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Autore: Ayano01    04/04/2015    2 recensioni
UN giorno qualunque, o forse no? Un giorno di divertimento, che cambia nel palcoscenico del dolore e della paura, parlando di un tema un po' tabù per alcuni, ma molo importante per me. Non chiedo di recensire, anche se farebbe piacere, spero che leggerete in tanti questa cosa. Si distacca molto dalla mia long principale, ma spero che vi piaccia comunque.
Che i colori della vostra anima siano sempre luminosi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Questo è qualcosa di nuovo, un po’ diverso, anzi, molto diverso dalla mia long principale, ma avevo bisogno di scriverlo. Vi darò le dovute spiegazioni a fine capitolo, nel mio angolino di solitudine XD, quindi vi prego di fermarvi a leggerlo.
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Attimi: ciò che si cela nel dolore.

Caro diario,
te l’ho mai raccontato di quel giorno? Beh, spero che così, quello che successe, rimanga impresso non nell’aria ma sulla carta, ora ascolta.

Mi trovavo in vacanza con i miei amici: Max, Elodie e Marta. Non avevamo molto a disposizione e, dopo numerosi ripensamenti, avevamo optato per un villaggio poco conosciuto, abbarbicato nelle parti più remote delle cartine geografiche, dove regnava pace e silenzio. La cittadina dove ci eravamo stabiliti era una landa desolata e le uniche persone, che comparivano di rado per le vie, parevano spiriti smarriti. Il cielo era graffiato da poche nuvole lunghe e bianche, mentre un sole, forte e prepotente, scaldava quel villaggio così curato eppure poco frequentato. Ma noi non eravamo interessati alla “movimentata” vita del paesino, bensì volevamo esplorare i boschi e le alture che isolavano quel posto, rendendolo speciale, irraggiungibile, come se dovesse essere rincorso e trovato. Pieni e sprizzanti di coraggio, volevamo introdurci in un’avventura sfrenata, alla ricerca di un “tesoro” mai scoperto, qualcosa di inesistente, un raggio di novità che irradiava le nostre vacanze, donando un gusto nuovo e sprezzante. Eravamo felici di incamminarci, felici di cercare quel “tesoro”, ma non potevamo sapere che, il segreto che avremmo scoperto, ci avrebbe portati ad una lenta e dolorosa distruzione.
Erano le cinque del pomeriggio quando iniziammo la nostra fatale esplorazione. Camminammo per circa due ore, accompagnati da un leggero vento, che giocava tra le chiome di diversi colori di noi quattro, mentre noi eravamo presi dalla meraviglia dei paesaggi, che si alternavano, da pianure di fiori, a lugubri boschetti. Camminammo ancora un po’, ma la stanchezza si fece sentire, come  anche la delusione di quella passeggiata così monotona, contornata da un tempo sempre luminoso. Pensavamo di dover tornare, perché eravamo convinti che non avremmo trovato niente di più interessante, fin quando Max non sentì lo scroscio cristallino di un ruscello. Seguimmo quel suono così veloce, che ci regalava attimi di trepidazione, camminando con passo sostenuto, lasciando intravedere scorzi di risa sul nostro viso, assaporando il divertimento di quell’attimo. Arrivammo davanti a un sentiero di ghiaia, limitato da maestosi alberi che abbracciavano il lento serpeggiare del vento, accogliendolo nelle chiome profumate, dimora di diversi volatili. I raggi di un sole ormai tiepido e calante illuminavano, a tratti, splendide stelle colorate, sparse su quel cielo verde smeraldo, da noi chiamato prato. Era un ambiente da favola e l’odore di fiori, gentile ma pungente, sembrava invitarci a percorrere il sentiero, alimentando la nostra curiosità, alla quale ci arrendemmo, addentrandoci in quel pezzo di sogno. Gli alberi e i raggi del sole creavano giocavano in sintonia, formando ombre sorprendenti e accompagnandoci in quel posto bellissimo, eppure la bellezza è qualcosa di fuggente, e anche quella del posto si infranse presto: il sentiero era finito. Avevamo percorso il sentiero interamente, arrivando davanti ad una lugubre grotta, segnata dal tempo e dalla vecchiaia, non risparmiata dalla pioggia, che aveva eraso gran parte dell’entrata, la quale era “adornata” da una coltre di muschio umido e freddo. Noi ragazze, per quanto coraggiose, non avevamo intenzione di continuare il cammino, entrando in quella grotta, ma Max non fu di tali pensieri e si affrettò ad esplorare il posto. Ci eravamo ritrovati a seguirlo, spaventate dal buio della grotta che aumentava le nostre paure, ma c’era ancora la fioca luce della torcia che ci dava uno spiraglio di sicurezza. Le ombre sussultavano illuminate dalla torcia, mentre il tintinnare ambiguo delle gocce di acqua, riecheggiava creando un eco che si mischiava ai respiri carichi di tensione. Ad un tratto, più in là nella grotta, sentimmo delle voci soffocate e un rumore di casse spostate, così ci arrestammo pensando al da farsi. Io e Max avanzammo poco dopo, nascondendoci dietro delle casse, per vedere meglio la situazione e il posto. Intravedemmo delle figure massicce, tatuate e per niente amichevoli, sogghignare fameliche, mentre fissavano un uomo camminare verso una specie di palchetto.
