Chiedo scusa in anticipo per eventuali errori. Ho
riletto il capitolo,
ma sono più fuori che dentro al momento, potrebbero esserci
degli errori o
delle ripetizioni che mi sono sfuggiti.
Capitolo
VIII
François/Kevin
e Mary
Tempo rimanente alla fine dello Sfogo Annuale: 10 ore e 40 minuti
Ormai erano minuti interi che vagavano per quel labirinto di siepi, senza, a detta di Dominick, alcun senso logico.
Il ragazzo si era semplicemente limitato a seguire quell’uomo come un cagnolino che segue il padrone. Non che avesse molta scelta. O quello, stare vicino a ciò di più simile ad una possibilità di salvezza, o girare senza meta per quei sentieri semibui nell’attesa di farsi ammazzare da qualche ricco psicopatico.
E non è il caso di dire che lui era troppo giovane e bello per schiantare nella notte dello Sfogo. E poi doveva vedere Hester, a tutti i costi. Porle delle scuse che erano doverossissime, farle capire che era stato uno stupido e che l’amava ancora e alla follia. Ma prima doveva uscire da lì, insieme a...
Dominick sgranò gli occhi. Solo allora si rese conto di non sapere non solo le intenzioni, ma nemmeno il nome dell’uomo. Alla prima domanda aveva categoricamente risposto "A dopo le spiegazioni", ma almeno il suo nome lo avrebbe rivelato! O no?
C’era solo un modo per scoprirlo.
«Scusa
ma...puoi dirmi almeno il
tuo nome?»
bisbigliò, per non farsi sentire da nessuno eccetto che lui,
come già poco
prima l’aveva messo in guardia.
«Mi chiamo François,
ragazzo.»
«Ok, io sono Dominick.» si
presentò lui,
piacevolmente sorpreso dal fatto che quello avesse risposto ad almeno
quella
domanda. Inoltre, non poté non constatare come quel nome e
il suo accento
fossero tipicamente francesi. Questo spiegò quella sua
particolare R moscia.
«Piacere di conoscerti, Dominick. Ma
adesso è meglio che tu rimanga zitto.»
ammonì François.
Dominick mise il broncio. Aveva appena
fatto confidenza con lui e quello buttava tutto nel cesso per fare il
rompiscatole.
Realizzò che quello era il tipico adulto che non perdeva
occasione di
rimproverarti. In poche parole, il tipico uomo con cui non voleva avere
nulla a
che fare, né durante, né al di fuori della notte
dello Sfogo. Lui era uno
spirito libero e ribelle, odiava gli adulti rompiscatole e ammonitori.
Fece per brontolare qualcosa a suo modo
e fargli capire che lui era un rompiscatole nato e non poteva farci
nulla, ma
François si fermò di scatto e alzò una
mano, per fargli cenno di arrestarsi a
sua volta. Dominick si bloccò obbediente, poi vide
l’uomo accucciarsi, così lo
imito. Si rese conto che erano arrivati nei pressi di un incrocio tra
sentieri.
Buttò di nuovo l’occhio su François e
lo vide stringere la presa intorno alla
sua Lupara e irrigidirsi. Fletté gambe e braccia. Non ci
mise molto per capire
che, per chissà quale motivo, stava per partire
all’attacco di qualcosa.
E quella cosa non ci mise molto ad
arrivare. Infatti, dopo neanche dieci secondi, uno di quei ricchi pazzi
girò
l’angolo. Solo che questa volta non aveva alcun sorrisetto
stampato sul volto. Anzi,
la sua espressione diceva tutto il contrario. Camminava ingobbito,
mentre
teneva saldamente tra le mani il suo fucile da caccia. Guardava in ogni
direzione convulsivamente, girando la testa in ogni angolazione
possibile con
una velocità talmente elevata che sembrava aver preso degli
steroidi.
Era teso, pensò Dominick. Spaventato,
addirittura.
Il ragazzo lo fissò quasi meravigliato.
Non credeva che avrebbe mai visto un’espressione simile sui
volti di quelle
teste di cazzo. Si chiese anche il perché, fosse
così teso. Ma soprattutto,
perché fosse da solo. Insomma, che si fossero divisi era
scontato, ma credeva
che lo avessero fatto a gruppetti, non singolarmente. Dopotutto, quei
tizi non
erano altro che dei vigliacchi. Insomma, per purificarsi danno la
caccia a
degli innocenti indifesi, comprati all’asta perché
rapiti da altri ragazzi
durante lo Sfogo.
Se questa non è codardia...
I suoi pensieri vennero interrotti
brutalmente quando François balzò addosso a quel
tizio. Dominick sobbalzò
quando vide l’omaccione muoversi con tutta quella
rapidità. Il riccone non
appena vide il francese arrivargli addosso urlò di spavento.
