Crossover
Segui la storia  |       
Autore: Registe    17/04/2015    4 recensioni
Terza storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
"L’esercito del Grande Satana colpì in modo violento l’Impero Galattico. Non vi furono preavvisi, minacce o dialoghi alla ricerca di una condizione di pace. I demoni riversarono i loro poteri in maniera indiscriminata, non facendo differenza tra soldati e civili, guidati solo da un ancestrale istinto di distruzione. Soltanto la previdente politica bellica dell’Imperatore Palpatine riuscì ad impedire un massacro in larga scala.
-“Cronistoria dell’Impero Galattico, dalla fondazione ai nostri giorni” di Tahiro Gantu, sesta edizione.-"
[dal primo capitolo].
E mentre nella Galassia divampa la guerra, qualcun altro dovra' fare i conti con il passato e affrontare i propri demoni interiori...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 23 - Cuore di ghiaccio





Vexen




[…] e io sono certo che se ne sarebbe pentito. Fermare la collera di Pai è stato difficile, parte di me avrebbe voluto ruggire con lui, abbandonarsi al folle piacere della magia selvaggia e volare su Autozam per vendicare coloro che abbiamo perduto per mano della viltà degli esseri umani e reclamare la giusta vendetta nel loro sangue. Forse cadere nella pazzia è l’unico modo per annegare questo dolore che mi sibila dentro la testa dal giorno in cui colei che ho amato ha lasciato questo mondo.
Ma forse è proprio qui l’errore.
Un dolore millenario come il nostro non si può cancellare. O sopprimere. Nemmeno mascherare con l’aiuto della battaglia. Col dolore bisogna convivere, perché solo coloro che sono davvero forti possono farsene carico per trovare la spinta che li condurrà in avanti.
Pai è forte. Sono certo che un giorno potrebbe pentirsi di un’azione così scellerata e priva di onore. Spero solo che capisca la mia decisione e ne tragga un insegnamento per il futuro: nessuna giusta vendetta è così dolce da coprire il sapore amaro del rimpianto.
Uno dei rarissimi frammenti delle memorie del Grande Satana Baan, primo del suo nome.




Era come una tempesta, la tempesta più potente a cui avesse mai assistito. Il vento soffiava senza sosta attraversando le volte del Baan Palace fino alle vetrate, battendo i corridoi ed i balconi con tutta la violenza dei temporali primaverili, trascinando con sé chiunque si trovasse sul suo percorso senza regole; non si udiva nulla oltre al rombo di tuono, sordo come se potesse scuotere la fortezza volante sino alle prime pietre della fondazione. Zaboera strinse le dita intorno al proprio bastone meravigliandosi di quanto le nocche fossero più evidenti nelle ultime settimane, di come le ossa si fossero fatte strada fin quasi ad oltrepassare la sua sottile pelle chiara. Non aveva altro da osservare a parte le proprie mani, il pavimento bianco e la figura del Grande Satana stagliata al centro del salone con le vesti gonfie di collera. Nessun vento poteva eguagliare la furia della sua magia, che batteva incessante intorno al proprio padrone come un turbine dove al centro non vi era però calma, ma l’odio più puro. Gli occhi del signore dei demoni erano coperti da una patina lucida che in molti avrebbero interpretato come collera, ma che l’anziano arcivescovo stregone aveva imparato a riconoscere come un segno di pura tristezza a cui era vietato trasparire. Il loro sovrano aveva ragione ad essere in collera.
Dall’altra parte della sala persino Killvearn era in silenzio. Stranamente il suo assistente monocolo non era in vista, ed il lugubre emissario attendeva a capo chino senza nemmeno roteare la falce. Questo, e l’espressione cupa del Cavaliere del Drago, bastavano a comprendere la gravità della situazione. Un giovane demone minore dai capelli azzurri si affacciò dalla porta est del salone con dei calici traboccanti di limonata, ma un urlo più violento del solito lo fece retrocedere in un rumore di vetri infranti a cui nessun altro prestò attenzione.
