Eccomi ritornata!!!
Prima di passare al
capitolo devo chiedere assolutamente scusa per questo mostruoso
ritardo,
purtroppo non ho avuto molto tempo per scrivere in questo ultimo mese.
-.-“
Ho cercato di farmi
perdonare scrivendo un capitolo un po’ più lungo
con un bel colpo di scena! Ma non
voglio anticiparvi nulla, quindi vi lascio alla lettura!!! :)
Ringrazio chi ha
recensito e tutti coloro che stanno leggendo la storia. Spero che
continuerete
a seguirmi e prometto che il prossimo aggiornamento non sarà
il prossimo mese,
ma prima!!! :)
Kiss,
Nerys.
Ossessione?
Non riesco a liberarmi
del tuo fantasma.
Per quanto distolga lo sguardo
continuo a vederti.
Non posso spezzare
il legame che ci ha unito.
Per quanto non ascolti
continuo a sentire la tua voce.
La tua ombra discreta
mi accompagna dappertutto.
Il tuo morbo mi ha infettato
e per quanto abbia cura di me
non riesco a guarire.
Ossessione, Jim Morrison
Il
rumore degli artigli contro il vetro continuò per quelle
che mi parvero ore. Quella cosa non
sembrava intenzionata a sfondarlo per entrare, ma doveva divertirsi un
mondo a
vedermi sobbalzare ad ogni unghiata.
Lentamente
aprii gli occhi e spostai le mani dalle orecchie,
cercando di fare il minor numero di movimenti possibili per non
rischiare di
agitarlo in qualche modo. Quell’essere non mi aveva ancora
staccato gli occhi
di dosso e continuava a chiamarmi Denise, ripetendo sempre la stessa
frase come
se fosse un mantra.
«Ti ho… Trovata…
De-ni-se…» gracchiò per
l’ennesima volta, ma a parte quelle parole ed i
graffi sul vetro, non diede mai segno di voler entrare. Se ne stava
semplicemente appollaiato sul cornicione ad osservarmi, della finestra
senza perdermi
di vista.
Lo
studiai per qualche secondo dal mio “rifugio”.
Il
suo volto e la sua pelle erano bianche, in forte contrasto
con il buio della notte, invece gli occhi, due fosse scure, davano
l’idea di
seguire ogni mio più piccolo spostamento, nonostante fosse
privo di orbite, il
sorriso che si estendeva sul volto era composto da un numero
indefinibile di
denti, piccoli ed affilati, come quelli di uno squalo, mentre il resto
del
corpo era ricoperto da uno smoking rosso abbinato ad una camicia nera. Una scelta insolita, mi ritrovai a
pensare, quasi dimentica che quell’essere pareva essere qui
per me…
Avvicinò
la mano artigliata al vetro più vicino a me.
«Vieni… Con me…
Deni-se…» canticchiò in modo
grottesco ed inquietante. «La
padrona… Lei ci aspetta…»
Arretrai
quando lo vidi allungare quell’artiglio nella mia
direzione, soffocando un urlo. Quella cosa
non si doveva avvicinare, non volevo che mi toccasse e, purtroppo non
avevo
nessuna certezza che non riuscisse ad entrare nella stanza. Gli artigli
graffiarono per l’ennesima volta, quando sentii un rumore
secco provenire dalla
finestra. L’essere pallido era sparito ed adesso al suo posto
si stagliava un’altra
figura, sembrava quella di una ragazza magra con una lunga treccia
bionda.
Qualcosa
di lei mi rassicurò, tant’è che mi
alzai da terra e
mi avvicinai di nuovo alla vetrata, incurante che la creatura di prima
potesse
essere ancora lì nascosta da qualche parte in attesa di una
mia mossa.
Una
folata di vento le spostò i capelli e fece oscillare la
collana che indossava, facendola brillare alla luce lunare. Il ciondolo
era una
mezzaluna argentata. La fissai attonita.
«Com’è pos…» non
terminai la frase che
lei si lasciò cadere di sotto, facendomi trattenere a stento
un urlo sorpreso. Subito
aprii la finestra e guardai in basso, ma non vidi niente, soltanto la
strada
vuota e qualche lampione ad illuminarla, sia la ragazza bionda sia quel
mostro
erano spariti.
