Note:
Everything I did, everything that
happened has led me right here.
Cap.1- Avete preso l’uomo sbagliato
Oliver
sentiva ancora la guancia bruciare per lo schiaffo che aveva appena
ricevuto
dall’uomo davanti a sé.
L’uomo
che per diversi mesi
aveva fatto
ufficiosamente parte del suo team, quello a cui consegnava i criminali
che
catturava, quello che lo aveva pubblicamente definito un eroe per poi
rimangiarsi le parole e condannarlo davanti a tutta Starling City.
L’uomo
che aveva detto che Arrow non era altro che un assassino.
Ed
erano le stesse parole che gli stava rivolgendo ora, con la differenza
che non
le stava dicendo al vigilante ma ad Oliver Queen.
Come
se non ci fosse distinzione tra i due, come se fossero esattamente la
stessa
persona.
E
forse era davvero così.
Oliver
Queen era Arrow ed Arrow era Oliver Queen.
Ma
lui non era pronto ad affrontare ciò che tutto questo
implicava.
A
volte era più facile fingere che fossero due
entità separate, due persone
sconnesse.
Oltre
al capitano Lance c’era un’altra persona che
continuava a ripetergli che quel
confine tra Arrow ed Oliver non esisteva, la stessa persona che
involontariamente lo aveva spinto in quella situazione.
Era
stato il pensiero che Felicity venisse travolta da
quell’assurda situazione,
coinvolta nelle attività illegali del vigilante, accusata
ingiustamente, a
convincerlo che c’era un solo modo per mettere fine a quella
storia.
Costituirsi.
Prendersi
tutte le colpe, consegnarsi alla polizia e passare il resto dei suoi
giorni in
carcere.
Era
l’unico modo per salvare lei e tutti i suoi amici.
John,
Roy, Laurel, Thea e tutti coloro che lo avevano aiutato in quegli anni.
Ma
non aveva pensato potesse essere così dura.
“Tommy.
Tua madre. Mia figlia. E ora sei pronto ad uccidere anche
Laurel” la voce di
Lance tornò a riempire l’abitacolo.
Sentire
i nomi di tutte le persone che aveva perso durante la sua crociata fece
stare
Oliver ancora più male.
Le
altre parole che il capitano pronunciò contro di lui
scivolarono via mentre non
riusciva a smettere di pensare a quello che aveva fatto, a quante
persone aveva
fatto involontariamente del male.
Improvvisamente
il furgoncino sobbalzò seguito dallo stridio fastidioso di
freni che riempivano
l’aria serale di Starling.
Le
sirene delle auto della polizia iniziarono a suonare mentre un gran
trambusto
colse impreparato sia Oliver che Quentin.
Le
porte del furgoncino si aprirono rivelando che cosa stesse accadendo in
strada.
Una
figura incappucciata, vestita interamente di verde, si inginocchiava
sull’asfalto dichiarandosi colpevole: “Avete preso
l’uomo sbagliato! Oliver
Queen non è Arrow! Sono io”
E
nell’istante in cui Oliver sentì quella voce il
sangue gli si gelò nelle vene
mentre il cappuccio si abbassava rivelando il viso di Roy.
I
loro sguardi si incrociarono e per un attimo Oliver pensò
che fosse un incubo,
che presto si sarebbe risvegliato da quella surreale catastrofe che era
la sua
vita negli ultimi giorni.
Ma
l’espressione stupita e arrabbiata del capitano Lance gli
fece capire che era
la realtà, che Roy si era appena consegnato alla polizia
accusandosi di crimini
che non aveva mai commesso.
E
mentre decine di poliziotti lo accerchiavano per arrestarlo, il finto
Arrow non
staccava gli occhi da quelli di Oliver, da quelli del suo mentore.
Si
sarebbe sacrificato per lui, per salvare l’eroe che aveva
protetto tutti gli
abitanti della città, per ringraziarlo di come aveva
cambiato la sua vita
dandogli uno scopo per cui valeva la pena lottare.
Roy
era orgoglioso di essere suo allievo, di essere una delle armi del suo
arsenale,
di essere la freccia scoccata dal suo arco nel centro del bersaglio,
l’arma che
lo avrebbe salvato.
Qualche
ora dopo Oliver Queen venne ufficialmente rilasciato dalla polizia di
Starling
City e venne accompagnato all’uscita della centrale, sotto lo
sguardo contrariato
del capitano.
Quentin
Lance si diresse nel suo ufficio sbattendo dietro di sé la
porta a vetri,
sedendosi alla sua scrivania.
Era
stato obbligato a liberare il signor Queen poiché Roy Harper
si era proclamato
colpevole, raccontando ogni missione di Arrow nei più
piccoli particolari.
Dettagli
che solo il vigilante poteva conoscere, o una persona strettamente
vicina a
lui.
Quentin
sapeva che il ragazzo era coinvolto: era il braccio destro del
vigilante, era
l’uomo in rosso, ma non era Arrow.
Oliver
Queen lo era.
Ma
lui non aveva alcuna prova per dimostrarlo.
Sbuffò
mentre si gettava a capofitto tra la documentazione del caso per poter
trovare
qualcosa di concreto che legasse Queen alle attività
dell’arciere.