Puntò il fucile,
ma fu troppo lento. François lo disarcionò senza
troppa difficoltà e gli sferrò
un pugno alla mascella, ribaltandolo come una sedia.
Dominick spalancò la bocca quando vide
con che facilità l’uomo avesse appena steso il
loro cacciatore, che cadde a
terra gemendo e chiudendo gli occhi, per poi rimanere immobile. Ma la
cosa più
sorprendente fu ciò che il francese disse mentre afferrava
con entrambe le mani
la sua Lupara: «E questo era l’ultimo.»
Il ragazzo sentendo quelle parole
assunse un’espressione confusa. Inarcò un
sopracciglio e fece per domandargli
cosa volesse dire, ma si interruppe quando vide François
puntare il fucile
contro il corpo esanime di quell’uomo.
Lo fissò basito, temendo di aver capito
le sue intenzioni.
Non...non vorrà mica...
François fece fuoco. La fiammata che
fuoriuscì dalla bocca dell’arma
illuminò la zona per un breve attimo, poi la
maglia dell’uomo esplose e il suo petto si tinse di rosso,
mentre lembi di
pelle volavano via e si intravedevano le sue viscere.
Dominick sobbalzò per lo spavento, poi
cominciò a tremare come una foglia e a guardare il francese
intimorito. Aveva
appena ucciso a sangue freddo un uomo davanti ai suoi occhi. Quel tipo
era
privo di sensi, non poteva nemmeno difendersi. E lui gli aveva sparato
in pieno
petto con un fucile da caccia.
Non trovava le forze nemmeno per pensare.
Figurarsi muoversi o parlare. L’unica cosa che riusciva a
fare era guardarlo
basito, con la mascella prossima a staccarsi dalla faccia e gli occhi
che
stavano per schizzare fuori dalle orbite.
François ricaricò il fucile
come se
nulla fosse, poi si voltò verso di lui. Notando la sua
espressione a dir poco
sbalordita, incurvò un sopracciglio. «Che
c’è?»
Dominick trovò la forza sovraumana per
riuscire a muovere una mano. Sollevò un indice, dire che
tremava era riduttivo,
e lo indicò, per poi biascicare un mucchio di parole
sconnesse, dovute allo
choc: «Lo hai...lo hai...tu...l’hai...il
fucile...io...sangue...cazzo...»
«Ah, ho capito, sei sensibile alla vista
del sangue. Mi spiace, ma vedi il lato positivo, adesso non cercheranno
più di
ammazzarci.»
Il ragazzo nemmeno lo sentì. Ci mise
molto per riuscire a capacitarsi di cosa aveva appena visto e a
riordinare quel
pandemonio che era la sua mente. Aveva ucciso un uomo davanti ai suoi
occhi.
Certo, quello era un pazzo e stava dando loro la caccia,
però che diavolo! Non
poteva nemmeno difendersi!
«Dominick, vuoi uscire da qui o
no?»
domandò François posandogli una mano sulla spalla.
Quella domanda riuscì a far riscuotere
il ragazzo. Sì, certo che voleva andarsene.
Annuì.
«Bene, allora smetti di comportarti da
ragazzina suscettibile e seguimi!»
Dominick trovò il coraggio di annuire e
si mise a seguire l’uomo che aveva appena sparato senza
pietà ad un indifeso,
conscio anche del fatto che quella fosse la cosa più stupida
di quel mondo.
Cioè, se aveva appena ucciso quel cacciatore, cosa gli
impediva di uccidere
anche lui, un ragazzino disarmato e indifeso?
Una parte di lui la pensava così e non
voleva fare altro che scappare a gambe levate.
Un’altra parte invece...gli suggeriva
che forse poteva fidarsi. Dopotutto, se ucciderlo erano le sue intenzioni, non lo avrebbe
certo salvato in
quel modo! Inoltre, quella era l’unica possibilità
che aveva per poter uscire
da lì.
«Ascolta ragazzo...»
cominciò François
mentre correvano per la fitta rete di siepi. «...non
è questione di molto prima
che quei bastardi pulciosi mandino i rinforzi per controllare
cos’è successo ai
cacciatori e farci la pelle. Dopotutto, gli altri ricconi hanno visto
tutto lo
spettacolo. Perciò stammi dietro e per nessuna ragione al
mondo staccati da me.»
Dominick non capì nulla di tutto quello
che aveva detto. «No, aspetta...cosa?»
«Ho ucciso tutti i cacciatori,
ragazzo.»
«Tu hai fatto cosa?!»
domandò il ragazzo
incredulo alle proprie orecchie. Non riusciva a credere che quel tizio
avesse
fatto fuori sette uomini armati da solo.
