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Autore: kate95    07/04/2015    6 recensioni
Voleva trovare il responsabile, quell'uomo che uccideva fingendosi lui, incastrandolo e scatenandogli addosso l’intero corpo di polizia.
Immaginò di aver il suo arco tra le mani, di tendere la corda, la freccia in posizione, l’occhio fisso sul suo obbiettivo, le dita pronte e reattive a lasciar volare la sua arma, il battito del cuore che sentiva pulsare forte nelle orecchie, il respiro controllato per evitare anche la più piccola imprecisione.
Tutti i suoi sensi erano in allerta, capaci di percepire anche il più debole soffio di vento, il più sottile dei movimenti, tutti fruscii nell'aria intorno a lui.
Genere: Azione, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Note: Ciao! Inutile dirvi che il promo degli ultimi di cinque episodi mi ha letteralmente lasciato senza parole, aprendo mille strade per il finale di stagione e stimolando la mia fantasia malata xD perciò nell'attesa del prossimo episodio che ne dite di provare ad immaginare un finale alternativo? Se vi va, questo è quello che ho immaginato io!

Everything I did, everything that happened has led me right here.

 

Cap.1- Avete preso l’uomo sbagliato

Oliver sentiva ancora la guancia bruciare per lo schiaffo che aveva appena ricevuto dall’uomo davanti a sé.

L’uomo che per diversi  mesi aveva fatto ufficiosamente parte del suo team, quello a cui consegnava i criminali che catturava, quello che lo aveva pubblicamente definito un eroe per poi rimangiarsi le parole e condannarlo davanti a tutta Starling City.

L’uomo che aveva detto che Arrow non era altro che un assassino.

Ed erano le stesse parole che gli stava rivolgendo ora, con la differenza che non le stava dicendo al vigilante ma ad Oliver Queen.

Come se non ci fosse distinzione tra i due, come se fossero esattamente la stessa persona.

E forse era davvero così.

Oliver Queen era Arrow ed Arrow era Oliver Queen.

Ma lui non era pronto ad affrontare ciò che tutto questo implicava.

A volte era più facile fingere che fossero due entità separate, due persone sconnesse.

Oltre al capitano Lance c’era un’altra persona che continuava a ripetergli che quel confine tra Arrow ed Oliver non esisteva, la stessa persona che involontariamente lo aveva spinto in quella situazione.

Era stato il pensiero che Felicity venisse travolta da quell’assurda situazione, coinvolta nelle attività illegali del vigilante, accusata ingiustamente, a convincerlo che c’era un solo modo per mettere fine a quella storia.

Costituirsi.

Prendersi tutte le colpe, consegnarsi alla polizia e passare il resto dei suoi giorni in carcere.

Era l’unico modo per salvare lei e tutti i suoi amici.

John, Roy, Laurel, Thea e tutti coloro che lo avevano aiutato in quegli anni.

Ma non aveva pensato potesse essere così dura.

“Tommy. Tua madre. Mia figlia. E ora sei pronto ad uccidere anche Laurel” la voce di Lance tornò a riempire l’abitacolo.

Sentire i nomi di tutte le persone che aveva perso durante la sua crociata fece stare Oliver ancora più male.

Le altre parole che il capitano pronunciò contro di lui scivolarono via mentre non riusciva a smettere di pensare a quello che aveva fatto, a quante persone aveva fatto involontariamente del male.

Improvvisamente il furgoncino sobbalzò seguito dallo stridio fastidioso di freni che riempivano l’aria serale di Starling.

Le sirene delle auto della polizia iniziarono a suonare mentre un gran trambusto colse impreparato sia Oliver che Quentin.

Le porte del furgoncino si aprirono rivelando che cosa stesse accadendo in strada.

Una figura incappucciata, vestita interamente di verde, si inginocchiava sull’asfalto dichiarandosi colpevole: “Avete preso l’uomo sbagliato! Oliver Queen non è Arrow! Sono io”

E nell’istante in cui Oliver sentì quella voce il sangue gli si gelò nelle vene mentre il cappuccio si abbassava rivelando il viso di Roy.

I loro sguardi si incrociarono e per un attimo Oliver pensò che fosse un incubo, che presto si sarebbe risvegliato da quella surreale catastrofe che era la sua vita negli ultimi giorni.

Ma l’espressione stupita e arrabbiata del capitano Lance gli fece capire che era la realtà, che Roy si era appena consegnato alla polizia accusandosi di crimini che non aveva mai commesso.

E mentre decine di poliziotti lo accerchiavano per arrestarlo, il finto Arrow non staccava gli occhi da quelli di Oliver, da quelli del suo mentore.

Si sarebbe sacrificato per lui, per salvare l’eroe che aveva protetto tutti gli abitanti della città, per ringraziarlo di come aveva cambiato la sua vita dandogli uno scopo per cui valeva la pena lottare.

Roy era orgoglioso di essere suo allievo, di essere una delle armi del suo arsenale, di essere la freccia scoccata dal suo arco nel centro del bersaglio, l’arma che lo avrebbe salvato.

 

 

 

Qualche ora dopo Oliver Queen venne ufficialmente rilasciato dalla polizia di Starling City e venne accompagnato all’uscita della centrale, sotto lo sguardo contrariato del capitano.