Da
quando Ra’s al Ghul gli aveva detto chi si celasse sotto il
cappuccio verde
ogni tassello era andato al proprio posto, ogni avvenimento aveva preso
senso,
tutto combaciava perfettamente.
Poteva
finalmente arrestare quell’uomo che aveva ucciso il sindaco e
decine di persone
nelle ultime settimane, la persona che gli aveva tenuto nascosta la
verità su
Sara, l’uomo davvero colpevole della sua morte.
L’uomo che aveva spinto sua
figlia a salire sul Queen’s Gambit, allontanandola dalla sua
vita e dalla sua
famiglia, obbligandola a soffrire per mesi su un’isola
sconosciuta fino a farla
diventare membro di una pericolosa cerchia di assassini.
Si
passò le mani sul viso cercando di ingoiare quella rabbia
che lo stava
assalendo poi, di scatto, si alzò dalla sua poltrona diretto
dall’unica persona
che avrebbe potuto dargli informazioni utili.
Oliver
continuava a guardarsi intorno, preoccupato che qualcuno lo stesse
seguendo.
Aveva
paura che la polizia lo stesse ancora pedinando, nonostante le accuse
contro di
lui fossero momentaneamente cadute.
Temeva
di portare Lance dritto nel suo nascondiglio segreto.
Dopo
essersi assicurato ancora una volta di essere solo, entrò al
Verdant e
attraversò la pista da ballo deserta, per poi inserire il
codice sul tastierino
numerico e sparire dietro la pesante porta che celava
l’ingresso al covo.
Scese
velocemente le scale ma senza fare rumore, trovando Felicity e Diggle
intenti a
guardare il notiziario sugli schermi dei computer.
La
giornalista stava parlando della nuova svolta sul caso di Arrow mentre
foto di
Roy apparivano sui monitor, etichettandolo come il vero vigilante di
Starling
City.
“Che
cosa diavolo pensavate di fare?” tuonò arrabbiato,
spaventando i due amici che
non si erano accorti della sua presenza silenziosa.
“Oliver!”
la voce sorpresa di Felicity giunse alle sue orecchie mentre lei faceva
ruotare
la sua poltrona, fino ad incontrare gli occhi dell’uomo.
Si
alzò avvicinandosi a lui: “Lance ti ha rilasciato,
per fortuna”
“Per
fortuna?” chiese arrabbiato “Siete tutti impazziti
per caso?”
John
lo guardò, l’aria seria e preoccupata.
Sapeva
che Oliver si sarebbe arrabbiato una volta venuto a conoscenza del
piano di
Roy.
“Per
favore ditemi che non ne sapevate nulla” li
supplicò lui, lo sguardo stanco e
afflitto “ditemi che non avete assecondato questa
pazzia”
“È
stata un’idea di Roy” iniziò a spiegare
Dig ma venne subito interrotto.
“Un’idea
molto stupida!”
“Oliver
…” Felicity richiamò la sua attenzione
ma lui non l’ascoltò, troppo sconvolto
per quanto stava succedendo.
“Quindi
eravate a conoscenza del suo piano e glielo avete lasciato
fare?” domandò.
Gli
sguardi dei due gli bastarono per confermare la sua ipotesi.
Non
poteva crederci.
“Come
avete potuto? Come avete anche solo potuto pensare che fosse un piano
intelligente?”
“Oliver!”
la voce della donna risuonò chiara e determinata questa
volta e lui la guardò
negli occhi, mentre lei si avvicinava ancora “sarà
stata anche un’idea stupida
ma è l’unica cosa che potevamo fare”
“Quale
parte di ‘costituirmi è l’unica
soluzione’ non avete capito?”
“Oliver,
Roy si è sacrificato per te. Per l’eroe che
c’è in te, per il bene che hai
fatto e puoi ancora fare a questa città. Abbiamo cercato un
modo per prendere
tempo. Speravamo che consegnando Roy alla polizia come Arrow
rilasciassero te.
E pare abbia funzionato”
“Perché?
Questo non risolve i nostri problemi! E io non lascerò che
Roy marcisca in
prigione per dei crimini che non ha commesso!”
“Neanche
tu hai ucciso quelle persone Oliver!” lo sguardo di Felicity
lo trapassò da
parte a parte come la lama di una spada, mentre lei gesticolava
arrabbiata
“Devi smetterla di pensare che tutto ciò che
accade là fuori sia colpa tua! È
colpa della Lega, è colpa di Ra’s! Non
tua”
Oliver
fece per ribattere ma lei non lo lasciò proferir parola.
“Ora
sta’ zitto e ascoltami!” perfino lei si
stupì della convinzione con cui le
parole le uscirono dalla bocca, senza la minima esitazione
“Non sapevamo che
cosa fare perciò abbiamo lasciato che Roy si fingesse te,
perché in questo modo
avresti potuto pensare ad un piano per rimediare a questa situazione,
da uomo
libero”
“Felicity,
non c’è nessun piano! Pensi davvero che mi sarei
consegnato alla polizia se ne
avessi avuto uno? Non c’è soluzione, non possiamo
risolvere questo problema!”
“L’unica
cosa che non possiamo fare è arrenderci! Quindi ora
troveremo un modo per
uscirne e sconfiggeremo Ra’s Al Ghul, una volta per
tutte”
Lo
guardò dritto negli occhi, con tutta la
determinazione e la forza che aveva in corpo, sperando di riuscire a
convincerlo.
