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Autore: MiyakoAkasawa    15/04/2015    1 recensioni
Fatti strani cominciano ad accadere nel mondo ma solo Evangeline sente che c’è qualcosa di sbagliato nella piuma trovata tra le mani di un cadavere; una piuma molto simile a quelle delle ali degli angeli che, morti, infestano i suoi sogni da settimane. E tutto è cominciato a causa sua, o meglio, all’anima demoniaca che è annidata nella sua da ancora prima che lei nascesse. I demoni si nascondono tra le ombre e presto molti altri sorgeranno direttamente dall’Inferno e Evangeline si troverà al centro di tutto: una guerra tra i demoni che vogliono riconquistare ciò che gli spetta, la Superficie, e la volontà di una ragazza che intende mantenere integro il suo lato umano a qualsiasi costo. Fortunatamente Evangeline potrà contare sulle forze angeliche: su Declan, anch’egli solo per una parte umano e per un’altra angelo, lo spirito di un angelo mandato direttamente dal Paradiso per uccidere Lucifero. Evangeline dovrà lottare contro la propria natura demoniaca oltre che contro i demoni che insorgono sempre più numerosi dall’Inferno, ma non sa che questi hanno molti mezzi per impossessarsi della sua anima e alla fine non tutto potrebbe andare come sperato...
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo VI
Arrivano i demoni

 
         Evangeline rimase impietrita di fronte a quella scena, il suo corpo rigido e la mente offuscata. Quell’uomo le stava parlando pochi secondi prima e poi, tutto ad un tratto, era stato infilzato come uno spiedino da una spada, e ora era morto.
         La spada, lunga e con una lama spessa e ben dritta, ora rossa almeno fino a metà, dall’elsa di oro puro e accuratamente lavorata, vibrava sospesa a mezz’aria finché il demone che la impugnava cominciò a prendere forma. Fu come se le ombre che oscuravano il vicolo si addensarono in un punto preciso di fronte al cadavere unendosi come fanno fasci di corde che si annodano insieme per formare un reticolo complesso. Si strinsero e si allargarono, raggiunsero un certo spessore e densità, presero forma e si mutarono in demone. L’essere era spaventoso; non aveva niente a che vedere con l’ombra descritta da Owen.
         La prima cosa che Evangeline notò fu l’altezza. Il demone, di forma umana, raggiungeva almeno i due metri e mezzo, la pelle era grigia, marmorea, o almeno così sembrava perché quasi ogni centimetro era ricoperto di simboli contorti e intricati, parole scritte in chissà quale lingua, linee curve che si arricciavano tra di loro e che, partendo dalle braccia, si arrampicavano nell’incavo del collo, poi ancora sulla mascella fino al volto. Toccavano le tempie, si snodavano su tutta la fronte per ricadere sul naso e sotto gli zigomi. Più che tatuaggi sembravano vere e proprie incisioni. I muscoli sulle braccia e le spalle sembravano dovessero scoppiare da un momento all’altro, le arterie pulsavano sulla superficie dell’avambraccio che brandiva la spada, le mani erano mostruosamente grandi e le dita terminavano con lunghi artigli acuminati e sporchi. Il petto nudo era gonfio ma immobile, come se non avesse bisogno di respirare. Le ali massicce e ricoperte di piume nere e lucide erano spalancate e tirate verso l’alto in tutta la loro maestosità. Erano perfette, bellissime: Evangeline sarebbe rimasta ad ammirarle per ore se non fosse stato per il fatto che crescevano, attraverso la carne, come prolungamenti delle scapole della schiena di quell’orrore. E il suo volto: la mascella era squadrata, il naso aquilino con le narici dilatate; le iridi erano gialle screziate d’oro e le pupille due semplici fessure nere. Palpebre e occhiaie avevano una sfumatura violacea e i capillari erano superficiali e visibili: si estendevano su tutto lo zigomo sotto ai simboli incisi. I capelli erano neri e lunghi, tirati all’indietro sulla nuca. Due grandi corna di osso crescevano oltre le tempie, si piegavano e annodavano attorno a due lastre di metallo che salivano verso l’alto dove avrebbero dovuto esserci le orecchie. Le labbra erano bianche e sottilissime come quelle dei serpenti. Indossava solo dei pantaloni in un materiale che assomigliava a pelle e nel resto del corpo la pelle era nuda.
         Il demone guardò dritto in volto la ragazza che inciampò sui suoi stessi piedi e cadde all’indietro sul cemento. Rimase ferma in quella posizione incapace di muoversi mentre sentiva il cuore che batteva così forte da farle male alle costole, come se volesse uscire. Il respiro era affannato in cerca di ossigeno che sembrava non bastarle mai e muscoli e nervi tremavano come l’occhio, colpito da un tic nervoso.
         Lo sguardo del demone era tremendo: non disse una parola ma fece un passo avanti scavalcando il corpo del barbone sotto cui si estendeva un fiume di sangue che macchiava la poca neve che era rimasta attaccata sulla strada.
         Evangeline si mosse a sua volta e indietreggiò strisciando col sedere ma per equiparare la distanza di un passo del demone lei doveva fare almeno quattro passi. Cercò di rimettersi in piedi senza togliere gli occhi di dosso alla figura: ora poteva succedere qualunque cosa, sarebbe potuta anche morire esattamente come era successo al barbone. Voleva provare a parlare ma non le usciva aria dalla bocca secca, voleva girarsi di spalle e correre via da quel posto ma dubitava che sarebbe stata in grado di farlo. Non poteva fare nulla, era in trappola.