Quentin Lance si diresse nel suo ufficio sbattendo dietro di sé la porta a vetri, sedendosi alla sua scrivania.

Era stato obbligato a liberare il signor Queen poiché Roy Harper si era proclamato colpevole, raccontando ogni missione di Arrow nei più piccoli particolari.

Dettagli che solo il vigilante poteva conoscere, o una persona strettamente vicina a lui.

Quentin sapeva che il ragazzo era coinvolto: era il braccio destro del vigilante, era l’uomo in rosso, ma non era Arrow.

Oliver Queen lo era.

Ma lui non aveva alcuna prova per dimostrarlo.

Sbuffò mentre si gettava a capofitto tra la documentazione del caso per poter trovare qualcosa di concreto che legasse Queen alle attività dell’arciere.

Da quando Ra’s al Ghul gli aveva detto chi si celasse sotto il cappuccio verde ogni tassello era andato al proprio posto, ogni avvenimento aveva preso senso, tutto combaciava perfettamente.

Poteva finalmente arrestare quell’uomo che aveva ucciso il sindaco e decine di persone nelle ultime settimane, la persona che gli aveva tenuto nascosta la verità su Sara, l’uomo davvero colpevole della sua morte. L’uomo che aveva spinto sua figlia a salire sul Queen’s Gambit, allontanandola dalla sua vita e dalla sua famiglia, obbligandola a soffrire per mesi su un’isola sconosciuta fino a farla diventare membro di una pericolosa cerchia di assassini.

Si passò le mani sul viso cercando di ingoiare quella rabbia che lo stava assalendo poi, di scatto, si alzò dalla sua poltrona diretto dall’unica persona che avrebbe potuto dargli informazioni utili.

 

 

 

 

Oliver continuava a guardarsi intorno, preoccupato che qualcuno lo stesse seguendo.

Aveva paura che la polizia lo stesse ancora pedinando, nonostante le accuse contro di lui fossero momentaneamente cadute.

Temeva di portare Lance dritto nel suo nascondiglio segreto.

Dopo essersi assicurato ancora una volta di essere solo, entrò al Verdant e attraversò la pista da ballo deserta, per poi inserire il codice sul tastierino numerico e sparire dietro la pesante porta che celava l’ingresso al covo.

Scese velocemente le scale ma senza fare rumore, trovando Felicity e Diggle intenti a guardare il notiziario sugli schermi dei computer.

La giornalista stava parlando della nuova svolta sul caso di Arrow mentre foto di Roy apparivano sui monitor, etichettandolo come il vero vigilante di Starling City.

“Che cosa diavolo pensavate di fare?” tuonò arrabbiato, spaventando i due amici che non si erano accorti della sua presenza silenziosa.

“Oliver!” la voce sorpresa di Felicity giunse alle sue orecchie mentre lei faceva ruotare la sua poltrona, fino ad incontrare gli occhi dell’uomo.

Si alzò avvicinandosi a lui: “Lance ti ha rilasciato, per fortuna”

“Per fortuna?” chiese arrabbiato “Siete tutti impazziti per caso?”

John lo guardò, l’aria seria e preoccupata.

Sapeva che Oliver si sarebbe arrabbiato una volta venuto a conoscenza del piano di Roy.

“Per favore ditemi che non ne sapevate nulla” li supplicò lui, lo sguardo stanco e afflitto “ditemi che non avete assecondato questa pazzia”

“È stata un’idea di Roy” iniziò a spiegare Dig ma venne subito interrotto.

“Un’idea molto stupida!”

“Oliver …” Felicity richiamò la sua attenzione ma lui non l’ascoltò, troppo sconvolto per quanto stava succedendo.

“Quindi eravate a conoscenza del suo piano e glielo avete lasciato fare?” domandò.

Gli sguardi dei due gli bastarono per confermare la sua ipotesi.

Non poteva crederci.

“Come avete potuto? Come avete anche solo potuto pensare che fosse un piano intelligente?”

“Oliver!” la voce della donna risuonò chiara e determinata questa volta e lui la guardò negli occhi, mentre lei si avvicinava ancora “sarà stata anche un’idea stupida ma è l’unica cosa che potevamo fare”

“Quale parte di ‘costituirmi è l’unica soluzione’ non avete capito?”

“Oliver, Roy si è sacrificato per te. Per l’eroe che c’è in te, per il bene che hai fatto e puoi ancora fare a questa città. Abbiamo cercato un modo per prendere tempo. Speravamo che consegnando Roy alla polizia come Arrow rilasciassero te. E pare abbia funzionato”

“Perché? Questo non risolve i nostri problemi! E io non lascerò che Roy marcisca in prigione per dei crimini che non ha commesso!”

“Neanche tu hai ucciso quelle persone Oliver!” lo sguardo di Felicity lo trapassò da parte a parte come la lama di una spada, mentre lei gesticolava arrabbiata “Devi smetterla di pensare che tutto ciò che accade là fuori sia colpa tua! È colpa della Lega, è colpa di Ra’s! Non tua”

Oliver fece per ribattere ma lei non lo lasciò proferir parola.

