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Autore: MaryKei_Hishi    22/12/2008    2 recensioni
Lui, era un ragazzo strano, un ragazzo di una grande città, trasferito in una cittadina piccola come quella in cui sono nato per qualche motivo sconosciuto a chiunque. Era arrivato nella nostra scuola a semestre iniziato, non dava confidenza a nessuno ne era propenso ad instaurare rapporti d'amicizia con alcuno. Lui era.. come avvolto da un alone di mistero affascinante e seducente.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pochi giorni più tardi quel fatidico sguardo compresi che Vincent era effettivamente strano, uno strano particolare, uno strano al di fuori di qualsiasi schema, uno strano che anche un pazzo avrebbe identificato con tal aggettivo: strano.

Era sabato pomeriggio e come eravamo soliti fare io e Nelson girovagavamo senza meta nella nostra cittadina che ormai conoscevamo palmo per palmo, anche ad occhi chiusi avremmo potuto girare per le viette senza perderci, proprio perché conoscevamo esattamente TUTTO della città nella mente più forte degli altri mi passava il pensiero di dove abitasse Vincent, in un piccolo centro tutti conoscono tutti e la domanda più frequente che mi saltava alla mente era se Vincent fosse stato ospite di qualche parente e soprattutto chi fosse quel fantomatico parente.
Avevo già escluso il fatto che lui abitasse solo, nessuno a Castel River affittava casa o stanze, men che meno se si trattasse di stranieri, in oltre nessuno aveva recentemente lasciato il paese indi per cui non c'erano case con disponibilità immediata; l'unico albergo della cittadina aveva prezzi abbastanza abbordabili ma uno studente, trasferito dalla grande città ad un piccolo centro per chissà quale ragione o per chissà quanto tempo -lungo visto che frequentava la scuola- avrebbe potuto permettersi di vivere per tanto tempo in un albergo? Era da escludere, forse era fattibile come soggiorno momentaneo, ma non come luogo di vita per un lungo periodo.

Tutti quei pensieri e calcoli mi avevano portato ben presto a pensare che Vincent fosse ospitato da un parente, un qualcuno che nonostante conoscesse tutta la cittadina non avesse detto a nessuno del suo fantomatico parente cittadino che a breve si sarebbe trasferito.
Un qualcuno che conviveva nella comunità ma che non ne faceva parte attivamente, ma quella era solo una mia deduzione.
Quel sabato stavo discutendo con Nelson del nostro soggetto preferito -non che oggetto di discussioni accese in quegli ultimi giorni- proprio lui.
Non so se Nelson era geloso, probabilmente lo era, forse vedeva spodestato il suo ruolo di amico, forse altro, non lo so, non sono mai voluto andare a fondo di questa storia e lui non me ne ha mai voluto dare delucidazioni. Quel sabato la nostra discussione arrivò a toccare parole forti.
Lui non voleva che io entrassi in contatto con Vincent perché credeva ci fosse un fondo di verità nelle voci che giravano su di lui, voci che Vincent non confermava, ma che nemmeno smentiva diceva sempre Nelson.
Come arrivò a darmi un pugno non saprei dirlo, era tutto confuso e le parole si mischiavano e la mano si era alzata repentina e mi aveva colpito e io avevo risposto.
Ci fu un sinistro filo conduttore di quel discorso dai toni crescenti e incitatoti che ci portò alle mani, ben presto mi trovai nel parco a camminare da solo e a ripensare.
Dovrei solo ringraziarlo Nelson se penso che se lui mi ha rivolto quelle sue strambe prime parole è stato solo merito suo e del suo pugno.
Camminavo e rimuginavo senza prestare attenzione a quel che c'era intorno a me, spesso mi succedeva mi isolavo pensando -mi capita ancora ora, se penso i miei pensieri mi risucchiano rendendo ciò che ho fuori di me ovattato e improvvisamente silenzioso- e così camminavo in un qualcosa che non sentivo e non vedevo, stavo, in quel momento, ripensando al discorso confusionario che ci aveva portato alle mani, il risultato di quel momento di ricordi fu un “devo scusarmi con nel” e senza interessarmi di chi o cosa mi fosse vicino scattai correndo dietro di me convinto di andare da Nelson per porgergli le mie scuse.

A casa di Nelson non ci andai in quel giorno.

Appena due passi dopo urtai contro qualcosa, che solo dopo molto -appena riuscii ad alzare lo sguardo- compresi fosse un chi non un cosa.

Il chi imprecò contro di me mandandomi al diavolo e senza neppure guardarlo io di risposta lo mandai a quel pese con toni decisamente emh.. meno carini.
Quel che mi rispose lui fu l'ultima cosa che sinceramente pensavo si potesse rispondere a quell'imprecazione.
Sentii un chiaro e sonoro “di nuovo?!” detto anche con un certo tono do ovvietà, alzai gli occhi stupito, e... me lo trovai davanti.

Rimasi impietrito, sconvolto e shoccato, non ero preparato ad un incontro del genere, incontro che potrei meglio definirlo come “scontro”.

Lui si alzò dandosi delle pacche sul sedere per spolverarsi del terriccio del parco e nuvolette color ocra abbandonarono quella bella visione.

Mi alzai da solo non gli passò nemmeno per un istante nella mente il pensiero di porgermi la sua mano per aiutarmi, gli chiesi se stava bene e lui mi rispose che gli faceva male il culo.
Non capii se per la botta o per qualcos'altro.

