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Autore: Roxanne Potter    06/04/2015    1 recensioni
[Muke, il rating diventerà rosso nell'ultimo capitolo]
Il ragazzo alzò lo sguardo dal cellulare; aveva occhi di un azzurro penetrante, sormontati da sottili ciglia bionde, e Michael li trovò stupendi.
-Ciao.- gli rispose, sorridendo leggermente. Sembrava tranquillo e per nulla sorpreso dal fatto di essere appena stato salutato da un perfetto sconosciuto.
In quel momento nel locale partì una canzone, una canzone che Michael adorava, una di quelle canzoni che ti fanno venire voglia di alzarti e ballare e scatenarti senza più pensieri nella testa, senza preoccuparti delle persone che hai intorno. Michael sorrise, tese la mano al ragazzo e disse: -Ho visto che sei tutto da solo, come mai? Posso farti compagnia se vuoi. Ti va di ballare? Amo questa canzone.
Genere: Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Lo chiamo o no?
-Chiamalo, Michael. Fallo e basta.
-Chiamalo o ti giuro che non rivedrai mai più i tuoi cd degli All Time Low.
-Ma non so cosa dire.
-Te lo suggeriamo noi, cosa dire.
-E se poi ci faccio una figura? Ho già voglia di sotterrarmi…
-È stato lui a darti il suo numero, non puoi farci una figura.
-Vai tranquillo, forza.
-E se fosse etero?
-Per Dio, Michael!- sbottò Ashton, passandosi una mano tra i capelli ricci; si lasciò cadere sul letto, accanto all’amico, e lo fulminò con un’occhiata. –Io sono etero e ti assicuro che se un ragazzo cerca di abbordarmi in discoteca non mi metto a ballare con lui, non mi struscio addosso a lui e soprattutto non gli lascio il mio numero di telefono dicendogli che può richiamarmi quando vuole.
Era domenica mattina e Michael era in camera sua insieme ad Ashton e Calum, ai quali aveva appena finito di raccontare nei dettagli cosa era successo la sera prima nel locale, con il ragazzo biondo di nome Luke. Passati gli effetti del doposbronza, dopo aver scolato una bottiglia di acqua fresca per allontanare il mal di testa, Michael si era ritrovato ad arrossire nel ricordare tutto; in vita sua non ci aveva mai provato con qualcuno, tantomeno con un ragazzo.
Ti va di ballare?, aveva chiesto a Luke, e lui aveva accettato subito, avevano ballato insieme per quello che era sembrato un tempo interminabile; Luke gli aveva persino lasciato il suo numero, quindi di sicuro voleva rivederlo. Magari si sarebbero dati appuntamento, si sarebbero incontrati, avrebbero iniziato a frequentarsi e conoscersi. Pian piano si sarebbero innamorati e alla fine si sarebbero messi insieme…
-Allora, lo chiami o no?- disse Calum, risvegliandolo dalle sue fantasticherie; il ragazzo era seduto sul pavimento a gambe incrociate e lo fissava con uno sguardo impaziente.
-Io… sì, giuro che lo faccio.
Michael abbassò lo sguardo sul cellulare che teneva in mano, sulla schermata dove aveva segnato il numero di Luke. Doveva solo premere il tasto per avviare la chiamata ed era fatta, pensò.
Ricordò gli occhi azzurri del ragazzo, il suo sorriso, il piercing che gli brillava sul labbro. Ripensò a quelle mani sulle sue spalle e sui suoi fianchi e si sentì le guance andare a fuoco. Non sapeva come comportarsi, cosa dirgli. In fondo non sapeva nulla di lui, se non il suo nome. E se avesse detto qualcosa di stupido e imbarazzante?
-Hai dieci secondi prima che i tuoi cd facciano una brutta fine.- disse Ashton, incrociando le braccia al petto. Calum inarcò le sopracciglia e aggiunse: -Forza. Non pensare a quello che fai, fallo e basta, altrimenti poi ti pentirai di non averci neanche provato.
Aveva ragione. Fallo e basta, non pensare. In un scatto di coraggio, Michael premette il tasto della chiamata e si portò il cellulare all’orecchio. Prese un respiro profondo; il cuore gli batteva all’impazzata nel petto, così forte che sembrava rimbombargli nella testa insieme agli squilli del telefono.
Rispondi, ti prego, rispondi. pensò, stringendo forte la mano libera intorno a un lembo di coperta del letto. Rispondi.
Non aveva idea di cosa dire se Luke avesse risposto alla telefonata ma non importava.
Ormai era fatta.