“Ora sta’ zitto e ascoltami!” perfino lei si stupì della convinzione con cui le parole le uscirono dalla bocca, senza la minima esitazione “Non sapevamo che cosa fare perciò abbiamo lasciato che Roy si fingesse te, perché in questo modo avresti potuto pensare ad un piano per rimediare a questa situazione, da uomo libero”

“Felicity, non c’è nessun piano! Pensi davvero che mi sarei consegnato alla polizia se ne avessi avuto uno? Non c’è soluzione, non possiamo risolvere questo problema!”

“L’unica cosa che non possiamo fare è arrenderci! Quindi ora troveremo un modo per uscirne e sconfiggeremo Ra’s Al Ghul, una volta per tutte”

 Lo guardò dritto negli occhi, con tutta la determinazione e la forza che aveva in corpo, sperando di riuscire a convincerlo.

“E quando lui sarà morto, tireremo Roy fuori dalla prigione” concluse senza staccare i loro sguardi.

“D’accordo”acconsentì Oliver, trovandosi con le spalle al muro “ma non possiamo lasciarlo in prigione. Prima facciamo uscire Roy, poi pensiamo a Ra’s Al Ghul”

 

 

 

 

Era seduta sul divano di casa a guardare il notiziario quando sentì bussare alla sua porta.

Suo padre era l’ultima persona che pensava di vedere quella notte.

“Laurel, posso entrare? Ho bisogno di parlarti”

Lei si scostò per farlo passare senza dire nulla.

Chiuse la porta alle sue spalle prima di rivolgergli la parola: “Che cosa vuoi papà?”

Il suo tono era distaccato e gelido, più freddo di quanto Lance si aspettasse.

“Hai saputo quello che è successo, vero?”

“L’ho appena scoperto dal telegiornale”

“Laurel” la chiamò avvicinandosi a lei “sai meglio di me che Roy non è Arrow”

Lei non rispose, si limitò a sedersi sul divano invitando suo padre a fare altrettanto.

“Sappiamo entrambi che Arrow è Oliver Queen. Ho dovuto lasciarlo andare perché la confessione di Roy Harper è accurata nei minimi dettagli e perché non ci sono abbastanza prove per condannare quel farabutto. Ma io so che quel ragazzo è l’uomo in rosso, quello che aiuta il vigilante nelle sue missioni, non il vero arciere. E lo sai anche tu”

“Che cosa vuoi da me?”

“Devi aiutarmi a catturare Oliver Queen” le disse cercando di prendere le sue mani tra le sue ma Laurel si sottrasse immediatamente a quel contatto “devi dirmi dove si nasconde, devi consegnare quell’assassino alla giustizia”

“Arrow non è un assassino. Lui è un eroe. Ed è incredibilmente triste che tu lo stia accusando senza prove di tutti quegli omicidi”

“Sono stati tutti uccisi con frecce verdi, Laurel”

“Non è stato Arrow! Non li ha uccisi lui, papà!” ribatté lei piccata, alzandosi dal divano e allontanandosi da lui “E dovresti credermi”

“Non capisci che è pericoloso?”

Anche lui si alzò in piedi mentre tentava di far ragionare la figlia: “Ti ha immischiato in questa storia rendendoti una sua complice! Mette in pericolo la tua vita ogni giorno, così come ha fatto con tua sorella! E io non gli permetterò di uccidere anche te!”

“Allora è di questo che si tratta! È di Sara che stiamo parlando” Laurel lo guardò negli occhi, sperando davvero che lui capisse “Arrow non ha ucciso Sara! Lui ha sempre cercato di proteggerla, l’ha aiutata, l’ha sostenuta. Non è morta per colpa sua”

Chiuse gli occhi, tentando di non lasciar cadere le lacrime che volevano uscire.

Ogni volta che si parlava di Sara vedeva il suo corpo senza vita precipitare giù dal tetto di quel palazzo e la rabbia le ribolliva nel sangue.

“Lui mi ha mentito! Mi ha tenuto nascosto la verità su di lei, ogni volta che mi consegnava criminali mi guardava negli occhi e mi imbrogliava! Per tutto questo tempo si è preso gioco di me, di noi!”

La voce di Quentin s’incrinò lasciando trasparire tutto il dolore per la perdita di Sara.

“Sono io quella che ti ha mentito, papà” sussurrò, troppo scossa dal dolore per riuscire a parlare più forte “sono io che avrei dovuto dirti subito che Sara era morta! Lui non doveva fare proprio nulla. Quindi se è di questo che si tratta, se è per vendicare Sara, se hai bisogno di incolpare qualcuno per affrontare il tuo dolore allora accusa me!”

“Laurel, ti prego” la supplicò “è un uomo pericoloso e va fermato. Dimmi dove si nasconde, per favore”

“Mi dispiace, papà. Non posso farlo” gli rispose, asciugandosi le poche lacrime che erano sfuggite al suo controllo.

Lui la osservò senza realmente riconoscere sua figlia. Era come se ci fosse un’estranea al suo posto, come se stesse indossando quella maschera nera e la lunga parrucca bionda.