«Mi hai sentito. Ho colto di sprovvista
la coppia di un uomo e una donna. Li ho stesi, poi ho rubato un visore
notturno
e il fucile, poi li ho uccisi. A quel punto ho cominciato a setacciare
tutta la
zona, alla ricerca di altri cacciatori, per ucciderli prima che loro
uccidessero gli ostaggi. Purtroppo, sono arrivato tardi. Tu sei
l’unico
rimasto, oltre a me.»
Dominick era sempre più stupefatto.
Faticava a credere a tutte quelle parole, ma dopotutto la
realtà dei fatti era
chiara. In giro non c’era più nessuno, eccetto
loro due. Inoltre, questo
spiegava il perché quel cacciatore sembrasse così
teso. François aveva appena
ammazzato tutti i suoi compagni. Eppure continuava a suonargli strano.
Com’era
possibile? Cioè, sì, era grosso, ma nulla di
più! Sapeva combattere? Era una
qualche specie di soldato?
«Ma...cioè...come hai fatto?
Sei...insomma...un poliziotto o robe del genere?»
François scosse la testa.
«Sono solo uno
che non crede in questa notte.»
«Che intendi?»
«Lo Sfogo. Io non ci credo. E’
un’enorme
stronzata, fatta solo per uccidere i più poveri e dare una
spinta all’economia.
E’ per questo che sono qui. Avevo sentito di queste aste,
così mi sono fatto
catturare di proposito per poter essere venduto ad una di esse.
Dopodiché ho
ucciso quei bastardi. Voglio proprio vedere se ne faranno altre! E questo è solo
l’inizio! Ho intenzione di
intrufolarmi in tutte le aste della città e far fuori tutti
quei bastardi che
si divertono a fare i cacciatori con gli innocenti. Lascerò
una profonda
cicatrice negli animi di coloro che credono nello Sfogo!»
Dominick lo ascoltò in parte tra il
meravigliato e il riluttante.
Anche lui era a conoscenza della verità
celata dietro allo Sfogo, cioè che era tutto legato ai soldi
e all’economia.
Perciò doveva ammettere che le intenzioni di
François erano a dir poco nobili.
Voleva mettere in pari le cose, far capire ai ricchi che loro non erano
padroni
delle vite degli altri.
Ma nonostante ciò, non poteva certo
negare che quelle sue intenzioni sfioravano il limite della follia. Era
una
cosa a dir poco impossibile ammazzare tutti i bastardi che in
città si
divertivano a giocare con i più poveri. Erano talmente tanti
e ben organizzati
che, a detta di Dominick, era quasi un miracolo che François
fosse ancora vivo.
Ma lui non era certo tipo da mettersi a
discutere riguardo alle decisioni altrui. Lui che voleva uscire la
notte dello
Sfogo per uccidere un uomo e che per poco era svenuto davanti a
François che
uccideva quel tizio.
E poi una volta usciti da lì ognuno
poteva fare quel diavolo che avrebbe voluto.
***
Tempo rimanente alla fine dello Sfogo Annuale: 10 ore e 30 minuti
«Ormai
ci siamo, signorine!»
esclamò
Greg con un sorriso vittorioso. «Porca puttana,
c’abbiamo messo mezz’ora! Tutta
colpa di queste strade di merda piene di stronzi armati! Abbiamo dovuto
prendere un casino di fottute vie secondarie!»
«Ce la fai a non infilare una parolaccia
in ogni frase?» brontolò David, irritato dal
comportamento immaturo del
collega.
«Scusa, ma divento nervoso quando la mia
scopata viene ritardata!»
Thia gemette di nuovo, Marianne lanciò
un’occhiata velenosa al conducente, mentre David roteava gli
occhi e lasciava
perdere il complice con un sospiro.
Lo sguardo della donna poi andò a
posarsi sulla sua bambina, che adesso si era accucciata sul lato del
sedile,
premuta contro la porta quasi sperasse che si aprisse da un momento
all’altro.
Aveva ancora le guancie arrossate, gli
occhi lucidi e la fascia che le impediva di parlare. Marianne aveva
provato a
togliergliela, ma Greg e David le avevano subito fatto capire che se lo
avesse
fatto sarebbero stati guai, per lei e Thia.
Così si era accomodata al meglio e aveva
riflettuto a lungo su come poter salvare la ragazza da quella
situazione, o per
lo meno evitare che venisse violentata.
Un sacco di idee le erano venute, ma le
aveva scartate quasi tutte. Ognuna di loro implicava qualche folle
gesto ai
limiti dell’eroicità, con annessi usi di armi o
combattimento corpo a corpo. Ma
Greg e David erano sicuramente più forti di lei e poi erano
in due.
Accantonate le ipotesi più improbabili,
solo una le rimase.
Era la più dolorosa di tutte, per lei,
ma se serviva per liberare Thia, allora avrebbe optato per quella. Pur
di
difendere quella ragazza, avrebbe sacrificato sé stessa,
come una vera madre
dovrebbe fare per la figlia o il figlio.