“E
quando lui sarà morto, tireremo Roy fuori dalla
prigione” concluse senza
staccare i loro sguardi.
“D’accordo”acconsentì
Oliver, trovandosi con le spalle al muro “ma non possiamo
lasciarlo in
prigione. Prima facciamo uscire Roy, poi pensiamo a Ra’s Al
Ghul”
Era
seduta sul divano di casa a guardare il notiziario quando
sentì bussare alla
sua porta.
Suo
padre era l’ultima persona che pensava di vedere quella notte.
“Laurel,
posso entrare? Ho bisogno di parlarti”
Lei
si scostò per farlo passare senza dire nulla.
Chiuse
la porta alle sue spalle prima di rivolgergli la parola: “Che
cosa vuoi papà?”
Il
suo tono era distaccato e gelido, più freddo di quanto Lance
si aspettasse.
“Hai
saputo quello che è successo, vero?”
“L’ho
appena scoperto dal telegiornale”
“Laurel”
la chiamò avvicinandosi a lei “sai meglio di me
che Roy non è Arrow”
Lei
non rispose, si limitò a sedersi sul divano invitando suo
padre a fare
altrettanto.
“Sappiamo
entrambi che Arrow è Oliver Queen. Ho dovuto lasciarlo
andare perché la
confessione di Roy Harper è accurata nei minimi dettagli e
perché non ci sono
abbastanza prove per condannare quel farabutto. Ma io so che quel
ragazzo è
l’uomo in rosso, quello che aiuta il vigilante nelle sue
missioni, non il vero
arciere. E lo sai anche tu”
“Che
cosa vuoi da me?”
“Devi
aiutarmi a catturare Oliver Queen” le disse cercando di
prendere le sue mani
tra le sue ma Laurel si sottrasse immediatamente a quel contatto
“devi dirmi
dove si nasconde, devi consegnare quell’assassino alla
giustizia”
“Arrow
non è un assassino. Lui è un eroe. Ed
è incredibilmente triste che tu lo stia
accusando senza prove di tutti quegli omicidi”
“Sono
stati tutti uccisi con frecce verdi, Laurel”
“Non
è stato Arrow! Non li ha uccisi lui,
papà!” ribatté lei piccata, alzandosi
dal
divano e allontanandosi da lui “E dovresti credermi”
“Non
capisci che è pericoloso?”
Anche
lui si alzò in piedi mentre tentava di far ragionare la
figlia: “Ti ha
immischiato in questa storia rendendoti una sua complice! Mette in
pericolo la
tua vita ogni giorno, così come ha fatto con tua sorella! E
io non gli
permetterò di uccidere anche te!”
“Allora
è di questo che si tratta! È di Sara che stiamo
parlando” Laurel lo guardò
negli occhi, sperando davvero che lui capisse “Arrow non ha
ucciso Sara! Lui ha
sempre cercato di proteggerla, l’ha aiutata, l’ha
sostenuta. Non è morta per
colpa sua”
Chiuse
gli occhi, tentando di non lasciar cadere le lacrime che volevano
uscire.
Ogni
volta che si parlava di Sara vedeva il suo corpo senza vita precipitare
giù dal
tetto di quel palazzo e la rabbia le ribolliva nel sangue.
“Lui
mi ha mentito! Mi ha tenuto nascosto la verità su di lei,
ogni volta che mi
consegnava criminali mi guardava negli occhi e mi imbrogliava! Per
tutto questo
tempo si è preso gioco di me, di noi!”
La
voce di Quentin s’incrinò lasciando trasparire
tutto il dolore per la perdita
di Sara.
“Sono
io quella che ti ha mentito, papà”
sussurrò, troppo scossa dal dolore per
riuscire a parlare più forte “sono io che avrei
dovuto dirti subito che Sara
era morta! Lui non doveva fare proprio nulla. Quindi se è di
questo che si
tratta, se è per vendicare Sara, se hai bisogno di incolpare
qualcuno per
affrontare il tuo dolore allora accusa me!”
“Laurel,
ti prego” la supplicò “è un
uomo pericoloso e va fermato. Dimmi dove si
nasconde, per favore”
“Mi
dispiace, papà. Non posso farlo” gli rispose,
asciugandosi le poche lacrime che
erano sfuggite al suo controllo.
Lui
la osservò senza realmente riconoscere sua figlia. Era come
se ci fosse
un’estranea al suo posto, come se stesse indossando quella
maschera nera e la
lunga parrucca bionda.
“Lascia
perdere, papà” gli consigliò
“lascia a Starling City il suo eroe, ti prego”
Lui
scosse la testa, contrariato, mentre si dirigeva verso la porta.
“Se
non me lo dirai, allora lo scoprirò da solo. E quando
avrò trovato il suo nascondiglio
farò in modo che sia l’ultimo luogo che
vedrà da uomo libero”
Sbatté
violentemente la porta dietro di sé, mentre Laurel rimase
immobile al centro
della stanza, le lacrime salate che le solcavano il viso.
“Abbiamo
un problema!” Laurel fece il suo ingresso al covo, nel suo
usuale tailleur
bordeaux, le scarpe con il tacco che risuonavano sul freddo pavimento.
Si
stupì di trovare Oliver lì insieme ai due amici.