“Lascia perdere, papà” gli consigliò “lascia a Starling City il suo eroe, ti prego”

Lui scosse la testa, contrariato, mentre si dirigeva verso la porta.

“Se non me lo dirai, allora lo scoprirò da solo. E quando avrò trovato il suo nascondiglio farò in modo che sia l’ultimo luogo che vedrà da uomo libero”

Sbatté violentemente la porta dietro di sé, mentre Laurel rimase immobile al centro della stanza, le lacrime salate che le solcavano il viso.

 

 

 

“Abbiamo un problema!” Laurel fece il suo ingresso al covo, nel suo usuale tailleur bordeaux, le scarpe con il tacco che risuonavano sul freddo pavimento.

Si stupì di trovare Oliver lì insieme ai due amici.

“Ti hanno rilasciato?” gli chiese, sollevata.

“Sì, non hanno prove che mi riconducano ad Arrow” le rispose, le braccia incrociate al petto e lo sguardo pensieroso.

“Che cos’è questa storia di Roy?” domandò, completamente all’oscuro dei fatti.

“Una trovata geniale per ingarbugliare ancora un po’ la situazione” commentò lui con evidente disappunto.

“Abbiamo un problema più grave, ora come ora” comunicò l’avvocato “Si tratta di mio padre. Non è caduto nella trappola di Roy. È fermamente convinto che Oliver sia Arrow e farà qualunque cosa per catturarlo. Mi ha supplicato di dirgli dove si nasconde e purtroppo non sono riuscita a farlo desistere dalla sua assurda caccia all’uomo. Per ora brancola nel buio ma è determinato più che mai e prima o poi la verità verrà a galla. E se scopre l’ubicazione del covo … siamo spacciati”

Oliver ascoltò in silenzio, camminando avanti e indietro, nervosamente.

“Vorrei tanto non doverlo dire ma …” Diggle ruppe il silenzio che si era venuto a creare “siamo attaccati su troppi fronti contemporaneamente e non sappiamo come gestire tutti questi problemi insieme. Dobbiamo far uscire Roy di prigione, tenere a distanza Ra’s Al Ghul e gli uomini della Lega, impedire a Lance di trovare prove contro Oliver e dio solo sa quali altri problemi ci attendono là fuori”

Felicity, Laurel e Oliver lo ascoltarono attentamente mentre ognuno di loro pensava ad un possibile soluzione.

“Dovremmo dividerci i compiti ma sarà molto dura essendo soltanto in tre” concluse sconsolato.

“Siamo quattro, John. Ma hai ragione, siamo comunque troppo pochi” lo corresse Oliver.

“No, Oliver” Felicity si voltò verso di lui “è meglio se tu non partecipi per un po’ ”

“Che cosa?” domandò lui incredulo.

“Sei appena stato accusato di essere Arrow, è meglio se non dai troppo nell’occhio in questi giorni”

“No, questo è fuori discussione. Non posso restare con le mani in mano, non posso nascondermi come un criminale”

“Oliver, non puoi andare là fuori con il tuo costume e salvare la città. Non finché Roy sarà in cella come Arrow, non finché tutta la polizia crede nella sua colpevolezza. Un arciere verde che si aggira indisturbato per le strade mentre il presunto vigilante è in prigione scatenerebbe un altro caos e il sacrificio di Roy sarà stato vano”

Felicity lo guardò, notando tutta la frustrazione e il dolore che quella situazione stava causando in lui.

“Devo parlare con Roy” annunciò Oliver “devo metterlo al corrente dei nostri piani, devo fargli sapere che non lo abbandoneremo”

“Pensi davvero che Lance ti lascerà parlare con lui?” domandò John.

“Non potrà impedirmelo quando verrà trasferito dalla centrale alla prigione”

“D’accordo ma dovrai essere molto prudente” gli ricordò Felicity “non puoi esporti o rischierai di complicare ancora di più la situazione”

“Pensate davvero di riuscire a liberare Roy?” chiese Laurel, piuttosto scettica “avrà sicuramente fornito importanti dettagli sulle missioni affinché la sua storia fosse credibile e prima o poi troveranno prove che lo colleghino alle attività del team. Sarà difficile farà cadere tutte queste accuse”

Felicity e Diggle si scambiarono un’occhiata, per poi guardare Oliver, cercando le parole giuste per dire a Laurel quali erano le loro vere intezioni.

“Io credo che quando parliamo di liberare Roy non sia …” Felicity esitò, giocando con i capelli biondi raccolti nella lunga coda di cavallo “proprio legalmente”

“Oh …” disse stupita Laurel “quindi volete farlo evadere? Come? Il carcere non è un parco divertimenti dove si può comprare un biglietto e provare tutte le giostre a vostro piacimento. Ci sono controlli, guardie, telecamere, poliziotti …”

“Io posso introdurmi nella rete del carcere e …” frenò il suo entusiasmo quando Laurel le lanciò un’occhiata poco rassicurante “disattivare le telecamere”

Fece girare la poltrona per nascondersi dallo sguardo dell’avvocato, tornando a fissare i suoi amati computer.

“E io posso introdurmi all’interno stendendo le guardie, senza preoccuparmi di essere visto e liberare Roy” disse Oliver.

