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Autore: edoardo811    11/04/2015    1 recensioni
[Anarchia: La notte del giudizio]
America 2025
La disoccupazione è ridotta al 3%, la criminalità è quasi inesistente e ogni anno sempre meno persone vivono sotto la soglia di povertà
[...]
"Questo non è un test. E’ attivo il vostro programma di emergenza che annuncia l’inizio dello Sfogo annuale sancito dal nostro governo. Possono essere utilizzate tutte le armi di classe 4 o inferiore, le altre sono proibite. Ai funzionari amministrativi di livello 10 viene concessa l’immunità. Al suono della sirena, ogni crimine, incluso l’omicidio, sarà legale per le successive dodici ore. Tutti i servizi di emergenza saranno sospesi. Il governo vi ringrazia per la vostra partecipazione."
La notte dello Sfogo, un'occasione annuale per potersi liberare di ciò che ci opprime e purificare le nostre anime. Quattro persone si ritroveranno nel posto sbagliato al momento sbagliato, riusciranno a sopravvivere?
Fic ispirata all' omonimo film.
[SOSPESA][MORTA]
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Violenza
Capitoli:
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Chiedo scusa in anticipo per eventuali errori. Ho riletto il capitolo, ma sono più fuori che dentro al momento, potrebbero esserci degli errori o delle ripetizioni che mi sono sfuggiti.

 

 

Capitolo

VIII

François/Kevin e Mary

 

Tempo rimanente alla fine dello Sfogo Annuale: 10  ore e 40 minuti

Ormai erano minuti interi che vagavano per quel labirinto di siepi, senza, a detta di Dominick, alcun senso logico.

Il ragazzo si era semplicemente limitato a seguire quell’uomo come un cagnolino che segue il padrone. Non che avesse molta scelta. O quello, stare vicino a ciò di più simile ad una possibilità di salvezza, o girare senza meta per quei sentieri semibui nell’attesa di farsi ammazzare da qualche ricco psicopatico.

E non è il caso di dire che lui era troppo giovane e bello per schiantare nella notte dello Sfogo. E poi doveva vedere Hester, a tutti i costi. Porle delle scuse che erano doverossissime,  farle capire che era stato uno stupido e che l’amava ancora e alla follia. Ma prima doveva uscire da lì, insieme a...

Dominick sgranò gli occhi. Solo allora si rese conto di non sapere non solo le intenzioni, ma nemmeno il nome dell’uomo. Alla prima domanda aveva categoricamente risposto "A dopo le spiegazioni", ma almeno il suo nome lo avrebbe rivelato! O no?

C’era solo un modo per scoprirlo.

«Scusa ma...puoi dirmi almeno il tuo nome?» bisbigliò, per non farsi sentire da nessuno eccetto che lui, come già poco prima l’aveva messo in guardia.

«Mi chiamo François, ragazzo.»

«Ok, io sono Dominick.» si presentò lui, piacevolmente sorpreso dal fatto che quello avesse risposto ad almeno quella domanda. Inoltre, non poté non constatare come quel nome e il suo accento fossero tipicamente francesi. Questo spiegò quella sua particolare R moscia.

«Piacere di conoscerti, Dominick. Ma adesso è meglio che tu rimanga zitto.» ammonì François.

Dominick mise il broncio. Aveva appena fatto confidenza con lui e quello buttava tutto nel cesso per fare il rompiscatole. Realizzò che quello era il tipico adulto che non perdeva occasione di rimproverarti. In poche parole, il tipico uomo con cui non voleva avere nulla a che fare, né durante, né al di fuori della notte dello Sfogo. Lui era uno spirito libero e ribelle, odiava gli adulti rompiscatole e ammonitori.

Fece per brontolare qualcosa a suo modo e fargli capire che lui era un rompiscatole nato e non poteva farci nulla, ma François si fermò di scatto e alzò una mano, per fargli cenno di arrestarsi a sua volta. Dominick si bloccò obbediente, poi vide l’uomo accucciarsi, così lo imito. Si rese conto che erano arrivati nei pressi di un incrocio tra sentieri. Buttò di nuovo l’occhio su François e lo vide stringere la presa intorno alla sua Lupara e irrigidirsi. Fletté gambe e braccia. Non ci mise molto per capire che, per chissà quale motivo, stava per partire all’attacco di qualcosa. 

E quella cosa non ci mise molto ad arrivare. Infatti, dopo neanche dieci secondi, uno di quei ricchi pazzi girò l’angolo. Solo che questa volta non aveva alcun sorrisetto stampato sul volto. Anzi, la sua espressione diceva tutto il contrario. Camminava ingobbito, mentre teneva saldamente tra le mani il suo fucile da caccia. Guardava in ogni direzione convulsivamente, girando la testa in ogni angolazione possibile con una velocità talmente elevata che sembrava aver preso degli steroidi.