“VILI! SPORCHI! MALEDETTI, INFIDI ESSERI UMANI! Non hanno il coraggio di affrontare le nostre truppe a viso aperto e cosa fanno? COSA FANNO? Hanno aperto il fuoco su Taisun, schifosi umani!”
Un lieve scricchiolio, poi un lampo. La vetrata che si affacciava sui balconi meridionali esplose. Le schegge si persero nello strascico del Grande Satana, ma nemmeno una goccia di pioggia osò entrare dove la magia tempestava più di qualsiasi altra forza della natura. “Non li perdonerò … NON POTRO’ MAI SOPPORTARE UN AFFRONTO SIMILE! I DEMONI DI TAISUN NON ERANO GUERRIERI!”
“Avremmo dovuto prevedere anche quello, temo …”
Il signore dei demoni lanciò un’occhiata alla persona che aveva osato interrompere la sua furia. “Killvearn, tu parli come se la slealtà sia un pilastro. Come se la vigliaccheria sia un dato di fatto, come se uccidere i deboli sia un vanto ed un’azione gloriosa. Quando abbiamo attaccato la capitale dell’Impero Galattico abbiamo avuto cura di dare loro ben tre giorni di preavviso per allontanare la loro popolazione. E siamo stati anche generosi, visto che un migliaio di umani in meno avrebbe certamente fatto respirare meglio quel pianeta stritolato dal metallo e dalla scienza!”
“Però la viltà degli umani è risaputa”.
Zaboera chinò il capo, cercando di non incrociare gli occhi con le fessure bianche della lugubre maschera di Killvearn. Aveva molte cose da dire all’emissario in nero, ma di queste nessuna avrebbe superato il piacere che avrebbe provato se il Grande Satana lo avesse incenerito all’istante per quella sfrontatezza. Eppure il demone dalla barba bianca non scagliò contro di lui nessun incantesimo, né gli andò incontro con la sua regale presenza. “Mi prendi per uno sciocco, Killvearn? Conosco la bassezza degli umani da molti più anni di te, forse da più di quelli del tuo padrone. Ma credevo di essere IO il loro obiettivo. Non quei preziosi bambini. Non quegli studiosi o quei coltivatori di alghe. Non quei fantastici costruttori. Pensavo che la MIA testa fosse più che sufficiente!”
Zaboera era stato a Taisun nemmeno troppi anni prima, nel tempo in cui finalmente tutti loro erano usciti dal sottosuolo dopo secoli di buio, chiusura e odio. Era stato il quarto insediamento che avevano fondato sotto il sole, senza paura: aveva collaborato personalmente alla creazione dell’incantesimo dell’Aria Acquatica, spingendo la propria magia fino a vette che nei giorni della sua giovinezza avrebbe ritenuto impensabili. La volta che ricopriva la città non era frutto solo dei poteri di un anziano arcivescovo stregone, ma di tutti i demoni arcanisti e studiosi, persino di qualche cacciatore. Era cresciuta sopra di loro, riempiendo in un attimo i polmoni di aria respirabile quando sopra le loro teste vi era il livello dell’acqua del lago Taisun che scintillava nella piena luce del pomeriggio che tanto avevano faticato a conquistare. Era incredibile il gioco di luci che si osservava sul fondo, dove i riflessi chiari si divertivano a rincorrersi lungo le pareti bianchissime delle case, rese quasi trasparenti dalla sabbia har che già nelle prime ore della fondazione si era legata a quei nuovi edifici. Un gioco dalle mille figure, dove i più giovani vedevano draghi sputafuoco e lui uno stormo di uccelli dorati. Ma ne era rimasto incantato, gli occhi sgranati alla vista dei pesci che si affacciavano ai confini della barriera e la sfioravano con le loro squame riflettendo essi stessi la luce come una manciata di polvere lunare scagliata contro la volta incantata. Il Grande Satana aveva benedetto quel posto il giorno successivo con un discorso che non aveva avuto eguali: aveva parlato dell’unità della famiglia demoniaca, ma lo aveva fatto ordinando a tutti di alzare lo sguardo e respirare a pieni polmoni quel prodigio nato dall’unione delle loro forze, un’unione che aveva permesso a tutti loro di vivere anche in un luogo ritenuto impossibile. Erano stati tutti grandi quel giorno. Era stata grandiosa Taisun, che per tutti i suoi abitanti si era riempita della luce del pomeriggio e delle tinte screziate del tramonto. Si erano sentiti tutti eroi, dal primo all’ultimo; avevano creduto di poter finalmente vivere in pace.
