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Autore: EleEmerald    04/04/2015    3 recensioni
 Dal decimo capitolo:
"Io vi maledico" disse. "Maledico tutti gli uomini di questo mondo. Tutti gli uomini che si metteranno sulla strada di mia figlia e delle sue nipoti. Quando ingannereto loro, come avete ingannato me, esse vi uccideranno. Sarà l'ultima azione sbagliata che compirete perché le mie figlie vi perseguiteranno, vi inganneranno e saranno la vostra rovina. E poi vedremo, come ci si sente a stare dall'altra parte del manico."
.
Quando Matthew Williams, un tranquillo ragazzo di diciassette anni, incontra Elizabeth, di certo non si aspetta che quella ragazza lo porterà incontro a tanto dolore. Ma, dopo averla ritrovata in un bosco ricoperta di sangue, non rimanere implicato nelle sue faccende è quasi impossibile. Le prove che dovrà affrontare si riveleranno più complicate di come sembrano e, inesorabilmente, si ritroverà a perdere molto di più che la sua semplice normalità. Implicato tra leggende e antiche maledizioni, vivrà, oltre ai momenti più brutti, anche quelli più belli della sua vita.
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 9: Hotel Caelum

- Shh! - Il professore di storia pose l'indice davanti alla bocca e ci ammonì.
Thomas e io tornammo a metterci seduti.
Il signor Skin, professore di storia, nato durante il quarto anno della quarantesima dinastia dei Faraoni, dedito alla scoperta di cose a cui non poteva fregare niente a nessuno, aveva deciso di farci passare l'ora a vedere un documentario sulla prima guerra mondiale. Ci aveva condotto nell'aula video, una piccola sala con i banchi posti in salita e, giusto per essere sicuro che io e Thomas non parlassimo, ci aveva messo lontani.
Una volta spente le luci non ci era voluto molto perché Thomas scivolasse tra i banchi e si sedesse di fianco a me e Iris. Skin non si era naturalmente accorto di nulla.
Dopo che si fu girato, Thomas riprese a parlare. - E tua madre come ha reagito?
- Ha detto che si sentiva come me, ma ci è rimasta molto più male - mormorai.
- Mi sembra anche giusto - disse Iris mentre guardava le inquadrature della tomba dell'arciduca Franz Ferdinand. - Scoprire che il mio ex marito, che amo ancora, aspetta un figlio da un'altra donna dov'essere devastante. Penso che io mi sarei messa ad urlare.
Sospirai. Mia madre doveva amare molto mio padre se dopo sette anni era ancora sola. C'erano stati uomini, anche se ci era voluto molto. Quando avevo 14 e 15 anni, me ne aveva presentati due, ma non erano durati più di una manciata di mesi.
- Le prime operazioni militari del conflitto videro la fulminea avanzata dell'esercito tedesco in Belgio, Lussemburgo e nel nord della Francia... - continuò la voce del documentario.
- Cambiamo argomento - disse Thomas.
- Forse è meglio ascoltare - suggerì Iris.
Ci mettemmo tutti e tre d'impegno e ascoltammo la lezione. Thomas passò parte del tempo a muovere le mani ripassando le note di una canzone sulla chitarra.
Lui e Iris facevano parte del coro della scuola, che non era quel gruppo di sfigati che tutti si raffiguravano. Andavano forti. In realtà non era neanche un coro, non cantavano insieme, loro preparavano i pezzi per il concerto che si svolgeva a metà anno durante le ore scolastiche e quello che facevano a giugno la sera. Cantavano e suonavno insieme. Avevano circa quattro pezzi ognuno e, anche quell'anno, Iris e Thomas ne facevano uno insieme. Lei cantava, aveva una voce fantastica, mentre lui suonava la chitarra. Non avevano voluto dirmi il titolo della canzone.
Quando la campanella suonò, segnando la fine dell'ora, noi tre ci avviammo verso la sala mensa.
Sedendoci al quarto tavolo, prendemmo tutti un hamburger.