Era teso, pensò Dominick. Spaventato, addirittura.

Il ragazzo lo fissò quasi meravigliato. Non credeva che avrebbe mai visto un’espressione simile sui volti di quelle teste di cazzo. Si chiese anche il perché, fosse così teso. Ma soprattutto, perché fosse da solo. Insomma, che si fossero divisi era scontato, ma credeva che lo avessero fatto a gruppetti, non singolarmente. Dopotutto, quei tizi non erano altro che dei vigliacchi. Insomma, per purificarsi danno la caccia a degli innocenti indifesi, comprati all’asta perché rapiti da altri ragazzi durante lo Sfogo.

Se questa non è codardia...

I suoi pensieri vennero interrotti brutalmente quando François balzò addosso a quel tizio. Dominick sobbalzò quando vide l’omaccione muoversi con tutta quella rapidità. Il riccone non appena vide il francese arrivargli addosso urlò di spavento. Puntò il fucile, ma fu troppo lento. François lo disarcionò senza troppa difficoltà e gli sferrò un pugno alla mascella, ribaltandolo come una sedia.

Dominick spalancò la bocca quando vide con che facilità l’uomo avesse appena steso il loro cacciatore, che cadde a terra gemendo e chiudendo gli occhi, per poi rimanere immobile. Ma la cosa più sorprendente fu ciò che il francese disse mentre afferrava con entrambe le mani la sua Lupara: «E questo era l’ultimo.»

Il ragazzo sentendo quelle parole assunse un’espressione confusa. Inarcò un sopracciglio e fece per domandargli cosa volesse dire, ma si interruppe quando vide François puntare il fucile contro il corpo esanime di quell’uomo.

Lo fissò basito, temendo di aver capito le sue intenzioni.

 Non...non vorrà mica...

François fece fuoco. La fiammata che fuoriuscì dalla bocca dell’arma illuminò la zona per un breve attimo, poi la maglia dell’uomo esplose e il suo petto si tinse di rosso, mentre lembi di pelle volavano via e si intravedevano le sue viscere.

Dominick sobbalzò per lo spavento, poi cominciò a tremare come una foglia e a guardare il francese intimorito. Aveva appena ucciso a sangue freddo un uomo davanti ai suoi occhi. Quel tipo era privo di sensi, non poteva nemmeno difendersi. E lui gli aveva sparato in pieno petto con un fucile da caccia.

Non trovava le forze nemmeno per pensare. Figurarsi muoversi o parlare. L’unica cosa che riusciva a fare era guardarlo basito, con la mascella prossima a staccarsi dalla faccia e gli occhi che stavano per schizzare fuori dalle orbite.

François ricaricò il fucile come se nulla fosse, poi si voltò verso di lui. Notando la sua espressione a dir poco sbalordita, incurvò un sopracciglio. «Che c’è?»

Dominick trovò la forza sovraumana per riuscire a muovere una mano. Sollevò un indice, dire che tremava era riduttivo, e lo indicò, per poi biascicare un mucchio di parole sconnesse, dovute allo choc: «Lo hai...lo hai...tu...l’hai...il fucile...io...sangue...cazzo...»

«Ah, ho capito, sei sensibile alla vista del sangue. Mi spiace, ma vedi il lato positivo, adesso non cercheranno più di ammazzarci.»

Il ragazzo nemmeno lo sentì. Ci mise molto per riuscire a capacitarsi di cosa aveva appena visto e a riordinare quel pandemonio che era la sua mente. Aveva ucciso un uomo davanti ai suoi occhi. Certo, quello era un pazzo e stava dando loro la caccia, però che diavolo! Non poteva nemmeno difendersi!

«Dominick, vuoi uscire da qui o no?» domandò François posandogli una mano sulla spalla.

Quella domanda riuscì a far riscuotere il ragazzo. Sì, certo che voleva andarsene. Annuì.

«Bene, allora smetti di comportarti da ragazzina suscettibile e seguimi!»

Dominick trovò il coraggio di annuire e si mise a seguire l’uomo che aveva appena sparato senza pietà ad un indifeso, conscio anche del fatto che quella fosse la cosa più stupida di quel mondo. Cioè, se aveva appena ucciso quel cacciatore, cosa gli impediva di uccidere anche lui, un ragazzino disarmato e indifeso?

Una parte di lui la pensava così e non voleva fare altro che scappare a gambe levate.

Un’altra parte invece...gli suggeriva che forse poteva fidarsi. Dopotutto, se ucciderlo erano le sue  intenzioni, non lo avrebbe certo salvato in quel modo! Inoltre, quella era l’unica possibilità che aveva per poter uscire da lì.