Ma adesso di quel posto non vi era traccia, e non ve ne sarebbe mai stata. Il riflesso di una candela sull’oro del trono lo riportò per un istante a quel giorno e lo scacciò con un profondo respiro: piangere era una debolezza che non era concessa né all’arcivescovo stregone né al Grande Satana.
Nessuna lacrima li avrebbe riportati in vita.
Nemmeno lui aveva previsto che gli umani potessero abbassarsi a tanto. Non aveva senso, quello era il problema. Potevano prevedere e combattere qualunque cosa seguisse anche il più labile filo logico, eppure con quegli umani venuti da un altro mondo sembrava non ci fosse un ragionamento da seguire. Oppure era labile, come un minuscolo tassello nelle centinaia che componevano un rompicapo. Zaboera si era preoccupato personalmente della salvezza del proprio signore immaginando ogni attacco, ogni trappola, ogni spia, ogni microscopico congegno; nonostante questo gli umani avevano colpito altrove, e li avevano feriti più di qualsiasi spada. “Come possiamo combattere un nemico simile, mio signore? Nemmeno Autozam era mai scesa così in basso”.
Il sovrano si girò verso di lui, lo sguardo grave. Per la prima volta l’arcivescovo stregone lo vide usare il suo prezioso bastone nero non come simbolo di potere, ma come un vero appoggio per un corpo che aveva visto troppe stagioni e troppo dolore. “Dobbiamo colpire la Morte Nera, e dobbiamo farlo subito. Il nostro tentativo di far salire Baran si è rivelato una trappola mortale, e non intendo ripetere l’esperienza. Senza di lui e senza Sephiroth sarebbe la nostra fine. Ho un piano …”
La sua testa si voltò in quel momento verso l’unica persona che era rimasta immobile durante quel discorso, a capo chino, ferma nell’ombra di un arazzo. Non vi era nulla che trapelasse le emozioni del generale Hyunkel, nascoste nel suo viso corrucciato come tutte le volte che la sua razza compieva delle atrocità. Ma l’attenzione del Grande Satana non era rivolta né a lui né al Puzzle Millenario, ma al ragazzo che aveva poggiato a terra ancora svenuto.
La vista della tunica nera mandò un brivido lungo la schiena di Zaboera. Ancora l’Organizzazione …
“Il generale Hyunkel ha trovato questo rifiuto umano insieme a dei soldati imperiali proprio sulle ceneri di Taisun. Non ho idea di cosa stessero facendo, ma per una volta i loro obiettivi non mi interessano. L’unica cosa che conta è che quelle guardie avevano il compito di proteggerlo, e ciò fa di lui comunque una persona importante” mormorò. “Il tipo di persona che potrebbe avere accesso alla Morte Nera …”
“Ho capito, mio signore! Lasci pure a me il compito di …”
“Interrogarlo? No, Killvearn. Abbiamo già il viceammiraglio Kratas, ed è piuttosto collaborante anche senza i tuoi trucchi”.
“Ritiene che possa teletrasportarsi nella roccaforte imperiale? Usare la sua magia e seguirlo è un piano affascinante”.
“Sbagliato di nuovo. Ho in mente qualcosa di più definitivo”.