Rabbrividì al pensiero di ciò
che stava
per dire, ma era l’unica maniera. Raccolse le forze, poi
chiamò i suoi
aguzzini: «Ehi.»
David si voltò pigramente verso di lei,
mugugnando con fare sbrigativo: «Mh?»
Marianne inspirò, poi parlò
con quanta
più sicurezza possibile nella voce. Doveva far capire che
era disposta a tutto:
«Ascoltata, David. Anche tu, Greg. Io...non voglio che a Thia
accada qualcosa.
Ma voi ovviamente non la lascereste andare senza motivo,
perciò...ho una
proposta.»
Greg drizzò le orecchie, incuriosito.
«Avanti, spara!»
Anche David le fece cenno di proseguire,
al che Marianne obbedì. «La mia proposta
è questa: potete...prendere me. Solo
me. Potrete violentarmi a turno o insieme, non mi interessa. Ma Thia
dovete
lasciarla andare.»
Thia spalancò gli occhi quando
sentì ciò
che Mary stava dicendo. Cominciò ad agitarsi, ad emettere
versi strozzati dalle
fasce, a scuotere la testa, a dirle a suo modo di non fare una cosa del
genere.
In quella situazione c’erano tutte due e tutte due
l’avrebbero affrontata,
volenti o nolenti.
Marianne però la ignorò. Lo
fece a
malincuore, anche con una punta d’orgoglio nel vedere come la
sua bambina
tenesse a lei anche in quel momento. Ma se voleva proteggerla, avrebbe
dovuto
farlo.
Greg e David guardarono perplessi prima
lei, poi il rispettivo complice.
Dopo un bel po’ di silenzio, David
parlò: «Beh...se proprio ci tiene...»
«Col cazzo!»
protestò Greg. «Io non
condivido una donna con un altro uomo! Fanculo! Piuttosto mi tengo la
bionda!»
David assottigliò le labbra, accigliato,
ma non aggiunse altro. Si voltò di nuovo verso Marianne.
«Spiacente, il mio
socio non è d’accordo e francamente anche a me
girerebbero le scatole nel
condividerti con lui. Tu apparterrai solo a me.»
Marianne inorridì, mentre ogni traccia
di colore svaniva dalle sue guancie. La sua idea non aveva funzionato.
Non
aveva salvato Thia.
Guardò affranta la ragazzina, che
però
non sembrava turbata. Anzi, non appena le loro iridi si incrociarono,
Thia la
rassicurò con un cenno del capo. Non le importava cosa
sarebbe successo a lei,
l’importante era che restasse con la sua nuova famiglia.
Avrebbero affrontato
quella notte e l’avrebbero superata. Il giorno dopo avrebbero
ripreso con la
loro vita di sempre e tutto quanto sarebbe diventato solo un brutto
ricordo.
Dovevano solo stringere i denti e trattenere il fiato. Letteralmente.
Thia strisciò verso la donna e, non
potendo fare molto per via dei polsi legati, adagiò la testa
nell’incavo del
suo collo. Non poteva parlare, ma Marianne intuì cosa
volesse dirle. Lo capì da
come la guardava e da quel suo gesto. Le stava dicendo di non
preoccuparsi.
Ma lei non poteva non farlo. Singhiozzò
e appoggiò il mento sui capelli della ragazza. «Mi
dispiace Thia...»
Un altro verso fuoriuscì dalla bocca
tappata della ragazza, probabilmente un altro "non importa" oppure
uno "smettila di preoccuparti".
Ciò non fece assolutamente
tranquillizzare la donna, che singhiozzò un’altra
volta. «Ti ho detto che
questa notte non ci sarebbe successo nulla, invece...ti ho mentito,
Thia...io...scusami...adesso mi odierai...e non posso
biasimarti...»
Non appena finì di parlare Thia si
allontanò
da lei e la guardò di nuovo negli occhi, protestando di
nuovo a suo modo.
Scosse la testa più volte, mentre questa volta nelle sue
iridi appariva
un’ombra di determinazione. Di nuovo, per Marianne era
impossibile capire, ma
era ovvio che la ragazza la stesse rimproverando, le stesse dicendo di
smetterla di scusarsi, che lei non aveva nessuna colpa. Ma soprattutto,
che non
avrebbe mai potuto odiarla.
«Mi dispiace...»
mormorò ostinatamente
Mary.
A quel punto Thia si rassegnò e
adagiò
la testa nell’incavo del collo della donna come aveva fatto
prima. Marianne
affondò la fronte tra i suoi capelli dorati, morbidi e
profumati, mentre
singhiozzava di nuovo. «Scusa...»
Thia non protestò più. Si
limitò a
sospirare esasperata dal naso e a rannicchiarsi meglio contro di lei.