“Mentre io li aspetterò all’uscita sul solito furgoncino nero, fingendomi l’addetto della lavanderia per il ritiro delle lenzuola” concluse Diggle.

“Piano geniale ma no Oliver, tu non farai irruzione nel carcere” controbatté Felicity “devi evitare di cacciarti nei guai: la polizia ti sta già abbastanza addosso così, senza aggiungere altri reati alla tua fedina penale”

“Ha ragione, Felicity” convenne Laurel “posso entrare io al tuo posto”

“Non se ne parla” la voce di Oliver risuonò forte e determinata “non ti lascerò entrare là dentro”

“Perché no? Sono migliorata molto ultimamente, sai anche tu che sarei in grado di portare a termine questo compito” rispose arrabbiata per la sua mancanza di fiducia.

“Non è per questo che non puoi andare, Laurel” Oliver si appoggiò al bordo del tavolo in metallo, al centro della stanza, mentre abbassava lo sguardo e ripensava alle parole che Lance gli aveva detto quella sera.

“Allora perché?”

“È per tuo padre” le disse “se per qualche motivo dovessero sorgere dei problemi, se venissimo scoperti, lui sarebbe il primo a venire a conoscenza del tentativo di evasione e gli si spezzerà il cuore quando capirà che sei coinvolta”

“Non devi preoccuparti di quello che penserà mio padre: già sa che ti aiuterò a nasconderti dalla polizia”

“No, non è solo questo. Ho fatto troppo male alla vostra famiglia: a te, a Sara, a tuo padre. E il discorso che mi ha fatto questa sera me l’ha fatto capire, ho realizzato quando lui abbia sofferto a causa mia”

“Questo non ha alcun senso … tu non hai …”

Oliver la interruppe prima che lei potesse finire di parlare: “Mi occuperò io di questa situazione perché è colpa mia se Roy è stato costretto a consegnarsi alla polizia. Inoltre se qualcosa dovesse andare storto lui avrà bisogno di un buon avvocato che lo tiri fuori dai guai, qualcuno che creda nella sua innocenza. E nessuno è più adatto di te per questo compito, ma se sarai coinvolta nella missione per farlo evadere non sarai più credibile e Roy passerà il resto dei suoi giorni in una cella” 

Laurel lo guardò mentre lui si allontanava dal tavolo e si avvicinava alla postazione di Felicity.

“Va bene” acconsentì lei infine “ma facciamo in modo che Roy non abbia bisogno di me”

“Felicity, ho bisogno che tu tenga d’occhio i movimenti di Lance e che mi informi di ogni sua più piccola scoperta. Lo stesso vale per te, Laurel” disse Oliver mentre si voltava verso Dig “Io e te invece ci occupiamo della Lega, dobbiamo scoprire il responsabile della morte del sindaco e di tutti gli altri”

 

 

 

L’aria pungente della notte gli solleticò il viso quando abbassò il cappuccio grigio della felpa che indossava.

Sapeva che avrebbe fatto bene a nascondersi, non farsi notare in giro per la città ma non poteva restare seduto in panchina a guardare gli altri giocare.

Aveva osservato a lungo quei palazzi dalla strada, che ora si trovava venti piani sotto di lui, in cerca di quello che godesse dalla vista migliore, della posizione ideale, della traiettoria più adatta. L’edificio da cui avrebbe potuto scoccare frecce con la maggior probabilità di centrare il bersaglio.

Era lì che si trovava in quel momento: sul tetto del palazzo da cui un uomo esperto ed allenato dalla Lega avrebbe potuto uccidere facilmente i suoi obbiettivi.

Di fronte a lui, dalla parte opposta della strada c’era il palazzo dove il sindaco era stato ucciso, nello stesso agguato in cui era stato ferito anche Ray Palmer.

Aveva bisogno di immedesimarsi nell’assassino, capire come aveva agito, quali difficoltà aveva dovuto affrontare, con quale angolazione aveva scoccato le frecce, con quale forza.

Le ricerche che avevano effettuato sulla Lega non avevano portato alcun risultato e dopo aver spedito Diggle e Felicity a casa, per riposare almeno un paio d’ore prima dell’alba, era uscito da covo per dirigersi lì, sperando che vedere la scena lo aiutasse a comprendere meglio quello che era successo.

Voleva trovare il responsabile, quell’uomo che uccideva fingendosi lui, incastrandolo e scatenandogli addosso l’intero corpo di polizia.

Immaginò di aver il suo arco tra le mani, di tendere la corda, la freccia in posizione, l’occhio fisso sul suo obbiettivo, le dita pronte e reattive a lasciar volare la sua arma, il battito del cuore che sentiva pulsare forte nelle orecchie, il respiro controllato per evitare anche la più piccola imprecisione.

Tutti i suoi sensi erano in allerta, capaci di percepire anche il più debole soffio di vento, il più sottile dei movimenti, tutti fruscii nell’aria intorno a lui.

Fu così che sentì qualcuno avvicinarsi, cautamente, alle sue spalle, convinto di non essere visto.

Oliver continuò i movimenti con le braccia, fingendo di non essersi accorto di quella presenza, facendo finta di scoccare una freccia.