Era abile a contenere la sua furia. Dopo il discorso infervorato di prima essa si era nascosta, limitandosi a fare capolino tra le nocche bianche serrate e nei piedi puntati a terra; ma non poteva svanire troppo a lungo perché, per quanto gli anni avessero temperato il carattere del Grande Satana, Zaboera ricordava un demone di migliaia di anni più giovane che mai e poi mai avrebbe tollerato un simile affronto alla propria gente senza rispondere con un’esplosione di fuoco e sangue.
Il demone antico si mosse senza scostare lo sguardo dall’umano dai capelli azzurri. “Restituiremo quell’umano vivo e incolume al suo padrone. O forse ci tornerà da solo, una volta liberato nel primo bosco a portata di viverna. Ma nemmeno lui si renderà conto di portare con sé il mio personale dono per l’Imperatore Palpatine”.
Persino la tempesta ruggì con violenza al gelo cristallizzato in quelle parole. “Una decina di Nuclei Neri dovrebbe essere sufficiente per spazzare via la Morte Nera e tutte le nostre preoccupazioni una volta per tutte”.
Una decina di Nuclei Neri.
Il solo pensiero spinse l’arcivescovo stregone ad incontrare gli occhi del suo signore, ma in quelle pozze oscure vi era un odio così profondo che lo costrinse a ritirare, a tacere, ad imprigionare i propri pensieri nell’immagine di quei potenti ordigni di cui quattro erano stati sufficienti per polverizzare il Castello dell’Oblio, l’artefatto che nemmeno i loro incantesimi congiunti erano riusciti a scalfire. Si rese conto di sudare. Aveva cercato di studiare a fondo il potere dei Nuclei Neri osservando lo scienziato umano trafficare nel suo laboratorio, e quei pochi egli stesso che aveva realizzato per puro interesse avevano dato dei risultati terrificanti. Gli era bastato appoggiarli sul palmo della mano per sentirli vibrare anche dentro l’anima, quasi come uova di drago prive di limiti di tempo. Si nutrivano di magia e bramavano la magia, resi ancora più potenti dall’orgoglio del Membro dell’Organizzazione che li aveva ideati.
Un decina sarebbero stati certamente sufficienti per …
“Io non approvo, Grande Satana”.
E non c’era bisogno di indovinare chi osasse pronunciare tale sfrontatezza. “Lei intende nascondere dei Nuclei Neri nel corpo di quel ragazzo, e personalmente mi sembra un atto che potrei definire in un solo modo: vile. Mi aspetterei una tattica simile dall’Imperatore Palpatine ma, sono sincero, da lei …” mormorò, portandosi al centro della stanza, la testa rivolta verso il trono. Non si inginocchiò né piegò il capo. “… no, da lei non avrei mai pensato di poter sentire un’affermazione simile. E sento la necessità di dirle che sono contrario”.
“Sopravvivrò alla tua contrarietà, Baran”.
Interruppe il suo percorso, e lentamente si avvicinò al Drago. Zaboera si accorse di aver quasi smesso di respirare, riconoscendo un tono del suo signore che non aveva mai dimenticato, lo stesso con cui aveva apostrofato un altro Cavaliere del Drago molti, moltissimi anni prima. “Sopravvivrò alla tua contrarietà, al tuo disprezzo ed al tuo giudizio, Baran. Credi forse che sia così sciocco da non sapere cosa sto facendo? Che io cancelli i MIEI ideali così, come se niente fosse?”
“Lo sta appena facendo, mio signore”
Persino Killvearn, dall’altra parte della stanza, si appiattì contro una colonna e qualunque cosa stesse per uscire dalla bocca del mascherone si trasformò in un respiro informe quando il demone antico avanzò di nuovo, annullando qualunque distanza tra sé ed il Drago furioso finché la sua tunica non incontrò gli stivali scuri dell’altro e ne coprì la punta. “Tu sei nato per giudicare, Baran? O per combattere e difendere Cephiro? Questo non l’ho mai capito, non lo capisco e non lo capirò mai, né ho la pretesa di capire cosa passi per la mente della Madre Drago. Ma so per certo che IO sono nato per guidare la famiglia demoniaca, ed ho ben chiaro quali siano i miei doveri”.