-Siamo pronti. Oggi metteremo fine alla vita di quel sindaco che ci perseguitava.- Quell’uomo, vestito di nero e con capelli opachi, tirati indietro, si era posizionato davanti alle casse dove eravamo nascosti io e Max, ma non si era accorto di nulla. Mi si gelò il sangue sentendo il discorso che continuò per molto, accennando ad un attentato al sindaco e ai rappresentanti di quel paesino. L’uomo finì il discorso facendo un inchino, beandosi dell’esultanza dei suoi uomini, che gridavano e applaudivano felici, creando un’atmosfera pericolosa.
-Così imparano a mettersi contro la mafia.- L’uomo sussurrò impercettibile, non sentito più dagli altri componenti della banda, ma ben sentito da me e Max, che mi strinse la mano, strabuzzando gli occhi e alzandosi, pronto a scappare da quel posto. Ci allontanammo piano, in silenzio, cercando di non attirare l’attenzione, ma la sfortuna ci era amica, e io inciampai contro una cassa non spostata, attirando l’attenzione dei banditi, che presero a rincorrerci.
Erano attimi di corsa verso la salvezza, come prede in trappola, eravamo inseguiti da quella banda, sentendo i passi veloci e pesanti dietro di noi, avvertendo la vicinanza con la nostra fine. Io e le ragazze ci buttammo dentro dei cespugli massicci, graffiando un po’ il corpo, ma eravamo riuscite a nasconderci, purtroppo non fu lo stesso per Max: venne battuto dai criminali, trascinato e rinchiuso in una casa abbarbicata ad una collina ripida. Cercai di seguirli, portandomi dietro Marta e Elodie, che avevano sempre qualcosa di utile nelle borse. Ci mettemmo dietro ad un muretto sconnesso e poco curato, sentendo delle urla provenire da una stanza. Chiusi gli occhi, provando dolore per Max, che non smetteva di urlare, in preda a non so quali torture. Serrai i pugni, vedendo uscire due loschi tizi, con un ghigno deformato sulle facce. Cercai di entrare dalla porta, ma ci rinunciai, capendo che era serrata ed inapribile. Un lampo di genio passò nella mente di Marta, che mi porse delle funi, aiutandomi a salire fino alla finestra da cui uscivano prima le urla. I vetri, poco curati e corrosi dal tempo, si sgretolarono con un solo colpo, facendomi entrare e mostrandomi il corpo di Max, dilaniato da graffi e ricoperto da ferite, forse da taglio o forse dei semplici pugni, che in quel momento, sembravano una tortura troppo forte, quanto pericolosa. Lo aiutai ad alzarsi, calandolo poi dalla finestra, cercando di non farlo urtare o scendere troppo in fretta, come in fretta stavano accadendo  quei fatti. Speravo fosse un sogno, un’allucinazione causata dalla stanchezza che provavo in quel momento, ma era tutto vero: le ferite che dilaniavano la pelle di Max, la paura di non svegliarsi domani e la pressione erano tutti fatti reali. Ed era reale pure il rumore di passi dietro di noi, di nuovo a correre, di nuovo a scappare, dovevamo lottare contro il tempo per rimanere intatti, dovevamo sfidare i nostri limiti per salvarci.
Max era stanco e dolorante, nonostante tutto, cercava di issarsi sui propri piedi, non ricevendo risposta dai suoi arti, li comandava svogliatamente, lasciando che fitte di dolore lo attraversassero ad ogni passo, ma continuava a correre, ogni tanto sorretto da noi ragazze, ma comunque cercava di non essere un peso. Rifacemmo la strada che ci aveva portati lì al contrario, non facendo più caso al paesaggio che si presentava offuscato dalla sottile nebbia che ci circondava, mentre il silenzio era calato come la notte in quel momento. Esatto, l’intera giornata l’avevamo passata a bighellonare in giro, ridendo e scherzando, cercando quel “tesoro”, che ci stava  portando sventura.
Max inciampò, mentre da dietro si sentivano le voci soffocate e tremolanti dei banditi: ci stavano addosso. Ci rimettemmo a correre mentre passi pesanti ci seguivano veloci. Minacce volavano per aria e, trasportate dal vento, affaticavano le nostre menti preoccupate e ansiose. Attimi. Erano attimi di angoscia e paura. Paura per le nostre vite, paura di non vedere un domani, una paura che poteva essere domata solo da un luogo sicuro, come una caserma della polizia. Eravamo infatti arrivati alla cittadella e sollevati stavamo per entrare, quando un colpo di pistola avverò le nostre preoccupazioni. Un solo colpo, secco, come la morte che abbracciava Marta. Sempre e solo attimi, istanti di dolore, un dolore che persiste nel tempo, nemmeno l’arresto della banda, avvenuto subito dopo il colpo, può colmare il vuoto che si propagò nei nostri cuori. Attimi di dolore, durante un giorno qualunque, un giorno che doveva essere pieno d’avventure, un giorno che divenne la tomba della vita di Marta.
La tua Cecilia.
      

