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Autore: genesisandapocalypse    11/04/2015    6 recensioni
Gli occhi di Luke sono vitrei, nascosti da una nube di pensieri e ricordi. Dice di aver superato tutto, ma nessuno ci crede, Eloise per prima, che riuscirebbe a mettere da parte il suo odio colossale per Michael Clifford, se potesse aiutare.
Essere scappata nell’università al centro di Sydney è stata un po’ una salvezza, per Gioia. E che lo sia pure per qualcun altro?
Ashton ha perso fiducia nelle donne da tempo e scorbutico com’è, riesce a togliersele di mezzo, ma ogni tanto sa anche essere gentile.
A Cardiff c’è stata per soli tre anni, Eva, abbastanza per tornare a Sydney con qualcosa di troppo e far rimanere secco Calum.
E Scarlett, non sa bene come, finisce più spesso in quel bar che in camera propria.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo
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INDIPENDENZA.
 
“Più una persona sta bene da sola, e più acquista valore la persona con cui decide di stare.”  
“Nessuno è libero se non è padrone di se stesso.”
 
Eva sbatte la porta di casa e le viene da pensare che, la sua sottospecie di passeggiata, non è stata affatto rilassante.
L’odore della carne le arriva al naso e, subito, si fionda nella cucina, a passo pesante, giusto per avvertire del suo arrivo.
Non è arrabbiata.. di più!
Sua madre sta rigirando una bistecca sulla padella, suo padre è tranquillamente seduto sulla sedia, a capo della tavola già apparecchiata, con un giornale tra le mani.
«Mamma! – grida, andandole in contro con l’indice puntato – Tu lo sapevi! Dannazione, tu lo sapevi! E non ci hai pensato due volte!» sbotta, gesticolando furiosamente sotto gli occhi annoiati del padre e quelli colpevoli, ma nondispiaciuti, della madre.
La donna più anziana si avvicina lentamente alla figlia, pulendosi le mani sui pantaloni da casa, prima di sorridere gentilmente e accarezzarle un braccio.
«Amore, l’ho fatto per te! – dice, cercando l’appoggio del marito con un’occhiata – sì, insomma, prenderci i contatti non può fare così male, no? Un vecchio amico con cui parlare, con cui stare, può solo che farti bene, specie nella tua situazione,» le tocca delicatamente la pancia, ricoperta dal vestito, prima di allargare il sorriso.
Eva si scalda, scrollando le spalle per cercare di calmarsi.
Non ci crede, sua madre la spinta tra le braccia di Calum Hood, con cui è stata per ben cinque anni.
Troppi, considerato che ci si è messa a tredici anni.
Non ha avuto modo di fare altre esperienze – e non le voleva fare, sinceramente, ma questi sono dettagli.
«Mamma, è il mio ex, dannazione! Ci sono stata insieme per tantissimo tempo e non lo sento da quando sono partita, sai cosa significa rivederlo dopo tre lunghi anni? – blatera, passandosi le mani fra i capelli biondi – non puoi davvero avermi fiondato da lui, tu lo sapevi chi fosse! È stata la cosa più imbarazzante della mia vita!» aggiunge, portandosi le mani sulle guance e sentendole scottare al ricordo.
«Oh, scommetto che trovarti di fronte il padre di tuo figlio nudo è stato decisamente peggio – scherza suo padre, ridacchiando – sai che colibrì avrà avuto lì in mezzo,» e continua a ridere, seguito poco dopo dalla moglie, mentre Eva guarda la scena a braccia incrociate e cipiglio severo.
Lancia un’occhiataccia alla madre, che si ricompone e addolcisce lo sguardo.
«Amore, Calum è un così bravo ragazzo, riprendere i contatti non sarà tanto male,» Eva sospira, perché sì, l’ammette, ora che lo ha rivisto si accorge che le era mancato come l’aria, ma sua madre non può spedirla così, di punto in bianco,impreparata, dal suo ex ragazzo.
Si sono guardati per minuti interminabili, lei con una strana sensazione allo stomaco, lui che ha puntato subito gli occhi sulla pancia rigonfia, con le labbra serrate e lo sguardo sorpreso e.. amaro.
