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Autore: MaryKei_Hishi    16/12/2008    5 recensioni
Lui, era un ragazzo strano, un ragazzo di una grande città, trasferito in una cittadina piccola come quella in cui sono nato per qualche motivo sconosciuto a chiunque. Era arrivato nella nostra scuola a semestre iniziato, non dava confidenza a nessuno ne era propenso ad instaurare rapporti d'amicizia con alcuno. Lui era.. come avvolto da un alone di mistero affascinante e seducente.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO I: “lui”

Quando iniziai a vivere la mia omosessualità era appena iniziato il secondo semestre del secondo liceo.
Prima di allora avevo paura di me stesso come della gente che mi circondava, temevo che la loro ottusaggine e i loro pregiudizi verso quel qualcosa che non si uniformasse alla massa mi avrebbe fatto male.
Con questo non sto dicendo che non ha fatto male, anzi... ma... beh, con me c'era lui.

Lui, era un ragazzo strano, un ragazzo di una grande città, trasferito in una cittadina piccola come quella in cui sono nato per qualche motivo sconosciuto a chiunque.
Era arrivato nella nostra scuola a semestre iniziato, non dava confidenza a nessuno ne era propenso ad instaurare rapporti d'amicizia con alcuno.

Lui era.. come avvolto da un alone di mistero affascinante e seducente.
Era strano, molto strano; attirò fin dalla prima volta che lo vidi -nell'aula di chimica un mercoledì mattina- la mia attenzione.
Era misterioso, taciturno, con quella sua aria di superiorità mista ad indifferenza, ma sopratutto era estremamente bello.
Era bellissimo e io sentivo che non avrebbe mai rivolto la sua attenzione verso un insulso ragazzino come me.
Sentii fin dalle prime volte che ci incrociammo nei corridoi o per le scale o quando condividevamo le aule di lezione, che qualcosa ci accomunava, ci rendeva simili.
Solo dopo molti mesi, quando era appena iniziato il secondo semestre capii cosa.

L'omosessualità.

A fine semestre, nella nostra scuola, in bacheca venivano usualmente appesi i risultati di fine semestre.
Quell'anno non fu il solito ragazzo ad essere il primo in quella lista.
Anche se arrivato a semestre iniziato il suo nome svettava lì in cima.

Vincent Duglas.

Il suo essere così “odiosamente” asociale lo rendeva artefice e vittima del suo essere solitario.
Non era propenso alla comunicazione e molte volte non interagiva con gli altri nemmeno se direttamente interpellato. Era strano, troppo per una cittadina bigotta e ipocrita come la Nostra...
più passava il tempo più io rimanevo affascinato dal quel suo modo di essere e rapportarsi agli altri -e a se stesso- lui non dipendeva da nessuno, non aveva bisogno di nessuno, era unico e perfetto, lui era Vincent.
Durante la pausa pranzo spesso si appartava in giardino, all'ombra di un albero, uno dei tanti.
Solitamente quando era seduto su quell'erba scura d'ombra prendeva il cellulare e se lo poggiava sulle gambe mentre scribacchiava su un quaderno arancione cose che solo lui sapeva.
E sempre quel cellulare squillava e lui metteva l'auricolare e parlava ascoltava e continuava a scrivere.
Ben presto, durante quel semestre già cominciato gli altri frequentanti la nostra scuola iniziarono ad iconizzarlo come un qualcosa di sbagliato, da evitare, lui non era come loro, lui era diverso, e non si uniformava. Lui non avrebbe fatto parte di loro, mai e questo mi faceva piacere.
Cominciarono a girare delle strane voci su di lui, che fosse un assassino, che fosse un deviato e un satanista, lui ignorava tutto come sempre, non gli tangeva nessuna delle parole che gli venivano rivolte se pur indirettamente.
Di quel semestre di scuola, ricordo solo avvenimenti che io vissi passivamente, senza coinvolgimenti.
Lui non mi parlava e molto semplicemente non sapeva nemmeno che esistevo, ma io volevo che lui mi conoscesse. Io volevo essere definito da lui come un qualcosa che equivalesse per il resto delle persone “amico” -non so esattamente come nemmeno adesso-.
Lascivo è uno degli aggettivi che fin da subito trovai gli calzasse a pennello, lui era lascivo, senza interessi, sembrava vivere passivamente una vita che non desiderava vivere più di tanto, era lascivo perfino con il sol respirare.