Poi si voltò di scatto trovandosi di fronte ad una figura vestita di nero, un uomo che sapeva di conoscere.

“Maseo” disse, stupito di trovare proprio lui, ma al tempo stesso rincuorato.

Era l’unico membro della Lega degli Assassini con cui sapeva di poter ragionare.

“Sarab” lo corresse lui facendo scivolare giù il cappuccio, nero come la notte che li inghiottiva.

“Che cosa ci fai qui?”

“È strano detto da te, visto che dovresti essere in carcere” gli rispose avvicinandosi di qualche passo.

“Forse non ha seguito il notiziario” gli disse Oliver “dovresti aggiornarti”

“E tu dovresti nasconderti dalla polizia. Non credo che il capitano Lance sia felice di vederti girovagare libero tra le strade della sua città”

“Questo non è un tuo problema”

“Ogni cosa che ti riguarda è un mio problema. Come il fatto che tu sia qui, sul tetto di questo palazzo, a fissare il vuoto mentre fingi di scoccare frecce con un arco che non hai”

Oliver avanzò di qualche passo verso l’uomo, senza staccargli gli occhi di dosso: “Non fisso il vuoto, ma sono sicuro che tu questo lo sappia già. Sai benissimo quello che sto facendo, non è così?”

“Cerchi forse di farti ammazzare?” chiese con un sorriso beffardo sul viso.

“Il sindaco è morto. È stata assassinata da qui, con frecce verdi che hanno fatto credere alla città intera che Arrow fosse tornato ad uccidere. Ma entrambi sappiamo che è stato un uomo della Lega, una persona che eseguiva degli ordini, qualcuno manovrato come un burattino da Ra’s Al Ghul” incrociò i suoi occhi scuri, nascosti in parte da un ciuffo di capelli sfuggito al suo codino e mosso dal vento “Ora io voglio sapere chi sia questo burattino. Voglio consegnarlo alla giustizia, voglio che Ra’s Al Ghul lo veda e che capisca che nessuno può fare del male alla mia città senza pagarne le conseguenze”

“Allora fallo, Oliver. Consegnami alla polizia. Ma sappi che non ti crederà nessuno, servirà solo a renderti ancora più ridicolo davanti agli occhi di tutti”

“Tu?” Oliver non poté fare a meno di essere sorpreso. Sapeva che Maseo era cambiato dopo Hong Kong, sapeva che era diventato un assassino, ma sperava non fosse il responsabile di quella strage. Credeva ancora in lui nonostante tutto, credeva nell’uomo che aveva conosciuto, quello che era disposto a tutto pur di salvare la sua famiglia, quello che voleva solo tornare a casa in Giappone, quello che lo aveva aiutato nei mesi dopo l’isola. L’amico che l’aveva sostenuto nelle folli missioni della Waller, quello che gli aveva salvato la vita dopo il duello contro Ra’s, quello per cui aveva messo a repentaglio la propria vita per salvare Tatsu e proteggere Akio. 

"Perchè l'hai fatto? Perchè hai ucciso delle persone innocenti?" domandò arrabbiato.

"Perché così mi é stato detto di fare"

"Tu sei migliore di così, Maseo. Non sei un assassino, non uccidi innocenti solo perché qualcuno te lo ordina!"

"Forse non mi conosci poi così bene, Oliver"

Lui trattenne la rabbia che provava in quel momento, cercando di restare lucido e carpire quante più informazioni possibili.

"Perché proprio il sindaco? Perchè rischiare tanto quando potevate uccidere dei cittadini qualunque, persone più deboli ed indifese?" 

"Davvero non lo sai?" Maseo prese a camminare in tondo, mentre osservava Oliver, immobile al centro del grande spiazzo che era quel tetto "non era lei l'obbiettivo. L'ho uccisa per prima per sviare ogni sospetto, per far credere a tutti che fosse lei il bersaglio"

Oliver si voltò guardandolo mentre continuava a camminare.

"Chi?" chiese "Chi era il vero obbiettivo?"

"Ti facevo più perspicace di così. Vedi Ra's ha deciso di portarti via ogni cosa cara che ti é rimasta, a partire dalla tua cittá. E c'è qualcosa che ti sta particolarmente a cuore, qualcosa che perderai presto"

Sarab si fermò lasciando che le sue parole investissero Oliver con il loro potente significato.

"C'era qualcuno che avrebbe partecipato alla riunione del sindaco, un uomo importante. E sapevamo che lui non si sarebbe presentato da solo" spiegò guardando Oliver con i suoi penetranti occhi scuri "il suo braccio destro era l'obbiettivo, la sua adorabile assistente"

Il cuore di Oliver iniziò a battere come un tamburo impazzito mentre la paura si impossessava di lui.

"Ricordo di aver visto il suo viso spaventato attraverso la finestra, gli occhi sorpresi e impauriti dietro le lenti dei suoi occhiali"

Quelle parole ebbero su Oliver un impatto devastante. Non ebbe neanche il tempo di percepire la rabbia che lo assaliva che giá si era scagliato contro Sarab, spingendolo contro il cornicione del palazzo.

I suoi occhi erano colmi d'ira e il terrore stava prendendo il sopravvento, mischiato ad un irrefrenabile istinto omicida.