Dopo essersi accorta di non aver finito i compiti, Iris tirò fuori il suo libro di francese e si mise a scrivere mentre mangiava il suo panino.
- Odio il francese - disse Thomas nonostante non lo avesse mai studiato.
- Non puoi odiare una lingua - lo zittì Iris ricevendo un'occhiataccia dal nostro amico.
Vidi Elizabeth avvicinarsi al nostro tavolo con Hannah.
Non appena la bionda vide il libro di francese disse: - Tu parles français!
Iris alzò la testa dal libro e sorrise ad Elizabeth. - Oui! Je l'étudie.
- Es-tu au cour du professeur Rouge? - chiese.
- Non, je suis au cour de madame Jones.
Thomas mi guardò in cerca di una traduzione.
- Non studio il francese! - dissi.
- Ecco perché non ti ho mai visto all'avanzato - continuò Elizabeth nella nostra lingua, per farsi capire da tutti.
- Si sono al corso intermedio.
- A otto anni mia madre e mia nonna hanno iniziato a darmi lezioni - spiegò la cugina di Thomas.
- Scusateci. Tutti i tavoli sono pieni, possiamo metterci qui? - chiese Hannah impaziente di addentare il suo hamburger.
Thomas annuì e lei andò a sedervisi vicino. Elizabeth prese posto accanto ad Iris.
Notai che Hannah guardava Thomas con un certo interesse e mi ritrovai a ridere.
- Tu non avevi detto che non volevi più vedermi? - chiesi.
In tutta risposta mi fece una smorfia.
- Melanie mi ha detto che l'impronta si è asciugata. Oggi vieni a scrivere il tuo nome? - chiese Elizabeth.
Annuii vigorosamente e improvvisamente mi ricordai ciò che avevo scoperto la sera prima. Decisi di voler andare comunque con lei, era un buon momento per parlarle.
- Dove? - chiese Thomas addentando l'hamburger.
- Siete usciti insieme? - Iris sorrise.
- Davvero? - domandò invece Hannah delusa perché Elizabeth non glielo aveva detto.
Dopo qualche minuto di chiacchiere con l'amica, Hannah tornò a guardare Thomas finché lui non diventò completamente rosso. Dopo aver bevuto un sorso d'acqua sotto lo sguardo della ragazza, si voltò verso di lei.
- Ho qualcosa in faccia? - chiese passandosi una mano sul viso.
- No. Sei molto carino - disse tranquillamente lei.
Thomas aprì la bocca stupito, non avendo mai incontrato nessuno di così diretto, e senza controllarsi sfoggiò un enorme sorriso da sbruffone.
- Hannah! - esclamò Elizabeth.
- Ho detto la verità - rispose l'amica.
- Tutto questo è imbarazzante. - Guardai Iris che non distoglieva gli occhi dal libro e stringeva la penna tremando, poi alzò la testa e cominciò a ridere.
Mi unii alla risata. Quella di Iris però era diversa dal solito. Diedi la colpa ad un ipotetico raffreddore e non ci feci molto caso.
Thomas strinse i denti, arrabbiato per le nostre continue prese in giro, che in realtà non erano fatte per essere offensive, e si rivolse ad Hannah. - 346...
- Cos'è? - chiese la ragazza fermandolo.
- Il mio numero. - Sorrise beffardo fissando Iris.


 

Quel pomeriggio passai a prendere Elizabeth alla scuola, come la volta precedente. Aveva un grande sorriso sulle labbra ed era vestita di rosso.
- Ti vedo di buon umore - le dissi aprendole la portiera.
Lei salì in macchina. - È il sole. - Indicò il cielo azzurro. - Adoro la luce del sole d'inverno, ha un colore più tenue.
Ingranai la marcia e iniziammo a viaggiare verso il centro.
Pensai che dovevo dirle che avevo scoperto di sua madre, chiederle perché non era corsa a vedere come stava quando avevamo fatto l'incidente e il motivo per cui avevano commesso quell'omicidio. Mi trattenni. Forse era meglio conoscerla e cercare di scoprire da solo queste cose, non sapevo come avrebbe reagito e una parola sbagliata l'avrebbe portata ad allontanarsi da me, non permettendomi di scoprire nulla.