Alla fine è stata lei a far finire il loro silenzio, facendogli una semplice domanda di cortesia. Ma nessuno dei due è riuscito ad andare oltre a qualche balbettio goffo, perché l’imbarazzo era troppo.
Insomma, ritrovarsi la persona con cui si ha condiviso tutto per cinque anni, dopo che si pensava di aver chiuso definitivamente, è strano, davvero molto strano.
Non gli ha chiesto più della macchina, sentiva le gambe molli e un’ansia oppressiva che, alla fine, l’hanno fatta scappare a casa con una scusa che poco ha retto.
Adesso che ci pensa, crede che per lui sia stato peggio.
D’altronde, è lei quella incinta.
«Sì, mamma – borbotta, passandosi una mano sul viso – non sarà tanto male, ma lo capisci che sono appena stata scaricata? Non puoi buttarmi tra le braccia di chi ti capita da un momento all’altro,» sbotta, infine, aprendo le braccia.
«Oh, ma si tratta di Calum, non di uno qualsiasi,» ridacchia sua madre, dandole una gomitata.
Eva si lascia sfuggire un ringhio di esasperazione.
 
Michael sospira, appena apre la porta del bar di Ashton, sentendo il solito campanello trillare.
Luke è già arrivato, ha la schiena curva e una birra tra le mani ancora piena che, Michael ci scommette tutto, l’ha iniziata mezz’ora prima.
È sera e qua e là vi sono gruppetti di ragazzi, i soliti, che creano un’atmosfera allegra e un po’ meno pesante.
Eloise è dietro di lui, lo spinge violentemente per passare e si incammina a passo svelto verso lo sgabello accanto a suo fratello.
Ci è stato un intero pomeriggio e non sa bene come ha fatto ad esserne uscito intero, ‘ché lei lo odia ancora e, quando ne ha la possibilità, gli tira certi ceffoni che farebbero male persino a John Cena.
 «Una Heineken, Ashton, e di corsa – dice, aggrottando la fronte e arricciando le labbra – Dio mio, che giornataccia!» aggiunge, passandosi una mano fra i capelli biondissimi. Ashton fa un lieve sorriso divertito, guardando di soppiatto l’amico, tinto di bianco, che alza le spalle e si avvicina alla ragazza, con la consapevolezza che la “giornataccia” è opera sua.
«Anche a me, Ash,» borbotta, sedendosi sullo sgabello libero accanto a lei.
«Sei stato a poltrire a casa tutto il giorno?» Eloise si gira verso il fratello, che la guarda di sfuggita e si morde il labbro inferiore, giocherellando con il piercing, prima di scuotere la testa.
«Sono andato all’università,» sbiascica, alzando e abbassando le spalle di scatto.
«Hallelujah, hai capito di star sprecando i soldi di mamma e papà, allora?» dice, con il tono ripieno di sarcasmo.
Sa di essere davvero acida, gliel’hanno sempre fatto notare tutti, ma proprio non gli va giù vedere gli sforzi dei suoi genitori che non vengono nemmeno ricambiati.
Luke si stringe nelle spalle, sa che è un disastro e che è, persino, un ingrato, ma non lo fa a posta.
Annuisce e basta, con nessuna intenzione di rispondere a Eloise che, tra loro due, è sempre stata la più forte.. e la più stronza.
Michael è già pronto a dirle di lasciare stare l’amico, ma si zittisce appena il campanello trilla, facendo girare tutti e tre e alzare gli occhi al riccio.
Sorridono, alla vista di Calum, che è un po’ l’anima del gruppo, quello che, con le sue battute, smorza la tensione e fa rilassare tutti, riuscendo a farli chiacchierare come un normale gruppo di amici, evitando sceneggiate o frecciatine.
Eppure i sorrisi si smorzano appena gli occhioni di Calum si alzano e si scontrano con quelli degli altri, comunicando confusione, rancore e un pizzico di rabbia.
Già Ashton è pronto a chiedere, ma l’amico tira su una mano e abbassa lo sguardo, scuotendo la testa.
