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Autore: rebirthjourney    08/04/2015    2 recensioni
"Odio, come la prima volta che l’aveva vista accanto a quei due sfigati. Come la prima volta che il cappello parlante decretò il suo destino, più di quanto il suo sangue sporco non avesse già fatto, e portò più sdegno all’immagine che Draco aveva di lei. Odio, come quando seppe era stata pietrificata dal basilisco. La odiava, come la prima volta che si soffermò sulle sue gambe magre sfuggire lontano dal giardino, lontano da lui, come quando aveva anche solo osato pensare al modo in cui i suoi capelli si muovevano sinuosi al vento."
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Altro contesto
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Let's finish what we've started.

5.

 
Draco quella mattina si alzò in tempo record. Zabini e Nott dormivano ancora profondamente. Diede un’occhiata svogliata ai letti di fronte a lui e sgranchitosi le braccia si alzò e si affrettò a prepararsi. La lezione di Pozioni fissata per quella mattina lo rese di buon umore, come non accadeva da tempo. Indossò la sua divisa in fretta e furia, senza badare ai minimi particolari, e si gettò sulle scale del suo dormitorio con ancora i lacci delle scarpe mal’annodati. Si fermò qualche minuto per recuperare i suoi libri sparsi un po’ per tutta la Sala comune – venivano consultati da quasi tutti gli studenti della sua casa per l’accortezza che impiegava nel prendere appunti – ed uscì in fretta, dimenticandosi di sistemare correttamente la cravatta.

Ma quella mattina a Draco non importava.

Se fosse stato un altro giorno – un altro Draco – si sarebbe autoconvinto fosse per la lezione di Pozioni, che si stesse scapicollando giù per le scale sperando che queste non cambiassero improvvisamente direzione; si sarebbe convinto anche che fosse per la colazione, che si fiondava in Sala Grande, e che non avesse di certo dato un’occhiata al tavolo dei grifoni di proposito, e che non gli importasse il colore della casa con cui quella mattina avrebbe fatto lezione.

Ma c’era il fatto che quella mattina a Draco non importava più. Non fece per nulla caso alle persone che spintonava lungo le scale, e quasi non ci badò al tavolo su cui si era seduto per mangiare due biscotti in fretta e furia; si rese conto dello sbaglio solo quando il volto perplesso di Cedric Diggory lo fissò attento, in cerca del motivo per cui proprio Draco Malfoy si era seduto di fronte a lui, quel giorno.

«Draco, ti serve qualcosa?»

Lui sollevò il volto in sua direzione, con un boccone di biscotti in bocca, e lo osservò con perplessità, senza far caso al cipiglio preoccupato del suo collega Tassorosso.

Fece spallucce in segno di risposta, mugolando un poco chiaro «Sto solo facendo colazione, Cedric» colorando il nome di quest’ultimo con un’ostentata ironia.

Il ragazzo ritornò alla sua colazione scuotendo leggermente la testa, senza fare più domande, ma nascondendo un sottile sorriso che gli colorò le guance pallide.

Dopo nemmeno dieci minuti, Draco si alzò dal tavolo dei Tassorosso, suscitando sguardi e bisbigli a lui poco chiari e di poca importanza, e fece la sua uscita sicura dalla Sala Grande.

Se fosse stato un altro giorno – un altro Draco – probabilmente avrebbe risposto seccatamente alla domanda curiosa di Diggory, o forse non gli avrebbe proprio risposto, si sarebbe seduto al suo tavolo senza confondere i colori delle case, sarebbe uscito dalla Sala con passi lenti e sicuri, privi di quel concitamento di cui ora era schiavo.

Era la sensazione di camminare leggermente sollevato da terra, di trovarsi su un enorme precipizio ma senza il consueto terrore di cadere; era entusiasmo all’idea di vedere quel vuoto e non provare terrore quanto piuttosto un’innaturale sicurezza.

Se fosse stato un altro Draco, non avrebbe di certo seguito con lo sguardo i movimenti della Mezzosangue, che – come lui, quella mattina – percorreva il suo stesso corridoio per raggiungere l’aula di Pozioni. Sicuramente non le avrebbe fissato quelle dannate gambe per tutto il tempo, non avrebbe dato un’occhiata alla gonna, molto più corta rispetto a quando l’aveva notata per la prima volta sdraiato su quella panchina di tre anni fa. Non avrebbe di certo desiderato spasmodicamente di passare le sue mani tra quei capelli ondulati e leggermente schiariti.