Anche se l'ambientazione non era delle migliori e gli accadimenti erano stati disastrosi, lui mi stava parlando, mi stava parlando.
Mi resi conto fin da subito che la cosa più sbagliata che avessi potuto dire per continuare quel discorso era un normale “piacere io sono William, tu?” no mai, mi avrebbe sputato in faccia andandosene, lui era Vincent e Vincent era un mondo apparte.
“beh così impari a farti scopare in giro”
credetti di averlo solo pensato, ma vederlo inarcare un sopracciglio e poi ridacchiare per darmi ragione mi fece render conto che io lo avevo detto.
Per un attimo volli sotterrarmi.
Poi sorrisi, consapevole che per Vincent non poteva esserci approccio migliore.

“lo vuoi un caffè?”
io accettai anche se il caffè mi faceva schifo. Solo mesi più tardi mi ci abituai, iniziò a piacermi, e in fine lo adorai, proprio come faceva lui.

Andammo in un bar, Nelson ormai era un pensiero accantonato in un angolo del mio cervello, angolo sbruffoncello che veniva spesso dimenticato, così come i pensieri che conteneva.
Bevemmo il caffè, eravamo silenziosi e io ero nervoso, lui no.
Era silenzioso, stava bevendo il suo caffè come se fosse l'ambrosia degli dei, non ci misi molto a capire che per Vincent, il caffè era un surrogato di un ipotetica linfa vitale.

Quella giornata terminò con me e Vincent che con un gesto della mano ci salutavamo, era ormai l'imbrunire e avevamo parlato di tutto e di niente. Era l'imbrunire e Nelson me lo ero dimenticato, era l'imbrunire e il giorno dopo a scuola avrei avuto qualcuno da salutare, qualcuno che avevo bramato poter salutare. Vincent a quel tempo era per me il mio personale trofeo.

Entrai in casa e la cena stava per essere messa in tavola, non erano quattro come al solito i piatti, erano cinque, Nelson era venuto a cercarmi a casa qualche ora prima e mia madre l'aveva praticamente costretto a rimanere a cena.

Mi guardò così intensamente per potermi leggere dentro che mi sentii improvvisamente spogliato, nudo, forse senza nemmeno la pelle, sentii di arrossire, e volsi lo sguardo altrove.
“vado a lavarmi le mani” annunciai e Nelson mi seguì con la medesima scusa.
Nel bagno, immersi nel silenzio rotto solo dallo scroscio dell'acqua che tintinnava nel lavandino vedevo dallo specchio che lui mi guardava, e io guardavo lui.

Mentre prendevo la saponetta glielo dissi, pensai che si sarebbe infuriato, che mi avrebbe urlato contro per poi andarsene, ma non fece nulla che mi sarei aspettato.

“beh allora dovresti ringraziarmi”

lo disse con un tono ammiccatore, con uno sguardo furbesco e con l'aria di chi a capito tutto della vita, Nelson era sorprendente e mi strappò un sorriso, poi ovviamente lo schizzai con l'acqua, anche se in seconda liceo, eravamo dei ragazzini, incasinati, ma dei ragazzini.

Il giorno dopo a scuola -ovviamente con Nelson- ero davanti al mio armadietto, lo stavo appena chiudendo dopo aver preso il libro di algebra e lui ci passò davanti, non mi aspettavo niente, da lui aspettarsi qualcosa è totalmente sbagliato, Vincent è un mondo apparte e non segue regole né schemi, lui fa quel che vuole quando vuole e mai si pente delle sue scelte.

Io non feci nulla, fingendo il più totale disinteresse, e lui passando mi fece un cenno con il capo. Probabilmente se avessi alzato la mano in segno di saluto, lui mi avrebbe ignorato, io non lo feci ignorandolo e lui mi fece presente con quel suo gesto che era tutto ok.

Quel giorno avremmo avuto biologia in terza ora e Vincent si mise vicino a noi.
Nelson non era propriamente al settimo cielo ma cercava di sopportarlo.

Vincent entrò nell'aula e mentre poggiava il suo anonimo zaino verde militare sul nostro banco annunciava che i gatti erano infidi.
Nelson inarcò un sopracciglio non capendo, nemmeno io capii ma non mi stupii avesse iniziato un discorso con quella frase puramente impensabile, nessun “ciao” ne tanto meno un falsissimo “come va” voleva dire che i gatti erano infidi e l'aveva fatto.

Una volta seduto si tolse la felpa e si alzò la manica della maglia che indossava, lungo l'avambraccio tre solchi rossastri lo deturpavano, sì, i gatti erano infidi.

“lo stavo accarezzando, era nero, e gli giravano i coglioni.”
Nelson rise “mai fidarsi dei gatti dunque” aggiunsi io, tutta la classe si era girata a guardarci, stavamo parlando con Vincent di un argomento assurdo e Nelson rideva divertito.
Era fantastico.

Durante la lezione lui scrisse due o tre cose su un quaderno, era un rebus irrisolvibile quel che scriveva, era strano, era folle.
Anche Nelson lo guardo strano vedendo quei segni e quelle parole mozzate sul quaderno, eppure... beh lui sembrava capirci.

Nelson non mancò di chiedergli spiegazioni durante la pausa pranzo, prima di andarsene fuori con una bottiglietta d'acqua, Vincent gli disse che erano una convenzione quelle parole, che si sarebbe capito da solo e che non avrebbe avuto rotture dagli altri.

Imbambolati, stupiti e scettici rimanemmo fermi l'uno accanto all'altro guardandolo allontanarsi e uscire fuori. Per quella giornata fu l'ultima volta che lo vedemmo.

********** grazie di aver letto marykei-hishi
   
 
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