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Autore: nevermore997    13/04/2015    2 recensioni
"I momenti migliori dell'amore sono quelli di una quieta e dolce malinconia dove tu piangi e non sai di che".
Raccolta di One Shot, con due denominatori comuni, amore e malinconia. Storie di amori deboli, che finiscono, che non vanno, amori difficili e combattuti, amori tristi, amori che sembrano destinati all'eternità ma si concludono nel nulla, nell'oblio, svaniscono lasciando tracce nella mente e nell'anima. Storie che tutti conosciamo ma che spesso non vale la pena di raccontare.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Un salvataggio
 
Quella città non aveva quasi niente di bello, e quel poco di buono che si salvava, Sofia da tempo aveva smesso di vederlo. I marciapiedi erano sporchi, ricoperti di mozziconi e rifiuti, le case tutte uguali, dalle finestre anguste e la vernice scrostata, l’aria era inquinata, il fiume sembrava catrame liquido dove isole di immondizia galleggiavano serafiche ed i pesci respiravano a fatica, per poi morire intossicati dai putridi liquami nocivi rilasciati dalle fabbriche. Ma la cosa peggiore in assoluto erano le persone. Sofia si era autodiagnosticata il mal di gente e non riusciva a sopportare i visi grigi dei cittadini, la loro fretta, il loro menefreghismo, le occhiate sprezzanti che le lanciavano vedendola seduta da sola sul marciapiede alle dieci e mezza, in una fredda serata di novembre, le braccia strette attorno alle gambe troppo magre nel tentativo di scaldarsi un po’. Qualche volta si domandava se fosse stato diverso se l’avessero conosciuta, se avessero saputo cosa si celava nelle complicate ed innumerevoli stanze della sua anima avvelenata. Puntualmente, si rispondeva che non sarebbe cambiato niente. Di quelle come lei, non importava niente a nessuno. Quelle col mal di gente, il mal di vivere ed anche un terzo male che gravava addosso, un male più grande e più tangibile che neanche lei avrebbe saputo giustificare. Quel male a cui il più delle volte si rifiutava di pensare, perché allora si che pensare diventava un dolore, allora si che tutto ciò che la circondava iniziava a farle schifo.
Sfuggì lo sguardo di disapprovazione di un uomo d’affari vestito di tutto punto e si accese una Marlboro, coprendo l’accendino con la mano perché la flebile fiammella non si spegnesse. Si legò i capelli sporchi in una coda di cavallo perché non si impregnassero dell’odore di fumo, una premura inutile, perché non c’era nessuno a cui importasse se si avvelenava di nicotina o meno, lei per ultima. Che differenza poteva fare una sigaretta, o due, o venti, in quello schifo di città, in quelle schifo di condizioni?
«Sof, dacci un taglio con quelle. E dammene una, già che ci sei.»
Sofia alzò lo sguardo sul suo interlocutore e sulle labbra le comparve un sorriso. Se qualcuno si fosse soffermato a guardarla, cosa che di solito non succedeva, avrebbe notato che quando sorrideva il suo viso si trasfigurava completamente. Gli zigomi ossuti sembravano riempirsi, gli occhi di un celeste slavato si accendevano, pareva quasi bella, quasi felice. D’altra parte, l’unico in grado di trasformarla così era Davide, lo splendido Davide, che nonostante tutto si manteneva forte e muscoloso, a cui gli occhi cerchiati di blu quasi donavano, che con la sigaretta stretta tra le labbra era addirittura più bello. Sofia si alzò in piedi sulle gambe tanto sottili da essere instabili e sorrise al ragazzo, tendendogli obbediente il pacchetto stropicciato. Lui estrasse una sigaretta e la ringraziò con un cenno della testa. Assieme a lui c’era Faina, un ragazzo di cui Sofia non sapeva né voleva sapere il vero nome. Faina non le piaceva, aveva modi di fare untuosi quanto i suoi capelli biondi, sempre legati in un codino che evidenziava la sua magrezza ed i tratti spigolosi del suo volto ferino. Si torceva sempre le mani e tirava su col naso in continuazione, rumorosamente, facendo scorrere lungo la schiena ossuta di Sofia continui brividi di disgusto. Tuttavia qualche volta Davide doveva portarselo dietro per forza, e per lui avrebbe tollerato qualunque cosa. Il summenzionato le accarezzò una guancia con le mani ruvide e Sofia si sentì avvampare d’orgoglio. Buttò fuori il fumo in faccia alla ragazza formando degli anelli e lei si sforzò di non tossire.
«Allora, dove andiamo stasera?»
Sofia fece spallucce.
«Per me è uguale.»
La mamma le aveva detto di essere a casa per le undici, ma si guardava dall’ammetterlo di fronte ai ragazzi come una scolaretta quindicenne. Il fatto che lei fosse effettivamente una scolaretta quindicenne era del tutto irrilevante. Fu ricambiata con un sorriso compiaciuto da parte di Davide.
«Andiamo al parco. Stasera ci sono anche Dema e gli altri.»
Faina annuì, servizievole, ed anche Sofia dovette accettare, anche se avrebbe preferito scaricare quella palla al piede e stare da sola con Davide.
«Hai tutto, vero?»
