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Autore: freakshowt    08/04/2015    1 recensioni
16 anni. Mi dissero che sarebbero stati i miei anni migliori, in cui mi sarei divertita e avrei avuto tante persone accanto. Ma quello che dicono LORO non è sempre realtà. Mi sembrava di aver iniziato una guerra con me stessa che non sarebbe mai finita se non con la morte. Non avevo nessuno intorno e questo mi piaceva. Stare da sola era diventato un hobby ormai. < Mi soffermai per un pò di tempo sui suoi occhi: erano strani, ma belli. Erano castani con delle sfumature grigie e verdi. Non avevo mai visto dei colori così particolari, in un occhio .>
Forse era arrivato il mio turno per essere felice. < Farmi male era diventato il mio unico scopo in questa vita. >
O forse no..
< -Fai schifo a mentire lo sai?- Cazzo. >
Una persona potrebbe cambiare tutto e migliorare la tua vita...
< Voglio aiutarti e tu non me lo impedirai. >
Potrebbe farti credere che va tutto bene..
< Non ebbi le forze di replicare a quella vicinanza pericolosa. >
Oppure peggiorare le cose, cambiarti e farti dimenticare chi sei.
< Dopo più niente. Solo il vuoto e il buio. >
Genere: Erotico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Il suo sguardo era fisso nel vuoto. Da quando ero entrata non aveva mosso un muscolo. Ero preoccupata, impaurita, triste e arrabbiata. Perché era lì? Perché aveva frugato tra le mie cose? Cosa avrebbe fatto ora?
Una marea di domande invase la mia mente mentre il panico si fece sentire pian piano sempre di più.
-Pap..- Le parole mi morirono in gola. Non riuscii ad andare avanti a parlare e per un momento desiderai di non essere mai tornata a casa. Desiderai di essere ancora lì, dentro quel gazebo, con quell’ultima sigaretta, con la testa appoggiata sulle gambe di Brent. Brent. In quel momento mi mancava come l’aria. Non credo esista un limite alla mancanza, una persona può mancarti sempre come può non mancarti mai e, nonostante fosse passato poco tempo, io sentivo che Brent sarebbe stata una di quelle persone che mi sarebbero mancate sempre.
Vidi mio padre alzare lo sguardo su di me, i suoi occhi erano lucidi, ma il suo viso non esprimeva un’ emozione. Niente. E questo, invece di tranquillizzarmi, mi preoccupò ancora di più.
-Loraine.- Il suo sguardo pungente incontrò i miei occhi e io non riuscii a sostenere quel contatto visivo così abbassai lo sguardo.
-Voglio che tu sia sincera con me ora, visto che non lo sei stata tutto questo tempo. Cos’è questa?-
Lo disse con un tono di acidità che mi diede abbastanza fastidio. Se davvero aveva capito tutto quello che stava succedendo allora avrebbe dovuto essere più comprensivo di così. Non gli dissi niente di tutto quello che stavo pensando, gli risposi semplicemente alla domanda che mi aveva fatto.
-Una lametta.-
Mi guardò, poi fece un lungo sospiro e abbassò lo sguardo. Sperai con tutta me stessa che non mi facesse quella domanda a cui non avrei saputo rispondere.
-E queste cosa sono?-
Cazzo.
Indicò le gocce di sangue ormai secche e in quel preciso istante capii che non potevo mentire, non più.
-Loraine cosa sono queste?- Lo ripetè, questa volta alzò la voce e io non ce la feci più a trattenere tutto. Esplosi come una bomba ad orologeria. Iniziai ad urlare anche io, forse un po’ troppo forte, e dissi tutto quello che in tanti anni non ero mai riuscita a dire.