         Ma accadde l’ennesima cosa che Evangeline non si aspettava: il demone, dopo averla intensamente guardata con il solo scopo di spaventarla per divertimento, fece un salto in alto e spiccò il volo battendo con potenza le ali che lo sollevarono e lo portarono lontano, nel cielo, proprio come un angelo. Per lo spostamento d’aria causato dalle ali Evangeline cadde di nuovo all’indietro e si riparò il volto con le braccia. Perse momentaneamente di vista la creatura ma poi, trovando la forza di risollevarsi e correre verso la strada principale i cui palazzi non nascondevano troppo il cielo, riuscì a rintracciarlo seguendo la scia luminosa che si lasciava dietro. Assomigliava molto alla scia dispersa dal ragazzo dagli occhi verdi ma non era calda, anzi, era gelida come la morte e dorata.
         Evangeline seguì con lo sguardo il demone in cielo: non aveva tempo per pensare, doveva solo seguirlo. Si sentiva una idiota per aver scelto di andargli dietro dopo che l’aveva graziata senza farle del male ma non poteva lasciarlo andare, semplicemente, doveva raggiungerlo perché l’istinto le diceva di farlo.
         La ragazza corse come una dannata con passi lunghi e slanciati cercando di non investire nessuno che si trovasse lungo il suo percorso e non mollava lo sguardo dal mostro sopra alla sua testa che guadagnava sempre più distanza. Ogni persona che aveva intorno era ignara di ciò che stava accadendo in quel momento. Agli occhi degli esseri umani il demone sarebbe stato solo un’ombra, invisibile nelle ombre della sera che si era trasformata in notte.
         Evangeline prese una scorciatoia girando in un altro vicolo stretto che separava due palazzi, questo le avrebbe evitato un paio di semafori pedonali e la calca di gente impegnata a guardare le vetrine dei negozi. Il demone era troppo veloce, distava ormai di almeno duecento metri, ma il fatto che volasse così in alto lo rendeva comunque visibile agli occhi della ragazza.
         Poi smise di battere le ali e planò fino ad atterrare.
         Evangeline aumentò il passo altrimenti lo avrebbe perso. Si allontanò presto dalle vie trafficate del centro finché non sbucò davanti ad un viale alberato. Al lato di questo viale c’era un area delimitata da una rete arancione, tipica dei cantieri. Non si vedevano ingressi e tutto il perimetro era illuminato da lampioni elettrici: se Evangeline voleva entrare doveva scavalcare o sfondare la rete e avrebbe corso il rischio di essere scoperta da qualcuno.
         Era sicura che il demone si fosse fermato proprio lì, al centro del cantiere che invece era immerso nel buio. Era il posto più ovvio.
         La corsa le aveva consumato parecchia energia e altrettanta era stata bruciata per mantenersi calda, nell’aria gelida della notte, e se avesse avuto bisogno di correre ancora, questa volta per scappare, non avrebbe avuto alcuna possibilità di salvarsi. Non che cambiasse molto dato che il mostro era decisamente più veloce di lei. Eppure qualcosa doveva pur fare, non aveva tempo per pensare di avere paura. Doveva stare attenta, essere furtiva, silenziosa e mantenere il sangue freddo per essere in grado di fare la cosa che, probabilmente, nasceva dalla più stupida delle idee.
         La ragazza si avvicinò lentamente alla rete guardandosi intorno. In quella zona non c’era anima viva oltre lei e dalle finestre dei palazzi intorno non proveniva nessuna luce. Era impossibile che nessuno la stesse osservando ma doveva correre il rischio. Osservò il perimetro. Lo percorse a destra e a sinistra ma i lampioni non permettevano di vedere molto oltre. In un punto la rete si piegava a formare un angolo di novanta gradi. Forse era un rettangolo o un quadrato, ma per percorrere tutto il perimetro in quel modo ci sarebbero voluti troppi minuti.
         Evangeline scelse la zona da dove sarebbe entrata approfittando dell’ombra che si era creata a causa di un lampione bruciato. Alzò la rete per cercare di passarci sotto ma si creava una fessura troppo stretta perfino per lei; a saltare poteva scordarselo perché era troppo alta e intorno a lei non c’era niente che potesse usare come gradino. Allora tentò di arrampicarsi su uno dei sostegni: saltò più in alto che poté e rimase appesa al palo di metallo in maniera abbastanza goffa mentre litigava con la cintura della giacca che indossava che, essendo troppo lunga, si era legata alla manica. Si diede un altro slancio verso l’alto e guadagnò pochi centimetri, lo fece ancora e ancora. Per un momento rimpianse di non avere le ali: si sarebbe risparmiata una grossa fatica, una terribile figuraccia se qualcuno la stava osservando e non avrebbe perso tempo.
         Raggiunse la cima della rete e la scavalcò, poi si lanciò di sotto, all’interno del cantiere.
         Una volta addentrata oltre la zona illuminata Evangeline non vedeva assolutamente niente. Intorno a lei c’era il buio più totale. Doveva prestare la  massima attenzione ai macchinari che incontrava man mano, stare lontano dai cumuli di materiali come montagne di sabbia o terra e blocchi di cemento; incontrò addirittura uno scavo profondo un paio di metri da cui non sarebbe più stata in grado di uscire una volta caduta dentro e, cosa più pericolosa, non doveva farsi scoprire dal demone.