Quando arrivammo all'entrata del negozio riuscii a leggerne l'insegna, che mi era sfuggita la volta precedente: Brush&Paint.
Sulla porta notai invece il cartello che ne indicava la chiusura.
Elizabeth osservò la mia reazione confusa e infine tirò fuori un mazzo di chiavi dalla sua giacca con un sorriso divertito.
- Hai le chiavi? - esclamai.
Lei rise. - No. - Le rimise in tasca. - Sono quelle di casa. - Si appoggiò alla porta, che si aprì sotto il suo peso.
All'interno, Melanie ci aspettava china sulla cassa, intenta a leggere una bolletta della luce. Non appena ci vide chiamò Elizabeth a sedersi vicino a lei, su uno sgabello lì vicino.
- Com'è andata a scuola? - domandò.
- Tutto bene - rispose Elizabeth. - Hannah ci ha provato con Thomas.
- Davvero? La tua migliore amica e tuo cugino? - La guardò sospettosa.
Elizabeth sbuffò e si rivolse a me: - Cosa ne pensi?
- Spero che Hannah non faccia sul serio, perché Thomas le ha dato il suo numero solo perché Iris ha riso.
- Iris? - chise Melanie interessata. Sembrava mia madre, che in quel momento si sarebbe fatta prendere dall'euforia per il gossip scolastico, il suo preferito.
- Un'amica mia e di Thomas.
- Ah. - Fece un sorriso. - Be', suppongo che sia meglio che Hannah non si affezioni. - Era strano il modo in cui si sentiva parte di quelle faccende, non conoscendo nessuna delle persone di cui stava parlando.
- Forza! Abbiamo un nome da scrivere! - esclamò Elizabeth.
Si alzò dallo sgabello e, prendendomi involontariamente per mano, mi portò davanti al muro decorato con le mani dei clienti.
Sentì una forte scossa che partiva dalla mano e saliva per tutto il corpo e provai un forte calore.
La scaletta che avevo usato la volta precedente era già al suo posto. Ci salii e Melanie mi passò un pennarello indelebile a punta fine.
Spostai la mano lentamente sulla superficie del muro e lessi le lettere che stavo tracciando. Matthew Williams.
- Ora è perfetto - disse Melanie applaudendo.
Sceso dalla scaletta, Elizabeth insistette per rimanere ancora qualche minuto e io accettai di buon grado.
Non c'era posto per sedere per una terza persona, così corsi ad accaparrarmi lo sgabello.
Elizabeth capì subito che stavo cercando di rubarle il posto e mi venne dietro.
- È il mio posto! - urlava scherzando. - Nessuno può sedersi sullo sgabello di Elizabeth Lane!
Per la rincorsa per poco non caddi a terra, ma riuscii ad ottenere il mio posto a sedere. Elizabeth arrivò subito dopo e scivolò per terra prendendo una grande botta.
- Aia - mormorò massaggiandosi la schiena.
- Mi fai tanta tenerezza che quasi ti cedo il mio posto. - Il suo sguardo si illuminò. - Sto scherzando, ovviamente.
Alla fine Elizabeth andò a sedersi sopra il banco del registratore di cassa, lanciandomi più di uno sguardo assassino.
La sua espressione voleva essere giocosa, ma con ciò che sapevo non potevo fare a meno di pensare a cosa poteva aver fatto quel poverino per morire pugnalato dalla madre di Elizabeth, compito che avrebbe dovuto svolgere proprio la ragazza seduta davanti a me.
Rabbrividii e lei se ne accorse. Non disse niente.
- Hai portato il tuo album da disegno? - chiese Melanie una volta seduta.
Elizabeth annuì e andò verso la borsa che aveva appoggiato all'angolo. Ne tirò fuori un album dalla copertina marrone. Sembrava uno di quei libri di fiabe, doveva avere tante pagine.