-Sono gocce di sangue papà, okay? Quella è una lametta macchiata di sangue e vuoi sapere il perché era nella mia camera? Perché hai una figlia autolesionista che ha avuto pensieri suicidi nel corso degli ultimi due anni! Sai quando scopri di essere al limite? Quando un giorno, per una stupidaggine, ti vengono le lacrime agli occhi. Quando una parola di troppo, un gesto insignificante ti colpiscono a fondo. Non significa esser fragili o deboli, ma aver sopportato troppe cose, troppo a lungo! Ma tu dov’eri, eh? Sempre “al lavoro” vero?! Guarda che lo so che la maggior parte delle volte che vai in viaggi di lavoro in realtà te ne vai in vacanza da qualche parte chissà dove a scoparti una ragazza di vent’ anni sempre diversa! Tu non sai come mi sento io, non sai cosa ho dovuto passare e tutto quello che ho dovuto sopportare e ora vieni qua, trovi la lametta e pensi di iniziare a fare il padre?! Non si fa così. Se davvero volevi interessarti a me avresti dovuto farlo prima, quando piangevo e avevo incubi tutte le notti dopo la morte di mamma. Non pensare di venire qui e prenderti cura di me adesso, è tardi per recuperare gli anni passati, Harold.-
Gli occhi mi bruciavano per le lacrime che sarebbero scese di lì a poco e la gola mi faceva male per il troppo sforzo. Solo dopo averlo detto mi resi conto di averlo chiamato per la prima volta con il suo nome, invece che “papà”.
Si alzò dal letto e mi si avvicinò. Io mi allontanai, ma dopo poco sentii il muro freddo a contatto con la mia schiena e mi dovetti fermare. Anche lui si fermò. Vidi che aveva un espressione quasi arrabbiata. Un padre con un’ espressione arrabbiata mentre la figlia piange per tutte le cose appena confessate non dovrebbe esistere al mondo.
-Non provare più a chiamarmi così, io sono tuo padre. Capito Loraine ?-
Rimasi in silenzio a bocca aperta. Non disse niente di quello che gli avevo appena detto, non commentò, non ne rimase intristito, non mi consolò. Vidi che si avvicinò ancora un po’ ed ebbi paura. Per la prima volta ebbi paura di mio padre. Una cosa così dovrebbe essere impensabile eppure in quel momento non lo era affatto.
Fu un attimo. Alzò la mano velocemente e con tutta la forza che aveva mi tirò uno schiaffo che rimbombò in tutta la stanza. Caddi a terra e ci rimasi mentre lui usciva tranquillo dalla sua stanza come se nulla fosse successo. Non ci potevo credere. Scoppiai a piangere rimanendo seduta a terra con la schiena appoggiata al muro. Il punto della guancia dove mi aveva colpito mi faceva male e bruciava e io non riuscivo a smettere di piangere. Non avrei mai pensato che quell’uomo sarebbe arrivato ad alzare le mani su sua figlia. Eppure in tutto quel mare di dolore, la prima cosa che mi venne in mente furono le braccia di Brent che mi stringevano. Quello era l’unico affetto che potevo ricevere. Mi ricordai di quella mattina, durante la camminata mi fece vedere dove abitava e senza neanche pensare se mi ricordassi o no la strada, decisi di uscire di casa e di andare da lui.
***
La riconobbi subito casa sua. Mi avvicinai alla porta, ma prima di suonare il campanello esitai. Non ero sicura di quello che stavo facendo, ma ero sicura che avevo bisogno di appoggio e lui sarebbe stato l’unico a potermelo dare. Prima di uscire presi di fretta un paio di occhiali da sole per coprire il livido che, pian piano, stava venendo fuori appena sotto l’occhio. Sapevo anche di avere gli occhi gonfi e ancora lucidi, quindi esitai anche per questo. Non volevo farmi vedere così da Brent, ma fortunatamente presi coraggio e suonai il campanello. Aspettai lì fuori dalla porta per circa cinque minuti, me ne sarei andata se non avessi sentito un rumore di passi che diventava sempre più vicino. La porta si aprì e mi ritrovai davanti ad una donna sulla quarantina, troppo impegnata a fumare per dare tutte le attenzioni ad una ragazza sconosciuta sulla soglia della porta. Aveva i capelli biondi tinti con una ricrescita molto visibile su tutta la cute; erano raccolti in una specie di coda ormai rovinata. Gli occhi erano come due fessure dalle quali si faceva fatica ad intravedere il colore, ma riuscii a notare che erano delle stesse sfumature di Brent. Il viso era sciupato e si vedeva troppo bene (sia dalle occhiaie che dall’espressione) che quella donna si era appena svegliata da una sbronza abbastanza pesante. Prima di rivolgermi la parola aspirò un tiro di sigaretta e tossì.