         Il suolo era terroso e compattato e i suoi passi non emettevano alcun rumore ma chiunque sarebbe stato capace di sentire i battiti del suo cuore enormemente accelerati e forti.
         Evangeline, ad un tratto, sentì qualcuno parlare. La voce proveniva da un centinaio di metri davanti a lei così decise di nascondersi subito dietro ad un ammasso di tubi in cemento per non farsi scoprire. La voce era gutturale e profonda, sovrumana. Qualcun altro gli rispose con una voce altrettanto grave, dello stesso timbro di quella di Dantalian, nello spogliatoio.
         -Astaroth, il suo risveglio è quasi completo e l’umana è forte abbastanza-
         -Tutto gioca a nostro favore quindi, ma che bravo il mio fratellino, sempre a fare di testa sua per arrivare prima degli altri-.
         La seconda voce aveva una nota di sarcasmo assolutamente evidente.     
         -Intanto, senza le mie azioni, l’umana non avrebbe avuto la possibilità di incontrarmi prima di molto altro tempo, e ora che lei è qui potrà già vedere di cosa è capace. Vedi, tu mi incolpi sempre di tutto ciò che va storto, ma se invece di fare di testa mia avessi seguito il tuo esempio, ci troveremmo ancora nell’Inferno ad aspettare che il niente accadesse, come sempre-.
         Evangeline cadde nel panico. Il demone, anzi, i demoni siccome erano almeno due, sapevano della sua presenza, sapevano che li stava spiando. La ragazza si voltò indietro e percorse di fretta tutta la strada che aveva fatto per arrivare a quel punto ma fu in grado di captare l’ultima frase, la risposta.
         -Alastor, valla a prendere prima che scappi. Approfitta anche tu del buio, nessuno noterà niente-.
         Evangeline cominciò a correre forsennatamente. Ora non le importava più se i suoi passi facessero rumore o meno, le importava solamente di correre e mettere più distanza che poteva tra lei e i demoni. Ma non bastò.
         La figura che prima aveva ucciso il barbone apparve improvvisamente davanti a lei, a pochi metri, e quasi ci sbatté contro. Indietreggiò e cadde per lo spavento sporcandosi tutte le mani di terra. Evangeline lo guardò in volto e per farlo dovette alzare gli occhi quasi verso il cielo. Indietreggiò ancora d’istinto e si rialzò. Il demone non si mosse. Quell’attesa la stava uccidendo, anzi, in quella situazione sentiva di essere già morta. Poi il demone parlò.
         -Hai del fegato se hai deciso di seguirmi fino a qui-.
         La voce apparteneva al primo demone che aveva parlato ed era stato chiamato Alastor.    
         -Voi esseri umani siete davvero stupidi. Davvero credevi che sarebbe filato tutto liscio? Che non me ne sarei accorto?-.
         Evangeline era immobile, impietrita, incapace di parlare.
         -Proprio tu che ospiti l’anima di Azrael. Pensavi che non l’avrei captata?-.
         Alastor sembrava divertito dalla situazione. Nutriva un certo gusto a torturare in quel modo le persone.
         -Perché l’hai ucciso?- Evangeline balbettò e a stento riuscì a farsi capire.
         -Perché non avrei dovuto?-
         -Non aveva fatto niente di male-. Evangeline non riusciva a sopportare lo sguardo del demone e cominciò a girare lo sguardo verso ogni direzione, tranne che verso la sua faccia.
         -Nessuno gli aveva dato il permesso di raccontarti certe cose e quindi l’ho punito-
         -Ma glie le avevo chieste io-
         -Allora diciamo che mi andava di farlo. L’ ho ucciso per noia. Per vedere la tua reazione-.
         Evangeline deglutì rumorosamente.
         -Perché non hai ucciso anche me?-. Era già nei guai e parlando così non avrebbe fatto altro che aggravare la situazione.
         -Tu non hai lontanamente idea dell’importanza che hai per noi, non è vero?-
         -Voi cosa sareste allora? Demoni?-
         -Sì, proprio così-. Alastor cominciò a girarle intorno. -e tu sai cosa sei?-
         -Io… sono solo Evangeline, una ragazza-
         -Qui già ti sbagli. Non sei solo umana, non lo sei mai stata, anche se cominci a rendertene conto solo adesso-
         -E allora cos’altro sono?-
         -Ma tu questo dovresti già saperlo. Tu sei Azrael-.
         Nonostante glie lo avessero ripetuto fino alla nausea ancora non riusciva a capire appieno il significato che questo poteva avere.
         -Non posso capirlo solo da un nome-
         -Tu sai già che dentro di te giace un frammento dell’anima di Azrael, giusto? Azrael è un demone, proprio come me, e ha uno scopo ben preciso in tutto questo. Ma non spetta a me dirti di cosa si tratta-
         -Allora è inutile che stiamo a parlare-.
         Lo sguardo di Evangeline si indurì leggermente.
         -Forse non hai ancora capitò la gravità della situazione in cui ti sei cacciata. Non sei per niente furba, al posto tuo me ne starei zitto in silenzio a pregare di non venire ucciso-.