«Una birra, prima – inizia, sedendosi sullo sgabello con le spalle ricurve verso il basso – poi vi dirò tutto quello che volete, ma ti prego, Ash, prima dammi una fottutissima birra fredda,» e Calum nemmeno beve granché, ma Ashton non replica, si avvicina solo al frigo e afferra la lattina di birra migliore che ha, passandogliela senza proferir parola.
Calum la ingurgita in fretta e in furia, come se ne dipendesse la vita, e sospira, appena la finisce, stringendola tra le proprie dita con tanta di quella forza da ammaccarla.
«Calum, tutto ok?» chiede Michael, visibilmente preoccupato.
Il moro scuote la testa nuovamente, senza aprire bocca, mentre svaga con gli occhi sul bancone.
«Calum, cazzo! Cos’è successo?» esplode Eloise, sbattendo una mano sul tavolo e facendolo sobbalzare.
Sospira di nuovo, poi ride, senza divertimento.
«Eva è tornata,» soffia tra i denti, lasciando che un silenzio tombale li avvolga.
Eva Palmer andava al liceo con loro ed era una delle più belle nella scuola. Ashton, si ricorda bene, si era sentito fiero dell’amico quando gli aveva rivelato di averla conquistata, ed era solo al primo anno. Si aspettava che si lasciassero presto, invece, fino alla sua partenza, stettero insieme e Calum ci rimase secco.
Si ricorda anche della sofferenza dell’amico, ben celata, ‘ché non gli è mai piaciuto far notare la propria vulnerabilità. Non pianse mai, Calum non è uno da pianti, è un duro, ma ci stette davvero male.
E ora è tornata, dopo tre anni, pronta a rientrare nei pensieri del moro e dargli il tormento nuovamente.
«Non dovresti esserne felice?» azzarda, poi, perché alla fine potrebbe essere un’occasione per riprovarci. Ci è stato insieme per anni, fino ai diciotto compiuti, perché mai non potrebbe provare gli stessi sentimenti di una volta?
Calum sbatte un pugno sul tavolo, tanto forte e improvviso che sobbalzano tutti, lasciandosi sfuggire un gemito di sorpresa, prima che Calum digrigni i denti e indurisca la mascella.
Poi si lascia andare in una risata arrabbiata.
«È incinta,» dice solo, ma basta a zittirli tutti.
 
«Come ti è andata la giornata?» sono entrambe sdraiate sui propri letti, con gli occhi fissi sul televisore acceso, sebbene nessuna delle due stia seguendo la telenovela, e Gioia acchiappa l’ennesimo cioccolatino dalla busta.
Paola, la sua compagnia di stanza, si gira verso di lei, sistemandosi meglio tra le coperte.
«Direi bene, come sempre – sorride Gioia, allegra come solo lei riesce ad essere – è tutto così bello, qui!» aggiunge, con lo sguardo sognante rivolto al soffitto.
Gioia si sente così libera, all’università.
È totalmente indipendente e non ha la pressione dei genitori addosso, può fare gli orari che vuole e non sentire nessun urlo arrabbiato, può uscire quando le pare e può decidere lei per sé stessa.
Casa sua, alla fine, la opprimeva. Era sempre sotto la guida dei genitori, persino dopo aver compiuto diciotto anni e aver finito il liceo.
Mai una volta che la lasciassero scegliere da sola, ha dovuto persino lottare con le unghie e con i denti per venire a Sydney e per studiare psicologia, ‘ché non voleva nemmeno avvicinarsi a giurisprudenza, come invece volevano i suoi genitori.
Paola sorride, è felice che Gioia sia capitata in camera con lei – sebbene un po’ in ritardo, che lei è lì da un po’ di più – e le sta talmente simpatica da aver preferito rimanere a oziare in stanza, che uscire con gli altri compagni.
Poi, improvvisamente, a Gioia viene in mente il viso del ragazzo con cui ha fatto conoscenza la mattina stessa, quel Luke.
Era così.. strano. 
Un ragazzo tanto bello quanto spento. Gli occhi cerulei marcati da profonde occhiaie e le labbra spaccate e con i segni dei denti sopra.