Quella domenica Luke Hemmings si era svegliato verso le undici, con ancora tanto sonno addosso e nessuna voglia di alzarsi dal letto. Così aveva chiuso gli occhi e si era raggomitolato di nuovo tra le coperte; era rimasto così per circa un’ora, in uno stato di beata dormiveglia, finché non aveva iniziato a sentire il sonno che scivolava lentamente via.
Si rigirò su un fianco e aprì piano gli occhi; sbatté un po’ le palpebre prima di mettere a fuoco l’orologio da parete a forma di chitarra che, davanti a lui, segnava mezzogiorno e un quarto. Tra poco sua madre sarebbe arrivata ad urlargli contro che era quasi pronto il pranzo, solo per farlo alzare, come faceva ogni volta che Luke rimaneva a letto fino a mezzogiorno, e avrebbe iniziato ad aprire armadi e cassetti per tirare fuori i suoi vestiti mentre continuava a parlare, rendendogli impossibile continuare a dormire in santa pace.
Adesso mi alzo., pensò Luke, trattenendo uno sbadiglio. Chiuse gli occhi e si preparò mentalmente, ripetendosi di scostare la coperta e alzarsi prima che sua madre arrivasse spalancando la porta.
-Hard days made me, hard nights shaped me, I don’t know they somehow saved me…
Luke spalancò gli occhi e si tirò su a sedere mentre il suo telefono, poggiato sul comodino accanto al letto, iniziava a squillare; lo afferrò e si concesse qualche secondo per continuare ad ascoltare la suoneria di The Young and the Hopeless, poi lanciò un’occhiata al display; non conosceva il numero che lo stava chiamando. Chi poteva essere? Forse qualcuno della sua scuola, qualcuno che aveva sbagliato numero oppure…
Il ragazzo di ieri.
Ricordò il ragazzo che aveva incontrato la sera prima in discoteca; doveva essere stato abbastanza brillo quando si era avvicinato a lui per chiedergli di ballare, si capiva dal suo sguardo e dalla voce, ma Luke l’aveva trovato adorabile. Bello nei suoi jeans trasandati e coi capelli rosso fuoco sparati da tutte le parti. Non appena avevano iniziato a ballare, Luke aveva deciso di voler conoscere quel ragazzo. Non sapeva perché, in fondo di lui non sapeva niente, neanche il nome. Ma qualcosa gli aveva fatto venire voglia di lasciargli il suo numero di telefono e invitarlo a chiamarlo quando voleva.
Speriamo che sia lui., pensò Luke e premette il tasto per rispondere alla chiamata. Si portò il cellulare all’orecchio e, con la voce piena di aspettativa, disse: -Pronto? Chi è?

Oddio, ha risposto, ha risposto.
Michael si sentì quasi morire quando sentì la voce di Luke rispondere: -Pronto? Chi è?
Si voltò verso Ashton e Calum e li guardò ad occhi sgranati, implorando silenziosamente aiuto. Calum cercò di soffocare una risata, Ashton inarcò le sopracciglia e mormorò un: -Sii sicuro di te.
-Pronto?
Di nuovo la voce di Luke. Michael tirò un respiro profondo e decise di buttarsi; magari, se avesse fatto finta di essere una persona sicura, decisa e disinvolta e dire cose che normalmente non avrebbe detto, tutto sarebbe venuto da sé.
-Ehi.- iniziò, nel suo tono più allegro. –Sei Luke, vero? Io sono quel ragazzo che ieri in discoteca ti ha chiesto di ballare e a cui hai lasciato il tuo numero di telefono. A proposito, mi chiamo Michael.
Ashton e Calum si scambiarono un’occhiata divertita e trattennero un’altra risata. Michael, con le mani sudate e il cuore ormai a mille, si chiese come avrebbe potuto uccidere i suoi migliori amici.
-Ehi, ciao, mi ricordo di te.- fu la risposta di Luke. Michael sentì subito il cuore alleggerirsi e decise di andare dritto al punto.
-Senti, non è che in questi giorni ti andrebbe di vederci…
-Scusa, puoi… puoi aspettare un attimo? Ho mia madre alla porta che urla, non posso parlare. Ti scrivo io tra un minuto, va bene?
-Certo, va bene.- balbettò Michael.
-Ci sentiamo tra pochissimo, Michael.
Il click della chiamata che si chiudeva. Calum gli lanciò un’occhiata sconcertata e disse: -Allora? Perché ha attaccato subito?
-Mi ha detto che non poteva parlare perché c’era sua madre e che mi scrive tra un minuto.
-Ottimo.- disse allegramente Ashton, e passò un braccio intorno alle spalle di Michael. –Sono felice di vederti mentre ti frequenti con qualcuno, finalmente. Cioè, questa è la tua prima storia in quasi diciassette anni di vita…
-Non è vero, ho avuto una ragazza in quarta elementare.- rise Michael. –Comunque non è che ci stiamo frequentando, cioè, non lo conosco nemmeno…
-Ma lo farete presto.- disse Calum. –Sta per riscriverti, quindi probabilmente vi vedrete e…
Venne interrotto dallo squillo del telefono che segnava l’arrivo di un messaggio. Michael afferrò il cellulare e, col cuore in gola, si affrettò a visualizzarlo.
Ci sei oggi? Possiamo vederci davanti al bar Looken alle cinque del pomeriggio.
-Allora, cosa dice?- lo incalzò Calum, e Ashton si avvicinò di più a Michael per lanciare un’occhiata allo schermo del cellulare.
-Mi ha… chiesto di uscire. Oggi. Alle cinque. Al bar Looken.- rispose Michael, senza riuscire a nascondere il sorriso che gli affiorava sulle labbra. Digitò velocemente un “Va benissimo, allora a oggi”, inviò il messaggio e mise da parte il cellulare, sempre con il sorriso stampato in faccia.
-Secondo voi va bene se ci vado con la maglia di un teschio e gli stessi jeans di ieri?
-Beh, considerato che non hai niente di meglio nell’armadio a parte lo smoking che hai dovuto comprare per il matrimonio di tua zia…- rise Ashton.
-Allora vada per la maglia col teschio.- disse Michael. Non riusciva a smettere di tormentare nervosamente i lembi della coperta; ancora non riusciva a credere di avere un appuntamento, un vero e proprio appuntamento con qualcuno. –Tanto non credo che farà troppo caso a come sono vestito, siamo ragazzi. Però ai capelli cerco di dare un’aggiustata. E adesso che scendiamo a mangiare copritemi con mia madre, ok? Le dico che oggi pomeriggio vengo a studiare da voi per il compito di domani.

   
 
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