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Autore: Britin_Kinney    17/04/2015    0 recensioni
Strani omicidi stanno avvenendo a Mosca. Nel buio della notte si sussurra che Jack lo Squartatore sia tornato dal mondo dei morti. [ ... ] Pochi sanno, o vogliono credere, che in confronto a chi o cosa sta commettendo quegli omicidi, Jack lo Squartatore fosse un Santo. In una Città dove magia bianca e nera si intrecciano, le persone vivono normalmente, inconsapevoli di cosa si agita intorno a loro. [ ... ] E voi, potete dire di conoscere veramente questa città? E se il vostro vicino di casa fosse un Angelo, che veglia su di voi e vi protegge? E se la maestra di vostro figlio fosse in realtà una Strega, attirata in città dalla grande quantità di potere che sembra esservi? E se il vostro migliore amico fosse solo un Demone interessato alla vostra anima? Voi siete pronti a tutto questo? Qualcosa si muove. Si percepisce nell’aria, nel vento freddo che soffia, nelle nuvole che oscurano il cielo.
Qualcosa si muove.
Qualcosa sta cambiando.
Genere: Avventura, Comico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sometimes monsters could be our best friends

Capitolo 1

Lo stesso sogno, lo stesso sogno di ogni notte. Una casa abbandonata, una ragazza. Lunghi capelli rossi che si agitano mossi da una breve brezza primaverile e poi un biglietto, un biglietto che in sé nasconde un segreto. Ma quale segreto? John si voltò dalla parte opposta alla finestra, nascondendo il volto nel cuscino e borbottando qualcosa nel sonno. Per anni, i suoi sogni erano stati popolati dai suoi genitori. Sussurri ben distinti, che si mescolavano con la sua paura più grande: la vendetta. Che fossero tornati per vendicarsi, questo John, non avrebbe saputo dirlo ma loro continuavano a tormentarlo, ogni giorno da quella fatidica notte. Ricordava ancora le lacrime di suo padre quando a voce flebile, inginocchiato sul tappeto davanti al camino gli raccontava la sua più grande colpa.
«Sono stato io.» continuava a ripetere. E se solo John, a quel tempo solo un bambino, si fosse accorto subito del significato delle parole del padre, non gli avrebbe chiesto di spiegarglielo, probabilmente il padre gli avrebbe taciuto quella verità che John, sinceramente, non avrebbe mai voluto conoscere.
«Tranquillo, papà»
Tranquillo? Ti ho appena dannato per sempre e tu mi dici di stare tranquillo?
La voglia di schiaffeggiare il bambino, era grande quasi quanto quella di volergli raccontare tutta la verità. Diversi giorni dopo la nascita di John, il padre, un appassionato di esoterismo e di paganesimo, decise di voler provare l’esistenza del demonio. La multinazionale per la quale lavorava, minacciò di cacciarlo e di licenziarlo se non avesse posto fine a quelle pratiche e se non avesse smesso di minacciare la stessa multinazionale, portando i media a credere che tra i suoi dipendenti si nascondesse un satanista.
La setta della quale faceva parte, però, voleva che almeno uno di loro continuasse la tradizione. Molti si erano rifiutati, ritirandosi da quell’incarico e lasciando così la setta.
Dunque, come persona scelta per promulgare quella tradizione, fu puntato il dito sul padre di John. All’inizio Ivan Kingsley, volle rifiutarsi, ma i membri rimasti lo costrinsero, minacciandolo di morte. L’uomo continuò ad opporsi, fin quando i membri non decisero che minacciare l’uomo fosse troppo scontato, nonché inutile e mirarono al figlio, alzando la posta in gioco. A quel punto Ivan scappò dal luogo in cui la setta si riuniva e corse a casa dal figlio, svegliandolo nel cuore della notte, per portarlo al cimitero.
«Che ci facciamo qui?» domandò perplesso John, sollevando lo sguardo sul padre che quasi tremava, con la fronte imperlata di sudore.