«Ascolta ragazzo...» cominciò François mentre correvano per la fitta rete di siepi. «...non è questione di molto prima che quei bastardi pulciosi mandino i rinforzi per controllare cos’è successo ai cacciatori e farci la pelle. Dopotutto, gli altri ricconi hanno visto tutto lo spettacolo. Perciò stammi dietro e per nessuna ragione al mondo staccati da me.»

Dominick non capì nulla di tutto quello che aveva detto. «No, aspetta...cosa?»

«Ho ucciso tutti i cacciatori, ragazzo.»

«Tu hai fatto cosa?!» domandò il ragazzo incredulo alle proprie orecchie. Non riusciva a credere che quel tizio avesse fatto fuori sette uomini armati da solo.

«Mi hai sentito. Ho colto di sprovvista la coppia di un uomo e una donna. Li ho stesi, poi ho rubato un visore notturno e il fucile, poi li ho uccisi. A quel punto ho cominciato a setacciare tutta la zona, alla ricerca di altri cacciatori, per ucciderli prima che loro uccidessero gli ostaggi. Purtroppo, sono arrivato tardi. Tu sei l’unico rimasto, oltre a me.»

Dominick era sempre più stupefatto. Faticava a credere a tutte quelle parole, ma dopotutto la realtà dei fatti era chiara. In giro non c’era più nessuno, eccetto loro due. Inoltre, questo spiegava il perché quel cacciatore sembrasse così teso. François aveva appena ammazzato tutti i suoi compagni. Eppure continuava a suonargli strano. Com’era possibile? Cioè, sì, era grosso, ma nulla di più! Sapeva combattere? Era una qualche specie di soldato?

«Ma...cioè...come hai fatto? Sei...insomma...un poliziotto o robe del genere?»

François scosse la testa. «Sono solo uno che non crede in questa notte.»

«Che intendi?»

«Lo Sfogo. Io non ci credo. E’ un’enorme stronzata, fatta solo per uccidere i più poveri e dare una spinta all’economia. E’ per questo che sono qui. Avevo sentito di queste aste, così mi sono fatto catturare di proposito per poter essere venduto ad una di esse. Dopodiché ho ucciso quei bastardi. Voglio proprio vedere se ne faranno altre!  E questo è solo l’inizio! Ho intenzione di intrufolarmi in tutte le aste della città e far fuori tutti quei bastardi che si divertono a fare i cacciatori con gli innocenti. Lascerò una profonda cicatrice negli animi di coloro che credono nello Sfogo!»

Dominick lo ascoltò in parte tra il meravigliato e il riluttante.

Anche lui era a conoscenza della verità celata dietro allo Sfogo, cioè che era tutto legato ai soldi e all’economia. Perciò doveva ammettere che le intenzioni di François erano a dir poco nobili. Voleva mettere in pari le cose, far capire ai ricchi che loro non erano padroni delle vite degli altri.

Ma nonostante ciò, non poteva certo negare che quelle sue intenzioni sfioravano il limite della follia. Era una cosa a dir poco impossibile ammazzare tutti i bastardi che in città si divertivano a giocare con i più poveri. Erano talmente tanti e ben organizzati che, a detta di Dominick, era quasi un miracolo che François fosse ancora vivo.

Ma lui non era certo tipo da mettersi a discutere riguardo alle decisioni altrui. Lui che voleva uscire la notte dello Sfogo per uccidere un uomo e che per poco era svenuto davanti a François che uccideva quel tizio.

E poi una volta usciti da lì ognuno poteva fare quel diavolo che avrebbe voluto.

 

***

 

Tempo rimanente alla fine dello Sfogo Annuale: 10  ore e 30 minuti

«Ormai ci siamo, signorine!» esclamò Greg con un sorriso vittorioso. «Porca puttana, c’abbiamo messo mezz’ora! Tutta colpa di queste strade di merda piene di stronzi armati! Abbiamo dovuto prendere un casino di fottute vie secondarie!»

«Ce la fai a non infilare una parolaccia in ogni frase?» brontolò David, irritato dal comportamento immaturo del collega.

«Scusa, ma divento nervoso quando la mia scopata viene ritardata!»

Thia gemette di nuovo, Marianne lanciò un’occhiata velenosa al conducente, mentre David roteava gli occhi e lasciava perdere il complice con un sospiro.

Lo sguardo della donna poi andò a posarsi sulla sua bambina, che adesso si era accucciata sul lato del sedile, premuta contro la porta quasi sperasse che si aprisse da un momento all’altro.

Aveva ancora le guancie arrossate, gli occhi lucidi e la fascia che le impediva di parlare. Marianne aveva provato a togliergliela, ma Greg e David le avevano subito fatto capire che se lo avesse fatto sarebbero stati guai, per lei e Thia.

