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Autore: Lunarys    10/04/2015    3 recensioni
[ Le strade erano relativamente sgombre. A pochi minuti dal pronto soccorso Max sentì la ragazza sussultare e tossire. Fermatosi ad un semaforo si girò a guardarla di nuovo. Era anche bella, notò. Quasi conscia del fatto che la stesse guardando la ragazza si mosse e mugugnò qualcosa che a Max sembrò un nome. ]
[ Aveva l'impressione che il tempo fosse solo una cella creata dall'uomo stesso. ]
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1 RECAP
Max è stato costretto dai servizi sociali a fare un lavoro a sua scelta per 3 mesi. Sceglie il tassista pensando che sia un lavoro semplice, ma si pente poco dopo. Una sera, prima della fine del suo turno carica in macchina una ragazza molto ubriaca che perde i sensi. Intenzionato a portarla all'ER ignora le sue richieste di essere portata "a casa" e cambia strada. La ragazza non vuole esserci portata e Max riluttante decide di non portarla. È svenuta, e una volta finito il suo turno la porta con se dove abita lui.



 

CAPITOLO 2
Kendra

 

«Kendra! Svegliati Kendra!»

«Mamma... Cos–»

«Muoviti, si deve partire!»

«Dove.... Dove andiamo..»

Sua madre la trascinò malamente fuori dal letto, e Kendra si costrinse a reggersi in piedi da sola. Era passato molto tempo dall'ultima volta che qualcuno l'aveva svegliata nel bel mezzo della notte, e non era più reattiva come un tempo.

In poco tempo scesero le scale con sua madre che la tirava per una mano attraverso la piccola cucina fatta di legno fino ad arrivare alla serra attaccata ad essa.

Fu solo allora che le lasciò la mano per mettersi a trafficare con delle piccole boccette appoggiate sul ripiano sotto al tavolo di vecchio legno che stava al centro della serra. Kendra si guardò attorno nel buio. Le piante crescevano alte fino al soffitto, e alcuni rampicanti coprivano il soffitto lasciando solo uno spiraglio al centro. Di giorno era molto suggestivo: la luce filtrava fra i rampicanti creando zone di luce e zone di ombra ovunque.

Sua madre intanto stava ammucchiando delle boccette sul tavolo, quando si fermò improvvisamente con le mani a mezz'aria, come se stesse riflettendo.

«Non muoverti da lì» le disse, e corse dentro in casa.

Tra le boccette sul tavolo Kendra ne riconobbe la maggior parte, dopotutto sua madre era una brava insegnante. Tornò poco dopo con una borsa in cui fece scivolare tutto quello che si trovava sul tavolo.

Gli porse la borsa, che doveva contenere qualcosa d'altro oltre alle boccette perchè pesava molto. Kendra se la mise in spalla senza fare domande. Era ancora confusa per il brusco risveglio ed era sorpresa di vedere sua madre, sempre calma e pacifica, in un tale stato di agitazione. Nonostante volesse fare qualcosa per calmarla, rimase ferma in mezzo alla serra.

Sua madre intanto stava armeggiando con delle boccette. La vide prendere qualcosa e infilarselo nella cintura. Un coltello? Impossibile. Sua madre era una donna pacifica e mai avrebbe potuto andare in giro con un coltello, nonostante tutto quello che Kendra sapeva le fosse successo prima dell'Alba. Cose che le erano state raccontate e anche insegnate a scuola, ma la fonte più ricca di tutto ciò era sua madre.

Kendra allungò la mano verso di lei.

«Prendimi la mano» Notò con improvviso disagio che sua madre aveva gli occhi pieni di lacrime. Nonostante ciò la guardava sorridendo, con la bocca che tremava leggermente.

«Io non vengo» le disse. Poi la vide muovere la mano in sua direzione, e prima che potesse dire o fare qualcosa fu avvolta dalla polvere nera che conosceva bene, e sua madre scomparì dalla sua vista assieme a tutta la serra. Ci furono solo polvere e vuoto per alcuni secondi. Poi era solo buio e il terreno era duro. Aveva la sensazione che qualcosa era andato storto.