Angolino della solitudine (IMPORTANTE)
Eccomi. Lo so che è molto diverso dalla mia long (so anche che dovrei continuarla), ma dovevo scriverlo. Ecco, vi ho detto a inizio cappy, che vi avrei spiegato un po’ di cose. Prima di tutto, trovo che il diario sia utile, per rendere più emozionale il fatto, come se volessi scriverlo io stessa, ed io (come autrice persona) penso che raccontare qualcosa del genere, scrivere su queste tematiche, sia molto importante, senza doverne avere paure U-U. Pochi giorni fa, ho guardato un film sulla mafia, un film abbastanza pesante, che mi ha colpito, soprattutto per il fatto che i protagonisti, per quanto feriti, hanno cercato di salvare gli altri o almeno di aiutarli, come in questo caso Max. Ho vissuto a stretto contatto con questi eventi, non sono stata protagonista delle vicende della mafia, ma ho vissuto per un certo periodo in una città dove si sentiva spesso di tali eventi T-T. Ora, per non dilungare, dico che ci tenevo molto a scrivere questo testo perché ho sempre trovato importante affrontare questo tema un po’ tabù, anche se si sono persone che ne hanno paura. Mi spiace per eventuali errori e sono spiacente se non vi piacerà, o se troverete i fatti narrati troppo inverosimili, vi chiedo di dirmelo U.U cercherò di renderli più decenti (cosa strana dato come scrivo T-T)
Che i colori della vostra anima siano sempre luminosi.

 

   
 
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