Baran fece per rispondere, ma il Grande Satana fu più veloce. “Non possiamo permetterci un’altra Taisun. Le tue azioni e quelle di Sephiroth sono il vanto del nostro esercito, ma non sono bastate a mettere al sicuro quel villaggio, né gli altri che l’Imperatore Palpatine potrebbe prendere di mira soltanto per ferirci al cuore, dove siamo più deboli. Non ero lì quando gli umani hanno distrutto quel posto, e non potrò mai essere ovunque per proteggere tutti coloro che ne avranno bisogno, né io, né Zaboera, né Hyunkel, né Crocodyne, né Hadler, né Killvearn. E nemmeno tu. Ed io non posso addormentarmi stanotte sapendo che le vite di coloro che devo proteggere non sono al sicuro, perché ho un dovere verso quei giovani demoni che obbediscono e muoiono ad un mio ordine. Devo riavere Mistobaan e devo preservare la mia gente che da troppo poco tempo ha riscattato il diritto di vivere alla luce del sole. Mi assumo interamente la responsabilità di questa azione”.
Perché è il nostro signore.
“Se la storia mi giudicherà negativamente non avrò paura ad accettare le conseguenze” disse. “Tu mi hai giurato obbedienza, Baran. Accetto la tua apprensione per il mio onore, ma sulla vita di quel ragazzo questa è la mia ultima parola. Adesso vai e portalo nel laboratorio di Zaboera”.
L’arcivescovo stregone riprese lentamente aria, ma non riuscì a fare a meno di osservare la figura del generale del generale del Choryugundan. I capelli neri non si muovevano nemmeno nella folata d’aria, ed i baffi cadevano in basso nascondendo la forma delle labbra che immaginava fossero contratte per tutto quello che aveva cercato di dire. Le sue spalle non si erano chinate nemmeno a quell’ultimo ordine, così come le ginocchia. L’unica cosa che si era mossa era la mano, che dal petto era scivolata lungo il fianco in un pugno così serrato che avrebbe facilmente staccato il collo ad un licantropo maggiore. Da sotto il diadema dorato non riusciva a scorgere nulla che non fosse il suo potere senza limiti pronto ad essere liberato. E fu un sollievo quando il pugno si rilasciò, cadendo lungo il fianco. “Come desidera, Grande Satana”.



Narratore: “Amici lettori, è il momento di tirare le fila! Ricordate la scena del prologo? Ecco, dopo un lungo e burrascoso viaggio siamo tornati proprio lì. I nodi vengono al pettine!”
REGISTE: “Narratore, che fai? Insulti l’intelligenza dei nostri lettori? Non c’era bisogno di ribadire una tale ovvietà!”
Narratore: “Mie dilette Registe, vi faccio notare che dal prologo a qui sono passati ventitré capitoli. Non potete pretendere che la memoria dei poveri lettori supplisca alla vostra disorganizzazione nel costruire la trama. Con tutti i nomi e gli eventi che devono già ricordare… “
REGISTE: “Forse se eliminassimo TE dal copione si ritroverebbero con un nome in meno da memorizzare… “
Narratore: “Ecco, lo sapevo… non c’è niente da fare, vincono sempre loro… “




Gli dèi ci mettono alla prova ogni giorno. I piccoli gesti quotidiani sono importanti: sorrisi, parole dette e non dette, mani tese che possono fare la differenza. Ciascuna di queste piccole cose può avvicinarci o allontanarci di un passo dal Nirvana.
