22/12/2008
Per Luly <3
Buon compleanno!
Ubris
-Tracotanza-
Di Elwerien
La ricchezza che gli
uomini imbrigliano sotto la suggestione della loro ubris non procede compostamente, ma obbedendo alle loro ingiuste azioni li
segue controvoglia, e ben presto si mescola con l’ate. Piccolo è l’inizio di questa,
come d’un fuoco; è prima insignificante, ma doloroso alla fine:
per i mortali le opere dell’ubris
non durano a lungo.
[Solone, “Elegia alle Muse”]
***
Lei voleva lui.
Ma,
almeno all’apparenza, lui non era interessato a lei. L’avevano già messa in guardia: “Forse non
è destino, Ino”.
Ma il
destino poteva davvero essere tanto potente da abbattere lei, una Yamanaka?
Non
poteva permetterselo. L’avrebbe contrastato, e avrebbe senz’altro
vinto. Quel giorno pronunciò una promessa, decisa a non perdere; quel
giorno, le parole pronunciate dalle sue labbra segnarono la sua rovina.
***
Non
avrebbe saputo dire che cosa esattamente
l’avesse portata ad innamorarsi di Shikamaru. Di una cosa però era
davvero certa: non era una cotta passeggera, un semplice capriccio femminile.
Lo amava. E l’idea che lui potesse non ricambiare la atterriva.
Non
l’aveva visto per due anni: lui aveva deciso di partire qualche mese dopo
aver vendicato Asuma, dopo aver scoperto che non poteva continuare a restare a
Konoha dopo la scomparsa del suo maestro. Forse, i ricordi erano troppo forti.
L’Hokage allora inizialmente l’aveva mandato per le Nazioni alleate
senza mai lasciarlo troppo nella stessa sede, nella speranza che l’indole
pigra prendesse il sopravvento e lo spingesse a tornare a Konoha; quando
però si era accorta che persisteva nel suo proposito, aveva deciso di
assegnargli un posto fisso fra gli alleati della Sabbia, a Suna.
Ino
l’aveva salutato come una sorella saluta il proprio fratello,
abbracciandolo con affetto: non era ancora innamorata, e il dolore per il
distacco del proprio migliore amico era andato affievolendosi nel tempo, senza
mai esaurirsi ma restando in sottofondo, fedele compagno di tutti i giorni. Le
mancava, ma ben presto finì per abituarsi alla sua assenza,
accettandola.
Si
sentivano ogni tanto per lettera. Lui stava bene, sebbene trovasse Suna una
gran seccatura; Ino leggeva fra le righe che non era felice, laggiù. Ma,
evidentemente, in quel momento era l’unico posto in cui riusciva a stare.
Lei
rispondeva dicendo che sì, anche lei stava bene, e che no, non sentiva
particolarmente la sua mancanza. Tremenda bugia, ma lo sapevano tutti e due. Lo
informava di quello che accadeva a Konoha, ma nessuna notizia era tanto gustosa
da spingerlo a tornare; gli parlava anche dei propri progressi nelle arti
mediche. Ma la corrispondenza man mano divenne sempre meno regolare, fino a
interrompersi del tutto.
Non si
sentivano da sei mesi quando tornò. Era il diciannovesimo compleanno di
Ino, e quel giorno non ci fu sorpresa più gradita che vederselo di nuovo
di fronte, dopo due lunghi anni di lontananza. Si era bloccata per un attimo,
sollevando lo sguardo dall’elegante bouquet che le era stato ordinato e
che stava componendo, china sul bancone. La sorpresa fu tale che lasciò
cadere i boccioli di rododendro che stava per infilare nella composizione.
In un
attimo, però, gli volò fra le braccia, piangendo lacrime che
sapevano di gioia e di commozione, sperando che quello non fosse solo un sogno.
Ma quando
sciolse l’abbraccio e alzò gli occhi per guardarlo meglio
–com’era diventato alto, nel frattempo!- lui era ancora lì:
non stava sognando, dopotutto.