Così si era accomodata al meglio e aveva riflettuto a lungo su come poter salvare la ragazza da quella situazione, o per lo meno evitare che venisse violentata.

Un sacco di idee le erano venute, ma le aveva scartate quasi tutte. Ognuna di loro implicava qualche folle gesto ai limiti dell’eroicità, con annessi usi di armi o combattimento corpo a corpo. Ma Greg e David erano sicuramente più forti di lei e poi erano in due.

Accantonate le ipotesi più improbabili, solo una le rimase.

Era la più dolorosa di tutte, per lei, ma se serviva per liberare Thia, allora avrebbe optato per quella. Pur di difendere quella ragazza, avrebbe sacrificato sé stessa, come una vera madre dovrebbe fare per la figlia o il figlio.

Rabbrividì al pensiero di ciò che stava per dire, ma era l’unica maniera. Raccolse le forze, poi chiamò i suoi aguzzini: «Ehi.»

David si voltò pigramente verso di lei, mugugnando con fare sbrigativo: «Mh?»

Marianne inspirò, poi parlò con quanta più sicurezza possibile nella voce. Doveva far capire che era disposta a tutto: «Ascoltata, David. Anche tu, Greg. Io...non voglio che a Thia accada qualcosa. Ma voi ovviamente non la lascereste andare senza motivo, perciò...ho una proposta.»

Greg drizzò le orecchie, incuriosito. «Avanti, spara!»

Anche David le fece cenno di proseguire, al che Marianne obbedì. «La mia proposta è questa: potete...prendere me. Solo me. Potrete violentarmi a turno o insieme, non mi interessa. Ma Thia dovete lasciarla andare.»

Thia spalancò gli occhi quando sentì ciò che Mary stava dicendo. Cominciò ad agitarsi, ad emettere versi strozzati dalle fasce, a scuotere la testa, a dirle a suo modo di non fare una cosa del genere. In quella situazione c’erano tutte due e tutte due l’avrebbero affrontata, volenti o nolenti.

Marianne però la ignorò. Lo fece a malincuore, anche con una punta d’orgoglio nel vedere come la sua bambina tenesse a lei anche in quel momento. Ma se voleva proteggerla, avrebbe dovuto farlo.

Greg e David guardarono perplessi prima lei, poi il rispettivo complice.

Dopo un bel po’ di silenzio, David parlò: «Beh...se proprio ci tiene...»

«Col cazzo!» protestò Greg. «Io non condivido una donna con un altro uomo! Fanculo! Piuttosto mi tengo la bionda!»

David assottigliò le labbra, accigliato, ma non aggiunse altro. Si voltò di nuovo verso Marianne. «Spiacente, il mio socio non è d’accordo e francamente anche a me girerebbero le scatole nel condividerti con lui. Tu apparterrai solo a me.»

Marianne inorridì, mentre ogni traccia di colore svaniva dalle sue guancie. La sua idea non aveva funzionato. Non aveva salvato Thia.

Guardò affranta la ragazzina, che però non sembrava turbata. Anzi, non appena le loro iridi si incrociarono, Thia la rassicurò con un cenno del capo. Non le importava cosa sarebbe successo a lei, l’importante era che restasse con la sua nuova famiglia. Avrebbero affrontato quella notte e l’avrebbero superata. Il giorno dopo avrebbero ripreso con la loro vita di sempre e tutto quanto sarebbe diventato solo un brutto ricordo. Dovevano solo stringere i denti e trattenere il fiato. Letteralmente.

Thia strisciò verso la donna e, non potendo fare molto per via dei polsi legati, adagiò la testa nell’incavo del suo collo. Non poteva parlare, ma Marianne intuì cosa volesse dirle. Lo capì da come la guardava e da quel suo gesto. Le stava dicendo di non preoccuparsi.

Ma lei non poteva non farlo. Singhiozzò e appoggiò il mento sui capelli della ragazza. «Mi dispiace Thia...»

Un altro verso fuoriuscì dalla bocca tappata della ragazza, probabilmente un altro "non importa" oppure uno "smettila di preoccuparti".

Ciò non fece assolutamente tranquillizzare la donna, che singhiozzò un’altra volta. «Ti ho detto che questa notte non ci sarebbe successo nulla, invece...ti ho mentito, Thia...io...scusami...adesso mi odierai...e non posso biasimarti...»

Non appena finì di parlare Thia si allontanò da lei e la guardò di nuovo negli occhi, protestando di nuovo a suo modo. Scosse la testa più volte, mentre questa volta nelle sue iridi appariva un’ombra di determinazione. Di nuovo, per Marianne era impossibile capire, ma era ovvio che la ragazza la stesse rimproverando, le stesse dicendo di smetterla di scusarsi, che lei non aveva nessuna colpa. Ma soprattutto, che non avrebbe mai potuto odiarla.