A volte invece gli dèi ci chiedono sacrifici più grandi. Ci pongono di fronte scelte cruciali, ci costringono a rimettere in discussione noi stessi e il nostro cammino di vita. E allora la nostra decisione può influenzare in modo decisivo centinaia di futuri cicli della reincarnazione, o addirittura spalancarci davanti i cancelli del Nirvana.
Per padron Vexen era giunto uno di questi momenti.
Dèi benedetti e luminosi, guidate la sua anima.
Da quando il generale Baran aveva portato Zexion nel laboratorio, padron Vexen si era seduto accanto al ragazzo svenuto ed era piombato nell’immobilità più assoluta. Ormai era trascorso… quanto? Camus non aveva osato parlare o richiamare la sua attenzione in nessun modo. Se questa era la sua prova, padron Vexen doveva superarla da solo. Lui poteva solo pregare, trattenere il respiro. E sperare.
“Hai finito di riflettere, umano?” la pazienza dell’Arcivescovo Stregone era arrivata al capolinea. Lo stupiva che avesse atteso così a lungo prima di esplodere. “Non hai sentito gli ordini del generale? O forse non sei capace di fare ciò che ti ha chiesto?”
Zaboera aveva preso a svolazzare con insistenza attorno alla testa di padron Vexen. Tutti i demoni sembravano condividere lo stesso odio per gli umani, ma Camus percepiva un sottofondo particolare di asprezza e rancore in ogni parola che l’anziano arcivescovo stregone rivolgeva allo scienziato.
“So perfettamente cosa devo fare.”
Camus sobbalzò all’udire la voce gelida di padron Vexen spezzare il lungo silenzio.
“E allora dimostralo, invece di startene lì seduto come un ebete a non fare nulla!”
“Ho avuto solo bisogno di riflettere un po’” la voce di padron Vexen era spaventosamente neutra. “Ma ora sono pronto.”
Lo scienziato si alzò e in qualche passo raggiunse il centro della stanza. Ora Camus poteva guardarlo negli occhi, ma quel volto privo di espressione che sembrava scolpito nel ghiaccio non seppe rivelargli nulla. Il sacerdote aveva imparato a riconoscere gli stati d’animo dello scienziato da ogni suo più piccolo gesto e sguardo, ma stavolta nemmeno lui era in grado di decifrare le emozioni nascoste dietro il verde gelido dei suoi occhi.
Ha preso la sua decisione. Dèi, vi prego…
“Zaboera, passami i Nuclei Neri.”
Camus si sentì mancare il respiro.
Padron Vexen aveva parlato in tono così secco e perentorio che per un istante persino l’Arcivescovo Stregone fu preso in contropiede, e non ebbe la prontezza di ribattere.
Padron Vexen…
Forse si era illuso.
Forse era ancora vittima del condizionamento, dopotutto.
Forse Mu e Auron avevano sempre avuto ragione.
No…
“Che insolenza!” Zaboera si era riscosso di colpo, veleno puro in ogni sua parola: “Se non fosse che al Grande Satana servi vivo ti incenerirei qui su due piedi, umano. Non osare mai più darmi degli ordini.”
Non mi costringa a fermarla con la forza, padron Vexen…
Il piccolo demone volò sdegnosamente lontano, voltando le spalle allo scienziato, che intanto aveva estratto da una libreria un pesante tomo borchiato di cui Camus non riusciva a leggere il titolo, e ne sfogliava rapidamente le pagine.
“Umani arroganti” borbottò Zaboera accostandosi a uno scrittoio. Le sue piccole mani artigliate si strinsero attorno a un paio di fogli e li fecero sparire in un globo di fiamme.
Padron Vexen continuava a sfogliare il libro, impassibile.
Io so che il suo cuore non è malvagio. È solo ricoperto di ghiaccio, ma non malvagio. Io lo so…
“Padron Vexen… “
Accadde tutto in un attimo. Camus vide lo scienziato scattare in avanti, sollevando il pesante libro sopra la testa. Fu un colpo secco, alla nuca, e Zaboera si afflosciò al suolo come un sacco vuoto senza emettere neppure il più flebile lamento.