«D-dobbiamo fare una cosa importante, figliolo» rispose Ivan e John quasi fu tentato di chiedergli di riportarlo a casa. Non gli piaceva quel posto. Per niente. Beh, a quale bambino piacerebbe entrare in un cimitero nel cuore della notte?
«Qui, papà?» chiese John, deglutendo.
Non aveva idea di che cosa lo stesse aspettando, quella notte.
«Sì, proprio qui.» rispose Ivan e forse quelle parole dovettero sembrare un po’ troppo austere alle orecchie del figlio, poiché abbassando lo sguardo, l’uomo, vide il bambino interdetto, quasi ferito da quel tono. Dunque si accovacciò, fino ad arrivare con il volto di fronte a quello del bambino.
«Ascoltami, John. » Gli occhi di John, adesso, distribuivano attenzione. “Ti ascolto, papà”, pensò il bambino. «Stanotte ti renderò speciale.»
«Speciale?» John si guardò di nuovo attorno e deglutii rumorosamente. Che fosse il caso di scappare? Ma… da chi? Dal proprio padre? John si fidava del genitore. Era sicuro che non gli avrebbe fatto del male. Allora perché si trovavano in un cimitero nel cuore della notte e il padre professava di volerlo rendere speciale?
«Proprio così, speciale.» ribadì Ivan, sollevandosi e muovendo qualche passo per allontanarsi dal figlio.
«P-papà?» lo chiamò John, con l’impulso di volergli correre dietro. Ivan, una volta indovinate le intenzioni del figlio, fece un gesto con la mano nella sua direzione, come a volergli intimare di non muoversi da quel punto. E così John fece.
Rimase lì; piedi uniti, mani tremanti e cuore martellante, cercando di non guardarsi attorno, rivolgendo lo sguardo nel punto in cui il padre era sparito. Ivan tornò qualche istante più tardi, con una pergamena arrotolata in mano e non era nemmeno da solo. Era in compagnia di un uomo, John non seppe riconoscerlo, non credeva di averlo mai visto in casa, come ospite. Non aveva mai seduto al loro tavolo, non l’aveva mai visto girare per il quartiere. Mai. Non riusciva ad adattare quel viso a nessuno di sua conoscenza. L’uomo si fermò proprio davanti a John e si accovacciò, studiandolo come fosse un cavallo da comprare.
«È lui?» domandò l’uomo e quasi John non fece un balzo indietro per la paura. La voce di quell’uomo era cavernosa e spaventosamente roca, come se provenisse dal profondo degli inferi.
«Sì, è proprio lui. John. Mio figlio.» La voce di Ivan tremò, e a John sembrò quasi che il genitore si mettesse a piangere da un momento all’altro.
«Bene. È mio.» proferì l’uomo e poi fissò John negli occhi. Gli occhi di quell’individuo erano neri con delle sfumature cremisi, come se avesse del sangue arterioso nelle pagliuzze delle iridi.
John deglutii di nuovo e abbassò lo sguardo. L’uomo si prese la libertà di sollevargli il volto e sorridergli. «Avanti…» cominciò l’uomo in tono teatralmente dispiaciuto «non è un atteggiamento da futuro demone. Lo sai che non abbassiamo mai gli occhi, ragazzino?» lo ammonì, e Ivan si morse l’interno delle guance, per non parlare.
Sapeva che il figlio avrebbe chiesto cosa diavolo volesse quell’uomo da lui e perché si fosse messo a parlare di demoni.
«Futuro demone?» chiese John con voce incerta, sollevando lo sguardo sul padre.
«Già» rispose l’uomo, con aria divertita. «Non gli hai detto nulla, Kingsley?» domandò l’uomo, distogliendo lo sguardo da John per qualche secondo e rivolgendo un’occhiata ammonitrice al padre del bambino.
A John sembrò che il padre fosse in un mare di guai. E aveva ragione. Il modo in cui quell’uomo guardava il genitore, lo spinse ad intervenire.
«P-papà ha detto che mi renderà speciale» disse, convinto, guardando l’uomo mentre nei suoi occhi cominciava a brillare un coraggio che prima non c’era. L’uomo scoppiò a ridere, con l’intento di deridere quelle parole.