         Lo disse con un certo disprezzo.
         -Perché arrivate sulla Terra e fare del male alle persone?-
         -Prima di tutto devi sapere che noi demoni siamo antichi quanto l’intero mondo e ne facciamo parte molto più di quanto ne facciate parte voi. Siamo sempre stati confinati all’Inferno mentre voi conducevate le vostre miserabili vite sulla Superficie-
         -Quindi esiste davvero un Inferno?-
         -E anche un Paradiso, se te lo stai chiedendo-
         -E gli angeli? Esistono?-
         -Ovviamente- Alastor si interruppe seccato dalle innumerevoli domande -ma siamo stanchi di non poter usufruire della Superficie per cui duramente abbiamo lottato, quindi abbiamo intenzione di riprendercela con la forza-
         -Ma questa si potrebbe cons…-
         -Troppe domande!-.
         Evangeline cadde all’indietro nuovamente. La furia delle parole di Alastor la colpì profondamente, facendole tremare l’anima e il corpo. Quella vampata di energia la scosse come una scarica elettrica e le scottò la pelle.
         -Noi demoni vogliamo indietro ciò che è nostro e per fare questo abbiamo necessità di un tramite tra Inferno e Superficie. Azrael ci darà la possibilità di riaprire i varchi che permetteranno a tutti noi di arrivare quassù. Quando si sarà svegliato completamente dentro di te, oltre a prendere il sopravvento sulla tua natura umana, permetterà di dare inizio alla nostra ascesa per riscattarci-.
         -No… non è possibile-
         -I demoni insorgeranno sugli umani, spazzeremo via le vostre città insieme alle vostre vite e tu contribuirai a tutto questo-.
         Evangeline voleva scappare via. Correre. Fuggire da quella creatura mostruosa e fuggire dalla propria vita ma oramai ci era dentro fino al collo
         La ragazza indietreggiò sempre di più senza togliere gli occhi di dosso ad Alastor: non era nelle condizioni di pensare ad una soluzione migliore così si voltò e corse.
         Un passo dopo l’altro vedeva la rete arancione del perimetro avvicinarsi sempre di più ma voltandosi indietro si accorse che Alastor non si era mosso di un centimetro. Era rimasto nello stesso punto per tutto il tempo limitandosi soltanto a seguirla con lo sguardo ma appena Evangeline si rigirò verso la sua via di fuga il demone apparve davanti a lei, di nuovo. Gli bastò un semplice balzo per raggiungerla e superarla e ora le bloccava la strada.
         Quasi lei non gli andò a sbattere contro ma il demone la afferrò velocemente alla gola, la sollevò di almeno un metro e lanciò il suo corpo lontano, come se fosse una bambola di pezza.
         Evangeline sentì quella stretta intorno alla gola che le bloccò il respiro, sentì la terra mancarle sotto i piedi e ad un tratto quella stessa terra le colpì violentemente l’intero fianco destro. Sentì l’impatto col terreno vibrarle in tutto il corpo, rotolò su se stessa di almeno altri tre metri e poi si arrestò, distesa di schiena. Appena fu in grado di capire ciò che le era accaduto si rialzò di scatto e guardò il demone. Immobile.
         -Non penserai di scappare così-.
         Tutto quello che Evangeline desiderava era di poter tornare a casa nel suo letto e dormire profondamente come quando non esistevano sogni, problemi e demoni, ma non poteva anche se era stanca tanto da poter crollare nel sonno anche lì.
         -E’ tempo che tu affronta il suo destino-.
         -Ma non l’ho scelto io il mio destino. Mi è stato imposto-
         -Certe cose accadono e basta-
         -Perché è successo proprio a me?-
         -Non sempre riesco a comprendere fino in fondo le opere del mio Signore, e non mi è permesso chiedere-.
         Evangeline lo guardò con aria perplessa.
         -Il tuo Signore?-.
         Il demone ridacchiò.
         -Non hai paura, ragazza?-
         -Certo che ho paura. Ho una paura fottuta ma questo non mi impedirà di affrontarti, se devo. Se cercherai di uccidermi lotterò-
         -Allora non hai capito proprio niente! Tu ci servi. Sei il contenitore dell’anima che sarà in grado di portarci all’ascesa sulla Superficie-
         -Resisterò!-.
         Evangeline lo disse con sicurezza ma sapeva che aveva poche probabilità di farcela.
         -Ne sei così sicura? Ora dimmi, saresti pronta  ad uccidere altri esseri umani se ti verrebbe ordinato di farlo? L’hai mai fatto prima d’ora?-
         -No e non ho nessuna intenzione di farlo-
         - Scoprirai che per te uccidere non è così difficile. Sei forte ma sei molto più vicina alla caduta di quanto tu creda e ora te lo dimostrerò-.
