitori non ti avranno vista a casa e non facendo progressi
con le indagini della polizia si saranno preoccupati
molto.
La bionda si alzò innervosita. Le tramava la voce, ma aveva ancora la
forza di urlare.
- Perché, secondo te, i miei genitori erano dispiaciuti per la mia
scomparsa? Mia madre?! La stessa madre che mi voleva cacciare di casa? Mio
padre, che non ricordava nemmeno di avere una figlia? No, Giulia, io non credo
che i miei genitori fossero preoccupati. Semmai, avranno deciso di cominciare le
vacanze di Natale in anticipo.
- Io non credo…
- Io, invece, credo proprio di sì. E sai qual è la cosa bella? E’ che ci
sono così abituata che non mi dispiaccio nemmeno!
Giulia si avvicinò all’amica e l’abbracciò di nuovo. Quest’ultima cinse
la vita dell’altra con le sue esili braccia e la strinse forte a sé, cercando il
contatto di qualcuno che le dimostrasse vero
affetto.
- Tu non mi hai mai abbandonata, Giulia. Neanche in questa situazione: io
ti ho trattata malissimo quando tu hai cercato di aiutarmi, ma tu sei tornata lo
stesso, per offrirmi nuovamente il tuo supporto. E continui a sopportare le mie
lamentele. Devo essere una persona davvero terribile. Ma tu sei una ragazza
speciale. Una ragazza unica, una vera amica.
- Sara…anche tu sei una buona amica.
Si abbracciarono di nuovo.
Sulle guance di entrambe scesero delle lacrime.
Piccole e luminose lacrime di gioia in mezzo ad un mare di pianti di
dolore.
Ma quella era la loro forza: essere sempre insieme.
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Finalmente ce l'ho fatta!
Sono riuscita a postare il nuovo capitolo! L'ho riletto qualche volta e ho corretto gli errori di grammatica, come mi avete consigliato...speriamo che adesso sia corretto!!
Allora, che ve ne pare?
Questo capitolo è incentrato, più che altro, su Sara e Giulia. E, forse, capita proprio a pennello, visto che in questo periodo penso continuamente alla mia amica...ma non soffermiamoci su di me.
Dunque, sono molto affezionata a questo capitolo, perchè mi ispira speranza e fiducia.
Ringrazio tutte le persone che hanno letto il capitolo precedente e in particolare chi ha commentato: Vampire Berry, Valentina78, Killer, HarryEly, Neverwinter.
Vi ringrazio tantissimo, ragazze. Grazie dei complimenti e della forza che mi date. Mi fa sempre piacere leggere le vostre recensioni!!
Un bacio a tutti voi,
al prossimo capitolo
Miss dark.