“Ti
hanno rilasciato?” gli chiese, sollevata.
“Sì,
non hanno prove che mi riconducano ad Arrow” le rispose, le
braccia incrociate
al petto e lo sguardo pensieroso.
“Che
cos’è questa storia di Roy?”
domandò, completamente all’oscuro dei fatti.
“Una
trovata geniale per ingarbugliare ancora un po’ la
situazione” commentò lui con
evidente disappunto.
“Abbiamo
un problema più grave, ora come ora”
comunicò l’avvocato “Si tratta di mio
padre. Non è caduto nella trappola di Roy. È
fermamente convinto che Oliver sia
Arrow e farà qualunque cosa per catturarlo. Mi ha supplicato
di dirgli dove si
nasconde e purtroppo non sono riuscita a farlo desistere dalla sua
assurda
caccia all’uomo. Per ora brancola nel buio ma è
determinato più che mai e prima
o poi la verità verrà a galla. E se scopre
l’ubicazione del covo … siamo
spacciati”
Oliver
ascoltò in silenzio, camminando avanti e indietro,
nervosamente.
“Vorrei
tanto non doverlo dire ma …” Diggle ruppe il
silenzio che si era venuto a
creare “siamo attaccati su troppi fronti contemporaneamente e
non sappiamo come
gestire tutti questi problemi insieme. Dobbiamo far uscire Roy di
prigione,
tenere a distanza Ra’s Al Ghul e gli uomini della Lega,
impedire a Lance di
trovare prove contro Oliver e dio solo sa quali altri problemi ci
attendono là
fuori”
Felicity,
Laurel e Oliver lo ascoltarono attentamente mentre ognuno di loro
pensava ad un
possibile soluzione.
“Dovremmo
dividerci i compiti ma sarà molto dura essendo soltanto in
tre” concluse
sconsolato.
“Siamo
quattro, John. Ma hai ragione, siamo comunque troppo pochi”
lo corresse Oliver.
“No,
Oliver” Felicity si voltò verso di lui
“è meglio se tu non partecipi per un po’
”
“Che
cosa?” domandò lui incredulo.
“Sei
appena stato accusato di essere Arrow, è meglio se non dai
troppo nell’occhio
in questi giorni”
“No,
questo è fuori discussione. Non posso restare con le mani in
mano, non posso
nascondermi come un criminale”
“Oliver,
non puoi andare là fuori con il tuo costume e salvare la
città. Non finché Roy
sarà in cella come Arrow, non finché tutta la
polizia crede nella sua
colpevolezza. Un arciere verde che si aggira indisturbato per le strade
mentre
il presunto vigilante è in prigione scatenerebbe un altro
caos e il sacrificio
di Roy sarà stato vano”
Felicity
lo guardò, notando tutta la frustrazione e il dolore che
quella situazione
stava causando in lui.
“Devo
parlare con Roy” annunciò Oliver “devo
metterlo al corrente dei nostri piani,
devo fargli sapere che non lo abbandoneremo”
“Pensi
davvero che Lance ti lascerà parlare con lui?”
domandò John.
“Non
potrà impedirmelo quando verrà trasferito dalla
centrale alla prigione”
“D’accordo
ma dovrai essere molto prudente” gli ricordò
Felicity “non puoi esporti o
rischierai di complicare ancora di più la
situazione”
“Pensate
davvero di riuscire a liberare Roy?” chiese Laurel, piuttosto
scettica “avrà
sicuramente fornito importanti dettagli sulle missioni
affinché la sua storia
fosse credibile e prima o poi troveranno prove che lo colleghino alle
attività
del team. Sarà difficile farà cadere tutte queste
accuse”
Felicity
e Diggle si scambiarono un’occhiata, per poi guardare Oliver,
cercando le
parole giuste per dire a Laurel quali erano le loro vere intezioni.
“Io
credo che quando parliamo di liberare Roy non sia
…” Felicity esitò, giocando
con i capelli biondi raccolti nella lunga coda di cavallo
“proprio legalmente”
“Oh
…” disse stupita Laurel “quindi volete
farlo evadere? Come? Il carcere non è un
parco divertimenti dove si può comprare un biglietto e
provare tutte le giostre
a vostro piacimento. Ci sono controlli, guardie, telecamere, poliziotti
…”
“Io
posso introdurmi nella rete del carcere e …”
frenò il suo entusiasmo quando
Laurel le lanciò un’occhiata poco rassicurante
“disattivare le telecamere”
Fece
girare la poltrona per nascondersi dallo sguardo
dell’avvocato, tornando a
fissare i suoi amati computer.
“E
io posso introdurmi all’interno stendendo le guardie, senza
preoccuparmi di
essere visto e liberare Roy” disse Oliver.
“Mentre
io li aspetterò all’uscita sul solito furgoncino
nero, fingendomi l’addetto
della lavanderia per il ritiro delle lenzuola” concluse
Diggle.
“Piano
geniale ma no Oliver, tu non farai irruzione nel carcere”
controbatté Felicity
“devi evitare di cacciarti nei guai: la polizia ti sta
già abbastanza addosso
così, senza aggiungere altri reati alla tua fedina
penale”
“Ha
ragione, Felicity” convenne Laurel “posso entrare
io al tuo posto”
“Non
se ne parla” la voce di Oliver risuonò forte e
determinata “non ti lascerò
entrare là dentro”
“Perché
no? Sono migliorata molto ultimamente, sai anche tu che sarei in grado
di
portare a termine questo compito” rispose arrabbiata per la
sua mancanza di
fiducia.