 

Si svegliò tra urli e sussulti. Il ricordo era ancora vivido, anche nei suoi incubi. Non capiva dov'era. La stanza era buia e si sentiva mancare il respiro. Si ricordava che un Cercatore l'aveva raccolta poco dopo il suo arrivo a New York. Mettendosi seduta, tastò cautamente il materiale su cui poggiava. Era una stoffa ruvida e un materiale soffice si sentiva attraverso un buco. Un divano, probabilmente. Qualcosa le fece venire in mente casa. Sentì un peso nel petto al ricordo di quello successo poche ore prima, di cui l'incubo da cui si era appena svegliata aveva reso ancora più vivida il ricordo.

Nel mentre i suoi occhi si erano abituati al buio. La stanza ora appariva più squallida che mai: c'era solo la porta d'entrata, un piccolo frigobar e una porta che sicuramente dava sulla camera da letto del Cercatore che l'aveva raccattata poche ore prima.

Si intravedeva un raggio di luce filtrare attraverso le tende. Poi si sentì un rumore di passi dalla stanza.

Decise che era ora di andarsene, si sarebbe arrangiata come poteva. Si alzò puntando alla porta, ma una volta in piedi venne trafitta da un dolore lancinante alla coscia. Dolore che si spostò subito alla testa, creando la stessa confusione della sera precedente. Sentì la gravità attrarla a terra e con gli occhi mise a fuoco il pavimento preparandosi all'impatto. Che non arrivò.

«Ma che diavolo fai?!» il Cercatore era riuscito ad afferrarla, seppur malamente. Si rese conto di stare congelando solo quando venne a contatto con il corpo caldo di Max.

«Quanto sei fredda!» come risposta riuscì ad emettere un verso, che risultò piuttosto grottesco al ragazzo. Aveva la gola secca e cercare di parlare era solo un dolore continuo.

«Devi vomitare? Ti prego trattieniti che prendo un sacchetto» sentì il calore del corpo che si allontanava.

«No..!» sibilò. In vita sua non aveva mai cercato così disperatamente un contatto umano. Allungò le braccia verso il Cercatore che ancora non capiva che le stava succedendo. Pensò che fosse il cercatore peggiore del mondo, o ancora in allenamento. Poco dopo sentì ancora il calore avvolgerla, vide il pavimento allontanarsi, ed era di nuovo sul divano. La fonte di calore si allontanò, tornando poco dopo con un bicchiere d'acqua che le appoggiò alla bocca. Lo sentiva imprecare a se stesso. Bevve tutto il bicchiere e poi si sentì sprofondare di nuovo nel sonno. Nonostante cercava di fare resistenza si addormentò quasi immediatamente.

 

Max sospirò e le tolse il bicchiere dalle mani, appoggiandolo sul tavolino davanti al divano. Sfiorando le sue dita si ricordò di quanto fosse fredda, quasi congelata. Ma non tremava. Max si alzò e si diresse nella sua stanza, verso il letto. Ci si sedette sospirando di nuovo, pentendosi di non averla lasciata al pronto soccorso. Nonostante ciò prese la coperta e la mise sopra alla ragazza nell'altra stanza, lasciandola scoperta solo dalla bocca in su.

Pensò di poter controllare le tasche della ragazza per vedere se aveva con sè dei documenti. Prese una coperta e tornò nell'altra stanza con l'intento di scaldarla. Con sua sorpresa, vide che si era riuscita ad alzare.

«Oh finalmente!» sbuffò. Non vedeva l'ora che lei potesse andarsene con i suoi piedi. «...ti ho portato una cop-» Max rimase paralizzato da quello che vide oltre lo schienale del divano. La ragazza – chissà da dove – aveva tirato fuori un coltello e se lo stava per infilare dietro alla gamba, contorcendosi grottescamente. Le si fiondò addosso urlando.

«Lasciami..!»

«Lascialo!!» urlò Max riferendosi al coltello. Lo sentì cadere a terra, ma dalla sensazione di umido sulle mani capì che uno di loro due si era tagliato. E non era lui.