Di certo non avrebbe sorriso, se fosse stato il Draco di un tempo.

Ma il fatto era che aveva smesso di porsi un freno. Aveva deciso, aveva scelto di smettere: non voleva impedire a se stesso di sentire, di provare, e perciò aveva smesso di soffocarsi con le sue stesse mani.

Ecco, quella mattina lui le mani le avrebbe sicuramente messe su qualcos’altro. O meglio, su qualcuno.

E proprio quel qualcuno stava facendo il suo ingresso a Pozioni in quel preciso istante. Era sola, e Draco sorrise crogiolandosi nell’eventualità che, quel giorno, potesse essere un vincitore.

Il suo cuore invece divenne premio di un altro vincitore.

Si precipitò a raggiungerla facendo una piccola corsetta, il mantello si sollevò di poco dalle sue spalle e i capelli, rimasti leggermente ondulati e meno ordinati rispetto al solito, si spostarono dalla fronte seguendo i movimenti repentini del corpo.

Si accostò alla porta impendendole il passaggio; la Granger sollevò di poco lo sguardo, già consapevole di chi potesse essere, dal momento che aveva intravisto una cravatta verde e argento mal annodata che pendeva dalla camicia bianca e perfettamente stirata. Il suo volto era indecifrabile: Draco avrebbe desiderato con tutto il cuore di porre chiarimento su cosa diavolo le stesse passando per quella mente geniale, ma si contenne, non era ancora il momento adatto.

Quella vicinanza era insolita.

Giusta.

Il ricordo di quel momento lo fece sorridere di sbieco, socchiudendo gli occhi in maniera impercettibile e maliziosa, per nulla attento agli sguardi indagatori di alcuni studenti passanti di lì e con un sopracciglio lievemente alzato in attesa della sua prossima mossa.

«Posso passare, Malfoy?» gli chiese la Granger, con voce poco chiara e meno squillante del solito. Teneva gli occhi puntati su quella cravatta slacciata, e Draco solo sapeva quanto la Granger avrebbe desiderato annodargliela per bene: glielo si leggeva in faccia che non sopportava quell’indumento malmesso, come qualsiasi altra cosa fuori posto. La conosceva fin troppo bene.

Ma prima di scostare gli occhi dalla sua figura, quelli scivolarono dalla cravatta allentata – così gli parve – al suo collo diafano. Dentro Malfoy, quel qualcosa che ben aveva imparato a conoscere in quegli ultimi anni, ruggì fieramente. Ruggiva di orgoglio e di una sottile frenetica esaltazione. Di malizia e di impazienza.

Draco non le rispose. Si limitò a mostrare una smorfia delle sue – sopracciglia inarcate, fintamente sconvolto dalle sue parole – per poi sorriderle come aveva fatto poco prima. Si sbilanciò verso la porta facendola aprire lentamente – il braccio destro ancora appoggiato allo stipite, l’altro che sorreggeva i libri. I loro corpi nuovamente vicini. I loro profumi che si mischiavano e s’infiltravano l’uno nel respiro dell’altro.

La Granger sorvolò su quel gesto del tutto insolito, mostrandosi fintamente indifferente al tonfo che il suo profumo aveva procurato al cuore, e senza guardarlo di nuovo né ringraziarlo fece il suo ingresso nell’aula di Pozioni. Il mento era alto, ma lo sguardo confuso. Draco, dietro di lei, la seguì scuotendo la testa con quel sorriso da bambino pestifero in viso.
 

 
La felix felicis brillava di una luminosità accessibile solo ai pochissimi eletti che avevano la fortuna di toccare a piene mani quella boccetta trasparente. L’indiscusso vincitore Serpeverde la stringeva tra le mani, mentre godeva del sonoro rumore degli applausi per lui scaturitisi e, poco dopo, il professor Lumacorno annunciò la fine della lezione.