«Speciale?» gli fece eco l’uomo, continuando a ridere per poi guardare il padre di John. «Di’ un po’, non gli hai detto nulla, vero?» chiese in tono severo, guardandolo dall’alto in basso.
«È solo un bambino» sibilò Ivan tra i denti. «Cosa avrei dovuto raccontargli?» mormorò chinando il capo, e le gambe gli tremarono.
«Oh, non saprei» cominciò l’uomo con fare derisorio, rivolgendo lo sguardo sul piccolo che intanto lasciava vagare gli occhi da suo padre a quell’individuo. «Potresti dirgli… che il padre è un codardo e vile, che ha deciso di vendermi la sua anima, per rendere suo figlio un demone» guardò John per qualche istante, studiandolo con un sorriso, per poi ridere e reclinare la testa all’indietro. «Quanto mi divertite, voi umani. Sempre pronti ad amare, proteggere il prossimo, creare famiglie, fare progetti, vacanze, piani di studio. Tutto per cosa?» fece una pausa, spostando lo sguardo dal padre di John a John e viceversa. «Guardatevi attorno» Con un gesto elegante della mano, indicò tutto il cimitero attorno a loro, come fossero in gita e lui fosse la guida turistica. «è così che finirete un giorno.» proferì, infilando poi la mano in tasca.
«D’accordo, basta così.» intervenne Ivan, vedendo quanto le parole dell’uomo avessero spaventato John, il bambino adesso si guardava attorno, con occhi sgranati dal terrore.
L’uomo si chinò a prenderlo per le spalle e lo sollevò.
«Hai ragione, è durata fin troppo» ghignò, poggiando la fronte su quella del bambino. «Come ti chiami, figliolo?»
«J-John» rispose il bambino, balbettando dalla paura.
«Tanto piacere, John. Io sono Lucifero. E questa è la tua ultima notte da umano» John ricordò solo il colore degli occhi di quell’uomo che da nero sfumavano al cremisi inteso, per poi esplodere nell’oro e nel ramato, provocandogli un forte dolore alla testa e poi una risata e dei passi. E ancora buio, dolore e un calore intenso che lo avvolgeva completamente.
E poi… tutto ad un tratto, era piombato il silenzio, la quiete e John sentiva la voce del proprio padre chiamarlo preoccupato.
«John? John!»
 
John si voltò, in quella che doveva essere una casa abbandonata, e scorse una ragazza, china a prendere qualcosa. Di nuovo quei capelli rossi che ondeggiavano. La ragazza si sollevò e gli porse un biglietto. Aveva un sorriso dolce, un paio di ciglia lunghissime ed un paio di occhi verdi che sfumavano al castano a seconda della luce.
«Chi sei tu?» domandò John, inclinando il capo di lato e studiandola. La ragazza non rispose e sorrise, voltandosi. Cominciò a correre, per uscire da quella casa e John fece per correrle dietro, ma qualcosa lo teneva fermo. Fu solo abbassando lo sguardo che si accorse che ciò che lo teneva fermo, non fossero altro che mani e braccia provenienti dagli inferi.
«Aspetta!» urlò John «Torna qui!» continuò ad urlare. «HEY!»
John si alzò di scatto, sudato, respirando affannosamente, con gli occhi spalancati. Si passò una mano sulla fronte, e imprecò mentalmente contro quell’ennesimo sogno. Dannazione, pensò, scostando bruscamente le coperte e camminando a piedi nudi verso il bagno. Ruotò la manopola dell’acqua fredda e la lasciò scorrere per qualche secondo, per poi chinarsi e raccogliere l’acqua a piene mani, portandosela al volto per rinfrescarsi. Quando richiuse l’acqua, poggiò le mani sul bordo del lavandino, respirando piano, a capo chino, per poi sollevare lo sguardo e osservare la sua immagine riflessa nello specchio.
Era ridotto uno straccio, un completo relitto. Per quanto ancora sarebbe continuato quel calvario?