«Mi dispiace...» mormorò ostinatamente Mary.

A quel punto Thia si rassegnò e adagiò la testa nell’incavo del collo della donna come aveva fatto prima. Marianne affondò la fronte tra i suoi capelli dorati, morbidi e profumati, mentre singhiozzava di nuovo. «Scusa...»

Thia non protestò più. Si limitò a sospirare esasperata dal naso e a rannicchiarsi meglio contro di lei. Chiuse gli occhi e venne pervasa da un piacevole senso di beatitudine nel trovarsi a così stretto contatto con quella donna. Non si separò più da lei, così come Mary non alzò la testa.

Restarono ferme in quel modo, in quella specie di affettuoso abbraccio madre e figlia. Un abbraccio che avrebbe potuto sciogliere come neve al sole perfino il più spietato dei criminali. Un affetto reciproco che avrebbe distrutto ogni male nel mondo.

«Oh, guarda che tenere! Secondo me con quelle due potremmo fare delle cose a tre niente male! Che ne pensi David?» commentò tagliente Greg.

David invece, vedendole abbracciate in quel modo, cominciò a dubitare di tutto ciò che aveva fatto. Stava veramente...cercando di violentare una donna e lasciare quella ragazzina che non poteva avere più di vent’anni a quel maniaco del suo complice? Quella donna che poi lo aveva sempre rifiutato solo per via del fattaccio che l’aveva colpita due anni prima, la morte di suo marito?

Improvvisamente, tutto ciò che aveva fatto gli sembrò una cosa orripilante. Lui stesso si reputò il peggiore dei mostri.

«Ehi, non dirmi che te la sei bevuta?!» sbottò Greg notando il suo sguardo affranto, ancora rivolto alle due donne.

La voce del suo complice lo fece rinsanire. Non poteva certo mostrarsi come uno che si faceva impietosire proprio di fronte a lui. «N-No, certo che no...»

Greg grugnì in assenso. «Bene, perché se no...oh cazz...!»

Non riuscì nemmeno a finire di parlare che un mucchio di persone armate fuoriuscì da dei vicoli e riempì di piombo la macchina. I finestrini e il parabrezza vennero fatti a pezzi. Marianne urlò, così fece Thia, a suo modo, ed entrambe si accucciarono sul sedile, per non farsi colpire.

«Imboscata!» sbraitò David mentre afferrava il suo fucile e sparava fuori dal finestrino.

Greg urlò disperatamente quando un proiettile lo raggiunse su un braccio, ma ciò non gli impedì certo di dare fondo a tutto il suo vocabolario di parolacce, afferrare la sua pistola e rendere pan per focaccia a quei bastardi. «Non rovinerete la mia scopata, figli di puttana!»

Thia cominciò a singhiozzare per la paura, mentre Marianne le  mormorava parole di conforto, anche se non sapeva quanto veritiere potessero essere.  Erano finiti in un imboscata, la loro vita era appesa a un filo. Sarebbe bastato un semplice proiettile vagante per uccidere anche loro. A quel pensiero, Marianne rabbrividì e cercò di fare da scudo umano alla ragazza accucciandosi sopra di lei.

David e Greg continuarono a sparare fino a quando un pulmino scolastico non sbucò da dietro l’angolo.

Quando Greg notò l’enorme veicolo giallo, era già troppo tardi.

Riuscì solamente a sgranare gli occhi.

L’impatto fu devastante.

 

***

 

Nel frattempo.

Erano di nuovo partiti. Avevano finito di massacrare quei poveretti ed erano di nuovo saliti sul pulmino, ululando, urlando, ridendo e anche sparando per aria, mentre si vantavano di come avessero ucciso quello, tagliato la gola a quell’altro, amputato il braccio a quell’altro ancora.

Kevin si era rintanato nel suo angolino. Si era abbracciato le gambe e aveva cominciato a dondolarsi in avanti e in indietro, ormai prossimo alla pazzia più totale.

Cominciava perfino ad avere dei dubbi sulla sua vera identità, visto che Troy ormai lo chiamava una volta Kevin e dieci Travis.

Che poi, perché diavolo lo chiamava così? Non riusciva a capirlo.

Sapeva solo che se voleva rivedere la luce del giorno, doveva scappare da lì. Meglio vagare da soli e senza meta nella notte dello Sfogo che con quella gabbia di matti.

Peccato che Troy si fosse seduto vicino a lui e non lo perdesse di vista nemmeno un secondo.

Kevin rabbrividiva ogni volta che si accorgeva dello sguardo dell’uomo. Perché lo guardava così? Che diavolo voleva da lui? Perché a Kevin non ne stava andando neanche una giusta?