La bionda venne verso di noi e appoggiò tutti quei fogli davanti a Melanie, che iniziò a sfogliarli.
- È bellissimo - disse la donna passando la mano sopra un disegno.
Scesi dallo sgabello e mi sporsi per vedere ma lei cercò di coprirmi la visuale.
- Vieni Matt - mi chiamò Melanie. - Elizabeth questo disegno è meraviglioso. E poi se lo hai portato qui ha il diritto di vedere i disegni.
Lei annuì e si spostò.
Sul foglio era disegnato a matita e colorato con gli acquarelli un bellissimo vascello con una polena a forma di sirena, attraccato al porto. Su un fianco della nave sembrava inciso il suo nome. Aveva sfumature molto riuscite, e l'ombra era perfetta. Sotto, a sinistra, c'era la firma di Elizabeth.
Girai la pagina. Questa volta era disegnata una mela rossa con un morso. Non era il classico simbolo della Apple, ti faceva venire fame davvero. Sembrava essere stata gettata per terra da poco.
Spostai di lato lo sguardo e notai un pugnale sfocato e piccolo. Riuscii subito a riconoscerlo, era il pugnale che avevo trovato e tenuto molto tempo nascosto dalla madre di Elizabeth. Quella era la prova di cui avevo bisogno.
Elizabeth si accose solo dopo che io ebbi riconosciuto il pugnale di ciò che aveva fatto. Tolse l'album dalle mani di Melanie e lo chiuse con un grosso tonfo.
- Perché l'hai chiuso? - chiese la donna triste.
- Devo andare. Si è fatto tardi. - Era in preda all'ansia.
Presa la sua borsa, vi infilò l'album e, con un saluto veloce, uscì dal negozio.
- La accompagno. Alla prossima Melanie.
Fuori dal negozio, la strada era quasi deserta, e non mi fu difficile individuare Elizabeth che correva via. Usando tutte le mie forze, fino a sentire benissimo i battiti del mio cuore dalla fatica, raggiunsi la ragazza.
- Perché stai scappando?
- Non sto scappando - disse lei fermandosi a respirare.
- A me sembra di si.
- Hai visto il pugnale. - Era la sua risposta alla mia prima domanda.
- So che è tua madre la donna che abbiamo quasi investito. - Ormai era inutile nascondere ciò che avevo scoperto.
- Si. Non sono tornata a casa perché avevo paura.
- Paura di cosa? - le chiesi.
Alzò i suoi occhi, che fino a quel momento avevano guardato verso terra, su di me. Aveva appena detto qualcosa che non avrebbe dovuto.
Improvvisamente ricordai il grande livido viola che aveva cercato tanto di nascondere, e che aveva detto di essersi procurata cadendo dalle scale. - È stata tua madre a farti quel livido che avevi il giorno dopo?
Lei distolse lo sguardo.
- Sono caduta dalle scale.
- No, è stata lei. - Ne ero certo.
Vidi che stava per piangere e mi venne l'impulso di abbracciarla, così come facevo sempre con Heidi. Solo quando era troppo tardi per allontanarmi mi accorsi di ciò che che stavo facendo.
Contrariamente a quello che credevo, Elizabeth allargò le braccia e si appoggiò al mio petto.
Era piccolissima racchiusa tra di me. Decisi che non le avrei più chiesto niente di quella storia per un po', sembrava farla star male e per qualche strano motivo non mi piaceva vederla piangere o soffrire, mi faceva provare una stretta al cuore. Appoggiai una mano sopra i suoi capelli e la lasciai scivolare tra di essi. Lei alzò di colpo il petto, come singhiozzando. Le sussurrai che andava tutto bene, finché non si calmò.
Quando si scostò aveva gli occhi asciutti.
- Grazie - disse. - Sai sempre cosa fare. Non ho mai incontrato nessuno così.
- Davvero? Non credo. È già la seconda volta che mi ritrovo a rincorrerti in strada.
