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Autore: difficileignorarti    06/04/2015    2 recensioni
Si rigirava tra le mani quei due anelli, senza sapere cosa pensare.
Era tornato a casa e li aveva trovati abbandonati, sul tavolino d’ingresso e di Emmeline non c’era più traccia: sembrava sparita nel nulla, proprio come aveva fatto lui l’anno precedente.
Non c’erano più i suoi vestiti e nemmeno quelli della bambina: aveva portato via tutto e se n’era andata e davvero non sapeva cosa pensare e fare.
***
Los Angeles non sembrava più la stessa senza la donna che amava: stava pensando di andarsene anche lui, cambiare aria, cambiare città, cambiare addirittura Paese, magari sarebbe potuto andare in India.
La sua vita era cambiata dalla sparizione di Emmeline e il rapimento della piccola Arabella.
A proposito, che fine ha fatto la loro bambina?
Sequel de "Gli stessi di sempre")
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Georg aveva convinto Tom a dormire qualche ora: non l’aveva mai visto in quelle condizioni. Lo conosceva da tantissimi anni e quella era la prima volta che perdeva la testa e il controllo. E la motivazione era più che semplice: si trattava della sua famiglia, della donna che amava e della loro bambina, e lo capiva benissimo, lui avrebbe fatto la stessa e identica cosa, senza ombra di dubbio.

Quello che non capiva era perché Tom volesse fare tutto da solo, non voleva l’aiuto di nessuno, non voleva che nessun fosse in messo pericolo, perché già troppe persone lo erano.

Ma lui non gliel’avrebbe lasciato fare: Georg avrebbe combattuto al suo fianco, l’avrebbe aiutato, l’avrebbe accompagnato, proprio come avrebbe fatto Bill. Nonostante Tom gli avesse urlato contro di lasciarlo andare da solo, loro avevano deciso di accompagnarlo, di essere al suo fianco.

Chiuse gli occhi, appoggiando la testa allo schienale del divano in pelle, sospirando pesantemente, mentre Bill se ne stava raggomitolato sulla poltrona, profondamente addormentato.

Ellen si accoccolò al suo fianco, appoggiando la testa sulla sua spalla, inspirando il suo profumo dolce e mascolino: lo amava talmente tanto e se erano insieme, era solo grazie ad Emmeline. Dovevano salvarla, lei era la sua migliore amica, la sorella che non aveva mai avuto, e doveva essere la sua damigella d’onore.

«Tutto bene?» le chiese dolcemente Georg, baciandole una tempia con affetto.

«Stavo pensando a Emmeline» scrollò le spalle, rivolgendogli uno sguardo triste e preoccupato. «Mi manca e saperla nelle mani di quell’essere schifoso e viscido, mi fa incazzare!» il ramato ridacchiò divertito alle sue parole, carezzandole la schiena.

«Noi le porteremo in salvo, piccola, te lo prometto» sussurrò, cercando le labbra della ragazza, che non tardò a trovare. Era così bello baciarla, stringerla e sentirla vicino: ed era solo grazie ad Emmeline. Se non fosse stato per lei, l’avrebbe osservata da lontano per tutta la sua vita, troppo preoccupato a chiedersi se potessero essere qualcosa. Georg alzò lo sguardo al soffitto. «Vorrei poter fare di più per Tom» mormorò. «Mi preoccupa il suo silenzio, il suo modo di fare, di comportarsi, la sua rabbia ingestibile» scrollò le spalle. «Mi sembra lo stesso Tom di qualche anno fa, il Tom che è stato nascosto per il bene di Emmeline, per darle quello che una ragazza può volere, per essere normale, per lei» spiegò, guardandola negli occhi. «E ora è incontenibile e ho paura di una sua mossa azzardata, che metterà in pericolo tutti» Ellen gli sfiorò la guancia, sorridendogli dolcemente.

«Tom non ragiona lucidamente quando si tratta di Emmeline e di Arabelle, è la sua vita, la sua metà, la donna che lo completa, è normale» mormorò, passando le mani tra i suoi capelli. «E poi lei è il suo punto debole, lo fa incazzare tanto saperla tra le grinfie di quel pazzo, e deve sfogarsi, e lo fa con quello che gli capita tra le mani, ma si risparmia, probabilmente per Liam» aggiunse piano.

Portò lo sguardo su Bill, ancora addormentato e sorrise: sembrava un bambino indifeso, e si chiese come potesse essere stato “amico” di Liam, negli anni precedenti.