E fu
così che i due migliori amici si reincontrarono dopo lungo tempo.
Lui era,
in qualche modo, diverso: era sempre
lo Shikamaru pigro che aveva conosciuto da bambina e che era stato a lungo il
suo miglior confidente, uno dei pochi amici veri che avesse –quelli, si
sa, sono rari per tutti. Ma, al contempo, a tratti si sovrapponeva a lui un’altra
immagine: un’immagine che si allontanava da quella del ragazzo che era e
che si avvicinava sempre di più a quella dell’uomo che non avrebbe
tardato a diventare. Era senza dubbio cresciuto in quei due anni o poco più
che era stato via: senza dubbio, a ciò avevano contribuito sia la morte
di Asuma, sia, in egual misura, i viaggi e le sicure difficoltà che
aveva dovuto incontrare in terre straniere.
Questo
suo lieve cambiamento, sicuramente quasi invisibile agli occhi dei più,
l’avevano in un primo momento inquietata: non sapeva, infatti, come valutarlo.
In seguito, dopo varie riflessioni e osservazioni, era giunta alla conclusione
che quello non era un male, anzi, e che il suo amico era solo cresciuto, forse
senza neanche accorgersene. Magari anche Shikamaru trovava lei cambiata: chissà? Al pensiero di cosa avrebbe potuto
pensare Shikamaru di lei, non poté fare a meno di arrossire.
Mano a
mano che i giorni passavano e lui non accennava a ripartire, si era resa conto
che non era più affetto fraterno quello che provava per lui: senza che
potesse impedirlo, un brivido la attraversò, e in quel momento comprese,
guardando ora Shikamaru sotto una nuova luce, che un sentimento diverso,
più bello stava nascendo in lei. Forse poteva ardire di chiamarlo amore: ma l’iniziale leggera
euforia che coglie il cuore di ogni innamorato cedette presto il passo ad una
sorta di vaga disperazione quando si accorse che Shikamaru non ricambiava. Era così, non ricambiava: l’intuito
femminile, oltre che i suoi gesti, glielo confermavano. Non vedeva i suoi occhi
illuminarsi non appena la vedevano, come invece accadeva ai propri; non faceva
di tutto per vederla, cosa per cui lei invece si adoperava con ogni forza,
stando ben attenta che lui non se ne accorgesse. Quando stavano insieme,
sentiva una sorta di leggero distacco fra loro; lei lo amava e fremeva, lui,
indifferente e taciturno, vago e annoiato, evidentemente non provava niente per
lei.
Fu Sakura
la prima persona con la quale si confidò, disperata, sebbene si fosse
ripromessa di non dirlo a nessuno. Le parole, semplicemente, le uscirono senza
che lei potesse controllarle; forse pianse pure. Non lo ricordava esattamente,
e Sakura non glielo rinfacciò mai. All’inizio la fece parlare, poi
tentò di consolarla, dicendo che forse Ino aveva qualche speranza; ma le
ragioni che l’altra le portò furono così valide che non
trovò modo di replicare. Le promise allora che li avrebbe osservati;
dopo averlo fatto per qualche tempo, giunse il verdetto.
-Mi
dispiace, Ino- esordì. –Ma credo che tu abbia ragione. È
triste, ma… non credo che lui ricambi-.
Ino,
inizialmente, non rispose; il suo silenzio abbattuto indusse Sakura a parlare
ancora.
-Una
volta, tempo fa, ho sentito Neji Hyuuga parlare del destino. Forse è
così che la devi vedere. Forse, semplicemente, non è
destino…- fu interrotta bruscamente.
-Il
destino, Sakura? Ma il destino non esiste! Non posso credere che Shikamaru non
mi ami per il destino. Non mi
farò battere da qualcosa che non esiste, sappilo!- fu brusca, ma Sakura
non protestò: in fondo, seppure acida, era comunque una reazione. Pareva davvero trasfigurata: gli occhi infiammati da
un ardore battagliero, un’espressione dura e decisa sul viso, le spalle
dritte come a sopportare qualsiasi peso: sembrava decisamente più
Yamanaka.