La Mezzosangue sfrecciò immediatamente fuori dall’aula, forse arrabbiata più con se stessa che con lui, per non essere stata capace di batterlo in quella materia dove – ormai era noto a tutte le case di Hogwarts – lui era il campione indiscusso, quasi alla pari del Principe Mezzosangue. Draco si apprestò a raggiungerla, raccogliendo i suoi libri in fretta e furia e sistemandoli sotto il braccio destro, ignorando la voce del compagno Zabini. Prese le scale a chioccia e ritornò al piano principale, scorgendo la Granger tra la folla. In realtà lei aveva vinto un premio di gran lunga migliore di quella piccola boccetta, e per un momento Draco sperò che ci arrivasse da sola.

All’improvviso, preso da un’illuminazione che lo colpì in pieno petto, Draco si arrestò proprio in prossimità dei giardini interni. Osservò il contenuto della boccetta scintillante che stringeva tra le dita pallide, e poi lo bevve tutto in sorso.

Rimase a fissare la boccetta fra il palmo destro della mano e il tappo nelle dita della mano sinistra, quasi fosse in attesa di un miracolo. Poi qualcosa cambiò. Richiuse la felix felicis ormai vuota e dopo averla stretta un’ultima volta fra le dita se l’infilò in tasca e iniziò a correre.

«Granger, aspetta!» gridò, la sfumatura della voce decorata da un’insolita eccitazione.
Spavaldo si fece largo tra gli studenti e la raggiunse.

«Granger», ansimò per la corsa. La ragazza si voltò appena, con una smorfia indecifrabile in viso e le labbra un po’ imbronciate; continuò a camminare ma Draco le stette a fianco, non mostrando di volersene andare senza prima aver detto la sua. Malfoy sorrise divertito. «Spero che non te la sia presa perché anche stavolta ti ho superato, a pozioni»

La Grifondoro aggrottò la fronte continuando a guardare diritto davanti a sé. Draco sapeva quanto in quel momento la ragazza stesse lottando contro il suo orgoglio per trattenersi dal ribattere con una bugia, ma non riuscì a reprimersi completamente.

«Dovrei?»

Draco sollevò un sopracciglio e un lato della bocca in un’espressione sempre più allegra.

«Ti conosco, Granger» la rimproverò con tono fintamente serio, sembrando più canzonatorio che altro. «Non ti è facile accettare di essere al secondo posto rispetto a nessuno, soprattutto a me. Ti consuma dentro il fatto di non poter primeggiare, perché essere la prima ti fa sentire meglio...», si allentò la cravatta e guardò distrattamente le persone che passano nel corridoio andando nella direzione opposta a loro, ignorando i loro sguardi interrogativi e i loro bisbigli. «Anni fa pensavo che la tua fosse presunzione, adesso penso che sia un modo come un altro per... saperti accettare», fece spallucce.

La Mezzosangue velocizzò il passo – quasi stesse cercando di seminarlo – ma nemmeno le scale che si divertivano un mondo a cambiare direzione, avrebbero impedito a Malfoy di stuzzicarla.

«Non accetti le sconfitte», continuò lui dopo un po’, sempre più vicini al dormitorio Grifondoro e il fiato velocizzato per la rapidità con cui l’aveva seguita per le scale lungo l’ennesimo corridoio. Lei rallentò fino a fermarsi a pochi metri dal quadro della Signora Grassa. «Non accetti le sconfitte... proprio come non le accetto io».

In mezzo secondo il capo della ragazza si voltò, e quegli occhi scuri lo puntarono con una lieve ma crescente irritazione. «Stai per caso dicendo che io e te siamo simili? Tu ed io?», domandò allibita. Per quanto le parole volessero uscire senza mostrare emozioni, questo non accade; sbatté le palpebre fra lo stupito e l’innervosito e avvicinò di più i suoi libri e appunti al petto con maggior irruenza.

Malfoy non batté ciglio, ma neppure scattò sulla difensiva. Continuò a mostrarle uno sfacciato sorrisetto che la bruna non riusciva a comprendere, e che anzi, riusciva ad incrementare la sua agitazione. Era stato sicuramente l’aiuto della felix a renderlo così sfacciato. Come avrebbe potuto sospettare una cosa del genere? Non credeva di certo che l’avrebbe utilizzata alla prima occasione, anzi, lo riteneva ancora abbastanza astuto e scaltro, capace di saper discernere il momento adatto in cui l’ampolla si sarebbe prestata ad aiutarlo. Che potesse essere così stupido?