Vincent non era diverso, Vincent era semplicemente particolare.

Del secondo semestre mi torna alla mente un avvenimento in particolare, ancora non sapeva che esistessi, ma... quel giorno, era aprile, un anonimo giovedì mattina un po' più freddo della media, iniziata come una giornata orribile, grigia e uggiosa che si rivelò invece il mio trampolino di lancio.

Quel giovedì mattina io fui guardato.

Biologia era noiosa come al solito e la nostra aula era cremita di persone che non erano per nulla interessate alla materia, era un dovere star li, un obbligo e ci si stava, ovviamente disturbando, altrimenti che razza di ragazzi sarebbero stati?
La professoressa ormai era rassegnata e spiegava quel noioso argomento cercando di sovrastare le chiacchiere dei suoi allievi, non aveva polso ma non le importava se non avessero seguito. Problemi loro a fine semestre. Una teoria invidiabile che le permetteva di non procurarsi ulcere dovute al nervoso.
Vincent era seduto due banchi avanti a me e guardava fuori la finestra annoiato da tutto, lezioni e chiacchiere che raggiungevano le sue orecchie anche se non non avesse voluto.
Era assorto in non so che pensieri, quel che sempre gli vorticava nella testa non è mai stato argomento di conversazione con nessuno, i suoi pensieri sono sempre stati suoi, credo che nemmeno a oggi riuscirei a capire quel che gli passava per la testa in quel momento, capire Vincent è stato sempre un qualcosa di impossibile.
In quel momento Nelson, dietro di me mi passò un biglietto, lo lessi e sorrisi lievemente, Nelson era uno dei miei amici più cari, la nostra amicizia era longeva, durava dalle elementari, e credo che non finirà molto presto, ha superato tutte quelle fasi di crescita che avrebbero dovuto differenziarci ma che non è mai successo.
Però, nemmeno a Nelson avevo detto di Vincent e del mio interesse verso di lui.
Non era un interesse fisico o sessuale, era bello ma non sono mai stato il tipo da “questo me lo farei” imparai solo alcuni mesi dopo che Vincent invece era tipo da dire quelle cose -dipendeva dal momento e da come stava- su quel bigliettino c'era scritto “perditi, perditi nei tuoi pensieri perversi William ma non pensare che poi io ti passi le risposte al compito” Nelson contava di un ironia unica, causa tutti quei telefilm irriverenti che era solito guardare, aveva una memoria incredibile, e molte volte se leggeva un libro o una storia che gli piaceva mi imprigionava raccontandomi tutto, in uno di quelli che lui osava definire “riassunti” ma che comprendevano esattamente ogni singola parola del testo se non di più.
Feci per dirgli qualcosa e lui prima che le mie labbra si muovessero cambiò posto venendomi accanto “ma come sei spiritoso” gli sussurrai e lui ridacchiò.
Assottigliò lo sguardo che brillò di furbizia. “tu non puoi permetterti di vagare con la mente, come fa lui.” ammiccò con la testa nella sua direzione e io arrossì e lui rise di nuovo, l'aveva capito e in fondo non me ne stupii, Nelson era molto perspicace e intuitivo.
Dopo quel “lui” detto con enfasi Vincent si alzò lasciando l'aula nonostante i richiami della professoressa -nemmeno troppo insistenti- io volli uccidere Nelson.
Prima di uscire dalla classe si voltò, vidi il suo sguardo volgere verso di noi e... mi ghiacciai, lo ricordo ancora ora quello sguardo era inespressivo; sempre in quel giorno per un altra volta provai una situazione simile, ero in corridoio, con Nelson e lui ci passò accanto, senza dire ne fare nulla, semplicemente camminava guardando un punto nullo davanti a sé, nell'attimo in cui mi oltrepassò, un colpo di vento mi fece spostare i capelli e raffreddare le guance, lo sentii anche attraverso i vestiti, lo sentii nel corpo.

Io dovevo conoscerlo.

Per il resto della giornata non lo intravidi più, ma quel giorno mi aveva guardato, avevo sentito il suo sguardo su di me, da quel giorno lui era a conoscenza della mia esistenza e io ne fui contento.
   
 
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