-Ti serve qualcosa?- Mi chiese con tono disprezzante. Intuii che fosse la madre di Brent e, purtroppo, di Destiny. Non si dovrebbe giudicare una persona senza conoscerla, ma appena diedi un’occhiata a quella donna, compresi il perché di tutto il disprezzo che il ragazzo provava per i suoi genitori.
-Io sono… sono un’amica di Brent. Lui.. è in casa?- Biascicai come una stupida.
Mi squadrò per un attimo e notai nel suo sguardo una nota di superiorità e, di nuovo, disprezzo.
-Si. Ora è in camera sua, Sali pure.-
E così feci. Mi ricordai solo nel momento in cui bussai alla porta, chiusa, della stanza di Brent, che avevo indosso ancora gli occhiali da sole. Meglio così in fondo, il livido era sicuramente diventato più evidente.
-Avanti, mamma, entra pure.-
Esitai, ma poi aprii subito la porta. Quando entrai Brent si girò subito verso di me e appena mi vide, si alzò dal letto e notai subito la sua espressione interrogativa.
-Loraine, cosa..- Non lo lasciai finire perché mi fiondai subito tra le sue braccia a cercare calore e conforto. All’inizio rimase un po’ confuso, ma poi ricambiò l’abbraccio e mi strinse più forte al suo petto. Non riuscii a trattenere le lacrime e scoppiai in un pianto liberatorio mentre Brent iniziò a coccolarmi la schiena e a stringermi sempre di più, come se non mi stringesse mai abbastanza. Rimasi stretta tra le sue braccia per non so quanto tempo, finchè non mi calmai e mi decisi ad allontanarmi da lui.
Sentii il suo sguardo su di me così decisi di togliermi gli occhiali. Stavo guardando in basso perciò appena li tolsi, non notò il livido; ma quando alzai la testa per guardarlo negli occhi, rimase a bocca aperta.
-Chi cazzo ti ha fatto questa merda?- Mi chiese con tono rabbioso. Notai che aveva serrato i pugni e le vene del braccio si fecero pian piano sempre più visibili. Non volevo dirgli che era stato mio padre a picchiarmi, ma ero andata lì per sfogarmi e cercare aiuto così mi decisi a parlare.
Lo invitai a sedersi sul letto e mi schiarii la gola prima di parlare.
-Brent… è stato mio..- Mi bloccai. Le parole mi morirono in gola e non riuscii a continuare. Chiusi gli occhi e respirai profondamente, non stavo per niente bene e non riuscivo nemmeno a parlare. Sentii un braccio avvolgermi le spalle e una mano appoggiarsi sulla mia spalla.
-Loraine, va tutto bene. Io sono qui, pronto ad ascoltarti e a comprenderti. Dimmi chi è stato, per favore, sfogati, non tenerti tutto dentro.-
Quelle parole, anche se poco, mi rassicurarono. La sua voce profonda e protettiva mi fece sentire meglio e questa volta gli raccontai tutto quello che era successo senza neanche fermarmi un momento, se non per prendere fiato e cercare di ritirare dentro le lacrime che bruciavano sempre di più dentro i miei occhi. E lui mi ascoltò, senza dire una parola. A volte giravo lo sguardo verso di lui e vedevo il suo sguardo sempre più sconvolto ad ogni parola che dicevo. Gli raccontai tutto dal principio; da quando mi aveva lasciato davanti a casa dopo la nostra uscita, fino a quando arrivai a casa sua. Quando finii di parlare, Brent stette in silenzio. Era un silenzio pesante, di quelli difficili da sopportare. Mentre io, io ero piena di parole che non riuscivo a dire: parole di rabbia, di tristezza, di amarezza, di preoccupazione e di ansia. L’ansia. Lei era davvero l’unica che mi stava accanto fin troppo spesso. Pensai seriamente che la mia ansia avesse l’ansia di avere l’ansia. In quel momento mi ritrovai davvero con una marea di parole dentro che non riuscii a trattenere.
