“Dai, Harry, non abbatterti!”
“Davvero, non è così grave… è il primo vero Boccino che perdi, quello contro
Diggory non conta, lo sai benissimo!”
“La prossima partita andrà meglio, vedrai!”
“Ce li mangiamo i Corvonero, sicuro!”
C’era una depressione post-partita persa più che palpabile nella Sala Comune di
Grifondoro. Ginny non era ancora rientrata, e Hermione aveva riferito di averla
vista accanirsi contro un pino nel parco, riducendolo in stuzzicadenti.
Al contrario, Harry era spento. Stava tracannando la quinta Burrobirra e le
rassicurazioni dei compagni rimbalzavano contro il muro della sua frustrazione.
“Harry, reagisci! Guarda me”, disse Ron, ancora in divisa, indicandosi. “Di
solito sono io ad abbattermi per le sconfitte, eppure anche io mi rendo conto
che è stata pura sfortuna!”
“Già”, aggiunse Hermione dando dei colpetti sull’avambraccio dell’amico. “Quell’oca
di Harmonya deve aver combinato qualcosa, non c’è dubbio. Hai visto come
volava? Prima sembrava solo interessata a sorvolare gli spalti per farsi
ammirare, e poi, di punto in bianco, ti ha guardato, tu sei rimasto fermo e hai
guardato per terra e lei ha preso il Boccino. Secondo me ti ha affatturato, non
sarebbe la prima volta che ti succede…”
Ron sgranò gli occhi.
“Cavoli, è vero! Se così fosse potremmo far annullare la partita!”
Harry scosse il capo.
“No”, disse con voce tetra. “Non credo sia così. Non è successo nulla di
strano, tranne…”
“Cosa?” lo incalzò Hermione, ansiosa.
Harry bevve l’ultimo sorso di Burrobirra e scosse il capo malinconico.
“Non… non credo che potrò più giocare a Quidditch…”
“Stai scherzando!” esclamò Ron a voce molto alta, balzando in piedi. “Sei il
miglior Cercatore che la squadra abbia mai avuto! Pure meglio di Charlie, ed è
tutto dire! Non puoi mollarci ora!”
“Ma io…”
“… e vuoi mettere quanto gongolerà quella checca di Malfoy? Il Prescelto che
scappa con la coda tra le gambe!”
“Ecco, veramente…”
“E la McGranitt? Andrà su tutte le furie!” aggiunse Hermione. “Lei ci tiene
tanto!”
“State zitti!” gridò Harry sbattendo la bottiglia di Burrobirra sul tavolo e
versandone un po’ tutt’attorno. “Io non posso più giocare a Quidditch! Io… ho paura!”
Nella sala scese il silenzio. Ron aveva la bocca socchiusa e le sopracciglia
quasi ingoiate dal ciuffo di capelli, mentre Hermione pareva lì lì per dire
qualcosa di logico, sensato e irritante.
Harry si alzò di scatto; solo in quel momento si accorse di essere ancora in
divisa da Quidditch, sporca e sudata.
“Vado a farmi una doccia”, disse laconico. Sgomitando fendette la piccola folla
di compagni e raggiunse il buco del ritratto. Consapevole di lasciarsi alle
spalle parecchie facce deluse e preoccupate attraversò il passaggio, lieto del
cigolio del ritratto che tornava al posto, chiudendosi.
Harry raggiunse il bagno dei Prefetti senza quasi rendersene
conto. Era tanto sovrappensiero che per un attimo faticò a ricordare la parola
d’ordine.
“Bolleblu”, sussurrò riscuotendosi.
La porta si aprì; Harry entrò a capo chino, ancora distratto. Non degnò di uno
sguardo la grande vasca rettangolare; con passi strascicati si mosse verso la
grande pila di soffici asciugamani, già intento a slacciarsi la casacca.
In quel momento, quando ancora aveva le dita sul terzo bottone, la porta
scricchiolò di nuovo.
Harry si voltò di scatto, portando istintivamente la mano alla bacchetta.
Una figura nota –fastidiosamente nota- si profilò nel vano dell’ingresso.
“Tu!” disse Harry stringendo gli occhi con astio.
Draco Malfoy, in vestaglia di seta verde, inarcò le pallide sopracciglia bionde
con un mezzo ghigno.
“Ma guarda, Potty viene a lavare l’onta della sconfitta tra soffici bolle
colorate. Fa male, vero?”
Harry mosse un passo verso di lui con i pugni serrati.
“Chiudi il becco, stronzetto, altrimenti…”
Qualcosa sul viso di Malfoy però lo fece azzittire. Forse il defluire del poco
colore dalle guance affilate, forse il dilatarsi degli occhi pallidi, o forse,
ancora, il gesto sconsolato con cui scosse il capo.