- È la terza volta che fai qualcosa per aiutarmi. Hai anche convinto Hannah a fare pace con me.
- Le ho solo chiesto il motivo della litigata! - esclamai. - Il resto lo ha fatto da sola.
- Grazie.
Vorrei dire che la nostra amicizia nacque quando Elizabeth mi portò al negozio per la prima volta, ma mentirei. Fu in quel momento che capii che, seppur c'entrasse con l'omicidio, la ragazza non avrebbe mai voluto che qualcuno morisse e, in tutti i modi, voleva riuscire a fidarsi di me, come io mi volevo fidare di lei.
- Forza, - dissi mettendole un braccio sulla spalle - andiamo a prenderci una cioccolata calda.


 

Il bar era molto carino. Aveva le pareti lilla e tavolini rotondi.
Una signora anziana con lo chignon bianco ci accolse con un grande sorriso e ci chiese cosa desideravamo.
La signora portò al nostro tavolino due grandi tazze di cioccolata fumante con qualche biscottino offerto da lei.
- Mi fa piacere - disse quando le feci notare che era stata molto gentile.
Dopo qualche minuto di silenzio passato a gustare la cioccolata, Elizabeth decise di parlare: - Hai ragione. È stata mia madre a farmi quel livido.
Mi scottai con il calore della bevanda.
- Non mi ha mai picchiata. Quel giorno era furiosa e non si è controllata, mi ha tirato uno schiaffo fortissimo, ma non voleva. Mi ha chiesto scusa.
- Perché era furiosa?
- Abbiamo litigato - mormorò.
- Tua madre non voleva che tu mi frequentassi, non è così? Mi ha detto di starti lontano.
- Ammetto che la discussione è iniziata da quello ma...Ti giuro che non sei stato tu a farla infuriare.
Sbuffai. - L'importante è che non si ripeta.
Elizabeth sorrise e scosse la testa. - Ne sono certa...e se anche volesse, cosa che non succederà, non potrà farlo per tutta la settimana.
- Dove vai? - chiesi curioso.
- Al Grand Canyon! - esclamò eccitata.
- Aspetta. Con la scuola? Parti lunedì e torni venerdì?
Annuì vigorosamente.
- Anch'io ci vado! - esclamai. - A Flagstaff, Hotel Cealum!
- È fantastico!
Quell'anno il mio liceo aveva deciso di far decidere ai ragazzi dove andare in gita: la scuola proponeva cinque luoghi, nei quali potevano poi andare al massimo cinquanta alunni dal secondo al quarto anno. Quelli del primo, facevano invece una gita proposta dai professori di un solo giorno.
- Allora mi tormenterai anche quella settimana? - Era quasi un invito.
- Certo che si.


 

Lunedì non tardò ad arrivare. Ci attendeva una lunga giornata. Sarebbero state molte ore di viaggio. La partenza era a Louisville, la città con l'aeroporto più vicino, poi avremmo fatto uno scalo a Houston dove si doveva aspettare un'ora, e infine l'arrivo era a Phoenix. Avremmo visitato un museo e poi saremmo partiti in pullman fino a Flagstaff, dove si trovava l'hotel nel quale avremmo alloggiato.
La mattina mi svegliai alle sei, con i capelli arruffati e gli occhi stanchi, quella notte non ero riuscito a dormire molto per l'emozione di vedere il Grand Canyon. Mi preparai di fretta, mangiando solo qualche uova di colazione e ricevendo più di una sgridata di mia madre che mi diceva di mangiare di più.
Quel giorno non passai a prendere Iris, ci saremmo incontrati in aeroporto. Per poco non dimenticai la valigia.
- Divertiti! - disse mia madre dopo avermi riempito di raccomandazioni per tutto il viaggio.
Scesi dalla macchina e corsi dentro.
Iris e Thomas stavano parlando in mezzo ad altri nostri compagni.
- Ehi! - li salutai.
- Sono così felice di andare a vedere il Grand Canyon! - esclamò Iris gesticolando.