«Io non amo primeggiare per...», la Mezzosangue strinse le labbra e posò lo sguardo dappertutto fuorché sulla serpe, che se ne stava in attesa e con un cipiglio fremente di gioia. «Per accettarmi o roba del genere!», scrollò le spalle e emise un profondo respiro, placandosi di punto in bianco. Gli scoccò un’occhiata decisa, ma arrossì. «Malfoy, io e te non siamo simili. È vero, qualche difetto può accomunarci, forse, ma non così tanto da renderci in qualche modo affini».

Era assurdo anche il solo pensare a quella possibilità: Hermione non avrebbe di certo dato spago alle sue parole, né avrebbe tentato di trovarvi un senso logico, poiché preferiva evitare direttamente di porsi il problema. La possibilità che loro due fossero legati da qualcosa, che fossero simili, non era minimamente concepibile. E se non l’avessero creduta, avrebbe potuto stilare una classifica dal motivo più insignificante a quello più importante, che parlasse al suo posto e confermasse, effettivamente, il perché anche solo i loro nomi non potessero essere trascritti sulla stessa pergamena.

Lui era lì, che la fissava attentamente, gli occhi grigi brillavano di una sfumatura che lei non gli aveva mai riconosciuto negli occhi, aspettando chissà cosa in chissà quale momento a lei del tutto sconosciuto. Lei davanti a lui, impreparata alle prossime parole che sarebbero fuoriuscite da quella bocca piccola e carnosa. Inconsapevole e forse del tutto decisa a non volerne sapere di più.

Eppure la felix felicis non aveva apportato cambiamenti così radicali, nel corpo di Draco. Si sentiva più o meno lo stesso, poiché la forza motrice che lo fece svegliare quella mattina non era diminuita nemmeno di un secondo in presenza della Mezzosangue. Fu in quel momento che capì. Che alla fine la pozione non serviva a nulla, almeno non in quel frangente. Che la forza scatenante che bruciava viva nel suo animo non era dovuto all’effetto di quella boccetta cristallina, bastavano solo due occhi color nocciola e delle belle gambe.

La porta della casa dei Grifondoro si aprì improvvisamente, e ne uscì un Harry trafelato e concentrato, che non fece per nulla caso alla loro presenza e che anzi, riuscì ad imbattersi nella sua migliore amica senza notare la mole di libri che sosteneva tra le braccia, facendoli così cadere irrimediabilmente.

«Harry? Stai bene?», chiese lei con una nota di lieve premura nella voce.

Draco accanto a lei sbuffò vigorosamente, e senza nemmeno guardare Potter in viso si abbassò per raccogliere i libri della Mezzosangue.

Harry si scusò velocemente, osservò Draco con insolito interesse e un po’ di curiosità; i suoi occhi verdi scrutarono quelli grigi del Serpeverde, domandandosi cosa ci facesse di fronte all’entrata della sala comune dei Grifondoro, e per di più con Hermione, ma dallo sguardo di quest’ultima reputò fosse meglio non fare domande e quindi, con fare circospetto, se ne andò.

Draco lo osservò andarsene con un piglio severo sul volto, solo per incontrare di nuovo lo sguardo della Mezzosangue. Le sopracciglia si sciolsero e il suo corpo parve distendersi nuovamente, dopo il falso allarme.

La adocchiò attentamente e gli sembrò che l’effetto della pozione stesse per svanire, considerato l’improvviso estraniamento di cui stava diventando vittima: si rabbuiò tutto d’un tratto, cercando di spiegare a se stesso quella nuova consapevolezza raggiunta, cercando ancora una volta di attribuire un senso ad una cosa (sentimento) che un senso profondo non lo aveva, scartavetrando e scorticando via le sue precedenti ipotesi per far spazio a quelle nuove, più consapevoli, mature, e certe.

Si alzò con un leggero sbuffo, senza neppure pulirsi i pantaloni dalla polvere e dalla “sporcizia” di quel pavimento in marmo, come avrebbe fatto un Malfoy come lui in qualsiasi altra situazione. Le lanciò un’occhiata di sottecchi, intensa ed eloquente, mentre le porgeva i libri raccolti da terra.