         Sotto le due figure tutto cominciò a tremare e una luce rossastra crebbe in mezzo a loro mutando la terra in cenere. La luce si contorse e assunse la forma di un cerchio cavo all’interno, si affievolì e intorno ad esso comparvero dei strani simboli che si disposero a raggera come settori di un orologio, allungandosi sul terreno. Evangeline poté sentire il calore che le ustionava la pelle sotto i vestiti. Quei simboli erano simili a quelli tracciati sul corpo di Alastor ma non servivano prove per capire che quello strano cerchio appartenesse al mondo demoniaco. Il cerchio di luce rimase sospeso ad alcuni centimetri da terra e cominciò a ruotare su se stesso espandendosi. Sul lato esterno si svilupparono diversi raggi luminosi che assunsero la forma di punte acuminate. Poi, dal centro del cerchio, un’altra luce azzurrina si espanse elevandosi fino al cielo. Si mosse creando una serie di linee dritte che composero tre triangoli uniti insieme per tre vertici i cui punti di incontro spezzarono il cerchio in tre parti e, dal centro di quest’ultimo triangolo che si era venuto a formare all’interno delle forme, scariche elettriche si allungarono in ogni direzione scalfendo il terreno e sollevando cenere e polvere.
         Delle creature nacquero, molto piccole in confronto ad Alastor, materializzandosi nell’aria. Si lamentarono e piansero esattamente come fa un bambino quando viene al mondo, mentre le ossa, i muscoli, i nervi e i tendini si allacciavano insieme come pezzi di corda fino a tendersi e gli spazi vuoti venivano riempiti dalla carne. Tutta la massa informe fu ricoperta di pelle, rossastra e ricoperta di vesciche per le bruciature dovute alle fiamme dell’Inferno da cui tutto quello arrivava. Quella pelle a tratti diventava incandescente: brillava come cenere infuocata al vento.
         Avevano tre zampe, due appoggiate a terra e la terza sulla schiena, ripiegata come un’ala. Le teste erano due, una dritta e la seconda rovesciata: probabilmente avrebbero potuto appoggiarsi sulla terza zampa e restare comunque dritti. Il muso era canino, gli occhi allungati verso le orecchie a punta, cavi, entro cui scorrevano le fiamme dell’Inferno. Dietro le orecchie crescevano delle specie di corna: crescevano te piccoli arti di ossa, come rametti secchi, tenuti insieme da una membrana spessa che dava loro l’aspetto della zampa di un’oca. La cosa più spaventosa era la dentatura: numerosi denti seghettati crescevano dalle gengive verso l’interno delle bocche o anche ripiegati verso l’esterno e altri bucavano le labbra e la pelle intorno. Le bocche erano sembravano due ma ce n’era una terza che si apriva sulla gola dove i denti formavano una corona circolare che si chiudeva al centro: avrebbero triturato la carne peggio di una sega elettrica. Infine una cosa, o meglio, un tentacolo ricoperto di una sostanza vischiosa cresceva dalla parte terminale della schiena. Erano completamente nudi, senza un singolo pelo.
         Evangeline non riuscì a distinguere altri dettagli a causa dell’oscurità della notte e ne fu grata. Ne nacquero una dozzina: il loro lamento sembrava spaccarle la mente e metà.
         Le sembrava che l’Inferno fosse salito direttamente sulla Superficie, come l’aveva chiamata Alastor, e a quel punto scappò via più veloce che poteva per allontanarsi da quelle cose il prima possibile.
         -Dove scappi Azrael?- le gridò dietro Alastor -Non hai scampo-.
         Sogghignò: -Inseguitela- ordinò ai demonietti, che si apprestarono a rincorrere la ragazza attraverso il cantiere raggiungendola in pochi secondi, pronti a combattere per il loro padrone anche fino alla morte.
 
I demonietti le furono alle calcagna, la afferrarono per le caviglie facendola cadere di faccia e poi la bloccarono a terra. Le erano tutti quanti addosso. Poté sentire il calore che emanavano incendiarle i polmoni e il loro odore arricciarle il naso. I loro artigli le si impiantarono nella carne degli avanbracci e le ferite inferte bruciavano come se fossero dovute all’acido.
         -Se non ti sbrighi a contrastarli perirai, lo sai questo, vero?- disse Alastor -il tuo odore mi dice che hai paura eppure sono sicuro che non vuoi morire. La tua vita è nelle tue mani-.
         Evangeline gridò tentando di divincolarsi ma il peso dei demonietti continuava a tenerla a terra. Doveva reagire, lo sapeva eccome, non poteva morire in quel modo. Aveva trascorso la vita intera aspettando che qualcosa cambiasse e ora il cambiamento era avvenuto. Non poteva arrendersi ma doveva combattere, contro i demoni che aveva intorno e soprattutto contro il demone che era dentro di lei perché sapeva benissimo chi era: non Azrael ma solo Evangeline Goodchild, un semplice ragazza che desiderava vivere. Era arrivato il momento di credere in sé stessa, combattere e sconfiggere la minaccia che ora colpiva il mondo intero. Forse non ce l’avrebbe mai fatta, non da sola, ma non poteva accettare semplicemente il destino che le era stato imposto, doveva scegliere per sé stessa e mettercela tutta per sopravvivere.
         Ormai lo sapeva, sapeva cosa doveva fare.
         Capì tutto questo quando ormai credeva di essere spacciata ma non poteva permettere di morire. Lei era importante ora, persino per il mondo.
         La sua guancia sinistra era premuta contro il terreno con otto demonietti che le tenevano polsi e caviglie. Gli altri quattro, o quelli che erano rimasti, non sapeva dove fossero. Non riusciva a vederli ma sentiva il peso della loro anima nel cuore. Era come se li captasse, esattamente come era successo con sua madre e con Owen, e sentiva il dolore, la rabbia, il desiderio di vendetta che provavano verso il loro padrone, Alastor.