Sospirò e appoggiò il volto fra le ginocchia.

«Stanco?» domandò Troy vedendolo.

«Già...» mugugnò Kevin.

Per un attimo sperò che Troy mostrasse un po’ di compassione, che magari lo riaccompagnasse fino a casa e gli dicesse di andare a dormire tranquillo. Ovviamente le sue speranze furono vane.

«Andiamo, Kevin! Tirati su! Abbiamo ancora dieci ore di Sfogo!»

Kevin piagnucolò qualcosa di incomprensibile e si tirò su. Per lo meno quella volta lo aveva chiamato per il suo vero nome.

Troy sorrise, ma nel giro di pochi attimi il sorriso svanì, in quanto un grosso urto fece scuotere il pulmino. Kevin, non abituato, andò a sbattere contro la parete accanto a lui.

Troy si alzò immediatamente in piedi e andò dall’autista. «Che diavolo è successo?!»

L’autista lenì il dolore alla tempia causato dall’urto, poi sogghignò nel vedere la macchina che avevano appena colpito. «Carne fresca!»

Troy guardò la macchina, poi si accorse che nella strada accanto a loro un mucchio di uomini armati stava correndo verso di loro.

Senza scomporsi, annuì e ordinò: «Molto bene, scendiamo!»

Di nuovo, il suo ordine venne accolto da un boato di urla e ululati, poi tutti gli uomini impugnarono le armi e scesero dal pulmino.

Kevin rimase acquattato al suo posto, ma Troy gli arrivò accanto e tese una mano: «In piedi, questa volta vieni anche tu!»

Il ragazzo gemette in silenzio. Ogni fibra del suo corpo di oppose, ma fu comunque costretto ad afferrare la mano dell’uomo e a mettersi in piedi. Troy gli mise in mano una pistola. «Tieni, sai già come usarla!»

Kevin trattenne un conato di vomito pensando a ciò che aveva fatto con quell’arma, poi si limitò ad annuire. Seguito da Troy, scese dal pulmino, girò da davanti al muso e si trovò di fronte ad uno spettacolo orrendo, ma famigliare allo stesso tempo.

Nella strada era guerra pura. Gli uomini di Troy si erano appostati in ripari di fortuna, come auto parcheggiate o vicoli. Da lì facevano piovere piombo sugli altri uomini, riparati a loro volta da macchine o vicoli.

«Non stare impalato, mettiti al riparo!» ordinò Troy.

Kevin si riscosse e seguì l’uomo fino al primo nascondiglio, una macchina ferma, dove già si trovava l’autista del pulmino.

«Ehi capo, la c’è la macchina contro cui abbiamo bocciato!» esclamò indicando un veicolo accartocciato sul bordo della strada poco lontano da lì. «Sembra il lavoro ideale per quello nuovo!»

Troy si illuminò e guardò Kevin. «Ottima idea. Kevin, va a controllare quella macchina. Guarda se ci sono superstiti e se sì portaceli. Poi vedremo cosa farcene!»

Kevin impallidì di nuovo, poi però si rese conto di una cosa, che gli fece tornare un po’ di sicurezza, ma soprattutto speranza. «Aspetta...da solo?»

«Certo, che domande sono? Vuoi compagnia per andare a controllare una macchina semidistrutta?»

Kevin non poteva credere a ciò che stava sentendo. Quello forse era il primo vero colpo di fortuna a cui andava incontro. Lo stavano mandando da solo lontano da lì! Era l’occasione migliore che potesse capitargli per scappare! Improvvisamente un’ondata di speranza lo travolse e lo rinvigorì. Forse sarebbe riuscito a rivedere i suoi, alla fine dei conti.

Sorridendo come un idiota, cominciò ad annuire come un forsennato e fece anche un saluto militare.

«Sissignore! Vedrà, la renderò fiero di me!» blaterò, dicendo ciò che Troy avrebbe voluto sentirsi dire.

Infatti l’uomo gonfiò il petto pieno d’orgoglio e ricambiò il sorriso. «Splendido! Allora vai!»

Senza farselo ripetere due volte il ragazzino corse come una scheggia impazzita verso la strada dove si trovava la macchina.

In quel breve tratto di strada si sentì più libero che mai prima di allora. Aveva percorso solo dieci metri, ma già pregustava la sua libertà, il suo ritorno a casa. E per di più aveva perfino una pistola in mano! Quale miglior souvenir di quella notte di merda?

Inspirò a pieni polmoni l’aria fredda che lo puntellava mentre correva a perdifiato verso la sua libertà. Avrebbe ignorato quella macchina e avrebbe tirato dritto. Che ci avessero provato ad inseguirlo, dopo. Lui non si sarebbe mai più fatto trovare, poco ma sicuro.