“Non mi sento bene.” Pensai.
“O mio dio.” Pensai
“Ora vomito.” Pensai. E vomitai, lì, di fianco al letto di Brent.
Sentii il braccio di Brent avvolgermi la schiena e mi tirai su.
-Tutto bene Loraine?- Mi chiese con una voce premurosa e preoccupata.
-Si si, tranquillo.- Girai lo sguardo e vidi la macchia di vomito sul parqué. –Scusami tanto, ora cerco uno straccio e pulisco.- Gli dissi, vergognandomi per la scena a cui dovette assistere e allo scempio sul pavimento. Mi alzai dal letto, ma lui mi prese un braccio e mi fermò dicendomi che ci avrebbe pensato sua madre.
Poi si alzò lui e si diresse verso la porta, ma prima che l’avesse aperta lo raggiunsi e questa volta lo fermai io prendendolo per un braccio.
-Dove vai?- Gli chiesi di fretta.
-A casa tua.- Rispose secco. Strattonò il braccio e lasciai la presa. Prima di uscire dalla stanza mi guardò negli occhi, ma fu un attimo prima che distogliesse ancora lo sguardo.
Non potevo credere a quello che aveva appena detto. Cosa avrebbe voluto fare? Mentre i pensieri invadevano la mia testa ormai piena, sentii la porta di casa sua chiudersi con forza e non ci pensai su sue volte prima di correre giù per le scale e uscire di casa. Prima di uscire mi era parve di sentire la voce di sua madre dirmi qualcosa che, però, non feci in tempo a capire perché mi fiondai subito in strada. Cercai di trovare Brent e lo vidi alla fine della strada camminare con passo veloce. Lo chiamai più volte ed ogni volta alzavo la voce sempre di più, ma lui non voleva saperne. Decisi di rincorrerlo e quando gli ero quasi vicina lo chiamai di nuovo a voce alta. Questa volta si girò, ma fece finta di niente. Notai che rallentò il passo e riuscii a raggiungerlo. Gli presi nuovamente il braccio e lui si girò, guardandomi fisso negli occhi.
-Loraine, devi lasciarmi andare.-
-Brent ma cosa cazzo credi di fare eh?! Andare lì per farti picchiare pure tu? Non voglio che entri nei casini per colpa mia, quindi ora torniamo in casa!- Gli dissi tutto d’un fiato.
-Tu non capisci. Non posso starmene con le mani in mano mentre una delle persone a cui tengo di più soffre a causa di uno stronzo! So che per te è una cosa nuova perché non reagisci mai alle ingiustizie, ma io non riesco a starmene calmo e seduto okay?- Mi rispose, alzando notevolmente il tono della voce. Inconsapevolmente lo alzai anche io per rispondere.
-Ma come dovrei reagire scusa? Mi sembrava abbastanza stupido reagire in una situazione simile non credi? Io non sono la persona che si incazza, che insulta o che butta tutto a terra. Se mi arrabbio tengo tutto dentro, e mi faccio del male. Sono così e non ci posso fare niente! Fingo di essere cinica ma la realtà è che un’altra delusione potrebbe uccidermi. Quindi, se non vuoi deludermi anche te, non fare cazzate. Quello che stai per andare a fare peggiorerebbe solamente le cose. E sai cosa? Di cose brutte ne ho già troppe in questa di vita di merda.- La mia voce si era alzata troppo, ma non riuscii a fermarmi. Capii che quello era l’unico modo con cui sfogarmi e continuai senza neanche pensare a quello che stavo dicendo. Ormai non ricordavo neanche il perché stavo urlando o da dove fosse partita la discussione. Stavo buttando tutto fuori e non mi interessava di niente.