Chiuse
gli occhi e venne pervasa da un piacevole senso di beatitudine nel
trovarsi a
così stretto contatto con quella donna. Non si
separò più da lei, così come
Mary non alzò la testa.
Restarono ferme in quel modo, in quella
specie di affettuoso abbraccio madre e figlia. Un abbraccio che avrebbe
potuto
sciogliere come neve al sole perfino il più spietato dei
criminali. Un affetto
reciproco che avrebbe distrutto ogni male nel mondo.
«Oh, guarda che tenere! Secondo me con
quelle due potremmo fare delle cose a tre niente male! Che ne pensi
David?»
commentò tagliente Greg.
David invece, vedendole abbracciate in
quel modo, cominciò a dubitare di tutto ciò che
aveva fatto. Stava
veramente...cercando di violentare una donna e lasciare quella
ragazzina che
non poteva avere più di vent’anni a quel maniaco
del suo complice? Quella donna
che poi lo aveva sempre rifiutato solo per via del fattaccio che
l’aveva
colpita due anni prima, la morte di suo marito?
Improvvisamente, tutto ciò che aveva fatto gli sembrò una cosa orripilante. Lui stesso si reputò il peggiore dei mostri.
«Ehi, non dirmi che te la sei
bevuta?!»
sbottò Greg notando il suo sguardo affranto, ancora rivolto
alle due donne.
La voce del suo complice lo fece
rinsanire. Non poteva certo mostrarsi come uno che si faceva
impietosire
proprio di fronte a lui. «N-No, certo che no...»
Greg grugnì in assenso. «Bene,
perché se
no...oh cazz...!»
Non riuscì nemmeno a finire di parlare
che un mucchio di persone armate fuoriuscì da dei vicoli e
riempì di piombo la
macchina. I finestrini e il parabrezza vennero fatti a pezzi. Marianne
urlò,
così fece Thia, a suo modo, ed entrambe si accucciarono sul
sedile, per non
farsi colpire.
«Imboscata!» sbraitò
David mentre
afferrava il suo fucile e sparava fuori dal finestrino.
Greg urlò disperatamente quando un
proiettile lo raggiunse su un braccio, ma ciò non gli
impedì certo di dare
fondo a tutto il suo vocabolario di parolacce, afferrare la sua pistola
e
rendere pan per focaccia a quei bastardi. «Non rovinerete la
mia scopata, figli
di puttana!»
Thia cominciò a singhiozzare per la
paura, mentre Marianne le mormorava
parole di conforto, anche se non sapeva quanto veritiere potessero
essere. Erano
finiti in un imboscata, la loro vita
era appesa a un filo. Sarebbe bastato un semplice proiettile vagante
per
uccidere anche loro. A quel pensiero, Marianne rabbrividì e
cercò di fare da
scudo umano alla ragazza accucciandosi sopra di lei.
David e Greg continuarono a sparare fino
a quando un pulmino scolastico non sbucò da dietro
l’angolo.
Quando Greg notò l’enorme
veicolo
giallo, era già troppo tardi.
Riuscì solamente a sgranare gli occhi.
L’impatto fu devastante.
***
Nel
frattempo.
Erano di nuovo partiti. Avevano finito
di massacrare quei poveretti ed erano di nuovo saliti sul pulmino,
ululando,
urlando, ridendo e anche sparando per aria, mentre si vantavano di come
avessero ucciso quello, tagliato la gola a quell’altro,
amputato il braccio a
quell’altro ancora.
Kevin si era rintanato nel suo angolino.
Si era abbracciato le gambe e aveva cominciato a dondolarsi in avanti e
in
indietro, ormai prossimo alla pazzia più totale.
Cominciava perfino ad avere dei dubbi
sulla sua vera identità, visto che Troy ormai lo chiamava
una volta Kevin e
dieci Travis.
Che poi, perché diavolo lo chiamava
così? Non riusciva a capirlo.
Sapeva solo che se voleva rivedere la
luce del giorno, doveva scappare da lì. Meglio vagare da
soli e senza meta
nella notte dello Sfogo che con quella gabbia di matti.
Peccato che Troy si fosse seduto vicino
a lui e non lo perdesse di vista nemmeno un secondo.
Kevin rabbrividiva ogni volta che si
accorgeva dello sguardo dell’uomo. Perché lo
guardava così? Che diavolo voleva
da lui? Perché a Kevin non ne stava andando neanche una
giusta?
Sospirò e appoggiò il volto
fra le
ginocchia.
«Stanco?» domandò
Troy vedendolo.
«Già...»
mugugnò Kevin.
Per un attimo sperò che Troy mostrasse
un po’ di compassione, che magari lo riaccompagnasse fino a
casa e gli dicesse
di andare a dormire tranquillo. Ovviamente le sue speranze furono vane.
«Andiamo, Kevin! Tirati su! Abbiamo
ancora dieci ore di Sfogo!»