“Non
è per questo che non puoi andare, Laurel” Oliver
si appoggiò al bordo del
tavolo in metallo, al centro della stanza, mentre abbassava lo sguardo
e
ripensava alle parole che Lance gli aveva detto quella sera.
“Allora
perché?”
“È
per tuo padre” le disse “se per qualche motivo
dovessero sorgere dei problemi,
se venissimo scoperti, lui sarebbe il primo a venire a conoscenza del
tentativo
di evasione e gli si spezzerà il cuore quando
capirà che sei coinvolta”
“Non
devi preoccuparti di quello che penserà mio padre:
già sa che ti aiuterò a
nasconderti dalla polizia”
“No,
non è solo questo. Ho fatto troppo male alla vostra
famiglia: a te, a Sara, a
tuo padre. E il discorso che mi ha fatto questa sera me l’ha
fatto capire, ho
realizzato quando lui abbia sofferto a causa mia”
“Questo
non ha alcun senso … tu non hai …”
Oliver
la interruppe prima che lei potesse finire di parlare: “Mi
occuperò io di
questa situazione perché è colpa mia se Roy
è stato costretto a consegnarsi
alla polizia. Inoltre se qualcosa dovesse andare storto lui
avrà bisogno di un
buon avvocato che lo tiri fuori dai guai, qualcuno che creda nella sua
innocenza. E nessuno è più adatto di te per
questo compito, ma se sarai
coinvolta nella missione per farlo evadere non sarai più
credibile e Roy
passerà il resto dei suoi giorni in una cella”
Laurel
lo guardò mentre lui si allontanava dal tavolo e si
avvicinava alla postazione
di Felicity.
“Va
bene” acconsentì lei infine “ma facciamo
in modo che Roy non abbia bisogno di
me”
“Felicity,
ho bisogno che tu tenga d’occhio i movimenti di Lance e che
mi informi di ogni
sua più piccola scoperta. Lo stesso vale per te,
Laurel” disse Oliver mentre si
voltava verso Dig “Io e te invece ci occupiamo della Lega,
dobbiamo scoprire il
responsabile della morte del sindaco e di tutti gli altri”
L’aria
pungente della notte gli solleticò il viso quando
abbassò il cappuccio grigio
della felpa che indossava.
Sapeva
che avrebbe fatto bene a nascondersi, non farsi notare in giro per la
città ma
non poteva restare seduto in panchina a guardare gli altri giocare.
Aveva
osservato a lungo quei palazzi dalla strada, che ora si trovava venti
piani
sotto di lui, in cerca di quello che godesse dalla vista migliore,
della
posizione ideale, della traiettoria più adatta.
L’edificio da cui avrebbe
potuto scoccare frecce con la maggior probabilità di
centrare il bersaglio.
Era
lì che si trovava in quel momento: sul tetto del palazzo da
cui un uomo esperto
ed allenato dalla Lega avrebbe potuto uccidere facilmente i suoi
obbiettivi.
Di
fronte a lui, dalla parte opposta della strada c’era il
palazzo dove il sindaco
era stato ucciso, nello stesso agguato in cui era stato ferito anche
Ray
Palmer.
Aveva
bisogno di immedesimarsi nell’assassino, capire come aveva
agito, quali
difficoltà aveva dovuto affrontare, con quale angolazione
aveva scoccato le
frecce, con quale forza.
Le
ricerche che avevano effettuato sulla Lega non avevano portato alcun
risultato
e dopo aver spedito Diggle e Felicity a casa, per riposare almeno un
paio d’ore
prima dell’alba, era uscito da covo per dirigersi
lì, sperando che vedere la
scena lo aiutasse a comprendere meglio quello che era successo.
Voleva
trovare il responsabile, quell’uomo che uccideva fingendosi
lui, incastrandolo
e scatenandogli addosso l’intero corpo di polizia.
Immaginò
di aver il suo arco tra le mani, di tendere la corda, la freccia in
posizione,
l’occhio fisso sul suo obbiettivo, le dita pronte e reattive
a lasciar volare
la sua arma, il battito del cuore che sentiva pulsare forte nelle
orecchie, il
respiro controllato per evitare anche la più piccola
imprecisione.
Tutti
i suoi sensi erano in allerta, capaci di percepire anche il
più debole soffio
di vento, il più sottile dei movimenti, tutti fruscii
nell’aria intorno a lui.
Fu
così che sentì qualcuno avvicinarsi, cautamente,
alle sue spalle, convinto di
non essere visto.
Oliver
continuò i movimenti con le braccia, fingendo di non essersi
accorto di quella
presenza, facendo finta di scoccare una freccia.
Poi
si voltò di scatto trovandosi di fronte ad una figura
vestita di nero, un uomo
che sapeva di conoscere.
“Maseo”
disse, stupito di trovare proprio lui, ma al tempo stesso rincuorato.
Era
l’unico membro della Lega degli Assassini con cui sapeva di
poter ragionare.
“Sarab”
lo corresse lui facendo scivolare giù il cappuccio, nero
come la notte che li
inghiottiva.