«Tom ha una pistola, ma non ha il porto d’armi» le svelò Georg improvvisamente, facendole sgranare gli occhi. «Cosa dovremmo aspettarci? Non è più lui» scosse la testa, spostando dolcemente la sua ragazza. Si prese la testa tra le mani, cominciando a pentirsi di essersi immischiato, non era tanto per lui, ma per la donna che amava e per il loro futuro.

«Sono sicura, al cento per cento, che Tom sappia cavarsela, l’ha sempre fatto, anche negli anni passati, ha sempre saputo come difendersi e proteggersi» alzò le spalle, passando una mano sulla schiena allenata del ragazzo. «Tutti lo consideravano un criminale, te lo ricordi?» chiese e il suo fidanzato annuì. «Qualcuno dovrebbe mettere fine alla vita di quell’essere spregevole!» borbottò la ragazza, beccandosi un’occhiataccia dal ramato.

«Potrebbe finire in prigione, Ellen!» si lamentò, cercando di non svegliare Bill o di attirare l’attenzione di Tom al piano di sopra. «E io non voglio perdere il mio migliore amico! C’è Gustav, c’è tutta la polizia di San Francisco a nostra disposizione!» continuò, prima che le braccia della ragazza, lo stringessero in un abbraccio soffocante.


 
***


Tom sospirò pesantemente, appoggiando la testa al muro dietro di sé: aveva ascoltato ogni singola parola che la coppia, al piano di sotto, si era detta.

Non aveva chiuso occhio nemmeno quel giorno: Georg glielo aveva consigliato vivamente, ma lui non c’era proprio riuscito. Era rimasto sul letto a pensare e ripensare a quello che poteva e doveva fare, a quello che poteva e sarebbe successo con Liam.

Lui voleva riportare a casa le sue donne, voleva riabbracciarle e dare loro la possibilità di vivere felici e, soprattutto, di essere felici.

Poteva agire da solo o poteva affidarsi alla polizia e a Gustav, come aveva fatto Emmeline in precedenza, ma loro non conoscevano Liam come lo conosceva lui.

Si alzò dal pavimento senza far rumore e ritornò nella stanza degli ospiti, quella che gli era stata affidata e che, in realtà, doveva condividere con Bill.

Aprì il suo borsone, guardando i vestiti che aveva raccattato dall’armadio, e scavando più sotto, trovò la sua pistola: deglutì pesantemente, osservandola.

Chiuse gli occhi, indeciso se andarsene e usarla o aspettare la chiamata di Liam e mettersi in contatto con Gustav: ma poi nella sua mente gli apparvero delle immagini di Emmeline, sofferente, triste, con il viso inondato dalle lacrime, e tutto quello  che riuscì a fare, fu digrignare i denti, stringere la mascella e i pugni.

Voleva riabbracciare la sua bambina e l’avrebbe fatto, anche se, forse, sarebbe stata l’ultima volta. Voleva stringere tra la sue braccia la sua amata, dirle che sarebbe andato tutto bene, che sarebbe state felici e che, in un modo o nell’altro, sarebbero dovute andare avanti con la loro vita.
Lui non voleva morire, ma non sapeva cosa il destino avesse in serbo per lui.

L’avrebbe scoperto presto.


 
***


Liam aveva deciso cosa fare. Non sapeva esattamente con quale coraggio l’avrebbe fatto, ma gli avrebbe tolto la felicità, gliel’avrebbe tolta definitivamente.

Prima di mandare un messaggio a Tom, voleva fare un’ultima chiacchierata con Emmeline e non appena entrò in quella stanza buia, dopo giorni, la vide tranquilla e silenziosa: era stesa su quel sudicio materasso che le aveva procurato, aveva gli occhi aperti, fissava il soffitto, senza muovere un muscolo.

Le era stata portata la cena, ancora intatta sul vassoio: da quando l’aveva portata lì, non aveva toccato cibo, beveva a malapena.

«Dovresti avere fame» mormorò il biondo, prendendo una sedia, avvicinandola di poco a lei: manteneva le distanze, non voleva guardare quegli occhi che diceva di amare.

«Il mio stomaco è pieno di odio e rabbia nei tuoi confronti, Liam, non c’è spazio per il cibo» disse  con aggressività, senza rivolgergli uno sguardo. «E non scomodarti ad incazzarti, tanto probabilmente ucciderai anche me, come hai fatto con Ben, come hai fatto con Ria, e con chissà quante altre persone» sbottò, non interessandosi del tono di voce utilizzato.