Bloccò l'uomo con il peso del suo corpo, il braccio che premeva sul collo di Maseo stringendo la presa ogni istante di più.

"Non osare!" urlò in preda a quella collera che non aveva intenzione di controllare "non provare neanche a toccarla o giuro che ..."

La voce di Maseo risuonò strozzata dal momento che Oliver premeva con forza sulla sua gola: "Che cosa, Oliver? Mi ucciderai? Non sei poi così diverso dall'assasino che giuri di non essere"

Oliver allentò leggermente la morsa in cui lo teneva bloccato senza però lasciarlo andare, mentre il pensiero di quello che sarebbe potuto succedere lo stava logorando.

"É stato un peccato che Palmer si sia gettato per salvarla, prendendosi una freccia al suo posto" commentò il giapponese.

Oliver non poteva credere alle sue orecchie: non c'era più un briciolo di umanitá in quello che un tempo era stato suo alleato.

"Dannazione, Maseo! Perché lo hai fatto? Eri mio amico, io mi fidavo di te!" gli urló contro tutta la sua frustrazione, l'odio e la rabbia che provava nei suoi confronti in quel momento "ho sempre avuto fiducia in te, anche quando sei entrato a far parte di quella setta assassina! Mi hai salvato la vita dopo il duello contro Ra's, mi hai aiutato a fuggire dalla Lega. Perché mi fai questo ora?"

Lui non rispose subito, si limitò ad osservare tutto il dolore che stava distruggendo Oliver Queen, quella rabbia che avrebbe sgretolato la sua vita frantumandola in mille pezzi.

“Perché quando Felicity morirà, non ti rimarrà più nulla, nulla per cui vale la pena vivere. E allora l’unica cosa che resterà nella tua vita sarà la sua proposta. Diventerai l’erede del Demone”

“Non lo farò mai!” gli sputò quelle parole addosso, con tutta la rabbia e la disapprovazione che provava “Potevi fare di tutto ma non provare a fare del male a lei! É come se io avessi tentato di uccidere Tatsu"

Il nome della donna ebbe uno strano effetto su Maseo anche se lui cercò di nasconderlo.

Ma Oliver sapeva che nonostante tutto lui teneva ancora molto a sua moglie, sapeva che lei rappresentava ancora una parte importante della sua vita.

“Lascia Felicity fuori da questa storia! Non provare neanche a toccarla" Oliver lo strattonò nuovamente con forza, ribadendo il concetto.

“Allora è proprio vero” commentò guardandolo negli occhi “non ne ero così convinto quando Ra’s me ne ha parlato”

“Convinto di cosa?”

“Che lei contasse davvero qualcosa per te. È molto più importante di quando credessi”

“Ra’s vuole me!” urlò con forza “Lei non c’entra. Se in te è rimasto ancora un po’ dell’uomo che ho conosciuto, se tutto quello che abbiamo passato insieme ad Hong Kong ha significato qualcosa, se sei mai stato davvero mio amico, allora lasciala in pace. È l’ultimo favore che ti chiedo”

“Perché dovrei?”

“Perché la amo” sussurrò quelle parole mentre sentiva le lacrime inumidirgli gli occhi “e non c’è nulla che conti più di lei, al mondo”

Non riusciva nemmeno a spiegare quel dolore che gli straziava il cuore in quel momento, che esplodeva come una bomba nel petto, dilaniandolo, distruggendo ogni cosa che trovava sul suo cammino.

“Ti supplico, Maseo" ricacciò indietro le lacrime mentre il vento freddo della sera gli sferzava il viso.

"Maseo non esiste più! L'amico che conosci é morto tre anni fa, in quel maledetto giorno ad Hong Kong!" gli rispose mentre un lampo di rabbia attraversava i suoi occhi neri come la pece "esiste solo Sarab, adesso"

"Non possono vivere due persone in un solo uomo. Me lo hai detto tu, Maseo" gli ricordò.

"Ironico detto da te che sei contemporaneamente Oliver Queen e Arrow"

"Oliver Queen ed Arrow sono la stessa persona" dirlo ad alta voce stupì perfino sé stesso ma sapeva che era la veritá.

Ci era voluto un po’ di tempo affinché lui lo capisse ma ora ne era consapevole: non c'era alcuna distinzione tra lui e il vigilante.

"E anche Maseo e Sarab sono la stessa persona, quella che ho conosciuto in Cina, quella disposta a tutto pur di salvare la sua famiglia. E io credo ancora in quell'uomo" disse liberandolo dalla sua stretta.

Si allontanò da lui, diretto verso la scala che conduceva fin lì.

"Te ne vai così? Non mi uccidi, Oliver? Non mi consegni alla giustizia?” gli chiese, in parte stupito dal suo comportamento.

Oliver si voltò, tornando sui suoi passi: “Ho fatto delle ricerche prima di venire qui. Volevo scoprire chi fosse il responsabile dell’omicidio del sindaco e sai che cosa ho trovato?”

Si fermò in attesa di una risposta da parte dell’uomo di fronte a lui ma tra loro calò il silenzio.