Mentre correva, arrischiò una breve occhiata verso quell’imbecille di un uomo che lo aveva appena preso in ostaggio. Ciò che vide lo pietrificò all’istante. Troy era la, fermo immobile, ad osservarlo. Improvvisamente il piano di Kevin sfumò. Non poteva scappare mentre quello lo guardava, o lo avrebbero raggiunto in tempo zero. Doveva aspettare almeno che si distrasse. Imprecando per colpa di quell’imprevisto, Kevin fu costretto ad andare per davvero a controllare la macchina. Solo che mentre lo faceva, la paura della presenza di qualche superstite armato si insinuò dentro di lui. E se lo avessero visto e gli avessero sparato?

O se no, se ci fossero stati superstiti disarmati, cosa diamine avrebbe fatto? Li avrebbe puntato la pistola fino a quando Troy non si fosse distratto?

Non lo sapeva, ma doveva fare buon viso a cattivo gioco. Lanciando occhiatine rapide a Troy, per vedere se lo stesse guardando o no, si avvicinò alla macchina e rallentò il passo, fino a camminare semplicemente.

Con il cuore che batteva a mille impugnò la pistola, con la tremarella più forte che avesse mai avuto.

Quando fu a pochi metri dalla carrozzeria crivellata dai proiettili e accartocciata si fermò.

Si voltò un’altra volta verso di Troy, che sollevò un pollice per incitarlo a continuare. A quel punto, Kevin non poté fare altro.

Buttò fuori una boccata d’aria, si fece coraggio, puntò la pistola e si avvicinò al cadavere dell’auto.

In primis, ciò che vide lo fece sobbalzare. C’erano due uomini seduti davanti, sembravano entrambi morti, o comunque privi di sensi. I loro volti adagiati sul cruscotto erano delle maschere di sangue.

Tirò un sospiro di sollievo, poi sentì un gemito strozzato che lo folgorò come una scarica elettrica per lo spavento. Si voltò di scatto verso il punto da cui era provenuto, sollevando la pistola. Ciò che vide, lo lasciò ancora più sbigottito.

Sedute sul sedile posteriore, premute contro la portiera, c’erano due donne. O meglio, una era una donna, l’altra non doveva avere molti anni in più di lui.

La donna aveva i capelli neri e scompigliati e gli occhi verdi. Era bella, peccato che avesse il labbro spaccato e le guancie graffiate e sporche di sangue, con i capelli incrostati su di esso.

Anche la ragazza era carina, capelli biondi e corti e occhi azzurri, solo che anche lei era piuttosto malridotta. Aveva un taglio su una guancia che doveva essersi fatto da poco, perché gocciolava copiosamente. Forse era dovuto all’impatto con il pulmino di Troy e compagnia.

Ma la cosa più strana erano i loro polsi legati e la fascia che copriva la bocca della ragazzina.

Entrambe avevano il respiro pesante e fissavano Kevin basite, sicuramente non sapendo cosa aspettarsi da lui. Era solo un ragazzo, ma dopotutto stava puntando loro una pistola. Pistola che abbassò lentamente, non appena si accorse che quelle due non potevano essere una vera minaccia.

Si guardarono ancora per un momento. Kevin non capì il motivo delle loro condizioni, non che gli importasse più di tanto, visto che Troy continuava a guardarlo. E quelle erano due superstiti.

«Cazzo...» imprecò sottovoce, mentre la situazione si faceva cento volte più complicata di quanto già non fosse.

Che cazzo doveva fare? Portare quelle due da Troy? Essere responsabile della loro morte, o peggio, del loro stupro? Perché quella banda di scalmanati di certo avrebbe dato ancora più di matto vedendo due come loro, tra l’altro già legate. Le avrebbero prese per delle amanti del bondage o stronzate di questo genere.

Si premette una mano su una tempia e digrignò i denti, mentre cercava di trovare una soluzione. Troy nel frattempo continuava a guardarlo.

«Fanculo, fanculo!» imprecò di nuovo, questa volta ad alta voce.

«Che...che vuoi farci?» domandò la donna, l’unica delle due che potesse parlare, mentre la ragazzina lo fissava con quegli occhi azzurri pieni di paura.

Kevin sospirò, mentre quella poneva la stessa domanda che lui stesso si era fatto. Si passò una mano sulla fronte, poi scosse la testa. «Nulla...nulla...devo...portarvi da...il mio capo...ma non voglio...»

La donna lo fissò chiaramente spiazzata, ma non fece domande a riguardo. Tutt’altro. Sollevò i polsi e mostrò le fasce che li tenevano legati. «Puoi...puoi liberarci da queste?»

Kevin la fissò pensieroso. Si voltò verso di Troy, che nel frattempo sembrava un po’ scocciato di aspettare. Il tempo stringeva.