Il professore di lettere passò tra di noi per contarci più di una volta. Infine si girò verso i colleghi invocando aiuto.
- Ragazzi! Facciamo l'appello! Ci metteremo un po' quindi state calmi e non muovetevi! - urlò all'improvviso un professore facendoci sobbalzare dallo spavento.
Mi misi tranquillo perché il mio cognome era quasi sempre l'ultimo.
- Brown - disse il professore.
Charles aveva smesso di dare fastidio a Iris da un po' di tempo, ma sapere che sarebbe venuto in gita con noi ci inquietò parecchio.
- Lane! - urlò all'improvviso il professore.
- Qui! - disse Thomas dopo essersi riscosso dallo scoprire che c'era Charles.
- Presente! - esclamò Elizabeth da un gruppo vicino al nostro.
Il professore si grattò il capo e ripeté il cognome d'apprima con il nome di Elizabeth e in seguito con quello del cugino, poi passò ad un altro.
Elizabeth venne trotterellando verso di noi seguita da Hannah.
- Cosa ci fai qui? - chiese Thomas.
- Ti seguo. - Sorrise.
- Ciao Thomas - salutò Hannah.
- Ciao.
Quando il professore si fu sgolato chiamando Hannah, me e Iris, andammo a fare il check-in.
Fortunatamente nessun alunno si perse per l'aeroporto e tutti salimmo sani e salvi sull'aereo qualche minuto prima della partenza.
Mi sedetti in mezzo ad Iris e Thomas. Elizabeth e Hannah si sistemarono dietro di noi.
Iris si spiaccicò contro il finestrino, subito pronta a guardare l'aereo alzarsi in volo.
Thomas invece aveva l'aria di stare per vomitare. - Perché mi sono fatto convincere? Io odio volare! Dovevo iscrivermi all'altra gita. Il Grand Canyon è un ammasso di roccie! Perché vi ho dato retta? - continuava a ripetere.
- Non siamo neanche partiti - gli dissi.
Si girò di scatto. - Lo so.
Quattro hostes passarono tra di noi e ci chiesero di legare le cinture.
Dopo qualche minuto l'aereo si alzò in volo tra le lamentele di Thomas.
Mezz'ora dopo Iris si stancò di guardare fuori e mise un film. Era una sciocca storia d'amore e alla scena del bacio Thomas si alzò per vomitare.
- Smettila di fare l'idiota - lo riprese Iris mentre lui correva nel bagno. - Non si vomita per un film d'amore.
- Penso che sia a causa del mal d'aereo - dissi io.
Thomas tornò verso di noi e un professore si fermò a chiedere se stava bene.
- Guarda che ti ho sentita. - Si sedette.
Iris spense il televisore, il film era finito.
Con un forte sobbalzo l'aereo atterrò, eravamo a Houston.
- Houston abbiamo un problema! Thomas ha contaminato tutti i bagni degli aerei - disse Iris ridendo una volta in aereoporto.
Dopo altre due ore, vedemmo finalmente Phoenix. Era una bella città, probabilmente dieci volte più grande di quella in cui vivevamo, ma ero stato spesso a Louisville e, anche se gli abitanti erano di meno, ero abituato a molte persone. Fortunatamente il tempo era soleggiato e limpido. Quando la scuola aveva deciso di partire l'ultima settimana di gennaio per risparmiare, avevamo tutti sperato che non piovesse.
Ci attendeva ancora tutto il pomeriggio perché dal Kentucky all'Arizona c'erano due ore di fuso orario, quindi i professori decisero di farci riposare un po'.
Da fuori l’Heard Museum era bellissimo. Si trattava di una struttura bianca con un portico, dietro ad un grande giardino verde. Prima dell'entrata era posta una statua degli indiani Navajo, vicino alla quale ci aspettava la guida. Era un uomo basso, sulla sessantina, con indosso un cappello di paglia.
- Benvenuti all'Heard Museum! - cominciò entrando.
A metà percorso si avvicinò a me Elizabeth. - Sei sopravvissuto al viaggio?