Il libro scivolò dalle mani dello scienziato, rimbalzando con un tonfo metallico e spaginandosi in un tripudio di fogli ingialliti.
Nel silenzio che seguì, per la prima volta padron Vexen si girò a guardarlo. Sulle sue labbra affiorò un mezzo sorriso, quasi un’espressione di scuse:
“Temo di averci messi nei guai.”



Il sacerdote aveva gli occhi lucidi, e tanto per cambiare sorrideva. Avrebbe sorriso anche con una lama puntata alla gola, lui. E probabilmente avrebbe guidato con gentilezza la tua mano mentre lo trafiggevi.
“Siano lodati gli dèi, padron Vexen! La Loro voce finalmente ha raggiunto la sua anima! Sono così felice… “
“Forse ti sfugge l’insignificante dettaglio che non abbiamo un piano, Camus. E che se scoprono cosa abbiamo fatto siamo rovinati.”
Il laboratorio era vuoto a parte il corpo privo di sensi dell’Arcivescovo Stregone, e i demoni di guardia fuori dalla porta per il momento non si erano accorti di niente. Il tempo tuttavia non era dalla loro parte. Se non si facevano venire un’idea prima del ritorno del generale Baran…
“Non ha importanza.”
Ah, certo, non aveva importanza. Ovviamente. Stavano per morire, e non aveva importanza.
“La parte più difficile l’ha già superata, non crede?”
Vexen non poté impedire al suo sguardo di correre verso il lettino operatorio, dove Zexion dormiva ancora, incurante del caos nel laboratorio e della minaccia di morte che pendeva su tutti loro. Il suo viso era disteso, sereno, come quando da piccolo si addormentava tra le sue braccia dopo avergli estorto l’ennesima fiaba della buonanotte.
Zexion adorava le storie fantastiche. I racconti di maghi, fate e draghi, le avventure di cappa e spada.
“Mi fai le voci, zio? Per favore!”
Si riscosse. I ricordi lo avevano assalito a tradimento, ancora una volta. Distolse lo sguardo e lo portò nuovamente su Camus, che era ancora in attesa di una risposta, gli occhi chiari e comprensivi, il sorriso inamovibile sulle labbra. Come se avessero tutto il tempo del mondo.
“Non ne sono sicuro” mormorò infine, odiandosi per aver abbassato gli occhi.
“Se non lo è perché mai avrebbe colpito Zaboera, padron Vexen?”
“Perché non posso fare quello che mi ha chiesto!” gli uscì fuori, quasi in un urlo. Si morse le labbra appena in tempo, ricordando i demoni di guardia fuori dal laboratorio.
“E questo è tutto ciò che conta, adesso.” La voce di Camus era dolce, commossa, persino. Gli posò una mano sull’avambraccio, una stretta carica di gentilezza e conforto. Vexen ebbe l’istinto di scansarlo via con fastidio, ma non si mosse. Il vortice dei ricordi lo aveva catturato di nuovo.
L’assistente si staccò da lui e andò a frugare su uno scaffale in cui l’arcivescovo stregone conservava fiale, barattoli e provette, tutte rigorosamente catalogati con etichette di pergamena. Scelse un piccolo contenitore di vetro sottile e glielo porse senza una parola. Vexen non aveva bisogno di capire i caratteri runici sulla pergamena per riconoscere quel familiare liquido azzurrino: durante la sua permanenza al Baan Palace aveva avuto modo più volte di studiare gli effetti dello zakra, un fluido ricavato dalle ghiandole dei coccodrilli della famiglia demoniaca e implementato con la magia. Zaboera lo aveva creato come supporto e stabilizzante per gli incantesimi guaritivi dei demoni, ma anche da solo i suoi effetti erano notevoli.