Senza pensare, Harry si voltò, levando la bacchetta.
Ciò che vide era quasi peggio di ciò che avrebbe potuto temere.
“Ciao, ragazzi”, sussurrò una voce arrochita e sensuale. Harmonya, placidamente
distesa nella vasca (ora piena di bolle rosa; Harry si chiese come non avesse
potuto notarle), con le braccia poggiate sul bordo. I capelli umidi le
scendevano in onde più scure del solito –eppure ancora dorate e
ammalianti- lungo le spalle, carezzando le graziose fossette sopra alle
clavicole e perdendosi nella schiuma che riusciva a malapena a coprire ciò che
tutti (almeno in teoria) avrebbero voluto vedere.
“Ancora tu?” esclamò Harry a voce un po’troppo alta. Poi si rese conto della
situazione e avvampò. “Ma sei nuda!”
“Certo, sciocchino, secondo te il bagno si fa vestiti?” rispose con un
risolino. Fece per alzarsi, e Harry volse risolutamente lo sguardo verso Draco,
cercando di escludere dal proprio campo visivo Harmonya che si levava dalle
acqua come la Venere di Botticelli, solo più gnocca.
Quando i due udirono il suono confortante di un asciugamano che scorreva su
quella pelle vellutata, ebbero il coraggio di voltarsi di nuovo. Draco ora non
era più pallido, ma vivacemente colorato di rosso.
“Sembra che ci sia un party qui, ed io non ho una gran voglia di partecipare”,
disse Malfoy cercando di assumere il suo solito tono annoiato; la voce però
tradiva una certa ansia di andarsene.
“Io non credo proprio”, replicò Harmonya. Lo sguardo bicromatico, magnetico e
fulgido (ma ora anche un po’algido) si fissò sul giovane Serpeverde; Draco
rimase immobile, bloccato a metà del gesto di voltarsi e andarsene.
Harry la fissò furente.
“Si può sapere cosa vuoi? Sono qui per farmi un bagno caldo, non ho voglia di
stare con nessuno!”
“Ma io sì”, sussurrò Harmonya. A passi felini raggiunse i due ragazzi,
lasciando attorno a sé un alone di quel suo profumo inconfondibile. Harry
represse un conato e Draco si portò una mano al naso.
La magnifica Tassorosso girò loro attorno sfiorando con le lunghe dita
affusolate (da pianista, ovviamente) spalle e braccia irrigidite dalla
tensione.
“Avanti, ragazzi… lasciatevi andare!” La voce di Harmonya era bassa, simile
alle fusa di una gatta. “So benissimo cosa state pensando. Conosco i vostri più
reconditi desideri… sapete, sono empatica e in minor misura telepatica, so
sempre cosa gli altri provano. Soprattutto quando i loro pensieri sono di una
simile, incandescente intensità”.
La ragazza ammiccò, posando il viso nell’incavo della spalla di Harry e
passandogli un dito lungo la nuca; Harry rabbrividì –quel dito caldo,
umido e insaponato gli faceva pensare alla lingua di un cane –e Harmonya,
ovviamente, fraintese la cosa. Gli si strusciò addosso con più enfasi,
spingendolo persino avanti di un mezzo passo.
“Non fate tanto i santerellini con me, non c’è bisogno. So che vi posso
sembrare una dolce, ingenua fanciulla”, e Draco tossì rumorosamente fissando il
soffitto, “ma credetemi, posso spiegarvi tante, tante cose della vita…”
L’ultima frase la pronunciò così vicina all’orecchio di Draco da scompigliargli
i serici capelli biondi.
“Senti, Cosa…” iniziò Draco teso.
“Harmonya Lucrezia Christancia da Montefeltro, sai…”
“… detesti che ti storpino il nome. Ok, non me ne frega niente. Dicevo… mi
spiace deluderti (ma neanche tanto), ma personalmente ho già la mia esperienza,
in fatto di sesso”.
“Ma certo”, trillò Harmonya. “So perfettamente delle sordide storielle che
girano su voi due…”
Draco rimase perplesso.
“Torbide? Veramente siamo una coppia normalissima, lei mi adora e io…”
Harmonya lo ignorò.
“Sì, sì, la Parkinson è un’ottima copertura. Voi due, ragazzi, siete così sexy
assieme. L’odio che sfocia nell’amore passando per la passione più sfrenata,
gli amplessi consumati di nascosto tra le cortine dorate e argentate dei vostri
letti, testimoni di perversione che…”
“Scusa”, la fermò educatamente Harry. “Non ho ben capito.”