Gioia è curiosa di natura e, sì, voleva davvero chiedergli cosa lo struggesse così tanto, ma si è morsa la lingua e si è stata zitta, ‘ché, ovviamente, quando mai sarebbe andato a dirlo a lei, conosciuta da pochi minuti?
Si gira verso Paola e le rivolge uno sguardo curioso.
«Che mi sai dire di un certo Luke?» le chiede, poi, storcendo la bocca.
Paola ricambia l’occhiata, aggrottando la fronte e sorridendo divertita.
«Quale? Sai com’è, ce ne fossero pochi di Luke, a questa scuola,» e Gioia ride, non può darle torto.
Ci pensa su, mettendosi un dito sul labbro inferiore, prima di iniziare una descrizione.
«È alto, molto alto, e ha le spalle giganti, penso che potrebbe giocare a rugby tanto fa paura, ha i capelli biondissimi e gli occhi azzurri – alza le spalle e lo sa che non basta – ha lo sguardo spento e le labbra tutte screpolate e rotte, due occhiaie che gli arrivano al mento e parla davvero, davvero pochissimo,» aggiunge, punta nuovamente gli occhi castani in quelli nerissimi di Paola e affina le labbra.
Paola ci pensa su, prima di illuminarsi.
«Ah, ma intendi Hemmings?» le chiede.
«Non lo so proprio il cognome,» risponde, mordendosi il labbro inferiore.
Paola scuote la testa, si rabbuia un po’ e infine si mette seduta, a gambe incrociate, e si stringe nelle spalle, afferrando le proprie caviglie con le mani.
«Era forse la persona più allegra nell’università, all’inizio – dice, sorridendo tristemente al ricordo – uno di quei ragazzi che non passa inosservato, era davvero amato, andava benissimo nelle materie e nessuno aveva da ridire sul suo conto,» inizia, un po’ giù ‘ché alla fine lei aveva persino avuto una cotta per lui.
«E poi?» chiede Gioia, interessata al discorso e curiosa fino al midollo.
Paola si gratta il mento, prima di scuotere la testa e guardarla.
«E poi si è spento, ma se ne dicono così tante che non si è mai capito il vero motivo,» alza le spalle e Gioia annuisce.
E, diavolo, ora vuole sapere
 
È notte, ormai, e vorrebbe proprio starsene tra le proprie lenzuola, magari con davanti il computer e affianco una ciotola di pop-corn.
Un bel film sullo schermo e di sottofondo i messaggi di Andrea, il suo ragazzo.
Invece sta camminando a passo svelto, per quanto i tacchi – che le stanno facendo un male terrificante – glielo permettano, con le mani infilate nelle tasche, ‘ché la sera fa freddo, e un po’ di ansia perché, insomma, è comunque un quartiere che a un orario del genere non ha mai visto.
La fronte aggrottata, le sopracciglia inarcate verso il basso e le labbra imbronciate, perché lei, lì, non ci vuole tornare.
Il bar è a pochi metri da lei e non riesce proprio a trattenere uno sbuffo, ma è del suo cellulare che si sta parlando, non di una cosa qualsiasi.
Entra e il campanello suona nuovamente, ma ‘sta volta è preparata e non sussulta, sorridendo appena il calore del bar la riempie.
Sinceramente non sapeva che potessero restare aperti fino a tardi, ma considerata la tanta popolazione, arriva a pensare che sia stata un’idea del direttore, ovvero quel ragazzo tanto scorbutico e arrogante.
Il ragazzo in questione è comodamente seduto sul bancone, mentre sta parlando con delle persone sedute vicino a lui, che, vista la confidenza, saranno più che clienti.
Appena Scarlett si chiude la porta alle spalle, il barista alza lo sguardo verso di lei, scontrando gli occhi d’ambra con i suoi azzurri. Lo vede storcere il naso indispettito, prima che un ghigno si formi sul suo viso.
Scende dal bancone con un saltello, prima di avvicinarsi a lei lentamente, attirando gli sguardi degli amici.
«Chi si rivede!» dice, con un tono tra l’infastidito e il divertito.