Quella frase procurò a Sofia un brivido di cui si chiedeva se si sarebbe mai liberata. Era da sfigati avere paura, ma lei ne aveva sempre tantissima. Non era niente di che, “avere tutto”, ormai erano mesi che era invischiata in quella faccenda ed avrebbe anche dovuto farci l’abitudine. Annuì, sperando che Davide non percepisse il suo disagio. Fu di nuovo premiata, stavolta con un bacio sulle labbra.
«Brava, Sofi. Andiamo.»
Mentre prendevano la metropolitana per andare al parco dall’altra parte della città, Sofia non aveva occhi che per Davide. Pensava a quanto follemente ne fosse innamorata, al senso di intensa gioia che provava tutte le volte che lui la guardava, la toccava, la baciava davanti ai suoi amici. Quando si erano conosciuti, le sue amiche le avevano detto di lasciarlo perdere, di tenersi alla larga, che Davide aveva in testa una cosa sola, e di certo non era lei. Che stupide, che ignoranti. Non capivano niente. Non capivano che lei era perfettamente in grado di tenere separati il suo amore per Davide e lo stile di vita di lui, che anzi, lei poteva aiutarlo, lei poteva influenzare le sue scelte, lei poteva salvarlo. Era iniziato tutto così, come un salvataggio. Solo che si era resa conto che prima di poter aiutare Davide doveva avvicinarsi a lui, doveva capire per davvero, doveva stargli vicino in ogni sfaccettatura della sua vita. Ed era quello che aveva fatto, e ne era felice. Ovviamente, come per tutto il resto delle cose, aveva dovuto pagare un prezzo. Quelle amiche che le dicevano come vivere la sua vita ora non la salutavano più, doveva lavorare nei fine settimana per mettere da parte i soldi e la ragazza carina e formosa che era stata una volta si era dissolta in una specie di scheletro dalla carnagione giallastra e con le borse sotto gli occhi. Ma era normale. Era quello che doveva succedere. Tutto stava andando secondo i piani.
Scesero dalla metropolitana all’ultima fermata e si incamminarono nella notte, accompagnati dall’odore di smog della zona industriale e dalle sirene di qualche ambulanza lontana. Davide la teneva per mano e Sofia si sentiva la ragazza più fortunata del mondo. Davanti a loro, Faina camminava troppo in fretta, le mani nelle tasche e la testa che qualche volta scattava a sinistra, presa da spasmi involontari. Aveva fretta di arrivare al parco, quando Sofia avrebbe volentieri camminato mano nella mano con Davide per tutta la notte. Era sicura che lui a modo suo l’amasse, che i suoi modi spesso aggressivi dopotutto fossero giustificati, che con i suoi sacrifici per avvicinarsi a lui si fosse conquistata un posto nel suo cuore. Essere importante per Davide voleva dire avere un significato, valere qualcosa, essere finalmente una persona con uno scopo. Le voci maligne che dicevano che la usava soltanto per colorare la sua vita con qualche notte di sesso non le interessavano. Lui non era come credevano tutti, lui poteva uscire da quel tunnel di polvere bianca dove era rimasto intrappolato, c’era ancora salvezza per la sua anima.
Arrivarono al parco ed erano tutti lì, Dema, Tomma, Matte ed anche Chicco, che aveva quindici anni come lei e gli occhi buoni in qualunque circostanza. Stravaccati su una panchina, guardavano il cielo con le pupille dilatate quanto le iridi, senza parlare tra di loro e senza muoversi. Non li salutarono quando arrivarono.
«Avete già fatto, eh?», chiese Davide, con una nota collerica nella voce. Strattonò Sofia e la fece sedere sull’erba spelacchiata, davanti agli altri quattro, con Faina al seguito, sempre più trepidante.
«Muoviti, dai. Prepara tutto, che questi qua nemmeno ci hanno aspettati», ringhiò, per poi dare un calcio alla panchina, senza suscitare la benché minima reazione nei suoi occupanti.
Sofia alzò gli occhi su quei quattro cadaveri, sulle mani di Faina che tremavano sempre di più, sulle goccioline di sudore che andavano formandosi sulle tempie di Davide, il suo bel Davide, che ora scalpitava e non riusciva a stare fermo. Per un attimo la voce delle sue vecchie amiche le rimbalzò in testa e si domandò se non fosse vero, che meritava di meglio, che per Davide non c’era speranza, che se avesse continuato a cercare di salvarlo avrebbe finito per restare in trappola anche lei. Ma durò solo per un attimo. Comunque fosse, ormai era troppo tardi.
Aprì la borsetta e tirò fuori la siringa.
 
 
 
 
Oggi piombo inaspettata con una tematica serissima. Questo argomento mi preme un sacco, quindi siete pregati di darci dentro con le critiche perché voglio davvero saperne parlare. Perchè a vivere nel paese col più alto tasso di tossicodipendenza dell'intera regione, certe cose si imparano, certi problemi bisogna imparare a fronteggiarli. E sono dell'opinione che la prima cosa che serve per risolvere un problema siano le parole, quelle giuste però. Un consiglio: dovrei aggiungere “tematiche forti” tra gli avvertimenti?
Nevermore
  
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