Liam scosse la testa: lei non aveva idea di quante persone fossero morte per mano sua, non ne aveva idea.

«Stasera rivedrai Tom, sei contenta?» le chiese, cambiando discorso.

La sentì ridacchiare appena.

«E poi ci ucciderai tutti e tre, è questo che vuoi fare, non è vero?» chiese, voltando il viso verso di lui: fortunatamente per lui quella stanza era troppo buia, così da non poter vedere l’odio che c’era all’interno dei suoi occhi.

«Non svelo mai i miei piano, piccola» mormorò, alzando un angolo della bocca con fare malizioso. «Non hai idea di quello che mi frulla per la testa» continuò, alzandosi, muovendo qualche passo verso di lei. «In questo preciso istante, vorrei prenderti e sbatterti contro il muro, come non ho mai avuto la possibilità di fare» le disse, piegandosi sulle ginocchia, sfiorandole il viso con un dito, passando poi al braccio coperto da una maglietta consunta, spostandolo alla coscia destra.

Emmeline si ritrasse disgustata, rannicchiandosi nel suo angolino: non aveva paura, le faceva semplicemente schifo.

«Vuoi sapere cosa frulla nella mia di testa?» chiese, suscitando la curiosità nel ragazzo. «Forse quello che penso sempre, che sei un pazzo da manicomio, e dovrebbero rinchiuderti al più presto, lasciarti a marcire dentro una di quelle stanze» sbottò, ricevendo un forte schiaffo sulla guancia, tanto da farle voltare la testa.

Non era mai stata picchiata, fatta eccezione per quello schiaffo che Tom le aveva dato la prima volta che si erano conosciuti o parlati: forse se l’era cercato, si era messa in mezzo, ma quello che le aveva appena dato Liam era stato tutt’altro, era voluto e le aveva fatto un male cane.


 
***


«Tesoro, va a chiamare Tom, la cena è pronta» sorrise pigramente al compagno, sentendo Bill ridere.

Era incredibile. Bill si era rivelato alla mano, amichevole, dolce e piuttosto simpatico. L’aveva aiutata perfino a preparare la cena, ed era davvero bravo ai fornelli, al contrario di Georg che riusciva a bruciare, addirittura, la padella, per questo, solitamente, lo chiudeva fuori dalla cucina.

Georg aveva salito i gradini due alla volta, aveva una fame da lupo: erano almeno due ore che quei due cucinavano e ridevano, si era ingelosito un po’, ma poi aveva sentito il profumino che veniva dalla cucina e il suo stomaco aveva cominciato a reclamare il cibo.

Aprì la porta della stanza degli ospiti senza troppe cerimonie, pronto a svegliare il suo migliore amico con un bello scherzetto, ma quando accese la luce, il suo sorriso si spense. Tom non era nella lì: nella stanza immacolata c’era il suo borsone, e sul comodino affianco al letto aveva lasciato un bigliettino.

 
Non voglio che vi mettiate nei guai, più di quanto non lo siate già, quindi affronterò Liam da solo. Terminerò questa faccenda, riuscirò a ridare, in un modo o nell’altro, la libertà alla mia famiglia. Se mi dovesse succedere qualcosa, vi scongiuro, prendetevi cura di Emmeline e di Arabella, non abbandonatele.
Tom.
 

Lo lesse velocemente, e alla stessa velocità lo accartocciò, lasciandolo cadere sul pavimento, prima di tirare un pugno nel muro e urlare di rabbia.

Ellen e Bill lo raggiunsero velocemente. La ragazza si portò le mani alla bocca, non appena vide la mano del suo fidanzato sanguinare.

«Se n’è andato! Lo affronterà da solo!» gridò in preda alla disperazione il ramato.

«E quando sarebbe uscito?» chiese Bill, e i due ragazzi arrossirono violentemente. «Okay, non voglio sapere i dettagli, quindi mentre dormivo e mentre voi due vi accoppiavate come conigli, Tom ha pensato di tagliare la corda» borbottò, grattandosi la nuca, imbarazzando ulteriormente i piccioncini. «Dobbiamo trovare Tom, prima che lui trovi Liam» concluse, come se fosse la cosa più semplice del mondo. Per quello, Georg, scoppiò a ridere istericamente, avvicinandosi velocemente a Bill.