-Te lo
garantisco, Sakura. Da adesso in poi mi impegnerò con tutte le mie
forze… lo farò, fino a quando non mi ricambierà. E quando
quel giorno verrà…- si interruppe, in una pausa ricca
d’enfasi. –Ebbene, quel giorno ti dirò: “te l’avevo detto”-.
Sembrava
davvero sicura di sé; e, se Sakura la conosceva bene, non avrebbe mai
rinunciato finché non avesse raggiunto il proprio obiettivo. Mai.
Non era destino che
Shikamaru rimanesse a Konoha. Avrebbe dovuto continuare a viaggiare, senza
meta; non avrebbe trovato l’amore, e sarebbe morto in territorio straniero.
La sua morte avrebbe dovuto far scattare determinati meccanismi che avrebbero
portato, anni dopo, ad una situazione oltremodo favorevole per Konoha.
Così doveva
andare, questo era il suo destino.
Non era previsto per
lui l’amore, ma un futuro aspro.
Non era contemplato che Shikamaru Nara rimanesse
a Konoha, né che qualcosa –o qualcuno- lo trattenesse.
/Alcuni mesi dopo.
Il
café della strada principale di Konoha non era molto affollato, quel
giorno. L’ora era tarda, s’avvicinava il tramonto; pochi clienti
ancora indugiavano, mentre il barista, in vista della chiusura, puliva i tavoli
e riordinava il bancone. Proprio nel centro della sala stavano due kunoichi che
quel giorno, evidentemente, non avevano avuto alcuna missione.
Il
barista le occhieggiò cupo: parevano intenzionate a fermarsi ancora a
lungo.
-E
così ce l’hai fatta, Ino- disse la ragazza dagli occhi verdi,
posando la propria tazza di tè.
-Te l’avevo detto!- la
canzonò l’altra, vittoriosa. A guardarla, si sarebbe detto che
fremeva d’eccitazione, come una bambina davanti ad un regalo che aveva
atteso così a lungo da avere ormai quasi perso le speranze di riceverlo.
La tazza di tè che teneva in mano le tremava tanto che fu costretta ad
appoggiarla. Era raggiante.
-Non
l’avrei mai detto. Nessuno l’avrebbe mai detto. Lui sembrava così...
indifferente. Ma sono contenta per
te, Ino, davvero- Sakura sorrise dolcemente.
-Grazie!-
trillò allegra l’amica, riuscendo a bere una sorsata. Poi
aggiunse: -Questo dimostra che il destino non esiste, e lo dirò a Neji
Hyuuga non appena lo vedrò-.
Sakura
ridacchiò piano.
-Mi devi
ancora spiegare come hai fatto. Come ci sei riuscita? Sembrava un’impresa
impossibile-.
-Sì,
ammetto che anche a me sembrava così qualche volta-. Si incupì
per un istante, ricordandosi dell’incertezza di quei tempi. Ma ormai
erano passati, lontani; il presente e il futuro erano decisamente pensieri
più allettanti sui quali indugiare. Riprese più allegra di prima:
-Il peggio è passato! Sono riuscita a conquistarlo impiegando tutte le
mie forze, e adesso…-
Un vento
freddo e violento, quasi irato, impensabile in una così mite giornata, entrò
nel café; tutti i presenti rabbrividirono all’istante.
-…
e adesso, Shikamaru è mio, e io sono sua. Non è fantastico,
Sakura?-.
Il vento
urlò più forte e si estinse, veloce come era venuto; lasciò
solo, dietro a sé, una patina umida di gelo.
Sakura
non rispose: una sensazione terribile si era impadronita di lei nel momento in
cui il vento era entrato. Adesso guardava con orrore le sedie rovesciate, i
frammenti di vetro dei bicchieri che erano caduti dal bancone. Il barista emise
uno sbuffo di disappunto e si affrettò a ripulire, borbottando fra
sé e sé; i pochi altri clienti, inquieti per l’atmosfera
fredda che aveva iniziato, non richiesta, a regnare, se ne stavano andando. Incredibilmente,
Ino pareva non essersi accorta di nulla.