«Ricorda, Granger».

E bastò solo questa semplice affermazione, a mandare in panne la mente geniale di Hermione, già precedentemente provata e assalita da quella serpe sopra le righe.

Lui la lasciò ai suoi dubbi e alle innumerevoli domande scaturite da quel semplice ammonimento. Draco le consegnò i libri che aveva raccolto per lei senza nemmeno farselo chiedere, e solo quando li ebbe ricevuti Hermione si soffermò su quel gesto poco considerato: Draco aveva raccolto i suoi libri da terra mentre la sua attenzione era concentrata su Harry, si era addirittura sforzato di caricarsi addosso quel peso – uno che di sforzi non ne aveva fatti mai in vita sua – e lei non lo aveva nemmeno ringraziato. Non che lui le avesse dimostrato di necessitare particolari ringraziamenti. E poi da quando in qua non voleva nulla in cambio?

Non pretendeva, non accusava, ma stranamente donava.

Era troppo sovrappensiero per accorgersi della sua fugace improvvisa scomparsa, perciò entro nella sala comune, e la Signora Grassa chiuse la porta dietro le sue gracili spalle. Hermione raggiunse una scrivania in legno lucido della Sala comune e vi posò sopra i suoi libri, appoggiandosi poi ad esso e sospirando.

Qualcosa però catturò la sua attenzione, concedendole un momento di tregua dalle riflessioni che la stavano avvolgendo in diaboliche spire.

Uno, due, tre, quattro, cinque.

Cinque libri.

Eppure era certa ne avesse presi…

Sollevò gli occhi al cielo.

«Malfoy!» un grido acuto uscì dalle sue labbra docili, suscitando l’attenzione di qualche studente seduto sulle poltrone poco distanti da lei.

La Granger uscì in fretta e furia, suscitando qualche lamentela da parte della Signora Grassa, stanca di quel continuo aprirsi e chiudersi di quella mattina, ma Hermione vi fece poco caso e prese subito le scale in fretta e furia.

Lo trovò che camminava sicuro e rilassato lungo un corridoio che affacciava i giardini interni. La sua folta chioma bruna si era scompigliata per la corsa improvvisa, le sue guance dipinte di un rosso scarlatto che faceva contrasto con il suo pallore abituale, le punte delle dita fredde e il petto che si sollevava e si abbassava velocemente, giocando al fiato brutti scherzi. Draco si voltò ancor prima che lei lo chiamasse, come se già se l’aspettasse.

«Malfoy dammi subito quel libro, credevo avessimo finito con questi giochetti!», gli si avvicinò con passo spedito, guardandolo per storto.

Draco alzò un sopracciglio. «Vuoi davvero che smetta, Granger?».

Quando Hermione lo raggiunse, Draco fece qualche passo verso di lei, facendola indietreggiare di rimando nella direzione in cui la serpe la stava guidando. Arrivò quasi a farle aderire la schiena al muro in pietra che costeggiava il giardino senza che lei fosse in grado di contrattaccare e protestare. Il petto ansante della Mezzosangue si scontrava con la camicia bianca di lui ma nessuno dei due sembrava volersi liberare dalla stretta a cui si erano concessi.

Quella domanda racchiudeva più di quanto c’era da racchiudere. Perché non era solo di un semplice libro quello a cui Draco si riferiva, e questo la Granger ci mise poco a capirlo. Era molto di più, c’erano racchiusi loro stessi, fin dal principio.

Smettere avrebbe significato cessare di essere loro – di far finta che nulla fosse, di cominciare ad ignorarsi per i corridoi, di far finta che né l’uno né l’altra fossero mai esistiti. Voleva davvero che fosse così? Ormai non lo sapeva più, e forse se non fosse stato per la bocca di Draco così vicina alla sua, se non fosse stato per il rossore impetuoso sulle sue guance e le mani di lui a contenerne lo sfogo contrastandone il calore con le sue dita ghiacciate, forse avrebbe potuto esaminare il tutto più accuratamente, così come aveva sempre fatto: meccanica, razionale, logica.