“Che
cosa ci fai qui?”
“È
strano detto da te, visto che dovresti essere in carcere” gli
rispose
avvicinandosi di qualche passo.
“Forse
non ha seguito il notiziario” gli disse Oliver
“dovresti aggiornarti”
“E
tu dovresti nasconderti dalla polizia. Non credo che il capitano Lance
sia
felice di vederti girovagare libero tra le strade della sua
città”
“Questo
non è un tuo problema”
“Ogni
cosa che ti riguarda è un mio problema. Come il fatto che tu
sia qui, sul tetto
di questo palazzo, a fissare il vuoto mentre fingi di scoccare frecce
con un
arco che non hai”
Oliver
avanzò di qualche passo verso l’uomo, senza
staccargli gli occhi di dosso: “Non
fisso il vuoto, ma sono sicuro che tu questo lo sappia già.
Sai benissimo
quello che sto facendo, non è così?”
“Cerchi
forse di farti ammazzare?” chiese con un sorriso beffardo sul
viso.
“Il
sindaco è morto. È stata assassinata da qui, con
frecce verdi che hanno fatto credere
alla città intera che Arrow fosse tornato ad uccidere. Ma
entrambi sappiamo che
è stato un uomo della Lega, una persona che eseguiva degli
ordini, qualcuno manovrato
come un burattino da Ra’s Al Ghul”
incrociò i suoi occhi scuri, nascosti in
parte da un ciuffo di capelli sfuggito al suo codino e mosso dal vento
“Ora io
voglio sapere chi sia questo burattino. Voglio consegnarlo alla
giustizia,
voglio che Ra’s Al Ghul lo veda e che capisca che nessuno
può fare del male
alla mia città senza pagarne le conseguenze”
“Allora
fallo, Oliver. Consegnami alla polizia. Ma sappi che non ti
crederà nessuno,
servirà solo a renderti ancora più ridicolo
davanti agli occhi di tutti”
“Tu?”
Oliver non poté fare a meno di essere sorpreso. Sapeva che
Maseo era cambiato dopo
Hong Kong, sapeva che era diventato un assassino, ma sperava non fosse
il
responsabile di quella strage. Credeva ancora in lui nonostante tutto,
credeva
nell’uomo che aveva conosciuto, quello che era disposto a
tutto pur di salvare
la sua famiglia, quello che voleva solo tornare a casa in Giappone,
quello che
lo aveva aiutato nei mesi dopo l’isola. L’amico che
l’aveva sostenuto nelle
folli missioni della Waller, quello che gli aveva salvato la vita dopo
il
duello contro Ra’s, quello per cui aveva messo a repentaglio
la propria vita
per salvare Tatsu e proteggere Akio.
"Perchè
l'hai fatto? Perchè hai ucciso delle persone innocenti?"
domandò
arrabbiato.
"Perché
così mi é stato detto di fare"
"Tu
sei migliore di così, Maseo. Non sei un assassino, non
uccidi innocenti solo
perché qualcuno te lo ordina!"
"Forse
non mi conosci poi così bene, Oliver"
Lui
trattenne la rabbia che provava in quel momento, cercando di restare
lucido e
carpire quante più informazioni possibili.
"Perché
proprio il sindaco? Perchè rischiare tanto quando potevate
uccidere dei
cittadini qualunque, persone più deboli ed indifese?"
"Davvero
non lo sai?" Maseo prese a camminare in tondo, mentre osservava Oliver,
immobile al centro del grande spiazzo che era quel tetto "non era lei
l'obbiettivo. L'ho uccisa per prima per sviare ogni sospetto, per far
credere a
tutti che fosse lei il bersaglio"
Oliver
si voltò guardandolo mentre continuava a camminare.
"Chi?"
chiese "Chi era il vero obbiettivo?"
"Ti
facevo più perspicace di così. Vedi Ra's ha
deciso di portarti via ogni cosa
cara che ti é rimasta, a partire dalla tua cittá.
E c'è qualcosa che ti sta
particolarmente a cuore, qualcosa che perderai presto"
Sarab
si fermò lasciando che le sue parole investissero Oliver con
il loro potente
significato.
"C'era
qualcuno che avrebbe partecipato alla riunione del sindaco, un uomo
importante.
E sapevamo che lui non si sarebbe presentato da solo" spiegò
guardando
Oliver con i suoi penetranti occhi scuri "il suo braccio destro era
l'obbiettivo, la sua adorabile assistente"
Il
cuore di Oliver iniziò a battere come un tamburo impazzito
mentre la paura si
impossessava di lui.
"Ricordo
di aver visto il suo viso spaventato attraverso la finestra, gli occhi
sorpresi
e impauriti dietro le lenti dei suoi occhiali"
Quelle
parole ebbero su Oliver un impatto devastante. Non ebbe neanche il
tempo di
percepire la rabbia che lo assaliva che giá si era scagliato
contro Sarab,
spingendolo contro il cornicione del palazzo.
I
suoi occhi erano colmi d'ira e il terrore stava prendendo il
sopravvento,
mischiato ad un irrefrenabile istinto omicida.
Bloccò
l'uomo con il peso del suo corpo, il braccio che premeva sul collo di
Maseo
stringendo la presa ogni istante di più.
"Non
osare!" urlò in preda a quella collera che non aveva
intenzione di
controllare "non provare neanche a toccarla o giuro che ..."