-Sai,
Sakura? È come se un sogno si fosse realizzato. Sono così
felice…-.
E Sakura
non ebbe il cuore di distruggere la sua felicità, di dirle che qualcosa
non andava, che il vento aveva parlato chiaro; non riuscì a dirle queste
cose, e si limitò ad annuire e a sorridere, fingendo che tutto andava
bene: neanche lei avrebbe saputo dire cosa
non andava per il verso giusto. Non parlò neanche quando le parve di
vedere un’ombra nera dietro le spalle di Ino: rimase in silenzio e chiuse
gli occhi, perché certo era frutto della sua immaginazione. Quando li
riaprì, l’ombra non c’era più.
Forse,
dopotutto, era stata solo la sua immaginazione. Forse.
Ino si
alzò. –Scusa, Sakura, adesso devo andare. Mi sono ricordata di
avere un impegno-.
-Vai
pure. Ci vediamo, Ino-.
-Ciao,
Sakura-.
Si
allontanò a grandi passi, sempre radiosa.
Quando
Sakura rivide l’ombra apparire e inseguirla, avrebbe voluto urlarle un avvertimento,
ma una strana forza le rubò la voce; quando poté di nuovo
parlare, Ino era già lontana.
***
Ino
camminava. Si era ricordata di aver promesso ai suoi genitori che avrebbe
tenuto aperto lei il negozio dopo il tramonto. Sarebbe rimasta sola per tutta
la serata; ma chissà, magari sarebbe riuscita a convincere Shikamaru a venire
a farle un po’ di compagnia… ridacchiò fra sé e
sé, allegra, affrettando il passo.
Si
bloccò quando si rese conto di essere alle porte di Konoha:
evidentemente, si era distratta così tanto che aveva sbagliato strada. Fece
per tornare indietro quando, improvvisamente, si sentì chiamare.
-Ino...
ehi, Ino!- si voltò.
-Shikamaru?-
cosa ci faceva lì, quando a quell’ora avrebbe dovuto essere
dall’Hokage?
Be’, tanto meglio, pensò, avvicinandosi a lui.
-Devi
venire con me- le disse, in tono più piatto del solito.
-Eh?- era
confusa. –Cos… dove? Perché?-
-Lo
scoprirai. Seguimi- e si diresse con inaspettata agilità –troppa
per un pigro come lui- verso la boscaglia fuori da Konoha, senza guardarsi
indietro.
Ino,
interdetta, rimase immobile per un attimo; l’idea di uscire da Konoha non
le piaceva. Ma riflettendo sul fatto che era Shikamaru che glielo aveva detto,
e che certamente era stupido avere qualcosa da temere, lo seguì
ugualmente.
Non
capiva cosa stava accadendo.
C’era
qualcosa di strano che non riusciva a cogliere: camminavano da più di
due ore, e ormai era buio. Le mura di Konoha non si vedevano più, tanto
si erano introdotti nella foresta.
In tutto
questo, Shikamaru non le aveva ancora rivolto la parola. Camminava venti passi
avanti a lei, e non accennava a fermarsi né a guardarsi indietro per
vedere se lei c’era ancora.
La
situazione finì per irritarla. Come si permetteva di trattarla
così? In fondo, era la sua ragazza! Se quello era uno scherzo, non era
affatto divertente. Stava per chiamarlo e urlargliene quattro quando,
semplicemente, scomparve.
Ino
strabuzzò gli occhi, fissando il punto in cui era sparito. Che sciocca: ovviamente non si era dissolto
nell’aria. Doveva semplicemente essersi addentrato troppo nel buio fra
gli alberi. Doveva essere senz’altro così.
Accelerò
lievemente il passo: si ritrovò ad oltrepassare il punto in cui
l’aveva visto per l’ultima volta.