Il biondo si passò frettolosamente la lingua sul labbro inferiore. «Vuoi davvero smettere, Mezzosangue

Perfino quell’appellativo, pronunciato da labbra così vicine e tentatrici, assunse del tutto un altro aspetto alle orecchie di Hermione, ne era convinto. Era sicuro che non provava più fastidio nel sentirglielo dire, ma soltanto una strana sensazione, tutt’altro che disdicevole. Lo vide dal modo in cui lo sguardo di lei si accese.

Draco si sporse il necessario per raggiungere la sua mandibola sinistra, e poi scese fino al collo e alla clavicola, marcando tutto con le labbra, lentamente. E fu in quel momento che Hermione capì: smettere avrebbe significato mollare la presa, non indossare più le vesti di Draco Malfoy e di Hermione Granger, in quanto «Malfoy!» e «Cosa vuoi, Mezzosangue?».

Avrebbe significato condannarsi ad una vita di silenzi e finte presenze. Le loro non erano mai state nette somiglianze, non era mai stato un fatto di gusti o simpatie, semplicemente una questione di difetti, senza i quali forse non sarebbero mai stati loro. La colla che li aveva uniti fino a quel punto.

Quello era l’unico modo che Draco conosceva per farle comprendere cosa volesse dire veramente smettere. Le propose una scelta – “le mie labbra o l’assenza” – e la risposta a lui sembrava molto chiara.

La giovane chiuse gli occhi inspirando piano, trovando la voce necessaria per ribattere. «Sei così stupido, dannazione...».

«Non è strano? Riesci a sentire la mancanza di un libro e non di questo. Come fa a non mancarti questo, Granger?»

Tu a me manchi, avrebbe voluto aggiungere il Serpeverde, ma era pur sempre Draco Malfoy, e di certo non si sarebbe abbassato così tanto.

Almeno per il momento.

«Pensandoci bene... non è così strano» intervenne lei.

Draco sollevò il capo e dissolse la vicinanza della sua bocca con la pelle accaldata della Grifondoro per un istante. La guardò curioso, stupito, e la vide arrossire per le parole timidamente bisbigliate, ma sempre e comunque vagamente colorate del suo tipico orgoglio.

Draco sorrise – la Mezzosangue che faceva una battuta doveva considerarsi una delle sette meraviglie del mondo, così rara e delicata –, stupendosi di come aveva saputo farlo sorridere con così tanta semplicità. Le sue labbra si fecero sempre più vicine a quelle di lei, ancora e ancora.

«Per la prima volta, credo proprio di doverti dare ragione, Granger».

E quello, decisamente, fu quanto c’era di più azzardato da desiderare.


 
 
Albus Silente se ne stava seduto su una panchina in marmo, osservava il prato verde e i fiori spuntati qualche giorno prima grazie ad un suo incantesimo. Sentiva il vento giocare tra i rami degli alberi in tutta serenità, respirava rilassato, qualsiasi cruccio a cui si concedeva la sua mente di tanto in tanto sembrava svanire davanti a quell’immensità così pacata e pacifica. Niente avrebbe potuto disturbare la sua quiete, ma quel suo “niente” non aveva ancora avuto a che fare con Hermione Granger e Draco Malfoy. Silente aprì gli occhi e aggrottò la fronte, vagamente irritato per aver perso quella concentrazione quasi sacrale e del tutto intenzionato a recuperarla. La Granger si dirigeva verso un Malfoy apparentemente tranquillo, che se ne stava sdraiato su una panchina ad osservare un libro polveroso con un discreto interesse. Un secondo dopo, il professore spostò lo sguardo sull’albero spoglio sopra di lui, e poi, un’illuminazione.

Donò a quell’albero la bellezza dei fiori primaverili, disegnandovi colori purpurei e soavi, proprio sopra la testa di uno studente ignaro e del tutto inconsapevole della sua cauta presenza. Il giovane ragazzo biondo sollevò lo sguardo, meravigliato ed estasiato, poco prima così cieco da non essersi reso conto che al suo arrivo quelli sopra di lui erano solo dei semplici rami nudi e indifesi. L’attenzione dello studente venne interrotta dai passi della Granger ormai giunti sino a lui. E Albus Silente non lo trovò per niente strano.

Il professore si sollevò stancamente e ritornò nel suo ufficio, accompagnato dal suono delle liti di due giovani.

Sul volto, un sorriso fuggevole.

 

 
   
 
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