La
voce di Maseo risuonò strozzata dal momento che Oliver
premeva con forza sulla
sua gola: "Che cosa, Oliver? Mi ucciderai? Non sei poi così
diverso
dall'assasino che giuri di non essere"
Oliver
allentò leggermente la morsa in cui lo teneva bloccato senza
però lasciarlo
andare, mentre il pensiero di quello che sarebbe potuto succedere lo
stava
logorando.
"É
stato un peccato che Palmer si sia gettato per salvarla, prendendosi
una
freccia al suo posto" commentò il giapponese.
Oliver
non poteva credere alle sue orecchie: non c'era più un
briciolo di umanitá in
quello che un tempo era stato suo alleato.
"Dannazione,
Maseo! Perché lo hai fatto? Eri mio amico, io mi fidavo di
te!" gli urló
contro tutta la sua frustrazione, l'odio e la rabbia che provava nei
suoi
confronti in quel momento "ho sempre avuto fiducia in te, anche quando
sei
entrato a far parte di quella setta assassina! Mi hai salvato la vita
dopo il
duello contro Ra's, mi hai aiutato a fuggire dalla Lega.
Perché mi fai questo
ora?"
Lui
non rispose subito, si limitò ad osservare tutto il dolore
che stava
distruggendo Oliver Queen, quella rabbia che avrebbe sgretolato la sua
vita
frantumandola in mille pezzi.
“Perché
quando Felicity morirà, non ti rimarrà
più nulla, nulla per cui vale la pena
vivere. E allora l’unica cosa che resterà nella
tua vita sarà la sua proposta.
Diventerai l’erede del Demone”
“Non
lo farò mai!” gli sputò quelle parole
addosso, con tutta la rabbia e la
disapprovazione che provava “Potevi fare di tutto ma non
provare a fare del
male a lei! É come se io avessi tentato di uccidere Tatsu"
Il
nome della donna ebbe uno strano effetto su Maseo anche se lui
cercò di
nasconderlo.
Ma
Oliver sapeva che nonostante tutto lui teneva ancora molto a sua
moglie, sapeva
che lei rappresentava ancora una parte importante della sua vita.
“Lascia
Felicity fuori da questa storia! Non provare neanche a toccarla" Oliver
lo
strattonò nuovamente con forza, ribadendo il concetto.
“Allora
è proprio vero” commentò guardandolo
negli occhi “non ne ero così convinto
quando Ra’s me ne ha parlato”
“Convinto
di cosa?”
“Che
lei contasse davvero qualcosa per te. È molto più
importante di quando credessi”
“Ra’s
vuole me!” urlò con forza “Lei non
c’entra. Se in te è rimasto ancora un
po’
dell’uomo che ho conosciuto, se tutto quello che abbiamo
passato insieme ad
Hong Kong ha significato qualcosa, se sei mai stato davvero mio amico,
allora
lasciala in pace. È l’ultimo favore che ti
chiedo”
“Perché
dovrei?”
“Perché
la amo” sussurrò quelle parole mentre sentiva le
lacrime inumidirgli gli occhi “e
non c’è nulla che conti più di lei, al
mondo”
Non
riusciva nemmeno a spiegare quel dolore che gli straziava il cuore in
quel
momento, che esplodeva come una bomba nel petto, dilaniandolo,
distruggendo
ogni cosa che trovava sul suo cammino.
“Ti
supplico, Maseo" ricacciò indietro le lacrime mentre il
vento freddo della
sera gli sferzava il viso.
"Maseo
non esiste più! L'amico che conosci é morto tre
anni fa, in quel maledetto
giorno ad Hong Kong!" gli rispose mentre un lampo di rabbia
attraversava i
suoi occhi neri come la pece "esiste solo Sarab, adesso"
"Non
possono vivere due persone in un solo uomo. Me lo hai detto tu, Maseo"
gli
ricordò.
"Ironico
detto da te che sei contemporaneamente Oliver Queen e Arrow"
"Oliver
Queen ed Arrow sono la stessa persona" dirlo ad alta voce
stupì perfino sé
stesso ma sapeva che era la veritá.
Ci
era voluto un po’ di tempo affinché lui lo capisse
ma ora ne era consapevole:
non c'era alcuna distinzione tra lui e il vigilante.
"E
anche Maseo e Sarab sono la stessa persona, quella che ho conosciuto in
Cina,
quella disposta a tutto pur di salvare la sua famiglia. E io credo
ancora in
quell'uomo" disse liberandolo dalla sua stretta.
Si
allontanò da lui, diretto verso la scala che conduceva fin
lì.
"Te
ne vai così? Non mi uccidi, Oliver? Non mi consegni alla
giustizia?” gli
chiese, in parte stupito dal suo comportamento.
Oliver
si voltò, tornando sui suoi passi: “Ho fatto delle
ricerche prima di venire
qui. Volevo scoprire chi fosse il responsabile dell’omicidio
del sindaco e sai
che cosa ho trovato?”
Si
fermò in attesa di una risposta da parte dell’uomo
di fronte a lui ma tra loro calò
il silenzio.