“Lo usi per risvegliare il ragazzo” disse Camus. “Con il suo potere Zexion può guidarci fuori di qui, evitando le guardie. Una volta raggiunta la terrazza fuggiremo con una viverna. Possiamo farcela, padron Vexen.”
Lo scienziato si rigirò la fiala tra le mani, dubbioso. Il piano del sacerdote era approssimativo e aveva milioni di difetti, ma era anche l’unico che avevano.
“Io intanto raccolgo tutto ciò che può esserci utile qui nel laboratorio, e resto di guardia alla porta.”
Vexen si ritrovò solo davanti al lettino operatorio.
Con gesti meccanici svuotò la fiala aspirandone il contenuto con una siringa e sollevò la manica destra di Zexion.
Esitò. Sapeva di avere i minuti contati, una parte di lui gli urlava di fare in fretta, certa che presto sarebbe entrato qualcuno e li avrebbe colti sul fatto. Le dita tremavano lievemente, nervose.
Zexion respirava piano, ignaro di tutto. Ad eccezione dell’incontro lampo nei corridoi del Baan Palace, era oltre un anno che non si vedevano. Osservò il viso del ragazzo: più scavato di come lo ricordava, gli zigomi vagamente in rilievo. La traccia di cerchi scuri sotto gli occhi chiusi. Il servizio all’Impero doveva aver richiesto un prezzo alto.
Gli scostò i capelli dalla fronte, un altro gesto meccanico che credeva di aver dimenticato. Zexion era sempre stato pallido di carnagione, ma non aveva mai avuto quell’aria così consunta, come se la sua pelle fosse fatta di carta velina finissima.
Il bambino che conosceva se n’era andato, lasciando il posto a un giovane uomo che aveva forgiato la propria esperienza di vita nella durezza e nelle privazioni. Probabilmente nella solitudine.
Un uomo che Vexen non conosceva. Un estraneo.
No, eri già un estraneo da molto tempo, ormai.
Da quando lo aveva tradito. Da quando aveva infranto quella fatidica promessa. Lo aveva ingannato, pugnalato alle spalle, e per colpa sua, per colpa del ragazzo che aveva cresciuto con affetto per tanti anni, Vexen aveva rischiato di morire.
Era stato facile voltare pagina, allora. Allontanarsi, rendere il cuore impermeabile al rimpianto. Dopotutto, era il ragazzo l’ingrato che aveva ripagato le sue cure e il suo amore con la moneta amara del tradimento.
Eppure ora i ricordi tornavano. Bussavano insistenti alle pareti della sua mente, si facevano strada a colpi d’ascia, prepotenti, dilagavano e prendevano violentemente possesso di ogni suo pensiero. Al Castello dell’Oblio aveva impostato il timer dei Nuclei Neri con dieci minuti di ritardo affinché il ragazzo avesse il tempo di percepirli con l’olfatto, e di mettersi in salvo. Ma era stato un gesto automatico, compiuto in un attimo di paura. La diga era crollata davvero nel Baan Palace, quando Larxen gli aveva riso in faccia, deliziata di annunciargli che Zexion era morto nell’esplosione.
Da allora i ricordi avevano iniziato ad assalirlo, senza pietà, senza scampo.
Aveva paura di risvegliare Zexion. Paura che i suoi occhi azzurri si spalancassero e lo guardassero con terrore come quella volta al Castello dell’Oblio, quando aveva creduto che volesse aprirlo per scoprire l’origine dei suoi poteri.
Paura che lo guardassero come si guarda un mostro.
Iniettò il liquido nel braccio del ragazzo.
Non restava che aspettare. Uno, due minuti al massimo e lo zakra avrebbe fatto effetto. Allora quegli occhi si sarebbero aperti, e lui avrebbe saputo.
Vexen si sedette sul bordo del lettino, l’attesa scandita dai battiti martellanti del suo cuore.


------------------------------------


Fonte della fanart a inizio capitolo: http://scarlett-aimpyh.deviantart.com/
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Crossover / Vai alla pagina dell'autore: Registe