- Io si, tuo cugino ha vomitato un paio di volte.
- Lo so. Ho detto ad Hannah che se proprio vuole baciarlo, almeno deve aspettare domani - disse ridendo.
- Vuole baciarlo?
Lei alzò le spalle. - Spero di no, che spettacolo raccapricciante.
Risi. - In effetti.
Il professore di lettere ci riprese.
Passammo per un gradino che Elizabeth non vide, finendo per scivolare. Fortunatamente riuscii a prenderla prima che cadesse. Arrossì tra le mie braccia, imbarazzata.
- Che figuraccia.
- Ne ho viste peggiori.
Iris e Thomas passarono in quel momento dal gradino e lei, nello stesso modo di Elizabeth, non si accorse e cadde. Thomas non fu pronto a prenderla.
- Sei proprio cieca per non vedere un gradino simile! - esclamò lui quando la vide con la faccia a terra.
Elizabeth e io tornammo a seguire la guida.
- A proposito, dov'è Hannah? - chiesi.
- Stava parlando con una nostra compagna di corso - disse noncurante. - Sai già con chi dividerai la camera?
- Con Thomas.
- Iris è da sola? - domandò sistemandosi una ciocca di capelli biondi.
- Penso sia con quella sua amica del corso di francese.


 

Le ore passarono in fretta e il tour del museo finì. Quando ne uscimmo un pullmam ci aspettava per condurci a Flagstaff.
L'hotel era un grosso edificio di sei piani con i mattoni visibili. All'interno, la hall era lussuosa, le pareti e alcuni mobili erano bianchi ma sulle prime erano presenti ghirlande azzurre. C'era una grande scala che portava ai piani superiori; l'ascensore era invece nascosto.
Alla recepcion, il signor Lyon, che era più un ragazzo che un signore, ci accolse benissimo.
- Ehi ragazzi! - esclamò.
Aveva i capelli castani e la barba che nascondeva un sorriso amichevole. Era vestito di blu e bianco, in tema con l'ambiente e il nome dell'albergo.
- Siete la scuola? - chiese.
Annuimmo tutti.
- Chi vuole le chiavi della camera? - Tirò fuori un mazzo.
Alcuni ragazzi si gettarono su di lui.
Alla fine anche io e Thomas riuscimmo a ricevere le chiavi.
Iris e due amiche con cui condivideva la stanza vennero a chiederci a quale piano eravamo.
- Quarto piano, camera 412 - risposi.
- Quarto piano, camera 408 - disse Iris sorridendo.
Il professore di lettere si inserì tra noi. - Ragazzi siete al quarto? - chiese.
Annuimmo.
- Bene, anch'io sono al quarto piano con il professor Smith. Al quinto ci sono gli altri colleghi. Siamo tutti a quei due quindi non vi voglio vedere girare per gli altri, dato che non ce n'è motivo. - Sospirò e allontanandosi prese la sua valigia.
Elizabeth venne all'improvviso sventolando le sue chiavi. - Camera?
Le risposi come avevo fatto con Iris.
- Anch'io! Quarto piano, stanza 404.
Prendemmo la valigia e salimmo tutti sull'acensore. Una musichetta leggermente triste accompagnò tutta la salita.
Tlin. Le porte si aprirono.
Due corridoi si aprivano davanti a noi come un piccolo labirinto azzurro. Dopo qualche passo nel vuoto trovammo le camere.
La camera mia e di Thomas era completamente azzurra. C'erano tre letti, due posti uno vicino all'altro e il terzo era in orizzontale rispetto agli altri. Il bagno era a sinistra della porta.
Mi stesi su un letto. - Questo è mio.


 

Angolino dell'autrice: Buona sera a tutti! Come al solito spero che questo capitolo vi piaccia. Fatemelo sapere anche con quelle recensioni minuscole che arrivano per messaggio privato, l'importante è che vi fate vivi. Vi pregoooo *occhi da cucciolo*. Ci vediamo presto! :)
  
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