D’accordo, era il responsabile della morte dei suoi genitori, e allora? Loro erano responsabili della sua trasformazione in demone nero, eppure nessuno si era lamentato.
John sospirò e si passo una mano sul volto, tornando a passo lento in camera, prendendo a vestirsi. Doveva capire cosa significasse quel sogno e dove poteva trovare quella ragazza. E quel biglietto.
Oppure ne sarebbe stato ossessionato per il resto dei suoi giorni.
Scese al pian terreno e uscì fuori. L’aria gelida e secca di Mosca lo investì in pieno volto, ma non se ne preoccupò, era abituato a ben peggio.
Salì in macchina e mise in moto, guardandosi intorno man mano che la città scorreva, fuori dai finestrini.
«Casa abbandonata…» continuava a ripetere tra sé e sé «Casa… abbandonata.» nei paraggi, non se ne vedeva neppure una.
Gli sembrava quasi una follia, mettersi a cercare qualcosa che, con ogni probabilità, non esisteva neppure.
Possibile che si trattasse di una delle vecchie case del dopo guerra?
L’idea sembrava plausibile.
Così svoltò a sinistra e premette sull’acceleratore. Le strade erano deserte a quell’ora della notte.
Meglio così, si disse, almeno non avrebbe avuto la tentazione di uccidere nessuno. E comunque, non poteva perdere tempo con un sudicio umano, quando all’interno di una di quelle case che adesso si trovava di fronte, in fila, si nascondeva qualcosa di grosso e sicuramente importante.
Scese dall’auto e mise la sicura, fermandosi per qualche istante a guardare quelle case.
Che fosse uno scherzo di quei due bastardi? Per un momento, la mente fu occupata di nuovo dalle voci e dai volti dei suoi genitori.
Maledetti stronzi.
Decise che doveva andare, se non altro, per capire cosa diavolo volessero da lui. Chiunque fosse, si era deciso ad affrontarlo, per porre fine a quella storia.
Quello che John non poteva di certo immaginare, era che quella notte, la storia stesse prendendo vita.
Superò una rete metallica, passando attraverso un buco, adattato a passaggio da qualche banda di teppisti, e camminò verso quelle case, lentamente, pestò un pezzo di vetro, e lo scricchiolio rimbombò nel silenzio della notte, arrivando a rimbalzare contro le mura della casa che si trovava di fronte.
Fu un attimo. Qualcosa nella casa si mosse.
John deglutì e prese a camminare, ancora più cauto, prestando attenzione a non calpestare nulla che potesse provocare altri suoni.
Arrivò all’entrata principale, appoggiando le mani contro i bordi della porta ormai scomparsa e si sporse in avanti, per controllare che non ci fosse nessuno. Ma a quanto pare, qualcuno c’era eccome.
L’idea, gli fu confermata da una bastonata contro la testa che, non gli fece male, ma lo fece confondere.
Chi diavolo avrebbe potuto colpirlo senza nemmeno sapere chi fosse? Qualcuno che aveva paura, di sicuro.
Ma perché venire in un posto del genere se si ha paura di fare brutti incontri?
«Il piacere è tutto mio» commentò a metà tra l’irritato ed il sarcastico. Finalmente il “boia” senza volto uscì allo scoperto, puntandogli contro il pezzo di legno con cui l’aveva colpito.
«C-cosa vuoi qui? C-cosa cerchi?» domando una voce femminile e John si avvicinò a lei, lentamente, così tanto che la punta del bastone gli premeva contro lo stomaco.
«Potrei farti la stessa domanda» replicò, tranquillo, assottigliando lo sguardo per la scarsa visuale del volto della ragazza.
«Devo aiutare gli spiriti di questa casa. Sono persi e soli. E la tua scusa?»
John alzò le spalle, saccente. «Cercavo te, credo.» prese il polso della ragazza e l’avvicinò a sé, e fu allora che, sotto la luce della luna, poté finalmente vedere i suoi tratti.
Cristo.