Kevin piagnucolò qualcosa di
incomprensibile e si tirò su. Per lo meno quella volta lo
aveva chiamato per il
suo vero nome.
Troy sorrise, ma nel giro di pochi
attimi il sorriso svanì, in quanto un grosso urto fece
scuotere il pulmino.
Kevin, non abituato, andò a sbattere contro la parete
accanto a lui.
Troy si alzò immediatamente in piedi e
andò dall’autista. «Che diavolo
è successo?!»
L’autista lenì il dolore alla
tempia
causato dall’urto, poi sogghignò nel vedere la
macchina che avevano appena
colpito. «Carne fresca!»
Troy guardò la macchina, poi si accorse
che nella strada accanto a loro un mucchio di uomini armati stava
correndo
verso di loro.
Senza scomporsi, annuì e
ordinò: «Molto
bene, scendiamo!»
Di nuovo, il suo ordine venne accolto da
un boato di urla e ululati, poi tutti gli uomini impugnarono le armi e
scesero
dal pulmino.
Kevin rimase acquattato al suo posto, ma
Troy gli arrivò accanto e tese una mano: «In
piedi, questa volta vieni anche
tu!»
Il ragazzo gemette in silenzio. Ogni fibra
del suo corpo di oppose, ma fu comunque costretto ad afferrare la mano
dell’uomo
e a mettersi in piedi. Troy gli mise in mano una pistola.
«Tieni, sai già come
usarla!»
Kevin trattenne un conato di vomito
pensando a ciò che aveva fatto con quell’arma, poi
si limitò ad annuire.
Seguito da Troy, scese dal pulmino, girò da davanti al muso
e si trovò di
fronte ad uno spettacolo orrendo, ma famigliare allo stesso tempo.
Nella strada era guerra pura. Gli uomini
di Troy si erano appostati in ripari di fortuna, come auto parcheggiate
o
vicoli. Da lì facevano piovere piombo sugli altri uomini,
riparati a loro volta
da macchine o vicoli.
«Non stare impalato, mettiti al
riparo!»
ordinò Troy.
Kevin si riscosse e seguì
l’uomo fino al
primo nascondiglio, una macchina ferma, dove già si trovava
l’autista del
pulmino.
«Ehi capo, la c’è la
macchina contro cui
abbiamo bocciato!» esclamò indicando un veicolo
accartocciato sul bordo della
strada poco lontano da lì. «Sembra il lavoro
ideale per quello nuovo!»
Troy si illuminò e guardò
Kevin. «Ottima
idea. Kevin, va a controllare quella macchina. Guarda se ci sono
superstiti e
se sì portaceli. Poi vedremo cosa farcene!»
Kevin impallidì di nuovo, poi
però si
rese conto di una cosa, che gli fece tornare un po’ di
sicurezza, ma soprattutto
speranza. «Aspetta...da solo?»
«Certo, che domande sono? Vuoi compagnia
per andare a controllare una macchina semidistrutta?»
Kevin non poteva credere a ciò che stava
sentendo. Quello forse era il primo vero colpo di fortuna a cui andava
incontro. Lo stavano mandando da solo lontano da lì! Era
l’occasione migliore
che potesse capitargli per scappare! Improvvisamente
un’ondata di speranza lo
travolse e lo rinvigorì. Forse sarebbe riuscito a rivedere i
suoi, alla fine
dei conti.
Sorridendo come un idiota, cominciò ad
annuire come un forsennato e fece anche un saluto militare.
«Sissignore! Vedrà, la
renderò fiero di
me!» blaterò, dicendo ciò che Troy
avrebbe voluto sentirsi dire.
Infatti l’uomo gonfiò il petto
pieno d’orgoglio
e ricambiò il sorriso. «Splendido! Allora
vai!»
Senza farselo ripetere due volte il
ragazzino corse come una scheggia impazzita verso la strada dove si
trovava la
macchina.
In quel breve tratto di strada si sentì
più libero che mai prima di allora. Aveva percorso solo
dieci metri, ma già
pregustava la sua libertà, il suo ritorno a casa. E per di
più aveva perfino
una pistola in mano! Quale miglior souvenir di quella notte di merda?
Inspirò a pieni polmoni l’aria
fredda
che lo puntellava mentre correva a perdifiato verso la sua
libertà. Avrebbe
ignorato quella macchina e avrebbe tirato dritto. Che ci avessero
provato ad
inseguirlo, dopo. Lui non si sarebbe mai più fatto trovare,
poco ma sicuro.
Mentre correva, arrischiò una breve
occhiata verso quell’imbecille di un uomo che lo aveva appena
preso in
ostaggio. Ciò che vide lo pietrificò
all’istante. Troy era la, fermo immobile,
ad osservarlo. Improvvisamente il piano di Kevin sfumò. Non
poteva scappare
mentre quello lo guardava, o lo avrebbero raggiunto in tempo zero.