Buio. Fu questa la prima parola che le
venne in mente, non appena si tuffò nel fitto del bosco: buio. Buio, una parola, un significato,
una sensazione precisa che provava in quel momento.
Buio. Provava buio. Era possibile? Eppure, non avrebbe saputo esprimersi
diversamente: era circondata dal nero più totale, come se si fosse
gettata nel dissolversi di un’ombra; anche dentro di sé tutto era
diventato nero. Le sembrava di soffocare: per un attimo, ogni ricordo della sua
vita fino a quel momento svanì, lasciandola completamente vuota e
interdetta.
Sentì
però una voce –buia. Una
sola parola: ubris.
Non
sapeva cosa volesse dire, ma si sentì come un’imputata che, al suo
processo, viene accusata del proprio crimine: in quella parola, ubris, stava la colpa che lei doveva
aver commesso. Ma qual era? Cosa aveva fatto?
Con che cosa
l’avrebbe espiata? Non era sicura di volerlo sapere.
Il buio
si estinse; oltrepassato il punto d’ombra fra gli alberi, tornò a
vedere la foresta, illuminata da un breve bagliore lunare.
Crollò
sulle ginocchia, pallida e tremante, provata come se avesse corso per
chilometri; i ricordi della sua vita tornarono nella sua testa, abbondanti e
confortanti. Nella sua mente, ancora risuonava e rimbombava ubris.
Tremò
di una paura portata dall’incertezza e da un cattivo presentimento. Ma
non poteva rimanere lì in eterno: doveva trovare Shikamaru
–chissà se il Buio aveva catturato anche lui-, prenderlo e
andarsene, il più presto possibile. Dovevano tornare a Konoha. Ma
dov’era Shikamaru? Non lo vedeva…
Si
rialzò. Fu con grande sorpresa che vide davanti a sé una radura;
non l’aveva notata, ma forse era stata troppo shockata per accorgersene.
Al centro, un lago.
Era
splendido, surreale, quasi ultraterreno: nelle sue acque si rifletteva il cielo
nero privo di stelle, un colore superbo e uniforme; nelle leggere onde vagavano
frammenti del riflesso della luna, brillanti.
Sembrava splendere.
Si
avvicinò, incantata e quasi dimentica dei suoi propositi di tornare in
fretta a casa, di trovare Shikamaru e andarsene, finché…
-…
Shika?-
Lui era
lì, in mezzo al lago. Sospeso
in mezzo al lago: leggero, quasi… incorporeo.
-Com’è
possibile?!- era quasi isterica: non capiva più nulla. Lo strano
comportamento di lui, l’Ombra che la aggrediva, quella parola inquietante
che risuonava nella sua testa e che non sapeva cosa significasse, ubris; e adesso, quello. Sembrava un
fantasma che galleggiava, freddo, sopra al luogo in cui era morto; era etereo e
privo d’espressione. Cosa gli era successo? L’ Ombra l’aveva
colpito diversamente da come aveva colpito lei? Gettò un’occhiata
al proprio corpo: no, lei non era incorporea, e non stava galleggiando sul
prato. Si augurò che quello fosse un incubo, perché stava
sfociando nel surreale, e la realtà non
poteva essere surreale.
Ergo,
quello era falso.
Ma lo era
davvero?
-Rispondi!
Cosa sta succedendo? Dimmelo!- urlò.
Ma lui
non rispose: si limitò a sorridere, beffardo. Proprio come Shikamaru non
avrebbe mai sorriso.
-Ci sei
arrivata, mortale- finalmente, quello parlò. –Io non sono il
mortale di cui hai confuso l’avvenire, ma quello che voi uomini comunemente
chiamate Destino. In false sembianze, ovviamente; ma non capita spesso che io
mi debba mescolare agli uomini. Rinunciare alla mia natura, trovare una forma
umana… poche volte nella vostra storia un uomo ha infranto così
duramente le leggi divine da rendere necessaria la mia presenza-.
Eh?