«E come cazzo pensi di fare?» sbottò, prendendolo per il colletto della maglia, con rabbia, facendo preoccupare Ellen, che li guardava, senza azzardare un avvicinamento. «Dimmelo, Bill! Noi non sappiamo niente di niente, non abbiamo niente in mano!» continuò, fuori di testa. Lui non avrebbe perso il suo migliore amico, e nemmeno Emmeline e Arabella, non l’avrebbe permesso. La sua vita era già stata abbastanza una merda in precedenza, non sarebbe peggiorata. «Chiama Gustav, fai in modo che mobiliti tutta la polizia della città, dello Stato, fagli chiamare i federali, FBI,   l'esercito, quello che ti pare, ma nessuno di noi dovrà finire in ospedale, o peggio, questa notte» spiegò lentamente, a bassa voce, guardandolo dal basso. Era dannatamente serio, nemmeno Ellen l’aveva mai visto così.


 
***


Aveva noleggiato una macchina. Non gli sembrava il caso di rubarne una. Fumava una sigaretta nell’oscurità di quella via poco traffica. L’ennesima sigaretta. Aveva praticamente finito l’intero pacchetto. Era fermo poco distante la casa dei genitori di Emmeline: voleva entrare, spiegare tutta la situazione, ma non ne aveva il coraggio. Suo padre l’avrebbe accusato di quello, l’avrebbe incolpato, e Tom non poteva sopportarlo. Sapeva che era colpa sua, non avrebbe mai dovuto permettere niente del genere.

Gettò il mozzicone della sigaretta dal finestrino, passandosi, poi, le mani sul viso, cercando di calmarsi. Ripensò al momento in cui era uscito dalla casa di Ellen e Georg, ne aveva proprio approfittato. Ridacchiò, nel momento in cui si ricordò di quello che la coppia stava facendo, ma si riprese subito. Anche lui voleva poterlo fare. Stringerla, baciarla, amarla, toccarla, e probabilmente non avrebbe più potuto farlo. Quando vedeva il suo migliore amico e la sua fidanzata insieme, intenti a coccolarsi, baciarsi, si sentiva geloso. Non riusciva nemmeno a guardarli, perché fino all’attimo prima anche lui poteva farlo, mentre l’attimo dopo era finito tutto nel cesso, perché un pazzo psicopatico aveva fatto rapire la sua famiglia.

Tirò un pugno al volante, reprimendo un urlo.

Non vedeva l’ora che quella storia fosse finita. In un modo o nell’altro.

Bill lo aveva chiamato almeno due decine di volte, mentre Georg gli aveva mandato dei messaggi: aveva ignorato e cancellato tutto. L’avrebbe fatto da solo.

Qualche minuto dopo il suo telefono vibrò di nuovo, ma il mittente, quella volta, era Liam.


 
***


«L’hai trovato?» chiese nuovamente Georg a Gustav. Quest’ultimo gli lanciò un’occhiataccia, evitando di rispondere. Il ramato sentiva di essere diventato vecchio tutto d’un colpo. Quello doveva essere un incubo. Voleva riavere i capelli lunghi solo per poter passarvi le mani e tirarli con tutta la forza che aveva. «Porca puttana, Gustav, a quest’ora potrebbe già essere successo il finimondo!» urlò preso dalla disperazione.

Tutti lo guardarono a occhi sgranati, preoccupati da quella sua reazione. In effetti, pure lui si sentiva strano. Da manicomio. Ci sarebbe finito se quella situazione non si fosse conclusa al più presto. Voleva chiudere l’anno, cominciarne uno nuovo, sposare la donna che amava, essere felice, e dimenticare tutta la merda che aveva contaminato la sua vita. Non chiedeva molto, in fondo, no?

Uscì sul balcone, non preoccupandosi di prendere una giacca, e si accese una sigaretta. Inspirò profondamente, chiudendo gli occhi, alzando il viso verso il cielo. Era freddissimo, e lì, in quel momento, si sentiva in pace. Non appena sentì le braccia della sua ragazza cingergli la vita, sorrise, poggiando le mani su quelle della donna che amava, stringendole e accarezzandole.

«Non dubitare» mormorò Ellen, appoggiando la guancia alla schiena ampia del ragazzo, inalando il suo profumo. Lo amava così tanto. «Non essere così teso, ti prego» continuò, mordendosi il labbro inferiore, cercando di non piangere. «Siamo tutti preoccupati, tu in particolare, ma così esageri» gli disse piano. «E, comunque, Gustav ha una pista» gli disse, finalmente, e Georg si rilassò visibilmente. «Ora aspettiamo» soffiò e Georg annuì, finendo di fumare la sua sigaretta.