“Nulla” spiegò dopo qualche istante “credi davvero che sia così stupido da credere di averti trovato qui per caso? Sapevi che stavo venendo qui, Ra’s lo sapeva, e ti ha mandato lui da me. Quindi no Maseo, non ti ucciderò. Non ti farò arrestare perché sono sicuro che

questo è ciò che vorrebbe lui e significherebbe fare il suo gioco. E io non ho intenzione di assecondare i suoi folli progetti”

Lo guardò negli occhi per un istante per poi tirare su il cappuccio della felpa e allontanarsi da lui, sparendo giù nella tromba delle scale.

 

 

 

Si ritrovò al covo meno di mezz’ora più tardi.

Sentiva la stanchezza impossessarsi di lui, rallentare i suoi movimenti e affaticare i suoi muscoli. Ma sapeva che quando avrebbe chiuso gli occhi mille pensieri avrebbero affollato la sua mente, decine di problemi senza soluzione lo avrebbero tormentato impedendogli di risposare.

Si stupì quando, entrando, notò una donna dai lunghi capelli biondi seduta alla sua solita postazione.

Si accorse che erano quasi le cinque del mattino: aveva trascorso molto più tempo sul tetto di quel palazzo di quanto pensasse.

Ma non riusciva comunque a spiegarsi la sua presenza lì.

“Felicity” la chiamò mentre scendeva le scale, improvvisamente attratto dalla sua figura snella che si alzava dalla poltrona.

“Oliver” la sua voce risuonò melodiosa alle orecchie dell’uomo, come la più dolce delle sinfonie.

E in fondo non gli importava perché fosse lì invece di essere a casa a riposare, l’unica cosa che contava era che lei fosse reale, davanti ai suoi occhi, sana e salva.

Il solo pensiero di quello che Maseo le avrebbe potuto fare lo uccideva, sapere che lei era in pericolo e lui non era lì per proteggerla lo mandava letteralmente fuori di testa.

Non avrebbe mai pensato di dover ringraziare Palmer ma ora si sentiva in debito con lui, per quello che aveva fatto.

Scese gli ultimi scalini di corsa avvicinandosi a Felicity a grandi passi.

Notò l’espressione stupida della donna nel vederlo avanzare determinato verso di lei mentre rimaneva immobile, in attesa della sua mossa.

Incrociò i loro sguardi e senza staccare gli occhi da quelli di lei colmò quell’insignificante metro che ancora li divideva.

L’accolse con foga tra le sue braccia, cingendole la schiena.

L’abbracciò tenendola stretta a sé, beandosi di quel contatto e respirando a fondo il suo profumo.

Felicity rimase stupita da quel gesto inaspettato e le ci vollero un paio di secondi per riuscire a reagire e contraccambiare.

Non sapeva che cosa stava succedendo ma il contatto con il corpo caldo di Oliver fu molto più piacevole di quanto potesse immaginare.

Passò le sue braccia intorno alle spalle possenti del suo eroe, stringendolo a sua volta.

“Va tutto bene, Oliver?” gli chiese mentre sentiva il suo viso posarsi delicatamente sulla propria spalla.

Tremò quando il respiro di Oliver s’infranse sulla pelle sensibile del collo, per rispondere alla sua domanda: “Fino a quando tu sarai qui con me, Felicity, allora sì …. Andrà tutto bene”

La sua voce ridotta a poco più di un sussurro le fece venire la pelle d’oca mentre tentava di capire che cosa gli fosse successo di così grave da spingerlo ad abbracciarla stretta, aggrappandosi a lei come se fosse l’unico appiglio per non farsi trascinare via dalla corrente.

“Oliver” lo chiamò ancora sciogliendo l’abbraccio per poter vedere il suo viso “che cosa ti è successo?”

Nello stesso istante in cui incrociò i suoi occhi azzurri capì che c’era qualcosa che non andava, qualcosa che lo aveva profondamente scosso.

C’era una grande tristezza nel suo sguardo, gli occhi umidi da quelle sembravano minuscole lacrime, pronte ad uscire.

Felicity non si ricordava di aver mai visto Oliver piangere.

Nessuno riusciva a fargli perdere il controllo sulle sue emozioni, nessuno riusciva a distruggere quel grande autocontrollo che lo faceva apparire forte, imperturbabile e, alle volte, poco umano.

Lui non rispose subito, si limitò a perdersi nei suoi occhi, celati in parte dagli occhiali, mentre le sfiorava il viso in una carezza impercettibile.

Fu come il più leggero dei soffi di vento ma Felicity tremò, la pelle rosea delle guance scossa da un leggero brivido.

Lui non poteva starle così vicino, accarezzarla con naturalezza come se fosse il più normale dei gesti, guardarla con quegli occhi azzurro cielo e pretendere che lei rimanesse impassibile, come se non fosse successo nulla.

Non poteva chiederle di restare distaccata, di non provare emozioni, di impedire al suo cuore di iniziare a battere come un tamburo.

Sostenne il suo sguardo e attese fino a che lui si sentisse pronto a raccontale quanto gli era accaduto.

Passò qualche istante, che a Felicity parve durare un’eternità, poi Oliver prese un lungo respiro e parlò.

 

 

   
 
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