Quella
notte non riuscii a dormire, la passai stringendo
forte le coperte e con gli occhi ben serrati, sperando con tutto il
cuore che
fosse stato tutto frutto della mia mente…
Il rumore della porta
che sbatteva mi svegliò di colpo, facendomi sobbalzare nel
letto. Con lo
sguardo assonnato guardai in giro per la stanza e vidi Lei in piedi
davanti
alla finestra. «Cos’è stato?»
le domandai con la voce arrochita dal sonno e la
mente ancora addormentata.
Lei si voltò nella mia
direzione e mi sorrise incerta. «Tranquilla Denise. Era solo
il vento che ha
fatto sbattere delle persiane.» mi rassicurò senza
accennare a spostarsi dalla
finestra. La guardai scettica, ma evitai di controbattere. Non erano le
persiane, ne ero sicura. Qualcuno era uscito dal portone
d’ingresso ed il vento
lo aveva chiuso di scatto.
Perché mi aveva
mentito? Che motivo aveva? Chi era uscito?
In casa eravamo solo
io, lei, mamma e qualche domestico…
Mi sedetti meglio sul
letto e battei con la mano sul materasso per invitarla a prendere posto
al mio
fianco. Era ancora buio e vederla guardare fuori con
quell’inquietudine negli
occhi non mi faceva stare tranquilla. La vidi tentennare un momento,
mentre
alternava lo sguardo tra me e la vista oltre il vetro, ma alla fine si
arrese e
prese posto al mio fianco. Era nervosa e non riusciva a distogliere lo
sguardo
per troppo tempo dalla finestra.
Mi sporsi verso di lei
e l’abbracciai stretta. «Ci sono
io…» le sussurrai.
Un
colpo al braccio mi svegliò di soprassalto, facendomi
sbattere la testa su una superficie solida. Da quando il letto era
diventato
così scomodo e duro? Mi portai una mano alla parte lesa e la
strofinai, mentre
con l’altra mi strofinai gli occhi. «Che
diavolo…» sussurrai dolorante.
Lanciai
un’occhiata in giro, ero circondata da lunghi banchi
ed una lavagna attaccata al muro, un’aula gremita di ragazzi
attenti che
scrivevano in maniera quasi maniacale su fogli, quaderni, pc o tablet.
Li guardai
confusa.
Stavo
ancora dormendo?
Un
secondo colpo al braccio attirò la mia attenzione,
costringendomi a girarmi verso sinistra. Una ragazza dai lunghi capelli
neri mi
fissava con un misto di ansia e rassegnazione dipinto in viso.
«Alleluia…»
sospirò, mentre con una mano si sistemava gli occhiali che
indossava.
«Cassie?»
domandai ancora intontita dal sonno. Cosa ci
faceva lei qui?
Con
un gesto rapido mi diede un pizzicotto sul braccio per
poi tornare a voltarsi verso la lavagna e tormentarsi con la mando
destra un
boccolo, mentre con la sinistra riprendeva a scrivere. La guardai
sconvolta. «Che
ti prende?» le chiesi. «Mi hai fatto
male…»
«È
colpa tua!» affermò lei convinta, continuando la
sua
tortura a quella povera ciocca di capelli. Era decisamente nervosa e
straripava
ansia da tutti i pori e questo non era mai un buon segnale…
Dopo sette anni di
amicizia avevo iniziato a conoscerla e tutte le volte che lei si
trovava in uno
stato del genere di solito significava che si avvicinavano dei
problemi… Per
me, la maggior parte delle volte…
«Vorrei
ricordare a chiunque
trovasse la mia lezione noiosa o inutile che può
uscire serenamente dalla
sala senza disturbare chi ha piacere di seguire.» disse una
voce austera alle
mie spalle, mi girai e mi trovai il professore di Letteratura Italiana
in piedi
a pochi passi da me con uno sguardo tutt’altro che
conciliante…
Merda! Mi sono
addormentata in aula… E lui se n’è
accorto!
«Dovevi
dirmelo che era dietro di me…» accusai Cassie
mentre
mi spettinavo con un gesto nervoso i capelli. Mi ero appena fatta
riprendere
dal professore più severo
dell’università davanti all’intero
auditorium… Potevo
solo sperare che non fosse troppo fisionomista e si dimenticasse al
più presto
il mio volto.