“Oh, Harry, certo che sei proprio uno sciocchino per essere l’eroe del mondo
magico!” rise Harmonya cercando di infilarsi nei pantaloni del povero Harry
(che avrebbe tanto voluto alzare la bacchetta –quella di legno, non
quella metaforica, placidamente addormentata- e trasformare la molesta Tassorosso
in un fungo, ma era come paralizzato). “Parlavo di voi due, Harry Potter e
Draco Malfoy, la prova vivente che gli opposti si attraggono e a letto fanno
scintille!”
“Ehi ehi ehi, aspetta!” esplose Draco, sempre più paonazzo. “Vacci piano con
gli insulti! Passi che mi si attribuiscano tresche con la Weasley (che è
discretamente topa, quindi ci potrebbe anche stare), passi ma a fatica che si
insinui che gradisca accoppiarmi con la Granger (che è una sporca Mezzosangue,
ma almeno è donna)… ma Potter? Voglio dire… è Potter! È un maschio! E io sono
etero! Ok? E Potter lo odio, e lui odia me!”
Harry annuì con enfasi, per la prima volta in vita sua era d’accordo con
Malfoy.
Ma Harmonya non gli badò troppo.
“Draco, la metà oscura… il fuoco che si cela sotto il ghiaccio”, declamò. “Il
fascino del male incarnato in un corpo d’angelo”, aggiunse, infilando una mano
sotto la manica sinistra di Draco e sfiorandogli l’avambraccio con aria
eloquente. Il proprietario del braccio lo ritrasse con violenza.
“Che fai, tocchi? Non si tocca!” squittì Draco.
Ma Harmonya continuò.
“E Harry, la luce, la passione splendente con un’anima tormentata. Il destino
che si accanisce su uno spirito puro senza intaccarne la perfezione…”
“Senti, ora basta, ok? Ora noi due ce ne andiamo e tu ti rivesti”, balbettò
Harry cercando di rimuovere un dito di Harmonya dal proprio ombelico.
Il fruscio che seguì fece capire ad Harry che il suo consiglio non era stato
ascoltato. Impietrito guardò davanti a sé, consapevole che, al suo fianco,
Draco era altrettanto terrorizzato.
“Non credo proprio”, mormorò Harmonya. Il suo profumo era ancora più intenso e
dava quasi alla testa. “Sono qui per mostrarvi quanto sono brava in Aritmanzia
(ho preso E, ovviamente) e spiegarvi le proprietà segrete del numero tre”.
Fu a quel punto, con le curve di Harmonya premute contro varie parti del corpo,
che Draco urlò. Harry si spaventò a tal punto da imitarlo. Perfettamente
sincronizzati i due eterni rivali si lanciarono a capofitto verso la porta.
“Bolleblubollebluapritiapritiapriti!” gridò Draco graffiando la superficie.
Finalmente la maniglia scattò.
Continuando a urlare i due si lanciarono in corridoio, correndo a perdifiato in
due direzioni opposte sotto lo sguardo per una volta perplesso di Pix, che si
trovava a fluttuare lì per caso.
Dalla porta del bagno dei Prefetti emerse il profilo di Harmonya; sebbene non
ci fossero rughe sul volto di seta, negli occhi aleggiava la furia disperata di
una ragazza appena rifiutata.
Minerva McGranitt avanzava per uno dei troppi corridoi di
Hogwarts con una scatola di latta scozzese sotto braccio. Il viso affilato e
segnato dal tempo aveva un aspetto stranamente umano, soprattutto considerando
che si stava dirigendo verso la camera di Severus Piton.
Lo detestava cordialmente da quando aveva messo piede a Hogwarts oltre vent’anni
prima. Allora perché era un ragazzino unticcio e antipatico (e secondo lei
foriero di cattiva sorte), in tempi più recenti per le cattive compagnie che
aveva preso a frequentare.
Minerva lo trovava antipatico e inquietante, e questo lo sapevano tutti. Era
questo a rendere ancora più strano il gesto cortese con cui si apprestò a
bussare alla porta dell’unto collega.
La porta rimase chiusa.
L’insegnante di Trasfigurazione sbuffò e le narici fremettero. Odiava aspettare.
Bussò di nuovo. E di nuovo.
Alla fine, quando già stava per andarsene, dalla stanza emerse una voce
tremante.
“Chi… chi è? Cosa vuoi? Vai via!”
“Severus, per l’amor di Morgana, sono io, Minerva!”
Attimo di silenzio.
“Come faccio ad esserne sicuro?” proseguì Piton, allarmato.
“Credo che se tu aprissi la porta e dessi un’occhiata fuori vedresti che sono
proprio io”, rispose l’altra, irritata.