         Lo sentiva chiaramente ma erano folli e ossessionati dal desiderio di sfogarsi verso di lei
         -Non so cosa quel mostro vi abbia fatto- cominciò a dire sottovoce Evangeline -e mi dispiace davvero tanto per voi che provate così tanto dolore. So anche che è inutile che io cerchi di farvi ragionare…-.
         Alastor si incuriosì e stette a vedere come la ragazza avrebbe reagito: trepidava in attesa di vederla riaffiorare dall’orda di demonietti per poi farli fuori uno a uno brutalmente. Sperava che lo facesse, ormai stava cadendo sotto il controllo di Azrael.
         -…ma non vi permetterò di farmi uccidere-.
         Evangeline si sentiva forte ora, una nuova energia la percorreva da capo a piedi con intensità sempre maggiore. Mai si era sentita così.
         La ragazza riuscì a vincolarsi dalle strette dei demonietti e a risollevarsi lentamente superando la forza di quelle zampe mostruose che la bloccavano. Cominciò a lottare e a farsi strada verso l’aria della notte sopra di lei e sentì rabbia crescerle dentro. Stava riuscendo a liberarsi ma sapeva che quella forza non apparteneva a lei: veniva da un lato oscuro della sua mente che non sapeva di avere e che ora sentiva chiaramente, Azrael. Non avrebbe mai voluto dover evocare la sua energia ma era l’unico modo per combattere i demonietti.
         Poi sentì che il mondo veniva inondato di luce. O meglio, una luce, calda e pungente, accecò i suoi occhi che cominciarono a brillare del colore del rame e poi tutto intorno a lei esplose.
         Evangeline liberò tutta quell’energia che sentiva crescerle dentro sotto forma di luce incandescente. La sentì scorrere fuori dal suo corpo passando da ogni poro della pelle e quella luce colpì ogni demonietto che aveva intorno scagliandoli lontani. Anche Alastor parve sorpreso ma fu più felice che mai: con quella ragazza raggiungere gli scopi del suo Signore sarebbe stato più facile del previsto.
         La luce si spense così come si era creata e Evangeline ricadde in ginocchio ansimando.
         Cosa è successo?
         I demonietti ora si trovavano a parecchi metri da lei, gemendo a terra lambiti ancora da strascichi di quella luce che era penetrata dentro ai loro corpi e che li stava fondendo a poco a poco dall’interno. Evangeline si sentiva stanca e sfinita ancora più di prima e cercava di dare una spiegazione a ciò che era appena successo. Era convinta che la paura di morire avesse risvegliato il potere di Azrael e che quell’energia fosse fluita dall’anima demoniaca fino a quella umana liberandola: non avrebbe dovuto farlo.  
-Stento a credere a ciò che ho appena visto- disse Alastor improvvisamente.
         Evangeline si girò verso di lui mentre, ancora a terra, respirava a fatica.
         -Che cos’era quello?-
         -Quella, ragazza, non era altro che pura energia. Leggo nei tuoi occhi che hai paura di te stessa ora, non è vero?-.
         Evangeline quasi tremò a dover pronunciare quelle parole, quel nome -Era davvero Azrael, non è così?- era disperata.
         -Esattamente- il demone ghignò mostrando i denti -è stato quasi emozionante-
         -Mettiti pure il cuore in pace, sempre che tu ne abbia uno, non farò mai più una cosa del genere-.
         Evangeline rivolse lo sguardo per terra e solo allora si accorse che la terra intorno a lei era bruciata: divenne cenere dopo essere stata colpita da quell’onda di energia esattamente come era successo con la luce del cerchio di evocazione dei demonietti.
         -Te l’ho detto anche prima. Sei più vicina alla caduta di quanto pensi-
         -Preferirei morire se servisse a salvare questo modo-
         -Ogni sforzo sarà inutile-.
         Evangeline lo guardò sfidandolo -Allora staremo a vedere-.
         -Non vedo l’ora di giocare-.
         Alastor guardò verso i demonietti e questi si rimisero in piedi ancora sofferenti. Evangeline fu costretta a rialzarsi a sua volta conscia del fatto che lo scontro non era ancora terminato e cercò di pensare ad una soluzione, però senza successo.  I demonietti avanzavano.
         -Trovo inutile sprecare così tanta energia in una volta sola. Non lo pensi anche tu?- Alastor rivolse di nuovo lo sguardo su di lei -così non fai altro che accorciare il tempo che ti resta da vivere-.
         Evangeline doveva lottare ancora perché sapeva che scappare sarebbe stato completamente inutile; i demonietti le erano quasi addosso.
         -Maledizione! Cosa devo fare?-
         -Sarebbe troppo facile se te lo dicessi-
         -Grazie tante- disse lei sarcastica.
         Evangeline guardava un momento Alastor, un momento i demoni, incapace di prendere una decisione sul da farsi. Poi cominciò a correre verso un punto impreciso del cantiere maggiormente illuminato quando sentì un colpo d’ali di Alastor, segno che la stava seguendo per non perderla di vista.
         -Avresti bisogno di un’arma- disse -o due… Dei pugnali magari-
         -Peccato che non li ho- gli gridò lei di rimando
         -Ne sei così certa? Azrael è pieno di risorse-
         -Non voglio utilizzare le capacità di Azrael-
         -Se non ti è chiaro te lo ripeto: a meno che tu non voglia morire stanotte, non hai altra scelta-.