-Il fatto è che se uno ci vive per troppo tempo con il nodo alla gola, la rabbia, i pianti e le urla soffocate, prima o poi si stanca e non gli importa più di nulla. E il peggio arriva quando ci si lascia andare come se la vita non riservasse cose belle, perché tanto ormai sei arrivato al limite. Sono allenata a nascondere i miei sentimenti ma la cosa più complicata da gestire è che vengono fuori quando meno me l’aspetto e odio questa cosa!- La gola mi faceva male, ma non riuscivo a trattenere più niente. Vidi Brent avvicinarsi a me, senza mai distogliere lo sguardo dal mio. I suoi bellissimi occhi che si fondevano con i miei. Lui si era calmato, io invece no.
-Brent tu non sai come mi sento! Non riesco più ad andare avanti! Hai presente quando tutto ti va bene, tu sei felice e senti che non ti manca nulla? Bene! Dimmi come ci si sente, perché io di questi momenti non ne ho mai conosciuti. Sono arrivata a un punto in cui la mia esistenza è diventata soltanto una presenza. Chiusa in camera a piangere cercando di non fare rumore, cercando di non guardare le persone in faccia per nascondere gli occhi rossi. Pensando ai bei ricordi, pensando alle voci delle persone che hanno fatto parte della mia vita e che adesso non ci sono più. Pensando che chiunque sceglierebbe persone migliori di me, e che non avrò mai qualcuno accanto per tutta la vita. Non avrò mai quei bellissimi poemi al mio risveglio, quegli striscioni sotto casa o sotto scuola. Semplicemente perché io non sono come gli altri, non lo sarò mai. Sono destinata al dolore, alla solitudine, lo so.- Urlai, questa volta abbassando un po’ la voce verso le ultime parole. Il mio cuore era a mille e le gambe mi tremavano. Sentivo che da un momento all’altro la mia voce mi avrebbe abbandonato e smisi di parlare, urlare, di fare qualsiasi cosa. Brent non disse niente, ancora una volta. Io abbassai gli occhi e mi misi le mani nei capelli perché la testa mi girava e dovetti riprendermi.
-Loraine.- La sua voce profonda e più dolce che mai, mi fece alzare lo sguardo verso di lui. Mi prese per i fianchi e mi tirò a sé, stringendomi nell’abbraccio più rassicurante della mia vita. Ricambiai l’abbraccio e mi strinsi a lui fino a quando l’unica cosa che sentii fu il suo battito cardiaco.      Il suo viso era perfettamente incastrato nell’incavo della mia spalla e io mi godetti quel contatto fino in fondo.
-Ti fidi di me?- Sussurrò piano nel mio orecchio. Un brivido mi percorse per tutta la schiena sentendo il suo respiro sul mio lobo. Esitai un attimo nel rispondere a quella domanda. Io non sapevo nemmeno cosa fosse la fiducia, e non avevo mai avuto bisogno di saperlo visto che tutte le persone che avevo accanto se ne erano andate. Non volevo mentirgli e gli dissi la verità, ma gli dissi anche una cosa che sorprese perfino me.
-Non mi fido. Non credo a nessuna parola troppo bella. Alla fine è meglio una sorpresa che una delusione, no? Quindi Brent sorprendimi, perché non ho più spazio per le delusioni.-
Un attimo. In un attimo possono accadere tante cose: una persona si può distrarre alla guida e fare un’incidente grave; una persone può schiacciare il grilletto di una pistola e decidere per la sua vita o quella degli altri; un bambino può aprire per la prima volta i suoi occhietti e dare inizio ad una nuova vita. Ma quell’attimo fu diverso. In un attimo Brent alzò la testa e mise le mani strette alle mie guance. In un attimo i nostri respiri furono talmente vicini da non poter riconoscere quale fosse il mio e quale il suo. In un attimo le nostre labbra, furono una cosa sola.
   
 
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