Scarlett alza gli occhi al cielo, prima di incrociare le braccia e scoccare la lingua sul palato.
«Vado di fretta, quindi dammi il telefono e facciamola finita,» allunga una mano e lo guarda con un sopracciglio alzato.
Ashton si passa la lingua sui denti superiori, alzando le spalle e scuotendo la testa, con un sorrisetto furbo sulle labbra.
«Non ho nessun telefono,» le dice, il tono velenoso e l’esplicita voglia di darle fastidio.
Scarlett affina gli occhioni, poi prende un gran respiro e fa uscire l’aria dal naso di botto, indispettita.
«Smettila e dammi il mio telefono – ringhia tra i denti, prima di indicare il grosso bancone – l’ho scordato lì, non puoi non averlo tu,» e Ashton sorride beffardo, prima di leccarsi le labbra.
«Ah, dici quell’iPhone ultimo modello che solo i ricconi possono permettersi? – si posa un dito sul mento e aggrotta la fronte – ah, sì, credo di averlo venduto a un cliente poco fa,» aggiunge, ridacchiando.
Scarlett sgrana gli occhi e sente di star diventando tutta rossa, sotto lo sguardo divertito del ragazzo.
«Tu cosa? – urla, attirando gli sguardi del resto dei clienti – tu che cosa?» sente le mani prudere e, davvero, vorrebbe tirargli un pugno sul viso, tanto forte da, magari, rompergli il naso.
Ma sa che è una buona a nulla, quindi gli rifila solo una spintarella che non lo fa né spostare, né gli fa male, ma solo ridere.
La guarda inarcando un sopracciglio, con la risatina che echeggia sulle labbra e gli occhi che la deridono.
E Scarlett si sente presa così tanto in giro che, giura, se avesse una pistola, ora il tipo sarebbe morto. Incrocia le braccia, sospirando di frustrazione, prima di avvicinarsi al ragazzo, fino ad alzare leggermente il viso per guardarlo meglio negli occhi.
E gioca le sue carte, allora.
«Se tu non mi ridai il telefono entro dieci minuti, o anche la somma esatta di quanto valeva, io ti faccio causa, dolcezza, e ti faccio chiudere in quattro e quattr’otto il tuo amato bar – sorride falsamente – sembrerebbe che sia unavvocato e che non mi lasci sfottere da un ragazzino come te,» arriccia le labbra e osserva il viso di Ashton contrarsi, prima di rilassarsi e lasciare che un sorriso acido gli nasca sul volto.
«Ragazzino? Avrò persino più di te,» e Scarlett alza gli occhi al cielo.
«Dico sul serio, dammi il cellulare, ci lavoro con quello, io,» Ashton ride di nuovo, poi si infila una mano nella tasca posteriore dei jeans, fino a tirarne fuori un iPhone, porgendoglielo.
Scarlett non toglie il contatto visivo con lui nemmeno un attimo.
«A mai più,» dice lei, poi, dandogli le spalle e dirigendosi alla porta.
«Io non ci giurerei,» lo sente bisbigliare.
Non capisce cosa intende fino a che non si ritrova nella propria casa, con il carica batterie appena infilato nel telefono e uno sfondo, sullo schermo, che non è il suo.
Va sui messaggi, sulla rubrica, sulle foto, ma nulla.
Ha fatto scambio con il suo dannatissimo cellulare.
«Non ci credo,» urla, frustrata.
 
***
Ehilà,
come va?
Eccoci con il nostro secondo capitolo, cosa ne pensate?
Allora, abbiamo Eva, un po' inviperita, che attacca la madre perché lo sapeva da chi la stava mandando. 
Qui si capisce meglio il carattere di Eloise, che non è solo una forte, ma anche una abbastanza stronza.
Poi arriva Calum e la sua amarezza, perché è davvero una pezza venire a sapere che Eva è incinta così.
Gioia parla con la sua compagnia di stanza, Paola, di Luke, perché ne è rimasta incuriosita.
Infine Scarlett torna nella tana del lupo e, guarda un po'? Non sarà l'ultima volta.
Vi lascio, ora, ma spero vi sia piaciuto!
Bye bye,
Judith.
  
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