“E se fossi lei sotto Polisucco? Eh?
Come la mettiamo?”
La McGranitt sbuffò sonoramente.
“Severus, apri questa porta o la faccio saltare, sono stata chiara?”
Il tono era inequivocabile, troppo caratteristico per essere un’imitazione.
Si sentì il suono di un chiavistello tirato e la porta si socchiuse. Dal timido
spiraglio fece capolino il solito naso adunco di Piton, accompagnato da uno
sguardo assolutamente atterrito.
“Entra, svelta. Non vorrei che…”
La McGranitt non lo fece nemmeno finire: entrò senza troppi complimenti e
chiuse la porta con un tonfo.
Le ci volle un attimo per registrare l’aspetto orribile del collega: pallido,
emaciato, insolitamente vulnerabile. Piton tremava, nonostante fosse avvolto
fino al naso in un maglione molto pesante.
“Mi rincresce vederti in queste condizioni, Severus. Non è da te reagire così
alle difficoltà, e questa è solo una studentessa un po’… molesta.”
“Molesta?” gracchiò Piton con voce acuta mentre richiudeva la serratura. “Quella
è pericolosa! Accomodati, devo parlarti.”
La McGranitt obbedì, lasciandosi cadere su una poltrona un po’sfondata.
“Ti ho portato degli Zenzerotti”, disse posando la scatola su un basso
tavolino. “Sono ottimi per i momenti difficili.”
Piton prese posto sulla poltrona vicina.
“Grazie. Minerva, sai che abbiamo un problema, vero? Non prendermi in giro, la
situazione è critica”.
La professoressa annuì, e il collega proseguì.
“Sai cosa sta facendo? I miei studenti sono terrorizzati. Ieri Draco è venuto
nel mio ufficio in lacrime, dicendo di essere stato molestato sessualmente da
Harmonya eccetera eccetera”.
“Lo so”, ammise tristemente la McGranitt. “Anche Potter mi ha detto qualcosa di
simile”.
Piton stappò una bottiglia piena di un liquido ambrato e riempì due bicchieri,
che in pochi secondi furono nuovamente vuoti.
“Sempre ieri anche Zabini si è lamentato: la signorina Montefeltro ha scovato
chissà come la parola d’ordine per la Sala Comune di Serpeverde, e Blaise se l’è
trovata nel letto con indosso solo un babydoll verde. È dovuto andare in
infermeria per una violenta crisi di nervi”.
La McGranitt annuì.
“Già. Filius e Pomona mi hanno riferito di aver avuto problemi anche con i loro
studenti; a proposito, ti pregherei di smetterla di togliere punti a
Tassorosso, sono sottozero da settimane…”
Piton si prese la testa tra le mani.
“Cosa dovrei fare? Harmonya non ha un briciolo di decenza o di rispetto per i docenti,
e non oso metterla in punizione con me… hai visto come mi guarda? Io… ho paura,
Minerva, ho tanta paura!”
Suo malgrado, la donna gli dovette dar ragione.
“Sai come mi ha chiamata, Severus? Mc… McGranny (*). È inaudito, io non so
perché il Preside non prenda dei provvedimenti”.
Piton fece per riempire un altro bicchiere, poi cambiò idea e si attaccò
direttamente alla bottiglia. Dopo un lungo sorso si pulì le labbra col dorso
della mano; sembrava carico di una sinistra determinazione.
“Se Silente non agisce dobbiamo farlo noi, foss’anche solo per salvaguardare i
nostri studenti. Devono sapere a cosa vanno incontro”.
“Tu credi che…”
“Sì. Organizzeremo il prima possibile una riunione.
Dev’essere mantenuto il massimo riserbo sulla cosa, mi occuperò io di fornire
tutte le misure di sicurezza del caso”.
“E sia. Io… contatterò gli altri”.
I due professori si guardarono per un lungo istante, e per una volta decisero
di mettere da parte gli antichi rancori.
*********
(*) per i non anglofoni: McGranny sarebbe
qualcosa tipo "McNonnina"^^
Gente, mi fa davvero piacere che la storia sia
di vostro gradimento! Quando si prova qualcosa di nuovo c'è sempre la paura di
sbagliare clamorosamente^^
Quindi: grazie a tutti quanti per i commenti e
il tempo speso per leggere!
Approfitto per rispondere ad Hotaru_Tomoe:
volevi altre vittime? Eccoti un assaggino^^ Povero Piton, non potevo lasciarlo
da solo in questo pasticcio!
Alla prossima (e buon Natale a tutti, visto che il prossimo capitolo arriverà dopo :)!
dottoressa (!!) BRI