         Evangeline non rispose. Sapeva bene che il demone aveva ragione. O moriva rifiutandosi di utilizzare l’energia del demone oppure sopravviveva avvicinandolo al totale risveglio.
         Grandissimo figlio di…
         -Se davvero non ho altra scelta combatterò-
         -E’ proprio ciò che volevo sentirti- le rispose Alastor soddisfatto.
         La ragazza allargò le braccia tenendo i pugni semichiusi a sentire lo scorrere di quella calda e potente energia sotto la pelle. La sentì fluire dalle spalle alle braccia, verso le mani e poi fuoriuscirle dai palmi e passare alla forma solida: come prolungamento degli arti due pugnali presero forma in mezzo ai pugni che ora li stringevano saldamente, leggeri e dalle lame sottili che tagliavano l’aria sibilando. Erano stati forgiati per essere utilizzati esclusivamente da lei, si adattavano perfettamente alla sua impugnatura, perfetti come se fossero altre due mani. Quello nella destra aveva la lama dritta e piatta in una lega resistente e flessibile; la guardia era in argento e assunse una forma simile a due ali di pipistrello; tre pietre di smeraldo al centro circondavano un rubino centrale rosso come sangue e l’impugnatura era di osso levigato, fatta eccezione per la parte terminale in cui l’osso era stato spezzato. Il pugnale della mano sinistra invece, aveva la lama molto fine e ondulata, della stessa lunghezza della prima; la guardia, sempre in argento, raffigurava un volto demoniaco nei cui occhi erano incastonati due smeraldi e nel naso uno zaffiro blu come la notte. L’impugnatura era composta principalmente anch’essa di un osso levigato al cui pomolo a tre punte era incastonato un altro smeraldo. L’impugnatura era avvolta da uno specie di nastro di pura energia controllata che rimandava sfumature ramate, rosse e oro. Quel nastro di luce andava poi ad allacciarsi direttamente alle vene sotto la pelle del polso diventando un tutt’uno con l’anima di chi lo brandiva. Dapprima erano roventi come appena forgiati ed emanavano luce, poi questa si affievolì fino a dissolversi e rimase solo un lieve fumo odorante di zolfo che si disperse presto nell’aria.
         Evangeline in un primo momento rimase sorpresa, dopo si sentì di nuovo forte con l’adrenalina che veniva pompata nelle vene ad ogni battito: nulla le avrebbe impedito di lottare.
         Dopo si scontrarono.
         I demoni le furono addosso in un batter d’occhio ma il suo corpo minuto riuscì ad evitare ogni loro tentativo di bloccarla. Li scartò a destra e a sinistra ritrovandosi le loro fauci a un palmo dal viso con i loro occhi che si incendiavano quando, da vicino, potevano sentire il suo odore; ma riuscirono a malapena a sfiorarla. Evangeline impugnò saldamente i pugnali e colpì: nel momento in cui ne evitò uno facendo un mezzo giro su sé stessa, alzò il pugnale e affondò la sua lama nella schiena della creatura, fino all’elsa, e la girò nella ferita mentre icore demoniaco schizzava e imbrattava la terra sopra la quale avveniva lo scontro. I movimenti erano goffi e imprecisi ma non per questo meno letali. Due demoni la assalirono dai lati e la ragazza rotolò in avanti lasciando che quei due si scontrassero tra di loro; si girò velocemente e afferrò uno di loro dalla zampa superiore tirandola e colpendogli ripetutamente il fianco destro squarciandolo ma l’altro riuscì a sovrastarla e la bloccò a terra. Gli artigli laceravano la pelle delle braccia e del petto strappandole grida di dolore mentre cercava di respingere quel muso spaventoso che voleva azzannarla al collo. Piegò le gambe e gli tirò un calcio allontanandolo quel tanto che bastava per saltargli addosso a sua volta e infilargli il pugnale ondulato nel collo. Evangeline si rialzò, ne mancavano ben nove.
Fortunatamente erano stupidi abbastanza da non attaccarla tutti insieme o non sarebbe sopravvissuta nemmeno a quei tre. Ogni suo muscolo era teso come corde, il sudore si appiccicava alla fronte insieme alla polvere che si sollevava e il desiderio di continuare a vivere era più forte della paura di morire. Tre demoni la attaccarono contemporaneamente e lei fendette a volte l’aria, a volte carne. Riuscirono a colpirla svariate volte lacerandole la giaccia sulla schiena e all’altezza dell’addome insieme alla pelle sottostante e sentì il calore del proprio sangue imbrattarle i vestiti e un dolore pungente che le strappò via le forze e la indebolì pian piano, ad ogni goccia che ne fuoriusciva. Altri affondi colpirono quei mostri alla schiena, in mezzo agli occhi, al collo, ai fianchi. Ogni colpo li avvicinava alla morte.
Alla fine di interminabili minuti anche l’ultimo di loro cadde al suolo e fece ritorno all’Inferno passando attraverso uno di quei cerchi di fuoco che allo stesso modo lo aveva portato in Superficie.
Evangeline cadde in ginocchio ansimando. I pugnali le scivolarono dalle mani atrofizzate e ferite e quello dalla lama ondulata si slacciò automaticamente dalle vene del suo polso lasciando un piccolo taglio sanguinante che si richiuse subito e poi entrambi sparirono. Era sfinita, senza più un briciolo dell’energia che aveva prelevato dallo spirito di Azrael.