«L’ho trovato!» l’urlo di Gustav attirò la loro attenzione.


 
***


Aveva salito di corsa le scale. Non voleva prendere l’ascensore, non avrebbe aspettato altro tempo. Il tetto di quel palazzo sembrava così lontano. Si sentiva così stanco.

Arrivò sul tetto, investito da un colpo d’aria fredda, gelida. Chiuse gli occhi, deglutendo, cominciando a pregare e a pentirsi di essersi presentato solo, senza aver detto niente a nessuno. Quando li riaprì e si voltò alla sua destra, il panico e la paura cominciò ad invadere il suo corpo: Emmeline era inginocchiata a terra, con la testa bassa e una pistola puntata alla testa. Liam stava sogghignando, come se fosse divertente puntare una pistola alla testa della donna che diceva di amare.

Qualcuno gli tirò un calcio dietro al ginocchio, obbligandolo a inginocchiarsi. Urlò dal dolore, attirando l’attenzione di Emmeline. La ragazza sgranò gli occhi, e solo allora Tom notò il viso inondato dalle lacrime. Era distrutta, stanca, deperita, sciupata, ma per lui era sempre bellissima.

«Tom» mimò lei con le labbra, mordendosi il labbro inferiore. Il moro le sorrise appena, ma poi iniziò a piangere, senza fare rumore.

«Finalmente la coppia è riunita» ridacchiò il biondo, avvicinando il viso a quello della ragazza. «Hai visto? L’uomo che ami è di fronte a te» le disse, annusando avidamente il profumo della ragazza, provocando tanto rabbia in Tom. «Ancora per poco» sussurrò in modo che solo lei potesse sentire.

«Allontanati da lei, porco schifoso!» urlò Tom, fuori di testa, ma uno degli uomini di Liam lo tenne fermo al suo posto, bloccandolo. «Cosa vuoi? Sono qui, porca puttana, dimmi ciò che vuoi!» gridò, puntando gli occhi sulla ragazza, che aveva, di nuovo, abbassato lo sguardo, come se sapesse già cosa potesse capitargli. «Dov’è mia figlia?» sbottò, domandando. Non la vedeva lì e voleva, assolutamente, essere sicuro che stesse bene. La sua piccolina.

Liam scoccò due dita, e un altro uomo si presentò con in braccio la sua bambina. Dopo mesi poterla rivedere era una sensazione bellissima. Quella bambina era sangue del suo sangue, carne della sua carne. Voleva stringerla tra le braccia, dirle quanto l’amava, e voleva dirlo anche alla donna che amava.

«Hai ragione, ti do dieci minuti di tempo da passare con loro, poi ti dico quello che dovrai fare» mormorò, avvertendolo. L’uomo dietro di lui lo obbligò ad alzarsi, spingendolo di fronte ad Emmeline, facendolo inginocchiare di nuovo. «Dieci minuti» ripeté, allontanandosi di qualche metro, con alcuni dei suoi uomini, dopo aver lasciato Arabella tra le braccia della madre.

Tom allungò le braccia, stringendole entrambe, affondando il naso nei capelli della donna che amava, singhiozzando. Era così bello tenerla stretta tra le braccia. Con una mano accarezzava la testolina piena di capelli di sua figlia. Sorrideva tra le lacrime, felice come non mai di vederla. Era così cresciuta: sembrava spaesata, piena di terrore, ma nonostante quello sembrava stare bene.

«Starete bene» mormorò all’orecchio della ragazza. «Ellen e Georg si occuperanno di voi e poi ci sono i tuoi genitori» sorrise tristemente il ragazzo, mentre negli occhi di Emmeline si leggeva la paura e la disperazione.

«No, Tom!» sbottò, stringendo il suo viso tra le mani, obbligandolo a guardarla. «Staremo bene tutti e tre, e torneremo a casa, a fare la nostra vita» disse piangendo, mentre lui scuoteva la testa, liberandosi dalle sue mani, per baciare sua figlia. «Dobbiamo organizzare il nostro matrimonio» sussurrò, avvicinandosi a lui, cercando le sue labbra, che trovò poco dopo. Era così bello sentire le sue labbra danzare con le sue, dopo tanto tempo. Approfondirono quel bacio senza troppe cerimonie. Forse poteva essere l’ultimo.

