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Autore: RegalGina    18/04/2015    0 recensioni
La consapevolezza è il peggior peso da portare. Perché quando sai e credi che il tuo futuro dipenda interamente dalle scelte che fai, sai anche che qualsiasi cosa accadrà sarà interamente colpa tua.
Ora però, nel giro di qualche singola ora, la sua intera vita era stata totalmente rimessa in discussione. Solo perché, per una volta, aveva deciso di scegliere lei stessa cosa fosse meglio per il suo futuro. Dev'essere buffo vedersi portare via tutto solamente perché si decide di prendersi in mano. Buffo, sì… O forse triste.
Doloroso.
Maledettamente straziante.

La storia di una ragazza alla continua ricerca di se stessa.
La storia di una ragazza che cercò di prendere in mano la sua vita.
La storia di una ragazza in continua lotta col mondo.
La storia di una ragazza che venne salvata da un cavaliere...
Genere: Angst, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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WHAT'S THE DEAL WITH MY LIFE?

PROLOGO

Non aveva mai avuto una vita semplice. E mai aveva pensato di potercela avere.
Credeva in Dio? Forse sì.
Credeva nel Destino? Forse sì.
Ma in entrambi i casi sapeva che la sua vita era in mano sua e di nessun altro. Solo lei era in grado di scegliere, solo a lei spettava decidere quale sentiero imboccare per andare avanti.
E di questo ne era ben consapevole.
E la consapevolezza è il peggior peso da portare. Perché quando sai e credi che il tuo futuro dipenda interamente dalle scelte che fai, sai anche che qualsiasi cosa accadrà sarà interamente colpa tua.
Ora però, nel giro di qualche singola ora, la sua intera vita era stata totalmente rimessa in discussione. Solo perché, per una volta, aveva deciso di scegliere lei stessa cosa fosse meglio per il suo futuro. Dev'essere buffo vedersi portare via tutto solamente perché si decide di prendersi in mano. Buffo, sì… O forse triste.
Doloroso.
Maledettamente straziante.
 