Le lasciò il polso, come se si fosse scottato e indietreggiò di qualche passo, sotto lo sguardo confuso della ragazza.
«Chi diavolo sei?» domandò subito dopo John.
«M-mi chiamo… Autumn» rispose lei, senza lasciare il bastone che teneva tra le mani.
«Puzzi.» rispose lui, annusando l’aurea di bene e calore che l’avvolgeva. Era un angelo. Fantastico.
«Anche tu» ribatté lei, arricciando il nasino.
«Sai che non si risponde male ad un demone?» la riprese lui, inclinando la testa di lato.
«Sai che non si parla con gli angeli?» inventò lei, imitandolo. E poi John scorse un pezzetto di carta, dietro di lei.
John si avvicinò a lei, come se volesse baciarla e poi sussurrò «Ringrazia il tuo Dio che ho da fare, altrimenti sarebbero stati cavoli tuoi.» lei non lo degnò di uno sguardo e poi voltò gli occhi al cielo.
«Demoni» commentò, come fosse la peggiore menomazione del mondo e poi si voltò a guardarlo, chino su quel foglietto. «Che stai facendo?» domandò, perplessa.
«E’ tutto come l’ho sognato, incredibile. Anche tu.»
«Anche io?»
«Non potresti capire, angelo.»
«Divertente.» Autumn voltò di nuovo gli occhi al cielo e John si sollevò aprendo il foglietto accartocciato
«Cosa c’è scritto?» domandò la ragazza, avvicinandosi curiosa.
«‘Lì dove lamenti e gemiti accompagnavano le giornate, giace la via verso ciò che cercate’» lesse John, sollevando poi lo sguardo su Autumn. «Ti dice niente?» domandò, sollevando un sopracciglio e la ragazza scosse il capo. «Come pensavo…» commentò John, sospirando ironico e poi si infilò il foglietto in tasca, avviandosi verso l’uscita. «Avanti, andiamo, abbiamo molto da fare» la incitò lui, mentre scostava un pezzo di legno con il piede.
«Eh?»
«Senti, credo sia una follia, dato che non ho mai avuto bisogno di nessuno né tantomeno di…» la indicò tutta, con un gesto della mano «di un angelo» continuò, infilando la mano in tasca «ma sento di aver bisogno di te. E che tu, in questa storia, entri anche troppo.»
«Non capisco…»
«Non mi meraviglia.»
«Acido» ribatté lei, cominciando a camminare verso di lui e superandolo, come per dire che avesse accettato di seguirlo.
«Ora si comincia a ragionare» asserì John, voltandosi e seguendola, per poi passarle davanti e andare verso la sua macchina, mentre lei lo guardava male, di tanto in tanto.
Salirono in macchina e la ragazza porse una mano dal palmo aperto nella sua direzione.
«Sì?» rispose John a quel gesto, sollevando un sopracciglio.
«Il foglietto… fammi vedere» motivò lei, lasciandosi mettere il foglietto in mano. «‘Lì dove lamenti e gemiti accompagnavano le giornate, giace la via verso ciò che cercate’» rilesse attentamente, lei.
«Già» borbottò lui, voltando gli occhi al cielo.
«Pensiamoci… dov’è che ci si lamenta?»
«All’inferno»
«Sii più realistico»
«In paradiso»
«… Puoi, per favore, concentrarti?»
«Ma certo… certo che sì, chiedo perdono» rispose lui, come se si stesse scusando di chissà quale mancanza.
Autumn voltò di nuovo gli occhi al cielo. «Allora… dov’è che ci si lamenta?»
«In banca»
«Sto cominciando a rinunciarci.»
«Però, sei una che non molla, eh?» la riprese lui, sarcasticamente, e lei arrossì.
«E tu ti impegni proprio tanto, eh?» ribatté lei, e lui sorrise, divertito. «Riflettiamoci… ci si lamenta quando si sta male, no? Dove si va quando si sta male?»
«Giusto… quindi sarà… un ricovero?»
«Un ospedale!» esclamò lei, sospirando subito dopo. «Demoni» aggiunse, scuotendo il capo, mesta.