«Avevi
solo da non addormentarti durante la lezione…»
ribatté lei semplicemente, mentre rispondeva rapida ad un
messaggio del suo
nuovo ragazzo, Alessio… Alex… Non riuscivo
proprio a ricordarmi il suo nome, ma
poco importava… Si sarebbe stufata presto di lui e lo
avrebbe lasciato, dunque
era inutile memorizzare il suo nome. Quella ragazza era incoerente,
credeva
cecamente nell’Amore con la A maiuscola, ma si gettava sempre
in relazioni di
breve durata con ragazzi per cui non provava altro che attrazione.
Ma
infondo chi ero io per giudicarla? Non facevo che sognare
una strana ragazza bionda e vedere un mostro che si divertiva un mondo
a
graffiarmi la finestra. Una malata di mente in parole povere…
«Non
lo faccio apposta, solo che sono settimane che non
riesco a riposare decentemente. Penso di aver riposato sì e
no una decina di
ore negli ultimi quattro giorni.» spiegai mentre mi
accasciavo sul tavolino de L’Eclissi,
un bar poco distante dall’Università
che frequentavamo in continuazione tra una lezione e l’altra.
Ormai era
diventata quasi una seconda casa.
Non
era molto grande, ma mi aveva sempre incuriosita il modo
in cui l’avevano arredato e dipinto le pareti: erano riusciti
a raffigurare un eclissi
talmente bene da sembrare reale, mentre il mobilio riprendeva quanto
possibile
i colori brillanti del sole quanto quelli scuri della notte. Inoltre
l’atmosfera
era confortevole e lo staff simpatico. Di tanto in tanto, quando
c’era Leo,
trovavamo già al nostro tavolo la colazione: tè
ai frutti rossi e muffin al
cioccolato per Cassie e un cappuccino formato extra large con croissant
alla
crema per me.
Eravamo
fin troppo abitudinarie…
Con
quella frase attirai immediatamente l’attenzione della
mia amica, che in un batter d’occhio chiuse il cellulare e lo
ritirò nella
borsa.
Era
rimasta rapita dai racconti sui sogni che mi
ossessionavano la notte, mandando in fumo tutte le mie preoccupazioni
riguardo
le sue possibili reazioni. Nella migliore delle ipotesi mi ero
immaginata che
mi avrebbe data della pazza o mi chiedesse se stavo scherzando, invece
lei si
era seduta sul pavimento della mia camera e mi aveva ascoltata tutto il
tempo
senza interrompermi.
«Ancora
quegli incubi?» mi chiese curiosa.
Già… Incubi…
Quando
gliene avevo parlato avevo omesso la parte in cui
quella cosa spaventosa aveva scambiato per un tira graffi la mia
finestra…
«Non
finiscono mai, ma quella ragazza è
sempre…» mi
interruppi di colpo fissando la vetrina del bar.
Una
ragazza con una lunga treccia bionda si era appena
fermata davanti alla porta del bar, sbirciando all’interno.
Appena si girò
nella mia direzione abbassò i grandi occhiali da sole,
rivelando un paio di
occhi azzurri che parevano leggermi dentro. Dimenticai di respirare
mentre
mantenevo lo sguardo fisso su di lei.
Non
era possibile… Anche se dopo ciò che era successo
la
scorsa notte non mi sarei dovuta più stupire di nulla.
La
ragazza sorrise e mi salutò con la mano, prima di
voltarsi ed andarsene contenta. Senza accorgermene del tutto mi alzai
dal
tavolo del bar e mi lanciai verso la porta d’uscita, la
spalancai e corsi
dietro alla bionda, sotto lo sguardo scioccato di Cassie.
Aveva
appena svoltato l’angolo ed io la seguii subito. Fu
inutile, perché ormai era sparita nella folla di gente che
si aggirava per le
strade. L’avevo persa di vista…
«Diana!!! Diana!!!
Si può sapere cosa ti è preso?»
urlò Cassie
raggiungendomi alle spalle e facendomi voltare nella sua direzione.
«Mi devi
delle spiegazioni. Ora!» affermò decisa ed agitata.