“Nulla”
spiegò dopo qualche istante “credi davvero che sia
così stupido da credere di
averti trovato qui per caso? Sapevi che stavo venendo qui,
Ra’s lo sapeva, e ti
ha mandato lui da me. Quindi no Maseo, non ti ucciderò. Non
ti farò arrestare
perché sono sicuro che
questo
è ciò che vorrebbe lui e significherebbe fare il
suo gioco. E io non ho
intenzione di assecondare i suoi folli progetti”
Lo
guardò negli occhi per un istante per poi tirare su il
cappuccio della felpa e
allontanarsi da lui, sparendo giù nella tromba delle scale.
Si
ritrovò al covo meno di mezz’ora più
tardi.
Sentiva
la stanchezza impossessarsi di lui, rallentare i suoi movimenti e
affaticare i
suoi muscoli. Ma sapeva che quando avrebbe chiuso gli occhi mille
pensieri avrebbero
affollato la sua mente, decine di problemi senza soluzione lo avrebbero
tormentato impedendogli di risposare.
Si
stupì quando, entrando, notò una donna dai lunghi
capelli biondi seduta alla
sua solita postazione.
Si
accorse che erano quasi le cinque del mattino: aveva trascorso molto
più tempo
sul tetto di quel palazzo di quanto pensasse.
Ma
non riusciva comunque a spiegarsi la sua presenza lì.
“Felicity”
la chiamò mentre scendeva le scale, improvvisamente attratto
dalla sua figura
snella che si alzava dalla poltrona.
“Oliver”
la sua voce risuonò melodiosa alle orecchie
dell’uomo, come la più dolce delle
sinfonie.
E
in fondo non gli importava perché fosse lì invece
di essere a casa a riposare,
l’unica cosa che contava era che lei fosse reale, davanti ai
suoi occhi, sana e
salva.
Il
solo pensiero di quello che Maseo le avrebbe potuto fare lo uccideva,
sapere
che lei era in pericolo e lui non era lì per proteggerla lo
mandava
letteralmente fuori di testa.
Non
avrebbe mai pensato di dover ringraziare Palmer ma ora si sentiva in
debito con
lui, per quello che aveva fatto.
Scese
gli ultimi scalini di corsa avvicinandosi a Felicity a grandi passi.
Notò
l’espressione stupida della donna nel vederlo avanzare
determinato verso di lei
mentre rimaneva immobile, in attesa della sua mossa.
Incrociò
i loro sguardi e senza staccare gli occhi da quelli di lei
colmò
quell’insignificante metro che ancora li divideva.
L’accolse
con foga tra le sue braccia, cingendole la schiena.
L’abbracciò
tenendola stretta a sé, beandosi di quel contatto e
respirando a fondo il suo
profumo.
Felicity
rimase stupita da quel gesto inaspettato e le ci vollero un paio di
secondi per
riuscire a reagire e contraccambiare.
Non
sapeva che cosa stava succedendo ma il contatto con il corpo caldo di
Oliver fu
molto più piacevole di quanto potesse immaginare.
Passò
le sue braccia intorno alle spalle possenti del suo eroe, stringendolo
a sua
volta.
“Va
tutto bene, Oliver?” gli chiese mentre sentiva il suo viso
posarsi
delicatamente sulla propria spalla.
Tremò
quando il respiro di Oliver s’infranse sulla pelle sensibile
del collo, per
rispondere alla sua domanda: “Fino a quando tu sarai qui con
me, Felicity,
allora sì …. Andrà tutto
bene”
La
sua voce ridotta a poco più di un sussurro le fece venire la
pelle d’oca mentre
tentava di capire che cosa gli fosse successo di così grave
da spingerlo ad
abbracciarla stretta, aggrappandosi a lei come se fosse
l’unico appiglio per
non farsi trascinare via dalla corrente.
“Oliver”
lo chiamò ancora sciogliendo l’abbraccio per poter
vedere il suo viso “che cosa
ti è successo?”
Nello
stesso istante in cui incrociò i suoi occhi azzurri
capì che c’era qualcosa che
non andava, qualcosa che lo aveva profondamente scosso.
C’era
una grande tristezza nel suo sguardo, gli occhi umidi da quelle
sembravano
minuscole lacrime, pronte ad uscire.
Felicity
non si ricordava di aver mai visto Oliver piangere.
Nessuno
riusciva a fargli perdere il controllo sulle sue emozioni, nessuno
riusciva a
distruggere quel grande autocontrollo che lo faceva apparire forte,
imperturbabile e, alle volte, poco umano.
Lui
non rispose subito, si limitò a perdersi nei suoi occhi,
celati in parte dagli
occhiali, mentre le sfiorava il viso in una carezza impercettibile.
Fu
come il più leggero dei soffi di vento ma Felicity
tremò, la pelle rosea delle
guance scossa da un leggero brivido.
Lui
non poteva starle così vicino, accarezzarla con naturalezza
come se fosse il
più normale dei gesti, guardarla con quegli occhi azzurro
cielo e pretendere
che lei rimanesse impassibile, come se non fosse successo nulla.
Non
poteva chiederle di restare distaccata, di non provare emozioni, di
impedire al
suo cuore di iniziare a battere come un tamburo.
Sostenne
il suo sguardo e attese fino a che lui si sentisse pronto a raccontale
quanto
gli era accaduto.
Passò
qualche istante, che a Felicity parve durare
un’eternità, poi Oliver prese un
lungo respiro e parlò.