Ormai era ad un bivio. Poteva scappare, a suo rischio e pericolo, oppure restare e fare ancora buon viso cattivo gioco, nella speranza di un’occasione migliore.

Di nuovo, non seppe cosa scegliere. Anche perché restare lì implicava consegnare quelle due. Quelle due che gli avevano appena chiesto se potevano essere liberate.

Non sapeva come fosse possibile che quelle due si trovassero in quella situazione, ma non gli importava. Perché avrebbe dovuto aiutarle? Chi aveva aiutato lui quando aveva bisogno? Nessuno.

Eppure, l’idea di consegnare quelle due gli faceva salire la bile. Soprattutto guardando gli occhi azzurri di quella ragazzina. Era terrorizzata. Tremava come una foglia.

Improvvisamente, Kevin si sentì più simile a lei di quanto non fosse. Erano due ragazzi, entrambi costretti fuori la notte dello Sfogo, a lottare tra la vita e la morte.

Troy si accigliò e lo chiamò: «Kevin! Trovato qualcosa?»

Il tempo stringeva. Nessuno poteva salvare lui. Ma lui poteva salvare quelle due ragazze. Se proprio quella notte sarebbe morto, lo avrebbe fatto compiendo almeno una buona azione.

«Kevin...puoi aiutarci?» domandò di nuovo la donna, che probabilmente aveva sentito Troy.

Il ragazzo non perse un secondo e annuì. «Certo.»

Cercò di aprire la portiera, ma era bloccata. Così infilò una mano attraverso ciò che rimaneva del finestrino e la sbloccò dall’interno. Entrò dentro e afferrò le fasce della donna. Cercò di slegarle in tutti i modi possibili, ma quelle erano strettissime. Allora ebbe un’idea. Posò la pistola e cercò il suo accendino. Lo trovò, poi lo usò per bruciare le fasce. Poco per volta, riuscì a liberare la donna.

«Grazie.» disse mentre si massaggiava i polsi scorticati da quelle fasce strettissime.

Kevin non rispose neanche. Alzò lo sguardo e vide Troy cominciare ad avvicinarsi a loro.

Gli venne la pelle d’oca. Ogni centimetro del suo corpo formicolò. «Merda...»

«Che succede?» chiese preoccupata la donna.

«Il mio capo...»

La donna si accorse di Troy e sbiancò. «No...»

Ormai era fregato. Non aveva più nessuna speranza, se non quella di prendere la pistola e costringere quella poveretta a venire con lui. Di nuovo, sentì la bile salire al solo pensiero.

Non che però avesse molte altre scelte. Quello, oppure affrontare le conseguenze del tentato tradimento. Qualcosa gli diceva che Troy e i suoi non erano molto clementi.

Ma quando tutto sembrava perduto, ecco che finalmente la buona stella di Kevin fece il suo lavoro. L’uomo seduto al posto del guidatore gemette, segno che era ancora vivo. Kevin, quando lo sentì, si tolse il peso del mondo dalle spalle.

Guardò la donna e chiese giusto per precauzione: «Quell’uomo lì davanti, cos’ha cercato di farvi? Perché siete legate?»

La donna fece una smorfia. «Voleva stuprarci.»

«Mi basta. Ti lascio l’accendino e la pistola. Buona fortuna.»

La donna lo guardò con degli occhi colmi di gratitudine. «Grazie Kevin.»

«Figurati...ehm...» Kevin non terminò la frase, lasciando intuire alla donna che volesse sapere il suo nome.

«Marianne. Mary per gli amici.» intuì lei.

«Figurati Mary.» rispose lui con un sorriso.

Poi guardò la ragazzina, che lo fissava colma di gratitudine a sua volta. «Ehm...anche tu, buona fortuna.»

Senza attendere la risposta, o il gemito strozzato, scese dalla macchina, aprì la portiera davanti e tirò fuori l’uomo semisvenuto, che protestò qualcosa di incomprensibile. Ignorando le sue lamentele, Kevin lo trascinò come meglio poté fino da Troy e la banda.

Lanciò delle occhiate furtive verso la macchina, dove Mary sicuramente stava liberando l’altra ragazza.

Sospirò rassegnato, mentre portava quel poveretto da Troy. Magra consolazione, il fatto che quello fosse un porco che aveva cercato di stuprare quelle due.

Consolazione un po’ più grande, il fatto che per lo meno aveva compiuto una buona azione, salvando Marianne e la biondina.

 Sperò che il karma ne tenesse conto o che per lo meno gli facesse guadagnare qualche punto. Ma per il momento, doveva solo prepararsi psicologicamente, alla prospettiva di restare ancora per chissà quanto con Troy e la sua banda.

 

 

 

 

   
 
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