Ora la ragazza era bollente, ma dava più segni di vita. Si alzò dirigendosi verso la cucina. Riempì una bottiglia di acqua e obbligò la ragazza a berla. Nell'arco di un ora la ragazza era migliorata.

«Gra...»

«Cosa?»

«Grazie...» si era risvegliata.

«Grazie un paio di palle! Non sono un baby sitter io! Avrei dovuto scaricarti al pronto soccorso» Max quasi si pentì della sua risposta quando la ragazza non gli rispose per alcuni minuti. Intanto la osservava ancora sdraiata sul divano, ormai sporco di sangue.

«Eppure non mi ci hai lasciato... sei un cer-»

«Grazie per averlo specificato! Mi sento ancora più cretino ora!» si alzò in piedi di scatto, di nuovo infastidito. «avrei dovuto direttamente scaricarti in quel vicolo.»

«Ma non lo hai fatto...»

«La smetti di farmi l'elenco delle cose che non ho fatto? C'è già mia madre per quello!» si mise ad imitarla. «Max non hai messo in ordine la stanza! Max, vergognati non hai finito nemmeno il liceo! Max non sei mai stato il figlio che ho voluto! Oh, e non dimentichiamoci di Max mi sto scopando il tuo migliore amico, passa a prendere il latte prima di rientrare!»

La ragazza lo guardava in silenzio, con ancora un po' di foschia negli occhi. Non era abituata alla gente che parlava così tanto.

«E allora? Da cos– da chi è che ti ho salvato ieri? Chi ti voleva uccidere, Slenderman? Perchè per tua inf–»

«Ho mentito» alzò lo sguardo per un attimo, poi si piegò in avanti e una smorfia di dolore le apparve sul viso. Armeggiò con gli stivali neri.

«E io così stupido da portarti qua! Lo sapevo che mentivi» Max si mise le mani in testa guardando in alto. Si pentiva spesso delle sue scelte. Quando si girò si trovò davanti la ragazza che teneva un coltello a mezz'aria, probabilmente che teneva dentro agli stivali. Max si immobilizzò davanti a lei, che abbassò lentamente il coltello e cominciò a tagliarsi i pantaloni sulla gamba destra, sfilandoseli. Sembrava quasi che qualsiasi movimento le creasse dolore.

«Woah, woah, woah non è così che ci si toglie i pantaloni» vedendo che lo ignorava, Max fece per allontanarsi.

«Torna qua....» si girò. La ragazza lo puntava con il coltello. Max esitò, così l'espressione della ragazza si addolcì, per quanto sembrava soffrire. «...mi serve aiuto»

Avvicinandosi Max notò che le tremavano tanto le mani che si era tagliata la pelle mentre tagliava i pantaloni. Guardando il coltello, ancora puntato verso di lui, si inginocchiò davanti al divano. Allora la ragazza gli porse il manico del coltello.

Appena lo sfiorò, la ragazza mollò la presa sul coltello, sdraiandosi sul divano a pancia in giù. Gemette. Max indugiò con lo sguardo per un secondo, con ancora il coltello in mano. Fu solo allora che notò che la gamba che lei aveva liberato poco prima era blu prossima al violaceo, e sembrava gonfiarsi. C'erano capillari rosso scuro scoppiati su tutta la coscia, e al centro la pelle era sollevata come fosse una puntura di una vespa sotto massicce dosi di testosterone.

Max si portò la mano che teneva il coltello alla bocca, scioccato. La ragazza gli parlò affannata, girata da sopra la spalla.

«Pensavo... Pensavo di averlo tolto tutto»

Max continuava a guardare la coscia sconvolto. Si girò a guardare la ragazza, disorientato. Lei le afferrò la mano che teneva il coltello. Era di nuovo fredda.

«Devi toglierlo» armeggiò per togliersi anche la maglia che aveva addosso, rimanendo in canottiera. «È un pungiglione bianco» appallottolò la felpa e se ne mise un lembo tra i denti. «non fermarti fino a quando non l'hai tolto»

Max non si mosse per alcuni secondi.

 

 

 
  
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