Doveva
essere impazzita: non vedeva altra soluzione.
-Hai
commesso ubris, tracotanza. La
collera divina punisce, e infine mette le cose al loro posto- continuò
quello. –Ora, donna mortale… dovrai morire. È necessario che
vada così, capisci?- il volto di colui che di Shikamaru aveva solo
l’aspetto non mutò minimamente espressione; fu questo a darle la
certezza che non fosse umano.
Raggelò.
Avrebbe potuto continuare a pensare che quello fosse un sogno, o un frutto della
sua mente evidentemente impazzita, nient’altro: ma qualcosa nelle parole
di quello, e qualcosa dentro di sé le confermarono che quello che stava
ascoltando era vero.
Le
tornarono in mente le parole che aveva sentito mesi prima, quando ancora non
era riuscita a far breccia nel cuore di Shikamaru, e quelle immediatamente
più recenti, di quando infine l’aveva conquistato:
-Forse non è destino, Ino-.
Destino.
Io sono quello che voi uomini
comunemente chiamate Destino.
Questo dimostra che il Destino non
esiste, e lo dirò a Neji Hyuuga non appena lo vedrò.
Ubris.
Destino.
E ora, mortale, dovrai morire.
Ebbe un
improvviso barlume di comprensione: capì.
Sì,
comprese tutto. Finalmente riusciva a vedere gli invisibili fili di tutta
quella storia: tutto era più chiaro, e la cosa sorprese persino lei.
Certo, erano fili che da una parte erano ingarbugliati, stretti da un nodo
informe che certo il Destino non aveva previsto si creasse. Era quello l’errore, quel nodo imprevisto che aveva
rovinato la trama del grande disegno. E quel nodo era lei, suo l’errore.
Non avrebbe dovuto far innamorare di sé Shikamaru, per un motivo che le
sfuggiva in gran parte, non potendo vedere in anticipo tutti gli eventi che si
sarebbero verificati in seguito; ma doveva senz’altro essere collegato a
quella parola data dagli uomini alla grande forza che a loro si sottrae. Sorte, destino, fortuna.
-Dovrai
morire- ripeté quello.
Ino non
tentò di scappare quando il lago, contro ogni legge della natura,
straripò e le sue acque iniziarono a tendersi, minacciose, verso di lei.
Rimase immobile, annientata. Colui che aveva rubato l’immagine di
Shikamaru non c’era più, ma al suo posto le parve di vedere
un’ombra informe; sentì l’acqua gelida afferrare prima le sue
caviglie e infine lambirle il resto del corpo, fredda e lenta…
Scappare,
lo sapeva, sarebbe stato inutile.
-Non era
Destino… era solo Amore- furono le ultime parole che pronunciò,
prima che le acque del lago si richiudessero, mortali, sopra di lei.
***
Il giorno
dopo, una squadra di soccorso setacciò la Foresta: una kunoichi della
Foglia era scomparsa in circostanze misteriose. Era stato il ninja medico
Sakura Haruno a urlare istericamente all’Hokage che Ino era in pericolo,
e che andava cercata e salvata.
Quando
iniziò a parlare di uno strano vento e di un’ombra malefica,
Tsunade le aveva promesso che avrebbe mandato i soccorsi e si era assicurata
che prendesse un calmante.
Quando,
ore dopo, la squadra tornò con il cadavere di Ino Yamanaka, tutti i
presenti ammutolirono.
Morta. Com’era possibile?
Sakura
Haruno lanciò un grido acuto agghiacciante che impietrì tutti i
presenti e che risuonò a lungo nei loro animi, come un’eco funesta.
Shikamaru Nara non emise suono: era come una statua di freddo marmo.
Lo
sconcerto si diffuse ancora di più quando l’Hokage
sentenziò che la ragazza era morta annegata.
-Ma…
non ci sono laghi nella foresta, e nemmeno fiumi- protestò debolmente
qualcuno.