Doveva aspettare
almeno che si distrasse. Imprecando per colpa di
quell’imprevisto, Kevin fu
costretto ad andare per davvero a controllare la macchina. Solo che
mentre lo
faceva, la paura della presenza di qualche superstite armato si
insinuò dentro
di lui. E se lo avessero visto e gli avessero sparato?
O se no, se ci fossero stati superstiti
disarmati, cosa diamine avrebbe fatto? Li avrebbe puntato la pistola
fino a
quando Troy non si fosse distratto?
Non lo sapeva, ma doveva fare buon viso
a cattivo gioco. Lanciando occhiatine rapide a Troy, per vedere se lo
stesse
guardando o no, si avvicinò alla macchina e
rallentò il passo, fino a camminare
semplicemente.
Con il cuore che batteva a mille impugnò
la pistola, con la tremarella più forte che avesse mai
avuto.
Quando fu a pochi metri dalla
carrozzeria crivellata dai proiettili e accartocciata si
fermò.
Si voltò un’altra volta verso
di Troy,
che sollevò un pollice per incitarlo a continuare. A quel
punto, Kevin non poté
fare altro.
Buttò fuori una boccata
d’aria, si fece
coraggio, puntò la pistola e si avvicinò al
cadavere dell’auto.
In primis, ciò che vide lo fece
sobbalzare. C’erano due uomini seduti davanti, sembravano
entrambi morti, o
comunque privi di sensi. I loro volti adagiati sul cruscotto erano
delle
maschere di sangue.
Tirò un sospiro di sollievo, poi
sentì
un gemito strozzato che lo folgorò come una scarica
elettrica per lo spavento. Si
voltò di scatto verso il punto da cui era provenuto,
sollevando la pistola. Ciò
che vide, lo lasciò ancora più sbigottito.
Sedute sul sedile posteriore, premute
contro la portiera, c’erano due donne. O meglio, una era una
donna, l’altra non
doveva avere molti anni in più di lui.
La donna aveva i capelli neri e
scompigliati e gli occhi verdi. Era bella, peccato che avesse il labbro
spaccato e le guancie graffiate e sporche di sangue, con i capelli
incrostati
su di esso.
Anche la ragazza era carina, capelli
biondi e corti e occhi azzurri, solo che anche lei era piuttosto
malridotta. Aveva
un taglio su una guancia che doveva essersi fatto da poco,
perché gocciolava
copiosamente. Forse era dovuto all’impatto con il pulmino di
Troy e compagnia.
Ma la cosa più strana erano i loro polsi
legati e la fascia che copriva la bocca della ragazzina.
Entrambe avevano il respiro pesante e
fissavano Kevin basite, sicuramente non sapendo cosa aspettarsi da lui.
Era solo
un ragazzo, ma dopotutto stava puntando loro una pistola. Pistola che
abbassò
lentamente, non appena si accorse che quelle due non potevano essere
una vera
minaccia.
Si guardarono ancora per un momento. Kevin
non capì il motivo delle loro condizioni, non che gli
importasse più di tanto,
visto che Troy continuava a guardarlo. E quelle erano due superstiti.
«Cazzo...» imprecò
sottovoce, mentre la
situazione si faceva cento volte più complicata di quanto
già non fosse.
Che cazzo doveva fare? Portare quelle
due da Troy? Essere responsabile della loro morte, o peggio, del loro
stupro?
Perché quella banda di scalmanati di certo avrebbe dato
ancora più di matto
vedendo due come loro, tra l’altro già legate. Le
avrebbero prese per delle
amanti del bondage o stronzate di questo genere.
Si premette una mano su una tempia e
digrignò i denti, mentre cercava di trovare una soluzione.
Troy nel frattempo
continuava a guardarlo.
«Fanculo, fanculo!»
imprecò di nuovo,
questa volta ad alta voce.
«Che...che vuoi farci?»
domandò la
donna, l’unica delle due che potesse parlare, mentre la
ragazzina lo fissava
con quegli occhi azzurri pieni di paura.
Kevin sospirò, mentre quella poneva la
stessa domanda che lui stesso si era fatto. Si passò una
mano sulla fronte, poi
scosse la testa. «Nulla...nulla...devo...portarvi da...il mio
capo...ma non
voglio...»
La donna lo fissò chiaramente spiazzata,
ma non fece domande a riguardo. Tutt’altro.
Sollevò i polsi e mostrò le fasce
che li tenevano legati. «Puoi...puoi liberarci da
queste?»
Kevin la fissò pensieroso. Si
voltò
verso di Troy, che nel frattempo sembrava un po’ scocciato di
aspettare. Il tempo
stringeva.