Jane viveva in un piccolo villaggio di un migliaio di persone ai piedi di un'imponente montagna. E come in tutti i villaggi in quell'epoca, la guerra civile minacciava di scoppiare ogni giorno a causa della rivalità tra le due fazioni predominanti: i Saiph, valorosi combattenti devoti esclusivamente alla spada ed al senso dell'onore, ed i Sargas, incapaci di accettare la sconfitta, costantemente alla ricerca di potere. Le cose non erano mai state semplici, ma il lungo governo dei Sargas aveva placato per un po' la loro egemonia. Ora che il loro capofazione si era ammalato ed era in fin di vita però, il conflitto si era caldamente riacceso. E Jane aveva avuto la sfortuna di essere sua figlia.
Come tutti temevano ormai da tempo, la guerra civile era esplosa in un bagno di sangue senza precedenti, decine di innocenti uccisi per la sete di potere di alcuni. L'incubo durò una settimana, allo scadere della quale i Saiph ed i Sargas arrivarono finalmente ad un accordo: un matrimonio. Il primogenito della famiglia più benestante dei Saiph, Kevin, aveva solo qualche anno in più di Jane. I due non si erano mai conosciuti a causa della forte rivalità dei loro genitori, cosa che aveva alimentato un odio reciproco relativamente infondato anche tra di loro, ma in quell'occasione lui fu costretto a chiedere la mano di lei.
E lei ovviamente non aveva avuto alcuna possibilità di scelta.
Ed ovviamente accettò la proposta di matrimonio.
Ed ovviamente accettò di condividere il letto con un uomo di cui a malapena conosceva il nome.
Inaspettatamente però i giorni immediatamente seguenti alle nozze non furono così terribili come Jane si era aspettata; forse proprio perché si era preparata al peggio. Ma allo scadere della prima settimana le cose iniziarono a cambiare e se Kevin all'inizio poteva essere sembrato un tipo abbastanza tollerante e comprensivo, si rivelò un uomo privo di sentimenti interessato solo al governo del villaggio. E come biasimarlo? Con una famiglia che non aveva fatto altro che escogitare sotterfugi per anni alle spalle della famiglia di Jane, lui non poteva far altro che rispecchiare quell'atteggiamento e piegare la ragazza al suo volere. Così ebbero inizio i primi litigi, prevalentemente per questioni politiche.
Poi però le questioni politiche non furono più l'unico pretesto per discutere, lo diventò qualsiasi cosa si potesse ricondurre al quotidiano.
I litigi si trasformarono ben presto in violenza.
E non importava che Jane fosse stata cresciuta da un padre che le aveva insegnato a difendersi ed a maneggiare la spada, perché Kevin era stato allevato dal suo di padre, nient'altro che il capo dell'esercito del villaggio.
In poco tempo Jane si ritrovò ad essere relegata in casa per giornate intere, senza mai mettere piede fuori, senza mai vedere nessuno.
Rimase senza amici, rimase senza una famiglia.
Famiglia che per altro non stava cercando di fare nulla per tirarla fuori da quell'orrore di vita che stava vivendo.
Famiglia alla quale importava solo che la loro figlia fosse la moglie del governatore.
La vita al di fuori delle mura diventò un'utopia alla quale smise di credere giorno dopo giorno, schiaffo dopo schiaffo, violenza dopo violenza.
Smise di mangiare, smise di ribellarsi… Smise di vivere e di sentire.
Finché un giorno qualcosa di strano accadde.
Quella mattina Jane si svegliò affamata, arrabbiata, debole, emozioni che le erano diventate quasi sconosciute. Mise i piedi fuori dal letto, suo marito come tutte le mattine era uscito presto e l'aveva lasciata da sola, di nuovo. Andò nell'altra stanza, vide i ritratti della famiglia di lui appesi alle pareti, i trofei, le armi, i vestiti di lui, i vestiti di lei, che ormai non le stavano più talmente aveva perso peso.
- Questa non è la mia vita… - mormorò a denti stretti.
Con uno scatto d'ira ribaltò il tavolo davanti a lei, ritrovando improvvisamente una grande forza che credeva di aver perso da tempo. Le candele, le carte, tutto cadde in terra causando un fragoroso rumore che risvegliò in via definitiva i suoi sensi. Una sola domanda le frullava in testa in quel momento. Perché aveva smesso di vivere? Sentì il bisogno pressante di riprendersi in mano, di smettere di lasciare che fossero gli altri a decidere per lei. Non importava quello che sarebbe successo dopo, non importava cosa avrebbe fatto o dove sarebbe andata. Era ora di decidere lei stessa della sua vita. Anche se sapeva bene che da alcune decisioni non è più possibile tornare indietro.
Il rumore di un chiavistello in una serratura la fece sussultare, era presto perché Kevin tornasse già a casa. Oppure lei era talmente allo stremo delle forze che non si era resa conto di aver dormito così tanto. Ad ogni modo, lasciò che fosse il suo istinto a guidarla questa volta. Lasciò che l'inerzia di vivere che l'aveva svegliata quella mattina prendesse le redini della sua esistenza per cercare di condurla fuori da quella maledetta casa. Corse in cucina e fece finta di mettersi a preparare qualcosa per il pranzo, cosa che faceva macchinalmente ormai da settimane. L'udire le urla del marito per il salotto a soqquadro non la urtò minimamente, aveva solo un pensiero fisso in mente. Fuggire.
Fuggire.
- JANE! -
Fuggire.
- VIENI IMMEDIATAMENTE A SISTEMARE QUESTO CASINO!! -
Fuggire.
- BEH CHE FAI NON MI RISPONDI NEMMENO? HO DETTO DI VENIRE IMMEDIATAMENTE! -
Fuggire.
I suoi passi veloci e furenti si avvicinarono sempre di più alla cucina, ma Jane non si mosse, rimase immobile ad aspettare la resa dei conti.
Ad aspettare il momento giusto per fuggire.
Kevin si affacciò dalla porta e la fissò per un lungo istante, cercando di capire perché sua moglie non rispondeva ad ogni suo appello come aveva sempre fatto. Lei non si mosse.
Sembrò che il tempo fosse rimasto sospeso, il silenzio dominava la stanza e Jane riusciva a percepire il respiro affannato e colmo d'ira di suo marito, i suoi occhi incollati su di lei mentre pensava a come avrebbe potuto punirla questa volta.
E poi, tutto accadde troppo velocemente perché qualcuno potesse prendere realmente il controllo razionale della situazione.
Kevin si avventò su sua moglie afferrandola per le spalle e sbattendola contro il mobile dietro di lei, iniziando a toccarla, a schiaffeggiarla, urlando parole come "non ti devi mai più permettere" oppure "ti faccio vedere io". Ogni volta che Jane cercava di divincolarsi e guadagnava un minimo di vantaggio, una gomitata nello stomaco od un pugno sul naso la costringevano a mollare la presa per poter riprendere fiato. Cercava di respingerlo ma ogni tentativo era vano, le sue mani, la sua presa, tutto di lui le faceva ribrezzo, il suo odore, la sua voce, il suo tocco…
Fuggire.
Questo pensiero fu l'unica cosa che in quel momento si rese limpida nella sua mente.
Fuggire.
Non avrebbe permesso che quello che si ripeteva ormai da tempo si ripetesse ancora.
Non poteva.
Non voleva.
Quando lui cercò di poggiare le labbra sulle sue lei gli tirò una testata che lo disorientò per qualche istante. Questo le lasciò il tempo di liberarsi momentaneamente dalla sua presa ed iniziare a correre verso l'altra stanza, ma non fece in tempo a varcarne la soglia che una mano la afferrò per i capelli tirandola indietro e scaraventandola a terra. Nella caduta però, Jane aveva cercato di aggrapparsi al piano di lavoro accanto a lei, inutilmente, ma la sua mano aveva trascinato a terra anche un coltello che si trovava poggiato su di esso. L'ira accecava talmente tanto Kevin che non se ne accorse nemmeno, si avventò di nuovo sul suo corpo, ma questa volta la violenza durò poco. Con un rapido movimento Jane portò il pugnale tra il suo petto e quello del marito, l'elsa che premeva sul suo seno.
La lama trafisse lo sterno di lui non appena si chinò per tentare di baciarla di nuovo.
  
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