L‘ombra di Alastor si proiettò sulla sua e la figura in carne ed ossa sopraggiunse subito dopo fermandosi ad un solo passo da lei.
         -Era questo quello a cui mi riferivo-.
         Evangeline non rispose e si limitò a fissare il terreno.
         -Hai usato bene la tua energia, è stato uno spettacolo grandioso-.
         Evangeline chiuse gli occhi per evitare che le lacrime le scendessero ma fu inutile.
         A quel punto Alastor l’afferrò per i capelli obbligandola a guardarlo negli occhi ma il suo sguardo andava oltre come se non lo vedesse. Niente a parte lei e Azrael avevano importanza.
         -Guardami quando ti parlo- le ordinò Alastor.
         Tutto ciò che era stata la sua vita era andata perduta anzi, non era mai esistita
         -Basta lamentarti! Voi essere umani siete così fragili. Come fai a non renderti conto della tua potenzialità? Come pensi che sia arrivato io fino a qui, sulla Superficie?-
         Evangeline lo fissò negli occhi trasmettendogli tutto il disprezzo che aveva in corpo e Alastor, captandolo, si sentì compiaciuto finche lei non gli sputò in volto. Lui si infuriò e con un solo strattone la mandò a terra. Lei non reagì più, non aveva più la forza per muovere un solo muscolo.
         -E’ stato merito tuo. Hai aperto uno spiraglio tra Superficie e Inferno che sono stato in grado di tramutare in varco e ora il numero di varchi apribili aumenterà-.
         Se voleva difendersi non aveva scelta ma più combatteva e più Azrael si svegliava: fino a che punto si poteva arrivare?
         -E’ proprio grazie a te che noi possiamo fare ritorno tra queste genti e riprenderci ciò che è nostro. Devi esserne consapevole-.
         Non c’erano dubbi.
         Il demone continuò: -Mi farò presto vivo Azrael. Tu non immagini quanto poco tempo manchi alla nostra ascesa-.
         Alastor si alzò in volo, raggiunse Astaroth che era rimasto a guardare la scena fino a quel momento da lontano e insieme aprirono un altro varco che avrebbe permesso loro di ritornare all’Inferno.
         Evangeline rimase lì a terra rannicchiata per scacciare il freddo che ora le pungeva la pelle e il dolore che scaturiva da ogni ferita sanguinante, sorprendentemente già in via di guarigione, nella più totale vuotezza. Improvvisamente riprese a nevicare. Allungò una mano verso l’alto e sentì un fiocco di neve sciogliersi sulla superficie del suo palmo e si mise a sedere. Con enormi sforzi si rialzò barcollando come quando alcune settimane prima si era felicemente ubriacata insieme ai suo amici. Ora quella vita non esisteva più, tutto era stato spazzato via.
         Recuperò da terra la sua giacca, la indossò avvolgendosela intorno al corpo il più stretta possibile e uscì dal cantiere, avviandosi verso casa. Era in uno stato pietoso.
Percorse a piedi tutta la strada e intanto vide tre pattuglie della polizia dirigersi dove prima di trovava lei. A quanto pare qualcuno, sentendo i rumori e le urla, li aveva chiamati per intervenire.
Arrivò a casa sua dopo un estenuante ora di cammino. Per miracolo i suoi genitori non la sentirono rientrare così si fece una doccia, si disinfettò le ferite per evitare qualche infezione e buttò nei cassonetti dell’immondizia in strada i vestiti che aveva indossato quella sera, ormai ridotti a stracci, e andò a letto. Si addormentò esausta subito dopo, con il pensiero dei demoni a farle  compagnia.
 
Il sole salì nel cielo facendosi strada tra le nuvole ancora cariche di neve che inondavano il paesaggio di luce fioca e grigia. Il signore e la signora Goodchild erano usciti di casa come ogni domenica pomeriggio e fuori si sentiva il cane dei vicini abbaiare a un pettirosso appollaiato su un ramo del salice piangente del giardino.
Fu a quel punto che Evangeline, dopo quindici ore di tremendo sonno abitato da mostri che le strappavano la carne di dosso e dalle urla che nascevano dalla sua anima che la spaccavano dall’interno, aprì gli occhi.
         Le pareti e i mobili della camera da letto acquisirono forma e si misero a fuoco e l’oscurità fu spazzata via dalla luce che filtrava dalla finestra: la notte era passata. Evangeline divenne cosciente del suo stato fisico  man mano che ricordava i terribili momenti passati durante la notte. Ogni centimetro del suo corpo le doleva, la pelle rivelava bruciature qua e là, abrasioni e sfregi, i muscoli ancora tesi sembravano fossero strappati nelle gambe stanche e il dolore alle ossa per tutti i colpi subiti pulsava come le faceva il sangue nelle vene. Con grande forza di volontà, la ragazza uscì fuori dalle coperte, si avvolse il lenzuolo intorno al corpo nudo e andò in bagno mente alcune ferite di riaprivano macchiando il tessuto di sangue.
         Si imbottì di antidolorifici, disinfettò le ferite brucianti e le avvolse nelle bende alla bell’e meglio. In cucina tracannò affamata il latte dal cartone aperto nel frigo poi tornò a letto e si riaddormentò.
  
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