Ormai era ad un bivio. Poteva scappare,
a suo rischio e pericolo, oppure restare e fare ancora buon viso
cattivo gioco,
nella speranza di un’occasione migliore.
Di nuovo, non seppe cosa scegliere. Anche
perché restare lì implicava consegnare quelle
due. Quelle due che gli avevano
appena chiesto se potevano essere liberate.
Non sapeva come fosse possibile che
quelle due si trovassero in quella situazione, ma non gli importava.
Perché avrebbe
dovuto aiutarle? Chi aveva aiutato lui quando aveva bisogno? Nessuno.
Eppure, l’idea di consegnare quelle due
gli faceva salire la bile. Soprattutto guardando gli occhi azzurri di
quella
ragazzina. Era terrorizzata. Tremava come una foglia.
Improvvisamente, Kevin si sentì
più
simile a lei di quanto non fosse. Erano due ragazzi, entrambi costretti
fuori
la notte dello Sfogo, a lottare tra la vita e la morte.
Troy si accigliò e lo chiamò:
«Kevin!
Trovato qualcosa?»
Il tempo stringeva. Nessuno poteva
salvare lui. Ma lui poteva salvare quelle due ragazze. Se proprio
quella notte
sarebbe morto, lo avrebbe fatto compiendo almeno una buona azione.
«Kevin...puoi aiutarci?»
domandò di
nuovo la donna, che probabilmente aveva sentito Troy.
Il ragazzo non perse un secondo e annuì.
«Certo.»
Cercò di aprire la portiera, ma era
bloccata. Così infilò una mano attraverso
ciò che rimaneva del finestrino e la
sbloccò dall’interno. Entrò dentro e
afferrò le fasce della donna. Cercò di
slegarle in tutti i modi possibili, ma quelle erano strettissime.
Allora ebbe
un’idea. Posò la pistola e cercò il suo
accendino. Lo trovò, poi lo usò per
bruciare le fasce. Poco per volta, riuscì a liberare la
donna.
«Grazie.» disse mentre si
massaggiava i
polsi scorticati da quelle fasce strettissime.
Kevin non rispose neanche. Alzò lo
sguardo e vide Troy cominciare ad avvicinarsi a loro.
Gli venne la pelle d’oca. Ogni centimetro
del suo corpo formicolò. «Merda...»
«Che succede?» chiese
preoccupata la
donna.
«Il mio capo...»
La donna si accorse di Troy e sbiancò.
«No...»
Ormai era fregato. Non aveva più nessuna
speranza, se non quella di prendere la pistola e costringere quella
poveretta a
venire con lui. Di nuovo, sentì la bile salire al solo
pensiero.
Non che però avesse molte altre scelte.
Quello,
oppure affrontare le conseguenze del tentato tradimento. Qualcosa gli
diceva
che Troy e i suoi non erano molto clementi.
Ma quando tutto sembrava perduto, ecco
che finalmente la buona stella di Kevin fece il suo lavoro.
L’uomo seduto al
posto del guidatore gemette, segno che era ancora vivo. Kevin, quando
lo sentì,
si tolse il peso del mondo dalle spalle.
Guardò la donna e chiese giusto per
precauzione: «Quell’uomo lì davanti,
cos’ha cercato di farvi? Perché siete
legate?»
La donna fece una smorfia. «Voleva
stuprarci.»
«Mi basta. Ti lascio
l’accendino e la
pistola. Buona fortuna.»
La donna lo guardò con degli occhi colmi
di gratitudine. «Grazie Kevin.»
«Figurati...ehm...» Kevin non
terminò la
frase, lasciando intuire alla donna che volesse sapere il suo nome.
«Marianne. Mary per gli amici.»
intuì
lei.
«Figurati Mary.» rispose lui
con un
sorriso.
Poi guardò la ragazzina, che lo fissava
colma di gratitudine a sua volta. «Ehm...anche tu, buona
fortuna.»
Senza attendere la risposta, o il gemito
strozzato, scese dalla macchina, aprì la portiera davanti e
tirò fuori l’uomo
semisvenuto, che protestò qualcosa di incomprensibile.
Ignorando le sue
lamentele, Kevin lo trascinò come meglio poté
fino da Troy e la banda.
Lanciò delle occhiate furtive verso la
macchina, dove Mary sicuramente stava liberando l’altra
ragazza.
Sospirò rassegnato, mentre portava quel
poveretto da Troy. Magra consolazione, il fatto che quello fosse un
porco che
aveva cercato di stuprare quelle due.
Consolazione un po’ più
grande, il fatto
che per lo meno aveva compiuto una buona azione, salvando Marianne e la
biondina.
Sperò
che il karma ne tenesse conto o che per lo meno gli facesse guadagnare
qualche
punto. Ma per il momento, doveva solo prepararsi psicologicamente, alla prospettiva di restare ancora per chissà quanto con Troy e la sua banda.