Un membro
della squadra di soccorso confermò che nei pressi del cadavere non
c’era la minima traccia di acqua. Qualcuno fece delle ipotesi, sempre
più disparate; in breve, però, fu chiaro a tutti che quello si
trattava di un mistero in piena regola. La curiosità che normalmente
avrebbe alimentato gli animi e che, in alcuni casi, portava anche a risolvere
tali misteri, venne soppressa da un senso di rispetto per la giovane Yamanaka e
per la sua famiglia.
Un
silenzio di morte si diffuse per il Villaggio: vennero fissati i funerali e si
proclamò giornata di lutto per tutti i ninja. Nonostante questo grande
onore, però, il nome di Ino non venne scritto accanto a quello di Asuma
Sarutobi: non c’era posto per la sua storia sulla lapide degli eroi.
Dopo
qualche giorno, uno Shikamaru che era ormai l’ombra di se stesso si
presentò davanti all’Hokage chiedendo di poter tornare a svolgere
il suo vecchio incarico nelle varie nazioni; Tsunade non ebbe il cuore di
negarglielo.
-Sii
prudente- gli disse prima di congedarlo. Lui non diede segno di aver sentito.
Tornò
a viaggiare, a passare da un posto all’altro senza mai fermarsi troppo a
lungo; infine, gli fu ordinato di recarsi a Suna, dai loro preziosi alleati.
Il
Destino, soddisfatto della propria opera, non doveva fare altro che restare a
guardare la trama di cui lui stesso aveva intessuto i fili.
Lo
uccisero. A Suna, lo uccisero. Non si seppe mai il perché: forse una
lite, una qualche vendetta, o la mente deviata di un pazzo. Forse si trovava
semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato; alcuni dissero che,
evidentemente, era destino.
Konoha,
irata, spezzò l’alleanza con Suna. Mossa troppo avventata. Le
altre nazioni non esitarono ad approfittare dell’improvvisa debolezza
delle due, che non potevano più contare l’una sull’altra; si
gettarono sui due villaggi, dichiarando guerra e pregustandosi una sicura
vittoria.
Stolti
gli umani che sperano di contrastare l’opera del Fato! Perirono
miseramente. Konoha era forte anche senza Suna: la guerra, in breve, fu in mano
alla Foglia.
Gli
avversari, sconfitti, si ritirarono, mentre la Nazione del Fuoco sorgeva
più potente che mai.
Era destino. Semplicemente.
È la Moira divina che porta agli
uomini il bene e il male: è impossibile sfuggire alla sorte inviata
dagli dèi immortali.
[Solone, “Elegia alle Muse”]
Elwerien
Note
dell’autrice:
Dedicata
alla mia adorata Luly per il suo compleanno. Ti voglio bene, neechan! <3
Se ci
siete rimasti male per la fine, prendetevela con lei: ha voluto a tutti i costi
una storia in cui Ino annegasse! XD
Cito da
Wikipedia il significato di “ubris”, nel caso fosse poco chiaro:
Il greco ὕβρις significa
letteralmente "tracotanza", "eccesso" "superbia",
“orgoglio” o "prevaricazione".
Nella trama della tragedia, la
hýbris è un evento accaduto nel passato che influenza in modo
negativo gli eventi del presente. È una “colpa” dovuta a
un’azione che vìola leggi divine immutabili, ed è la
causa per cui, anche a distanza di molti anni, i personaggi sono portati a
commettere crimini o subire azioni malvagie. Al termine hýbris viene
spesso associato, come diretta conseguenza, quello di
"némesis", in greco
νέμεσις, che significa "vendetta
degli dei", "ira", "sdegno" e che quindi si
riferisce alla punizione giustamente inflitta dagli dei a chi si macchia di
tracotanza.
Ergo, in
questa fanfiction Ino per mezzo della ubris ha infranto le regole divine che
non la volevano con Shikamaru e ne ha pagato le conseguenze (…
perché quando una è sadica, è sadica. Mwahahahahah!)
Detto
ciò mi eclisso, spero che vi sia piaciuta^^
Un bacio,
El*