«Dillo un altro volta e vedi che ti faccio» la minacciò lui, mettendo in moto.
«Devi solo provarci… demone.»
«Ho un nome.»
«Sarebbe?»
«John» lo disse con orgoglio, mentre l’auto partiva e le ruote fischiavano sull’asfalto, lasciando che l’auto sfrecciasse verso ciò che stavano cercando.
«Piacere non mio, John.» mormorò lei, guardando fuori dal finestrino, mentre lui scuoteva il capo, divertito.
«Però, voi angeli siete sorprendenti.» commentò, mentre guidava, con una mano sul cambio e una sul volante.
«Che intendi dire?» domandò lei, voltandosi immediatamente verso di lui, con sguardo contrariato.
«Mi conosci da neppure un’ora e già sei in macchina, con me. E, stranamente, ti stai fidando di un demone. Mi chiedo cosa penserebbe il tuo capo, di te.» Autumn aggrottò le sopracciglia, a quelle parole e tornò a guardare fuori dal finestrino.
«Sembri uno che ha bisogno di aiuto»
«Io non ho bisogno dell’aiuto di nessuno ma, te l’ho detto, la cosa stavolta è grossa.»
«Mh»
E la conversazione, più o meno, finì lì.
Arrivarono all’ospedale del centro, il più grande che ci fosse a Mosca. Avevano anche curato uno dei Romanov in quell’ospedale che, ovviamente, era solo un piccolo edificio in crescita a quei tempi.
Non appena se lo trovarono di fronte, sollevarono lo sguardo su tutti quei piani che si stagliavano imponenti su di loro. Autumn sollevò le sopracciglia, scettica, senza abbassare lo sguardo.
«Come… facciamo?» domandò lei, senza guardarlo. John continuava a guardare in su.
«Non ne ho idea… ci metteremo un’eternità, così.»
Autumn deglutì. Ci mancava solo questa, pensò, abbassando lo sguardo sulle porte d’entrata, quelle scorrevoli. E contro una delle due croci bianche dentro dei cerchi rossi, vide qualcosa di piccolo muoversi e tremare, mosso dalla leggera brezza primaverile.
«Ehi, guarda…» disse, indicandogli quel punto. John lo raggiunse e prese il foglietto, dispiegandolo. Autumn lo raggiunge qualche secondo più tardi, e sospirò.
«Niente male, angelo» ammise John, sollevando un angolo delle labbra. Autumn sorrise e poi abbassò lo sguardo sul foglietto.
«Allora, cosa c’è scritto stavolta?»
«‘Lì dove la perdizione riempie le menti, troverete ciò che vi porterà avanti’. Questa storia degli indovinelli in rima comincia a infastirmi.» borbottò, infilandosi il foglietto in tasca e dirigendosi alla macchina, mentre Autumn ripeteva tra sé e sé l’indizio.
«Quanti night club conosci?» domandò lei, aggrottando le sopracciglia
«Mi sorprendi sempre di più, sai, angelo?» alluse lui, riservandole uno sguardo malizioso e lei, voltò gli occhi al cielo per l’ennesima volta.
«Riflettici. La ‘Perdizione’, di cui parla l’indizio, potrebbe essere riferita ad un night club, no?» ragionò lei, guardandolo.
«Giustamente» commentò lui, salendo in macchina e lei sospirò e lo imitò, mettendo la cintura di sicurezza.
«Dove andiamo?» domandò, guardando di fronte a sé, mentre lui faceva partire l’auto.
«Pandemonium»
«Pandemonium?»
«Non ti serviva un night club, angioletto?» la riprese lui, ironicamente e lei annuì, decisa.
«Sì, credo che l’indizio parli proprio di un night club. Altrimenti cos’altro può essere?»
«L’inferno» ripose lui, semplicemente, in un’alzata di spalle.
«Siete tutti fissati» borbottò lei, volgendo lo sguardo alla strada, fuori dal finestrino, che scorreva sotto i suoi occhi.
  
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