«Mi piacerebbe vederti in bianco, piccola mia» mormorò, senza lasciare le sue labbra, sfiorandole piano. «Saresti bellissima, come sempre» sorrise appena, toccandole una guancia con amore. Arabelle allungò un braccino verso il padre, riconoscendolo. Tom sorrise intenerito, baciandole con affetto la manina.

«Basta voi tre» successe tutto velocemente: tolsero la bambina dalle braccia di Emmeline e qualcuno lo allontanò da lei, mentre Liam puntò, nuovamente, la pistola alla testa della donna che amava. «Vuoi sapere cosa voglio?» mormorò il biondo, rivolgendosi a Tom. «Una scelta» continuò. La mora sgranò gli occhi, deglutendo, immaginando il peggio: le sembrava una scena da film. Quello era un incubo, ne era sicuro. «Chi ami di più tra le due? Chi sacrificheresti? Arabella o Emmeline?» il cuore della ragazza smise di battere. Non poteva averlo chiesto davvero. Non l’avrebbe fatto davvero. Non poteva essere così senza cuore.

Tom scosse la testa, a occhi sgranati: non avrebbe risposto. Non avrebbe assistito a una scena del genere. Non avrebbe mai permesso una cosa simile. La sua famiglia doveva vivere. Si sarebbe sacrificato volentieri per loro.

«Mai!» sbottò Tom, digrignando i denti, lanciandogli sguardi di puro odio.

«Allora le faccio fuori entrambe, togliendoti tutto» spiegò Liam, preparando l’arma. Emmeline gridò non appena quella pistola arrivò alla testa di sua figlia. Chiuse gli occhi, non poteva vedere. Sentiva Tom lottare per liberarsi, lo sentiva piangere. «Deciditi, cazzo!» urlò Liam. La mora riaprì gli occhi, puntandoli in quelli del ragazzo. Lo vide sussurrarle un “ti amo” e quello la fece piangere di più. Ormai anche Arabella aveva cominciato a piangere disperatamente. «10 secondi, Kaulitz, o le faccio fuori entrambe!» gridò nuovamente, cominciando a contare lentamente.

Tom chiuse gli occhi deglutendo.

Quei dieci secondi erano lunghissimi, e stava pregando che qualcuno, anche un intervento divino, potesse mettere fine a tutto quello.

«Mettete giù quelle pistole!» la voce che gli arrivò alle orecchie e che riconobbe come quella di Gustav, gli fece riaprire gli occhi. «Forza, Spencer, metti giù quella pistola!» urlò di nuovo, mentre altri poliziotti li circondarono. «Non lo ripeterò un’altra volta, metti giù quella cazzo di pistola!» Tom rabbrividì a quel tono di voce. Vide una poliziotta prendere sua figlia, portandola al riparo, al sicuro.

Tutto successe a rallentatore: due colpi di pistola partirono, provocando un rumore sordo. Uno colpì Liam e l’altro la ragazza.

Tom si liberò dell’uomo dietro di lui, precipitandosi da Emmeline, che aveva gli occhi chiusi, e perdeva sangue.

«Non mi lasciare» mormorò tra le lacrime. «Non ora che possiamo essere felici» sussurrò, stringendosela al petto.





 
*******
 
Ehm, ciao! *saluta timidamente con la manina*
So che sono mesi che non aggiorno, probabilmente non ci speravate nemmeno più, probabilmente avrete smesso di seguire questa storia e posso capirvi benissimo.
Non sono morta, non ho avuto problemi e no, non ho trovato un altro lavoro (la sfiga mi perseguita). Ho solo avuto un blocco, non riuscivo più a scrivere. Ogni volta che aprivo quel foglio di word non sapevo come e cosa buttare giù. Ma negli ultimi giorno ho ripreso a scrivere, anche se non sono molto sicura di questo capitolo, non mi convince fino in fondo.
Come sempre vi dico che non so quando riuscirò ad aggiornare, non tanto per mancanza di tempo. 
Se volete potete lasciare una recensione o solamente leggere, mi fa piacere uguale, ma sappiate che le vostre opinioni mi fanno sempre piacere. (Questa volta potete benissimo anche rimproverarmi, me lo merito).
Anche se non vi interessa, per il momento ho disabilitato il mio account faceboook per problemi vari, probabilmente lo riaprirò presto, non so quando, ma se volete parlare con me, vi lascio qualche indirizzo sotto.

Un bacio e un abbraccio,
difficileignorarti.



*torna a nascondersi nel suo angolino, in attesa*



 
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